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Autore: Marge    30/05/2014    2 recensioni
Frozen Flowers è il seguito di Flowers Wall; dopo aver coronato il loro sogno d'amore sotto *diversi* punti di vista, Howl e Sophie si cacceranno di nuovo in qualche guaio. Di chi è la colpa, questa volta?
E dal momento che ne hanno già vissute molte in patria, mi sembra giunto il momento di esplorare un po’ i dintorni. Chi è Hilde, e che paese è mai il suo, perennemente immerso nei ghiacci? E cosa avrà a che fare con i nostri due eroi ed il loro demone del focolare?
Si consiglia la lettura solo dopo aver letto Flowers Wall e tutte le storie della stessa saga!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti | Coppie: Howl/Sophie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Flowers Wall'
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FROZEN FLOWERS

VI

Nel quale Howl fa un bel sogno e Calcifer racconta favole.



Howl era decisamente soddisfatto: “La faccenda è semplice, null’altro che una principessa smarrita. Ricordi quando fummo incaricati di trovare la figlia del Governatore in quel remoto paese dell’est, anni fa? E questa volta saremo pagati decisamente meglio!”
“Dunque, cosa hai estorto loro?” sbuffò Calcifer nascosto tra le braci.
“Soldi, ovviamente” Howl sorrise con le sopracciglia incurvate.
“Mago vanesio e tirchio! Con tutti i problemi che abbiamo, cosa dovremmo mai farcene del denaro?”
“Possibile che tu non capisca? Cos’altro potevo chiedere, ora che Sophie è una bambina? Servirà del tempo per capire quale sortilegio è il suo. Con quel denaro potremmo andare ovunque, chiedere aiuto a qualsiasi stregone e trovare qualsiasi ingrediente necessario. Inoltre, non scordare il Castello da riparare.”
Calcifer corrugò le labbra, dubbioso. “Forse non è in questa direzione che dovresti cercare.”
“Torna da Sophie e non preoccuparti. So cosa faccio.”
“Non hai bisogno di noi?” Il piccolo demone era offeso.
“Al contrario, ho bisogno che tu stia con lei. Non posso concentrarmi affatto se temo che possa accaderle qualcosa. Passerò la giornata con Espen, a interrogare le guardie.”
Si alzò e si voltò verso la balia che ricamava seduta su una poltrona; ai suoi piedi Sophie giocava tranquilla.
“Tornerò presto” disse Howl alla bambina. Poi si rivolse a Talitha: “Vi prego di aver cura di Sophie ancora per un po’.”
“Con chi stavate parlando, tutto chino sul caminetto?”
“Non preoccupatevi di questo. Dovete rimanere in questa stanza, intesi? Non permettete a Sophie di andare in alcun altro luogo.”
“Almeno al gabinetto possiamo andare?” ribatté lei sarcastica. Howl sorrise del suo sorriso più accattivante: “Sono sicuro che avete una grande esperienza con i bambini. Più tardi vorrei parlarvi con calma della vostra Hilde.”
Talitha sussultò e depose il ricamo in grembo. “Dunque è per questo che siete giunto.” La bocca le tremò.
“Abbiate cura della mia Sophie e vi giuro che ritroverò Hilde.”
“Sono al vostro servizio” rispose lei.

Nascosto dietro una colonna, Howl osservava la sala circolare del trono da parecchio tempo. La luce bianca, riflessa dalle pareti di ghiaccio, lo aveva accecato a tal punto che non desiderava altro che chiudere gli occhi e sdraiarsi al buio da qualche parte.
Un araldo annunciò l’ennesimo suddito venuto a chiedere consiglio; Howl sbuffò.
“Ma quanti ne passano al giorno?” chiese a bassa voce chinandosi verso la guardia più vicina.
“Dipende dalle giornate, signor mago,” rispose quella, “a volte anche un centinaio. Non tutti però riescono a giungere fino ad Freedam per chiedere un consiglio.”
“E dunque?”
“In ogni città del paese vi sono governatori che svolgono la stessa funzione, signor mago.”
Le voci al centro della sala si fecero concitate e attrassero nuovamente l’attenzione di Howl.
“Mia figlia, sua Altezza, potrebbe aspirare a un matrimonio molto più conveniente!” diceva un uomo Kamepohl, longilineo e scuro.
“Mio figlio si è messo in testa che potrà essere felice solo con questa fanciulla” ribatteva un Ramepohl dai cappelli fiammanti, “e non capisce le difficoltà che ne deriveranno!”
“Non c’è nulla di male ad essere un Ramepohl” rincarò l’altro, guadagnandosi un’occhiataccia da diversi in sala, “ma non va bene per mia figlia!”
Baldur alzò una mano e i due tacquero.
“I due ragazzi sono innamorati e vogliono sposarsi?” chiese. I due uomini annuirono contemporaneamente. “Ma le famiglie non sono d’accordo perché sarebbe il primo matrimonio misto del villaggio. Cosa temete?”
“Ci sarà confusione” disse uno.
“Non sapranno quali tradizioni seguire, cosa mangiare il Giorno dell’Angelo o come vestirsi durante Festa della Neve. Se avranno figli, saranno guardati in maniera strana da tutti gli altri bambini” aggiunse l’altro.
“Se posso permettermi” si intromise Espen. Baldur annuì. “Qui a Freedam i matrimoni misti sono comuni, le famiglie vivono in maniera molto pacifica e i bambini non hanno mai dimostrato alcun problema.”
“Con tutto il rispetto, signor mago di corte” rispose pronto il padre della fanciulla, “il nostro è un piccolo villaggio, e come abbiamo già spiegato, sarebbe il primo matrimonio misto.”
“Perfino il vostro Re contrarrà molto presto un matrimonio con una ragazza Kamepohl” continuò Espen con voce forte. “Per essere di buon esempio per tutto il popolo.”
“I popoli” corresse a denti stretti uno dei due.
Espen aggrottò la fronte: “Non possiamo certo impedire ai due ragazzi di sposarsi.”
“Noi siamo del parere,” disse l’uomo Ramepohl, “che una lettera di sua Maestà che sconsigli questa unione sia del tutto sufficiente a scoraggiarli.”
“Non vedo perché dovremmo!” esplose allora Espen. Si alzò in piedi e rimase con una mano a mezzaria, indeciso sul da farsi.
Baldur sussultò al suo movimento e spalancò gli occhi. “Beh…” borbottò. “Faccenda complicata… non vorrei mai che questi due ragazzi mettessero al mondo degli infelici…”
“La vita nei piccoli villaggi è molto diversa da quella cui siamo qui abituati” disse allora Gunnar con la sua voce profonda. “È nostro dovere impedire che questi due giovani, compiendo un passo affrettato e non ponderato, siano infelici a loro volta.”
“E questo forse impedendo il loro matrimonio?” esplose Espen.
“Le tradizioni sono un tesoro da conservare, sono la nostra più grande ricchezza” rispose Gunnar, immobile sulla sua seggiola accanto al trono di ghiaccio. “La grande dignità e fierezza dei Kamepohl, l’operosità e lo spirito dei Ramepohl: non devono essere dimenticati solo per volontà d’unire. I due popoli hanno sempre convissuto pur separati. Forse i due giovani si sbagliano ed è nostro dovere impedirlo.”
“Il nostro dovere è garantire la libertà ai nostri sudditi!” urlò Espen. Era rosso in volto e non riusciva a stare fermo: a ogni passo avanti e indietro si udiva il suono del campanello che portava al collo.
Baldur si schiarò la voce. Ottenuto il silenzio, si guardò intorno, posando gli occhi ora sui due padri al centro della sala, ora sui suoi due consiglieri, così diversi tra loro.
“Scriverò una lettera, dunque” disse. “Se questa è la volontà delle loro famiglie. Bisogna sempre aver fiducia nell’esperienza dei più grandi.” Tacque e trattenne il respiro: nessun suono arrivò a contraddirlo.
“Scriverò che sarà difficile per loro portare avanti questo matrimonio, per via delle differenze e della natura del loro piccolo villaggio. Tuttavia non posso sconsigliarlo apertamente, anzi consiglierò loro di considerare l’ipotesi di trasferirsi in una città dove vi sono molte altre unioni miste.”
Sorrise e si guardò intorno in cerca di approvazione: Gunnar non disse nulla, Espen si risedette e prese a tormentarsi il mento con due dita. I due padri abbassarono il capo in segno di saluto e rispetto e se ne andarono senza aggiungere una parola oltre i ringraziamenti di rituale.
Dietro la colonna, Howl strinse gli occhi sui tre: Baldur al centro, seduto sul suo trono sul quale sembrava piccolo e sperduto, Gunnar alla sua destra, grave e potente, e Espen alla sinistra, rosso in volto per l’ira.
“Interessante” mormorò.

Talitha ricamava veloce al tombolo. Sophie, seduta ai suoi piedi su di un folto tappeto di pelo, giocava con dei cubi di legno.
“La mia Hilde, quando era bambina, era davvero una peste, sai? Non sapevi mai dove andare a cercarla.”
La vecchia sospirò. “Vi sono di quelle bambine che vorrebbero essere dei maschi, perché invidiano la libertà dei loro fratelli, e le si trova sempre sporche di fango arrampicate tra le rocce, con le mani sbucciate e i capelli in disordine. Hilde non era così. Hilde è sempre stata una vera principessa, fiera e regale, e pur tuttavia, sempre così distante.”
Sophie alzò gli occhi e sembrò prestarle attenzione.
“Imparò a leggere prestissimo e scompariva per ore nella biblioteca del palazzo. Ha sempre divorato qualsiasi volume le capitasse sotto mano. E amava intrufolarsi nelle case della gente, quando scappava. Ricordo che una volta la trovammo comodamente seduta al desco di un pescatore di salmone, intenta a cenare con tutta la famiglia! Il pover’uomo non sapeva neanche si trattasse della figlia del signore di Thule.”
Sophie sorrise. “Hilde” disse. La balia spalancò la bocca per la sorpresa.
“Sai dunque parlare?”
“Hilde. Sophie.” ripeté la bambina. Si accigliò per un momento, poi abbassò di nuovo lo sguardo sui cubi e scordò ogni cosa. Con una manata li fece cadere e scoppiò a ridere.
Ne afferrò uno e corse al caminetto. “Calcifer, hai fame?” urlò.
Talitha quasi cadde nel correre a fermarla, prima che gettasse il giocattolo tra le fiamme.
“Questa bambina è strana” borbottò tra sé e sé.

Calcifer non lasciò, per tutto il giorno, il caminetto della stanza dove si trovavano Sophie e la balia. “Ci sentiamo così deboli… questo paese non fa per noi, decisamente!” si lamentò quando Howl tornò in serata.
Il mago tuttavia era poco propenso a seguire le sue lagnanze: continuava a riflettere.
“Sophie dorme?” chiese. Si avvicinò al letto dove la bimba respirava tranquilla. Si sedette sul bordo e allungò una mano per carezzarla, ma si fermò a metà strada. Sospirò.
“Ha chiesto di te per tutto il giorno” riferì il demone.
“Domani passerò del tempo con lei. Oggi ho assistito a una scena piuttosto interessante.”
Si alzò e prese la giacca dalla sedia sulla quale l’aveva gettata.
“Esci ancora?”
“Devo parlare con Espen in privato. Veglia su Sophie, Calcifer.”

Howl fu fortunato a incontrarlo mentre vagava per gli infiniti corridoi color del ghiaccio: “Credevo di ricordare a memoria la strada per le tue stanze” borbottò.
“Il palazzo è costruito appositamente per confondere, come ben sai. Cercavi proprio me?”
“Vorrei scambiare due parole sulla scomparsa della principessa Hilde. Oggi ho curiosato in giro e ho parlato alle guardie ma, come voi stessi avete detto, nessuno si è accorto di nulla.”
Man mano che proseguivano, Howl riconosceva la strada; non ebbe più alcun dubbio quando varcarono una porta dorata con il simbolo di Angelia iscritto in un cerchio.
“Finalmente, ecco l’accesso a quella fantastica torre in cui dimori! Ti ho sempre invidiato molto per questa tua sistemazione.”
Scalini candidi si inerpicavano a stretto giro. Cominciarono la salita e non parlarono fino a che non furono in cima. Howl, che lo seguiva dabbasso, ne approfittò per osservarlo da vicino: qualche capello bianco si mescolava, sulla nuca, a quelli scuri tipici dei Kamephol. Non sapeva l’età esatta di Espen, ma lo aveva sempre ritenuto di poco più giovane di sé e ricordava senza fallo il suo volto giovane e imberbe di qualche anno prima. Ora il tempo mostrava il suo corso senza pietà, più di quanto avesse mai fatto sul volto di Howl, con qualche ruga, la fronte corrucciata e nell’insieme un’espressione stanca.
“La scomparsa di Hilde vi sta dando parecchie preoccupazioni, nevvero?” chiese una volta nella stanza principale della torre. Come il Castello, era invasa dagli strumenti magici di Espen, ma sistemati con un preciso ordine; perfino i volumi erano impilati nelle librerie secondo colore e dimensioni, ben diverso dall’ammucchiata che in genere regnava al Castello.
“Sophie pagherebbe oro per un laboratorio così ordinato” commentò Howl ad alta voce, senza pensarci.
“Sophie, la tua bambina?”
Colto in fallo, Howl non replicò. Espen lo fissò per un momento, poi rispose: “La scomparsa della principessa Hilde, nonostante sia un fatto grave, è una delle ultime preoccupazioni di questo regno. Baldur e Gunnar sono sempre stati convinti che un matrimonio misto potesse risolvere le tensioni tra i due popoli, ma come hai potuto ben vedere tu stesso oggi, non è affatto così semplice.”
“Qual è la tua ipotesi sulla sua sparizione?”
Espen si accomodò su una larga poltrona e sistemò le vesti larghe attorno a sé. Poi fece un cenno a Howl verso un’altra poco distante.
“In realtà non ho alcuna idea: da sempre vi sono correnti che vogliono ostacolare la pace tra Ramepohl e Kamepohl. In questo caso, quando la notizia sarà pubblica, sarà fin troppo facile cavalcarla per i movimenti separazionisti. Temiamo anche la reazione della famiglia della fanciulla.”
“Più che comprensibile, dal momento che credevano di inviare una figlia a divenire regina e invece scompare. Come potete assicurarvi che la notizia non trapeli? La balia Talitha, ad esempio, è sicuramente fedele alla famiglia più di quanto lo sia a voi.”
“Talitha è una donna eccezionale” esclamò Espen con trasporto. “Ha cresciuto Hilde come fosse figlia propria ed è sempre stata la sua migliore amica e consigliera. Al momento si fida molto delle misure che stiamo prendendo per ritrovarla.”
“Ho intenzione di parlarle, infatti” confermò Howl. Congiunse le mani in grembo e si guardò intorno: “I tuoi studi sulle costellazioni proseguono?”
In un angolo un enorme telescopio era montato rivolto alla finestra.
Espen annuì.
“Zio Espen!” gridò una vocina. Un ragazzino sui sei anni irruppe nella stanza da una porticina laterale e si gettò su di lui.
“Even! Dovresti essere a letto, a quest’ora!”
Nonostante il tono burbero, Espen accolse tra le braccia il bambino. Howl lo guardò sorpreso: “Non sapevo avessi un nipote!”
Even si accorse in quel momento di lui, ma rimase a fissarlo dalle braccia dello zio, improvvisamente intimidito dalla figura inusuale del mago.
“Ricordi mia sorella Alja?”
“Vagamente. Era una bambina ancora, e inoltre tua sorella. Non avrei mai potuto interessarmene” disse con un sorriso malizioso. Espen sorrise a sua volta, ma senza trasporto. Sembrava triste.
“Sei il padre di Sophie?” disse allora Even.
“Come l’hai conosciuta?” domandò Howl senza rispondere.
“Talitha si sta occupando di Even. La sua balia ci ha lasciati da poco e con tutto il trambusto dovuto a Hilde non ho avuto modo di assumerne un’altra. Inoltre quella donna ha bisogno di tenersi occupata, è distrutta dalla perdita.”
“Sophie non sa parlare” sussurrò il bambino all’orecchio dello zio, non abbastanza piano da non farsi sentire. “Però è carina.”
Howl sorrise.
“Per questa sera ti lascio” disse alzandosi in piedi. “Tornerò sicuramente. Mi farebbe molto piacere scrutare ancora le stelle assieme a te.”
“Sarà mio compito invitarti al più presto, allora.”
Mentre scendeva le scale, Howl udì Espen ridere assieme al bambino. Per un solo momento il suo pensiero andrò ad Alja, che ricordava come una bellissima bambina Kamepohl alla soglia della pubertà; si chiese che fine avesse fatto.

Quando rientrò, Calcifer dormicchiava tra la braci ma aprì un occhietto non appena sentì il rumore.
“Hai chiesto a Espen aiuto sull’incantesimo di Sophie?” chiese.
Howl si lasciò cadere su una poltrona di fronte alle fiamme.
“Per il momento non ho intenzione di farlo. Tantomeno parlare del Castello.”
Calcifer allungò la bocca in una smorfia di disapprovazione: “Ritieni di poter risolvere il problema da solo?”
“Senza dubbio. È colpa mia se Sophie è tornata bambina, chissà quale intruglio le si è rovesciato sulla testa” rispose convinto lanciando un’occhiata al letto dove lei dormiva. “Inoltre, la faccenda del Castello non mi torna. Gunnar non crede alla presenza di spiriti maligni in Angelia, ma sia io che te li abbiamo visti, ci hanno attaccati per ben due volte. Credo sia collegato al malfunzionamento del Castello, perché si è fermato non appena abbiamo varcato il confine.”
Il demone emise due sbuffi di fumo grigiastro, pensieroso. “Vorremmo essere più utili, noi qui” disse infine.
“Avrò bisogno di te molto presto. Quando avrò raccolto abbastanza elementi, tenterò un incantesimo di divinazione per ritrovare Hilde. Poi potremmo andar via, e grazie al compenso, saprò sistemare ogni cosa. Per il momento, ho solo bisogno di te per sorvegliare Sophie.”
Calcifer annuì grave: “Non la lasceremmo mai sola, lo sai bene.”

Il suo sonno si fece leggero e tornò a galleggiare sulla superficie della coscienza, in un dormiveglia in cui gli occhi non volevano aprirsi ma i sensi erano acuiti.
Era caldo, sotto le coperte, un tepore che si irradiava dal suo fianco sinistro arrostendolo come fosse un fuoco magico. Cercò di muovere le dita della mano destra e gli parve di riuscirci appena, erano fredde e intorpidite.
Un tocco leggero alla spalla sinistra lo sorprese. Fece cadere la testa verso quel lato, i capelli gli carezzarono la guancia destra; si forzò a schiudere gli occhi.
Di fronte a lui, il viso di Sophie, i suoi occhi marroni aperti, la linea delle sopracciglia forti tese, quasi aggrottate al centro della fronte. Una nuvola di capelli color delle stelle tutt’attorno al volto di ragazza.
“Sophie!” esclamò. La voce gli uscì in un rantolo assonnato.
“Sshh, Howl, non parlare” disse lei portandosi un dito alle labbra. Sorrise. “Dormivi così pacificamente che non ho voluto svegliarti.”
Lui deglutì. Quanto gli era mancata!
“Come hai fatto…” cominciò, ma lei lo zittì posandogli quello stesso dito sulla bocca. Un brivido attraversò il corpo di Howl.
“Avevo solo voglia di te” disse.
Howl si umettò le labbra, poi chiuse gli occhi e la sentì avvicinarsi. Quel contatto, che un tempo non conosceva affatto e poi aveva dato per scontato per lunghi mesi, ebbe il potere di sconvolgerlo. Le afferrò il volto con entrambe le mani e tornò a baciarla con forza aprendole le labbra con la propria lingua. Quella di lei non aspettava altro e, mentre s’incontravano, Howl la tirò a sé.
Sophie, docile, seguì la natura del movimento e si sdraiò con il busto su di lui, le mani aperte sul torace.
“Oh, Sophie…!” esclamò. Il calore, che proveniva da lei, si spandeva ora su tutto il corpo. La baciò ancora a occhi aperti, lentamente e alzandosi verso di lei, per non perdere neanche un momento di quella vista. Con un sorriso, Sophie alzò il bacino e aprì le gambe per sistemarsi su di lui; era vestita di una camicia da notte chiara che si era arrotolata attorno alle ginocchia, scoprendole di poco le cosce. La coperta scivolò ai loro piedi.
Howl la accarezzò lungo le spalle, le braccia e, quando lei le alzò per toccargli i capelli, continuò lungo i fianchi. Arrivato al bacino, strinse tra le dita la stoffa e la carne insieme, indugiando con lo sguardo sul ventre.
Il desiderio lo accese.
“Come mi sei mancata…” rantolò. Come aveva potuto anche solo pensare di poter attendere a farla tornare una fanciulla? Ogni sua azione fino a quel momento gli parve folle e priva di ogni logica: essere lì, nel castello di Freedam, a indagare sulla sparizione di una qualsiasi principessa dei ghiacci, invece di cercare a ogni costo una soluzione per Sophie, per riaverla indietro assieme alla sua pacifica vita nel Castello Errante.
Scese con le mani alle ginocchia, le infilò sotto la stoffa e risalì lentamente lungo la pelle delle cosce; Sophie chiuse gli occhi e fremette per il piacere.
Scattò a sedere e la strinse a sé, prese a baciarle il collo morbido con frenesia. Un bacio, due, scendere verso la clavicola, mordere piano la sporgenza dell’osso e prendere la strada verso la pelle delicata del seno, scostando con la punta del naso il bordo della camicia. Lei gli abbracciò la testa e ansimò contro il suo orecchio, strofinò il bacino contro di lui mentre lui le bagnava un capezzolo indurito.
Howl le strinse la carne dei fianchi fino a che non la sentì gemere.
“Scusami…” mormorò. “È da così tanto che…”
Lei gli si attaccò nuovamente alle labbra, bollente.
Avrebbe voluto mangiarsela e nel frattempo farla impazzire di piacere, per perdere la testa con lei. Gli era mancata, oh sì, la sua acutezza nel riflettere, la sua semplicità nel fare le cose di ogni giorno, la gioia con cui gli correva incontro ogni mattina con una novità o un pettegolezzo rubato nelle strade di Dengulls, la felicità con cui gli mostrava un altri fiore cresciuto nel giardino o leggeva una lettera di Markl dall’Accademia.
Ma, oltre ogni altra cosa, gli mancava il modo dei loro corpi di convivere in uno stesso spazio influenzandosi a vicenda, come legati da fili invisibili; non vi era volta in cui lei non si muovesse senza che lui lo avvertisse, che lui facesse un passo senza che Sophie, istintivamente, si accomodasse nello spazio modificato in relazione alla sua presenza diversa. E tutto ciò si acuiva la sera, lassù nell’ultima stanza del Castello Errante, dove giocavano a scoprire quante sensazioni un bacio può dare in diversi parti del corpo, quando riuscivano a dimenticare dove finisse la pelle di uno per cominciare quella dell’altra, in una giostra di vita.
Come in quel momento in cui, con le dita tra i capelli, scopriva che riusciva a farle scorrere brividi lungo la spina dorsale solo accarezzandole il cuoio capelluto e a confonderla con la lingua a picchiettare la pelle del collo. Sophie, in estasi, gli stringeva le spalle.
“Oh, Howl…!” la sentì mormorare. Lei chinò la testa per baciargli una guancia, ma fu troppo brusca e i denti sbatterono contro lo zigomo di lui.
Howl ridacchiò.
Una risata sottile, da voce infantile, gli fece eco. Howl sbatté gli occhi.
Aprì le palpebre, pesanti come macigni. Era disteso a letto, le coperte tutte accatastate solo sul lato sinistro. Girò la testa e fissò la bambina seduta su uno sgabello basso di fronte al fuoco. Era in camicia da notte e teneva il volto tra le mani.
“Mi racconti un’altra storia? Bella come questa” la sentì dire.
Calcifer spalancò la bocca: “Ti abbiamo mai raccontato di quella volta in cui una fanciulla di nome Sophie è venuta dal futuro a salutarci?”
“Sophie come me?”
“Esattamente!” confermò il demone accompagnando ogni sillaba con una smorfia e uno sbuffo di lapilli colorati. Sophie rise ancora.
Howl fissò il soffitto e sospirò.




***
Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere. Ho scritto, cancellato e riscritto praticamente tutte le scene, spostandone alcune a momenti successivi, tagliandole altre. Però di buono c’è che tutto questo lavorare alla storia mi ha fatto tornare l’ispirazione di gran carriera, quindi il prossimo non tarderà.
Il rating è salito ad Arancione per via del sogno di Howl, e credo che rimarrà questo per tutta la storia. Avendo scelto di far tornare Sophie bambina, non c’era altro modo per infilarci una scena del genere. Ma non fatevi distrarre da due coniglietti in calore: il capitolo è disseminato di piccoli indizi per capire cosa sia successo a Hilde e a Sophie. Dal prossimo entreremo nel vivo dell’azione e delle investigazioni! Secondo voi cosa è successo alle due fanciulle, una sparita e l’altra retrocessa a bimbetta?
Fatemi avere i vostri pareri tramite commento, messaggio privato, su FB o su LJ o anche con un corvo o un gufo viaggiatore :)
See ya soon, e grazie di tutto il pesce!
<-- citazione :P
  
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