Captain
Nappy
“…Perciò,
credo sia più giusto che sia tu a farlo, ecco.”
Tom
alzò lo sguardo, l’ultima traccia di un sogno sbiadito negli occhi ancora un
po’ vacui, e lo fissò nel volto terribilmente beffardo di Benjamin Price con
una nota basita ad impallidirgli le guance.
“Prego?”
Domandò quindi, incerto e del tutto insicuro della sua sanità mentale.
Stava
sognando, vero? Per forza, e quello era un incubo. Un incubo che non aveva
assolutamente nulla, nulla di profumato.
Accanto
a lui il SGGK, numero uno del Giappone e ad un passo dal divenirlo pure
nell’ambito europeo, gli regalò un’occhiata accattivante, fin troppo smaliziata
per i gusti dell’altro.
“Tom.”
Iniziò, poggiandogli una mano sulla spalla in un gesto che definire ambiguo,
opportunista e ipocrita, sarebbe stato comunque minimizzare. “Tu mi conosci,
no? E da quanto? Dieci? Undici anni?”
Becker
sospirò, passandosi poco convinto una mano nei capelli castani. “Quindici,
veramente.” Lo corresse, paziente.
“Ah,
sì, ecc-” Benji si bloccò, col fiato corto e gli occhi sbarrati per la sorpresa
arrecata dalla notizia, prima di voltarsi verso l’amico in un bizzarro effetto
da robot mezzo arrugginito. “Cosa?! Quindici
anni? Scherzi? Sono già passati tutti questi anni?” Poi si guardò allo
specchio, posto di fronte a loro, e sorrise compiaciuto. “Va beh, devo dire che
me li porto benissimo, vero fustacchio?” Chiese, rivolto al suo stesso
riflesso.
Tom
alzò gli occhi al cielo, esasperato.
Venticinque
anni di carcere sarebbero stati meglio, poco ma sicuro.
“Ueeeh!”
Un
improvviso quanto stridulo gridino, li costrinse a tapparsi le orecchie,
assordati, e a riconcentrare le proprie attenzioni sul fagotto mezzo nudo che
si sbracciava dinanzi ai loro occhi vacui.
“Tom,
fa qualcosa!” Sibilò Benji, stizzito.
Fantastico,
veramente fantastico.
Ma
quell’idiota decelebrato e con dubbie capacità intellettive gliel’avrebbe
pagata cara. Oh, molto, molto cara… Avrebbe dovuto vendersi pure le mutande e
implorarlo strisciando ai suoi piedi fino ad avere i ginocchi consumati, e-
“Benji,
devi cambiarlo!”
Aveva
davvero sentito ciò che credeva di aver sentito? No, perché il livello di
sordità era ad un punto talmente prossimo al non-ritorno che non ci sarebbe
stato di che sorprendersi se avesse iniziato a sfarfallare. Tanto più che ciò
che gli pareva di aver sentito, era bizzarramente assurdo per essere reale.
“Devo
essermi o totalmente rincretinito, o assordato, ma Tom, vecchio mio, credo di
aver capito qualcosa come cambiarlo io. Mi sono sbagliato, giusto? Stai
scherzando, no?” Domandò, con tono quanto più ingenuo possibile, i lineamenti
alterati da una quanto mai inverosimile aria angelica.
Dal
canto suo il numero undici della nazionale nipponica di calcio, nonché membro
effettivo della Golden Combie, mostrò le proprie doti artistiche in un’eccelsa
imitazione del famoso Urlo di Munch.
“Benji,
ti sembra che io stia scherzando?!” Ribatté, troppo rimbambito per afferrare la
drammaticità dei fatti, ma non il fetido odoraccio che si respirava, per quanto
i polmoni si sforzassero di farlo ovviamente.
“Tommy,
ti sembra che io potrei mai farlo?” Fu la risposta del portiere, sinistra
quanto lo era l’eau di toilet – in questo caso – divampato nel bagno.
-Okay Tom, stai
calmo. Respir- No, meglio di no. Allora, non respirare ma stai calmo. Calmo,
Tom, c a l m o.-
“Oh,
ti muovi o no?” La voce seccata di Benji, unita al pianto isterico sollevatosi
già da diversi minuti, e non solo quello, sfibrò anche l’ultimo nervo di Tom,
ormai al limite della sopportazione.
“Sinceramente.”
Attaccò, imbufalito, ringhiando peggio di un cinghiale di fronte al pericolo.
“Non capisco perché debba essere io a
farlo, e non tu.”
Al
che Price scrollò le spalle, con noncuranza, e mormorò qualcosa coperto
dall’urlo disumano che quell’esserino sembrava in grado di cacciare. Sospirò –
senza respirare, ormai era a buon punto nel raggiungere il record mondiale di
apnea – e si sforzò di parlare a voce più alta.
“Perché…Holly…amico…poppante…tu!”
Tom
sbatté le palpebre, una, due volte, l’aria basita di uno che non crede alle
proprie orecchie. Beh, a quella misera parte che le sue orecchie avevano udito,
almeno. Tranci di parole condite di urla e pianti isterici.
“Che??”
Domandò, sperando che la sua voce riuscisse a sovrastare la vocina assordante
del bimbetto.
Benji
sospirò, poi ispirò, quindi espirò, sforzandosi di mantenere il controllo di se
stesso e dei suoi già comprovati nervi. Infine… “Perché Holly è più amico tuo, perciò del poppante te ne devi
occupare tu!”
Dire
che era sbigottito, attonito ed esasperato, era ancora troppo poco.
“Guarda che è anche amico tuo!” Ribatté,
a tono, i pianti che ormai avevano raggiunto un elevato grado di decibel.
“Non sono mica un pallone!”
Benji
sapeva ovviamente trovare una giustifica per tutto, ma proprio tutto.
E
Tom sapeva bene che ostinarsi in quella posizione, non avrebbe sortito vantaggi
né all’uno, né all’altro, né al poppante, come lo chiamava il portieruncolo.
Perciò, decretò, meglio passare ad una saggia azione diplomatica. Il che lo
portò a sfidare il destino, il ribrezzo e il proprio vacillante affetto verso
quella testa quadrata di un capitano che, sposandosi, aveva decretato l’inizio
dei loro guai.
“D’accordo,
lo faremo insieme.”
“Come? Non
ti sento, parla più forte!”
Ispirare,
espirare, inspirar- “Ho detto che lo
faremo insieme porca vacca!”
“Ah.”
Benji sospirò, terribilmente pallido. “E
che ti urli!”
-Uhm. Calma Tom,
calma. C a l m a.-
-Non dice sul serio…
Vero Tommy bello?! Dice sul serio?-
“Al mio tre. Uno…”
Benji
portò una mano sulla striscia adesiva destra, la sinistra era di Tom.
“…due…”
Deglutì
un paio di volte, impedendosi di
respirare.
“…e tre!”
Zip.
Le
urla finirono (magia?), l’orologio si fermò e…
“Che
schifo!!”
{Due
ore, un pannolino, una maglietta sporca ed irrimediabilmente una pulita, due
bicchieri di scotch forte per Benji, uno di whisky invecchiato per Tom, un
biberon di latte per il moccioso Hutton, dopo…}
“Siamo
tornati!” La voce giuliva di Patty, reduce da una stupenda serata in teatro con
il suo adorabile maritino, si propagò nella casa allo stesso grado di decibel di
un’arpia che si azzanna sulle proprie vittime.
O,
perlomeno, questa fu la percezione che ne ebbero Benji e Tom dal sofà del
soggiorno, spalmati fino a confondersi con l’arredamento.
“Ehi!”
Li salutò Holly quando, entrando con il dubbio gusto di farsi beccare mentre
sorrideva compiaciuto, li notò a riposarsi sul proprio divano.
Era
talmente contento di come era andata la serata di libertà, lontano dagli
obblighi e dai vincoli paterni, da non fare neppure caso all’ambiguo silenzio
regnante nella stanza, con tanto di televisione spenta anziché essere puntata
su qualche canale con una vecchia partita di calcio in programmazione.
“Tesoro!”
Ululò raggiante l’ex manager all’indirizzo dell’adorabile pargoletto, seduto placido con il ciuccio in bocca tra i
suoi due comprovati babysitter. “Ti è mancata la mamma? Sì? Vero che ti è
mancata? Bravooo. Tu sei bravo, sei l’amore della mammina,vero?”
Tralasciando
lo sfogo di Patty, chinata su quel piccolo portatore di colera ambulante, Tom e
Benji continuarono a fissare un punto imprecisato dinanzi ai loro occhi, quasi
che la cosa gli scivolasse addosso senza neppure sfiorarli.
“Il
teatro era pieno, avreste dovuto vedere! Non ho mai visto tanta gente in vita
mia e dopo lo spettacolo, ci hanno offerto anche un buffet di tutto punto.
Pensate che c’era persino Freddy! Ah, ma non vi ho ancora chiesto niente!
Allora: come è andata la serata?” Domandò trasognato il capitano, sedendosi sul
bracciolo della poltrona coordinata al sofà, di fianco agli amici.
Al
che i due fuoriclasse nipponici proprio non riuscirono a mantenere quella
stoica parvenza d’indifferenza verso tutto e tutti, e, voltandosi verso il
capitano, lo degnarono della migliore espressione trucida del loro repertorio.
“Holly.”
Tuonò Benji dopo aver messo mano all’ultimo brandello di energia rimastogli in
corpo, elemosina dello scotch, e dopo essersi rialzato con non poca fatica.
“Fammi un favore: la prossima volta che ti viene la brillante idea di chiamarmi
per accudire Capitan Pannolino, là, fatti una bella doccia fredda. Ghiacciata, anzi. Perché si dà il caso
che il sottoscritto ne ha fin sopra i capelli di latte e merda varie.”
“Ma
Benji.” Lo richiamò indietro il capocannoniere quando quello, ormai sulla
porta, sembrava intenzionato a sgombrare il campo quanto prima possibile.
“Domani io e Patty avremo…”
Occhiata
assassina, espressione feroce e broncio assai poco raccomandabile, prima di
scomparire dalla scena accompagnato da un sibilo minaccioso molto simile ad un
non ortodosso ‘fanculo capitano.
“Chissà
che gli è preso.” Fu quindi l’ingenua osservazione di Holly, che si scontrò con
l’esasperazione di Tom e l’aria perplessa di Patty. “Un momento: ma quella non
era la mia maglietta?!”
L’amico
per tutta risposta scrollò le spalle, in un sospiro.
“È
una lunga storia Holly.” Mormorò, stanco come appariva, mentre a sua volta si
avviava verso l’uscita da quell’inferno marrone.
“Tom,
possiamo contare almeno su di te, domani, vero?” Lo supplicò con lo sguardo
Patty, memore del party che attendeva lei e suo marito e del categorico rifiuto
di Benji di porsi come babysitter.
Becker
allora si voltò, un bizzarro e preoccupante tic all’occhio destro.
“Non
volermene, Patty, ma la prossima volta che deciderò di fare da bambinaia, sarà
quando non avrò nemmeno più un neurone in grado di ragionare logicamente. O
quando avrò perso completamente la memoria, è uguale. Buonanotte.” E così
dicendo, anche l’ultima speranza di un’altra serata in stile coppietta felice,
svanì oltre la porta.
Rimasti
soli con aria basita e bocche spalancate, i due coniugi Hutton fissarono il
portone d’ingresso ancora per qualche istante prima di focalizzare la
disarmante verità di non avere più i loro due efficaci babysitter.
Alla
fine fu Holly il primo a riscuotersi e a gettare un’occhiata perplessa alla
moglie, ancora china sul loro adorabile angioletto con sguardo ancora
palesemente smarrito.
“Che
dici, se la sono presa perché io ho chiamato Benji e tu Tom? Ma mica era colpa
nostra se io non sapevo di te, e tu non sapevi di me! Bah, piuttosto: chiamo
Bruce?”
[Captain Tsubasa copyright © Yoichi Takahashi]
N/A
(ovvero: memi’s
return)
Piccola
postilla d’obbligo dopo questo divertente esperimento che, devo dire, ha
suscitato parecchi consensi. Bien, che dire? Mi è piaciuto ritornare a scrivere
su questo anime e non posso non ringraziare le ideatrici di tale contest per
avermi dato l’idea e l’occasione buona per prendere in mano le redini di CT.
Com’è che si dice in questi casi? Ah sì, il
primo amore non si scorda mai, già, già u.u .
E
diciamocelo, chi non si è innamorato dei più famosi calciatori nipponici? Io di
certo! Tanto più che Benji e Tom in versione babysitter ce li vedevo proprio a
pennello! ^.-
Okay,
volo via, ma prima vorrei ringraziare in anticipo (eventualmente) coloro che si
azzarderanno a leggere e magari a recensire tale sciocchezzuola. Mi farebbe
molto piacere sapere cosa ne pensate, considerato che era da un bel po’ di
tempo che non mettevo mani su questo anime. Ma sapete, letto il contest e preso
carta e penna, beh più che altro mouse e tastiera, l’idea è corsa a loro.
Subito. Non potevo non rendere omaggio all’idea, non vi pare? D’accordo, la
finisco qui, prima d’iniziare a delirare sul serio.
Baci.
Memi
J