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Autore: Lady Hime    30/05/2014    3 recensioni
[Questa fanfiction è un gigantesto spoiler della seconda stagione!] Hannigram.
«Non sono più un tuo paziente, Dr. Lecter» replica Will «Non ho più motivo di essere accondiscendente».
«Non sei mai stato particolarmente accondiscendente» lo contraddice Hannibal «Se lo fossi stato, non avrebbe avuto alcun senso circuirti».
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*
C’è un leggero odore di amarene, nella stanza; Hannibal le snocciola velocemente, come se non facesse altro da tutta una vita.
Niente tradisce il suo portamento altero mentre depone i noccioli da una parte ed i frutti dall’altra, eppure c’è una strana irrequietudine dentro di lui.
L’avverte sgusciare subdolamente da qualche remota parte del suo cervello, o dal suo cuore forse?, ed invadere tutto il corpo. E’ una sensazione abbastanza fastidiosa, che lo ha portato a cucinare nel bel mezzo della notte.
Ha sempre avuto un ché di rilassante, per lui, stare in cucina;  il solo suono di un coltello che sbuccia, di un uovo che si rompe, di una bottiglia che si stappa, lo riporta a quando era bambino, e si sedeva con Mischa ad osservare la cuoca.

Cosa cucini Dalia?
Qualcosa che vi piacerà.


Hannibal lascia da un lato le amarene e si concentra sulla carne; la impana con paprica, sale e pepe e la immerge nel rosso di un uovo sbattuto.
Non ha fame, e non è propriamente salutare consumare una seconda cena alle tre del mattino, eppure si apparecchia un posto, a capotavola.
Una deliziosa composizione di fiori freschi regna al centro del tavolo, i colori intensi dell’ortensia sovrastano prepotentemente il candore dei mughetti, creando un contrasto accattivante e violento.
Dopo aver acceso una candela, ritorna in cucina e cuoce la carne, arrostisce mandorle ed ananas per accompagnare, ed infine, quando compone il piatto, decora il tutto con le amarene.
La perfezione della portata lo fa sorridere di soddisfazione, può quasi sentire l’insofferenza di quella strana notte alle sue spalle.
Appena mette piede in sala da pranzo, tuttavia, qualcosa lo immobilizza, e quasi lo costringe ad arretrare per la sorpresa. Will, seduto esattamente a capotavola, ma dal lato opposto al suo, gli sorride. Un sorriso sincero ed affabile, uno di quelli che gli ha visto tante volte.
Il detective indossa un completo blu scuro addosso, una cravatta nera e due polsi gemelli dorati sulla camicia bianca, in netta contrapposizione con la sua tenuta da casa.
Sembra quasi che si siano invertiti, rispetto ad una volta, ed ha qualcosa di vagamente tragicomico la situazione.  
Si ritrova a studiarlo, senza quasi accorgersene, per un minuto intero; poi finalmente posa il piatto e si siede.

Braciole di vitello con mandorle, amarene e ananas.

Ma non ha senso pronunciare quelle parole poiché non c’è alcun piatto davanti a Will.
«Mi scuso se non ho cucinato due porzioni, non prevedevo una tua visita» dice versandosi un bicchiere di vino, con tono controllato.
«Nessun problema» replica l’altro grattandosi pigramente il collo «Non sono venuto fin qui per scroccarti una cena».
Un leggero tintinnio di posate risuona per la stanza, Will assume un’aria divertita quando si accorge di quanto intensamente Hannibal fissi il coltello.
«In verità, non credo mangerei più un solo piatto cucinato da te» aggiunge poi, ridendo leggermente «Se ce ne fosse l’occasione, s’intende».
Gli occhi del killer si alzano dalla forchetta, e fissano intensamente davanti a sé, spinti dall’esigenza di esplorare nuovamente ogni centimetro di Will; senza volerlo si concentrano sui gemelli d’oro, piccoli e raffinati.
«Me li ha comprati Alana» dice Will lucidandone uno col pollice «Sai, per la cerimonia».
«Cosa sei venuto a fare, Will?» domanda finalmente, ingoiando un boccone stranamente amaro.
«Te cosa credi?».
Hannibal tace. Sente di nuovo quello strano malessere impossessarsi delle sue mani ed anche se il tremore è impercettibile, sente la rabbia montare dentro di lui.

Ti ho già cambiato

«Dio Hannibal sono passati, quanti, tre anni?» continua Will come se avesse capito che non otterrà alcuna risposta «Dovevi mettere in conto che sarebbe successo, prima o poi».
«Sì, avrei dovuto» sussurra l’altro prendendo una sorsata di vino.
Will gli regala un nuovo sorriso, molto più grande e soddisfatto di quello precedente. Si alza dalla sedia e gli si avvicina senza paura. Perché dovrebbe averne, in fondo.
«Queste braciole sembrano davvero ottime» dice, prendendo il bicchiere ormai vuoto tra le mani; lo annusa con gusto «Ed anche il vino è di classe come al solito».
Hannibal lascia le posate accanto al piatto ormai vuoto e si pulisce la bocca.
«E scommetto che quello non è vitello. Oh, non guardarmi così, lo so che le vecchie abitudini sono dure a morire».
«Sì, lo sono» risponde dopo qualche istante con sufficienza, indeciso se alzarsi e sparecchiare o rimanere lì, a confrontarsi con Will.
Non vuole dar l’impressione di star scappando.
«Non mi hai risposto, Will», decide infine di restare immobile, e di lasciare al detective la libertà di muoversi per la stanza, proprio come ai vecchi tempi «Perché sei qui?».
«Lo sai perché sono qui».
«Vorrei che mi rispondessi comunque, Will».
«Non sono più un tuo paziente, Dr. Lecter» replica dolcemente Will, allontanandosi da lui e dirigendosi verso la finestra chiusa «Non ho più motivo di essere accondiscendente».
«Non sei mai stato particolarmente accondiscendente» lo contraddice Hannibal «Se lo fossi stato, non avrebbe avuto alcun senso circuirti».
Sente di nuovo Will ridere, ma non può vederne l’espressione perché il detective gli ha voltato le spalle.
«Sono qui perché ti senti solo, Hannibal».
Hannibal avverte l’atmosfera mutare, insieme a quelle parole, vede l’ortensia morire ed il bianco dei mughetti esplodere.
In molte culture il bianco rappresenta il peccato, si ritrova a pensare, la morte ed il lutto.
Will si gira con un’espressione seria in volto; ha la giacca sbottonata e la cravatta è sparita. Non c’è nessuno squarcio sulla camicia, eppure c’è del sangue scarlatto che continua a colare da una zona imprecisata del bassoventre.
«Oh, lo sai da dove viene, questo sangue» lo contraddice subito Will scostandosi un ricciolo ribelle dalla fronte; anche il volto di Will, adesso, è coperto di sangue «Certo che lo sai».

Certo che lo so

Hannibal fa per alzarsi dalla sedia, ma Will è accanto a lui, alla sua destra, in un battito di ciglia.
«E’ colpa tua, se stanotte mi sento così irrequieto» mormora lo psichiatra in tono serio, chiudendo gli occhi.
«Oh Hannibal, io non ti sto tormentando» dice il detective noncurante «Non fare il melodrammatico».
Il suo cuore accelera leggermente ed Hannibal stringe i pugni per impedire che un nuovo qualsiasi segno di debolezza tradisca le sue mani.  
Anche se è consapevole che dovrebbe essere impossibile, Hannibal sente comunque il fruscio della stoffa quando Will si china su di lui, avverte perfino il respiro caldo sulla sua guancia e l’aroma di sangue sulla pelle.
«Quello che senti, Dr. Lecter, si chiama senso di colpa» sussurra suadente Will.
Anche i mughetti cadono, adesso, rimane solo un vaso vuoto.
«E’ stata colpa tua».
Una risata leggera invade la stanza vuota.
«Si, no, forse, chi lo sa!», Will si scosta e si siede sul tavolo, incatenando i loro occhi «ciò non toglie che non era l’epilogo che avevi previsto».
«A volte le cose non vanno come vengono programmate».
«A volte la tazza non può essere ricomposta».
Come creatura irreale quale è, Will non ha bisogno di muoversi per materializzarsi esattamente dall’altra parte della stanza, di nuovo vestito di tutto punto.
«E’ stato un funerale di tutto rispetto, sai? Anche quello di Abigail. Nonostante siamo morti a due giorni di distanza, Alana è riuscita a farci sotterrare lo stesso giorno nello stesso luogo».
Adesso, nel vaso, ci sono solo crisantemi appassiti.
«Non sei venuto sulla nostra tomba nemmeno una volta, Hannibal, è molto scortese da parte tua» proferisce il detective dopo lunghi istanti di silenzio.
Prima che possa aprir bocca, Will si trasforma in Abigail, occhi azzurrissimi e gola squarciata. Gli sorride affabile.
«Non sono andato al funerale di nessuna delle mie vittime» proferisce secco. È sulla difensiva, nonostante stia parlando ad un eco della sua memoria, e la cosa lo fa imbestialire.
La debolezza non gli appartiene più la molto tempo, ringhia a nessuno.

“Perso nei tuoi pensieri?”
“Non perso, non più”.


Abigail si scioglie lentamente, lasciandolo di nuovo solo. Sente dei passi dal piano superiore, il cigolio di una porta che si apre e si richiude.  

«Sono qui perché ti senti solo, Hannibal»
«Ho Clarice»
«Non è abbastanza» replica semplicemente Will, sorridendo.

Lei non è me.















Note dell’autrice:

No, Will non è sopravvissuto, è morto due giorni dopo la famosa notte, per complicazioni di sorta che non mi sono arrischiata a descrivere.
Non volevo commettere errori madornali, e soprattutto, volevo concentrarmi su un Hannibal che ha fallito.
Durante l’ultima puntata infatti (che ho dovuto rivedere per scrivere una questa storia, Bryan Fuller tu mi pagherai una terapia), fra dolore e devastazione, ho convenuto che Hannibal uccide Abigail sotto gli occhi di Will perché vuole che quest’ultimo lo insegua per tutta la sua vita.
Che lo trasformi come la morte di Mischa trasformò lui. Ma qui, Will muore, Abigail è stata sacrificata senza ragione, ed a lui sono rimasti i sensi di colpa.
Il fatto che abbia incontrato lo stesso Clarice è puramente a beneficio della storia; mi sembrava inverosimile che trascorra tutta la vita con Badelia o nella solitudine, ma chissà.
In fondo, questa è la mia fanfiction XD ognuno ha diritto alla propria visione delle cose.
Spero piaccia almeno un po’ ^^
Cheers!

Hime
   
 
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