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Autore: MissZombie    06/08/2008    8 recensioni
Vorrei sentirti, vorrei piangere e ridere e amarti. Invece ti odio. Ti odio da impazzire.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono -purtroppo- e io di tutto quel che segue non ne guadagno niente di niente. Detto questo, buona lettura ^^


--- * ---


Il bagno era sudicio.
Il pavimento, le piastrelle di marmo blu avrebbero dovuto originariamente ricordare il colore dell'oceano, ora presentavano soltanto chiazze di piscio e orgoglio calpestato.
Mancava l'aria, dentro quel luogo che ti faceva sentire inscatolato in una realtà scomoda.
Porte chiuse, dietro di esse solo anime voraci pronte a divorarsi tutto ciò che potevano.
Gente che scopava.
Gemiti nemmeno troppo soffocati.
Uruha strinse le dita attorno ai bordi del lavandino, sentendo i polpastrelli bagnarsi di quell'acqua sporca che nessuno si premurava di asciugare dal candore di quel marmo freddo.
Inspirò a fondo e alzò lo sguardo, incontrando due occhi freddissimi.
Freddi come il ghiaccio.
Non gli era mai piaciuto il colore naturale dei suoi occhi, un incrocio tra caramello fuso e cioccolata.
Un colore così dolce da darti la nausea.
Un colore all'apparenza così caldo, ma in realtà più freddo dell'azzurro di certe lenti a contatto che indossava per i photoshoot.
Gli piaceva cambiare la propria immagine, cambiare colore degli occhi, taglio di capelli, infilarsi quelle giarrettiere che gli stringevano alla perfezione le cosce diafane.
Tutti lo guardavano, tutti lo volevano.

Bugiardo bugiardo bugiardo che non sei altro. Fai schifo.

Quella sera non indossava lenti a contatto, i suoi capelli miele gli incorniciavano disordinatamente il viso stanco, e a fasciare le sue gambe c'erano solo un paio di semplicissimi jeans.
Nessuno lo guardava, nessuno lo voleva.

Nemmeno lui.

Uruha si raddrizzò, sistemandosi la pece sbavata sotto ai suoi occhi, cercando di mettere a fuoco l'immagine distorta che lo fissava dallo specchio.
Si sentiva sudicio. Sudicio come quel bagno schifoso.
Chiuse gli occhi, strizzandoli forte.
Pareva di essere sulle montagne russe, ma non era per niente divertente.
"Calmo" sussurrò, la voce che moriva tra il freddo di quella stanza.
Riaprì gli occhi, posandoli sulle proprie mani, tremanti.
Stirò le labbra in un sorriso amaro, per poi scoppiare a ridere nervosamente.
Non poteva essersi ridotto così per lui. No, proprio no.

E' tutto okay. Devi solo tornare di là e fare finta di niente. Come se tu fossi invisibile, lui non ti dirà nulla.
Proprio nulla.

Aoi lo stava aspettando, seduto compostamente al loro tavolo nell'angolo del locale, le mani strette attorno alla bottiglia di birra e lo sguardo basso.
Uruha strinse i pugni, avvicinandosi al tavolo e sbattendo con le anche contro i tavoli tra i quali passava, senza curarsene troppo.
Quando ti ubriachi non pensi a dove sbatti le anche, tantomeno a dove sbatti la testa.
Uruha pensava solo a lui.
Lui lui lui.

Mi sto autodistruggendo. Guardami. Guardami, cazzo.

"Non hai ancora finito la birra? Io sono già ubriaco perso!" rise il biondo, lasciandosi cadere sulla sedia di fronte ad Aoi, ostentando un'indifferenza così falsa che si sarebbe volentieri riso in faccia da solo.
Il moro alzò le spalle, senza scollare lo sguardo dal legno scheggiato del tavolo.
Uruha strinse le dita attorno al bicchiere di vodka che aveva lasciato a metà. Non sentiva niente, solo bruciore. Rabbia, fiamme, rabbia.
"Non ho molta voglia di bere", scoccò laconico Aoi.
Uruha ghignò, portandosi il bicchiere alle labbra. Aveva bisogno di qualcosa di freddo e doloroso, qualcosa che lo facesse sentire vivo, mentre in quell'istante si sentiva solo ubriaco, perso e tanto solo.
"Io sì", sussurrò prima di bere tutto d'un fiato l'alcool restante e sbattere con violenza il bicchiere sul tavolo.
Il liquido bruciava scivolando giù per la sua gola arida, infiammava lo stomaco, ma non scaldava il cuore. 

Quello no. Quello mai. Ti faccio così schifo?

Perchè era così distante? Perchè?
Si sentiva patetico, sempre a cercare una scusa per attirare la sua attenzione, sempre a ridicolizzarsi in quella maniera.
Si sentiva patetico, ma non poteva farne a meno.
Non erano mai stati molto legati, mai mai mai.
Si erano sempre frequentati solo in ambito lavorativo, avevano passato ore a creare canzoni assieme, mischiando melodie graffianti come una pietra ruvida sul cuore o dolci come il miele, senza scambiarsi una parola di troppo, senza osare e guardarsi negli occhi per un arco di tempo troppo ampio. Quello che sul palco era fanservice, era un teatro perfettamente allestito per fare urlare le fans, era mettersi schiena contro schiena e fare un assolo, era sfiorarsi le labbra fugacemente e poi riderci sopra nel backstage, era fingere.
Fingere fingere fingere.
Dietro al palco era tutta un'altra storia, una fiaba dove al posto delle principesse trovavi solo tanta merda. Era la vita reale.
Eppure non gli bastava. Non gli sarebbe mai bastato.

Alza quel cazzo di sguardo. Hai paura di me? Io non ho paura di te. Ho solo paura di tutto quello che sento.

"Non sei nemmeno in vena di parlare, eh?" mormorò Uruha, picchiettando con le unghie sul legno grezzo, lo sguardo puntato su quelle palpebre perennemente abbassate.
Aoi non era timido. Aoi non aveva paura. Il suo carattere era forte e deciso, ben delineato, ma non lo dava a vedere. Era discreto, silenzioso, ma bastava un solo suo sguardo a pungerti nel profondo e avvelenarti, nemmeno fosse stato il più pericoloso tra i serpenti. Aoi era semplicemente uno stronzo.
Il moro alzò le spalle, portandosi la bottiglia alle labbra e bevendo un sorso di birra con eleganza.
Eleganza.

Mi fai quasi schifo. Te lo direi, se non fosse che mi faccio ancora più schifo io.

"Aoi, mi vuoi guardare, cazzo?" ringhiò il biondo, cercando di affondare le unghie nel legno. Voleva graffiare, voleva prendere a calci quel cazzo di tavolo rovinato.
In fondo non gliene sarebbe fregato niente a nessuno. Era solo un tavolo, vecchio e rovinato per giunta.
Faceva schifo, andava distrutto.
Avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo, strapparsi i capelli uno ad uno, solo per sgombrare la mente da quei pensieri fastidiosi e scomodi, solo per smettere di pensare a lui, solo lui sempre lui.
O forse sarebbe stato meglio prendere direttamente a schiaffi Aoi e liberarsi da quel fastidioso prudito alle mani.
"Sei nervoso?" chiese tranquillamente il moro, alzando lo sguardo per qualche istante.
Ironico.
Si permetteva anche di essere ironico.
Uruha si morse il labbro inferiore con così tanta violenza che non si sarebbe stupito nel sentire il sapore del suo stesso sangue.
"Vaffanculo", sussurrò amaramente, prima di alzarsi dal tavolo e dirigersi con passo malfermo verso l'uscita di quel sudicio pub.

Che cazzo mi è saltato in mente? Perchè siamo usciti assieme? Perchè sto impazzendo? No, non va bene. No no no.

Appoggiò la fronte contro il muro ghiacciato fuori dal locale.
Vaffanculo, faceva anche freddo.
Strizzò le palpebre con violenza, appoggiando le mani tremanti al muro, cercando di calmarsi.
"Uruha, sei ubriaco, forza, andiamo a casa".
Era un tormento, amaro e doloroso, l'ombra che lo seguiva perennemente, un pensiero troppo ingombrante ma troppo pesante per spingerlo via.
Il biondo ringhiò, voltandosi di scatto e afferrando Aoi per le spalle, avvicinando il proprio volto al suo.
"Sei proprio cieco, eh? E' la prima volta che mi vedi ubriaco, forse? No, cazzo! Sei proprio un coglione!" tuonò, artigliandogli le spalle e scuotendolo.
Aoi aggrottò le sopracciglia, osservando confuso quel teatro di emozioni di fronte a lui.
"Che cazzo hai da guardare?" sibilò Uruha.
Voleva prenderlo a schiaffi. Vedere quelle guance lattee arrossarsi, quel viso così inespressivo rabbuiarsi, ma almeno innescare una qualche sorta di reazione dietro quelle pupille scure. 
"Mi hai chiesto tu di guardarti", constatò il moro, incurvando gli angoli delle labbra carnose verso l'alto.
"Vaffanculo, vaffanculo!" urlò Uruha, spintonandolo con ferocia.
Aoi fece un paio di passi instabili all'indietro, cercando di riprendere equilibrio, senza staccare gli occhi di dosso all'altro.
Quegli occhi bruciavano più di tutto l'alcool che aveva in corpo, più della sua stessa rabbia.
"E' già la terza volta che mi mandi 'affanculo stanotte", mormorò piano il moro.
"Ne ho tutte le ragioni, stronzo", sibilò Uruha, rompendo la distanza tra di loro e posando le mani sul petto di Aoi.

Se fosse una carezza forse potrei sorriderti. Ma no, cazzo. Tu non capisci. Vaffanculo.

Aoi scansò una ciocca di capelli dal volto di Uruha, guardandolo dritto negli occhi.
Il mondo sembrò fermarsi per un solo istante, nemmeno un alito di vento, nemmeno un cozzare di vetro sulla strada adiacente pullulante di sudici ubriachi, nemmeno una stella scivolare rapida tra i miliardi restanti.
Il biondo sentì un brivido percorrergli la schiena, i fiato mozzarglisi in gola. Voleva baciarlo, divorarlo, prenderlo a calci, piangere e strepitare, ma non fece nulla di tutto ciò. Si limitò a stringere i pugni contro al petto dell'altro, una nuova ondata di rabbia a farlo tremare dalla testa ai piedi.
"Che hai da guardarmi così ora, eh? Chi cazzo ti credi di essere? Tu non sei proprio nessuno, Aoi, nessuno!" ringhiò, spintonando nuovamente il moro con quanta più forza avesse in corpo.
Aoi barcollò, quasi cadendo a terra, i capelli scuri a celargli il volto.
Uruha rimase fermo, immobile, i pugni stretti e il cuore a mille.
Batteva ancora.
Fino a un momento prima non gli pareva nemmeno più di averlo, un cuore. Forse era stato inghiottito dalla quantità d'alcool che aveva in corpo, forse era caduto ed era finito spiaccicato sotto ai suoi piedi, forse nemmeno c'era mai stato in realtà.
Osservò la figura sfocata di Aoi avvicinarsi lentamente a lui, fino a trovarsi il suo viso a pochi centimetri di distanza dal proprio.
E fu come morire.
Gli occhi di Aoi erano neri.
Neri più che mai, come una tempesta distruttiva, il fuoco che brucia un'intera foresta, l'incognita che cerchi sempre di trovare nel compito in classe di algebra che sai andrà male, l'acqua ghiacciata sulla pelle rovente, mille aghi a trapassarti pelle ossa nervi cuore.
Erano neri di rabbia, neri di passione, quegli occhi.
Uruha abbassò le palpebre per un istante, tremando lievemente.
Aoi lo avrebbe ammazzato di botte.
Lo avrebbe preso a schiaffi fino a non farne rimanere più nulla, del suo viso.
Lo odiava. Lo odiava e basta.

E' così che va? Non mi guardi perchè mi odi? Ti faccio davvero così schifo? Anche io. Davvero, Aoi. Mi faccio schifo. Ma non posso comandarla, questa cosa.

Sentiva il suo fiato caldo sul collo, il suo sguardo trapassargli la pelle e fissarsi scomodamente sotto di essa.
"Riapri gli occhi."
La sua voce era calda, nonostante tutta la freddezza che aveva colto nei suoi occhi un istante prima.
"No."
Sentì le mani di Aoi afferrargli le spalle e scuoterlo, facendolo cozzare lievemente contro al muro.
"Uruha. Guardami."
Il biondo scosse il capo, strizzando ulteriormente le palpebre.
Non l'avrebbe guardato. Aveva paura. Se avesse aperto gli occhi, si sarebbe trovato davanti un intero universo.
Dentro gli occhi di Aoi poteva leggere davvero tutto il suo mondo, i suoi sentimenti, le sue aspettative, la sua decisione, e in quel momento aveva una paura fottuta di farlo.
Sentiva il cuore battere persino all'altezza delle tempie, gli stava scoppiando la testa e se le mani di Aoi non lo avessero tenuto così saldamente per le spalle sarebbe caduto a terra a causa dell'improvviso tremore alle ginocchia.
"Guardami, cazzo!" sibilò Aoi, stringendogli con forza le spalle.

Guardalo. Apri gli occhi e guardalo. Muori, poi rinascerai in qualche modo. Muori e poi vattene a casa, collassa da qualche parte, muori di nuovo, ancora e ancora. Dimentica tutto. Fallo, forza, vigliacco.

Uruha aprì lentamente gli occhi, tenendo però lo sguardo basso, puntato sul collo di Aoi.
Mossa sbagliata.
Lo voleva. Disperatamente.
Sentiva il profumo dolce e pungente della pelle dell'altro bucargli le narici, avvolgerlo stringerlo percuoterlo confonderlo.
Richiuse gli occhi, sentendo il respiro mancare.
"Uruha, apri quei cazzo di occhi!" ringhiò Aoi.
Il biondo scosse freneticamente il capo, cercando di divincolarsi.
Voleva scappare, voleva che quelle farfalle impazzite nel suo stomaco la smettessero di tormentarlo, voleva che lo stomaco la smettesse di contorcersi e che il suo cervello riprendesse il controllo sul suo corpo, voleva che i suoi sentimenti la smettessero di pulsare così insistentemente dentro le sue vene.
"Lasciami andare!"
Cercò di divincolarsi, afferrando le braccia di Aoi e tentando di graffiargli la pelle con le unghie.
E poi lo sentì, un dolore lancinante al collo, e i denti di Aoi conficcati nella carne.
Si lasciò sfuggire un gemito di dolore, ma non si mosse, bloccato forse dall'alcool che gli appesantiva le membra e faceva pulsare l'emicrania, forse dal battito frenetico del proprio cuore nel silenzio della notte.
Sentì le labbra umide del moro tracciare un percorso immaginario lungo il suo collo, addolcendosi, soffermandosi sulla mandibola, sentì la sua lingua sfiorargli la pelle e una scarica elettrica percorrergli la schiena.
Esalò un sospiro tremulo, socchiudendo gli occhi.
Era come essere sospeso tra il paradiso e l'inferno, tra l'odio e qualcosa di troppo grande per lui.
Non era amore.
Non era niente.

Non è niente. Sono solo impazzito per te, stronzo.

"E' questo quello che vuoi?" rise sommessamente Uruha, gemendo piano nel sentire la lingua dell'altro viaggiare lungo il suo collo e soffermarsi poi sul suo mento, per morderlo lievemente.
"Sei uno stronzo, cosa pensi di fare ora, eh?" sussurrò ancora il biondo, aprendo gli occhi.
"Vuoi chiudere quella cazzo di bocca?" ringhiò Aoi, attaccando famelico le sue labbra.
Uruha fremette, serrando nuovamente le palpebre e cercando di contare tutte le stelline argentate che apparivano in mezzo a tutto quel buio. Sentiva le labbra di Aoi divorare le proprie, quell'anellino metallico graffiargli la pelle, la lingua insinuarsi prepotente tra le labbra ma non credeva davvero fosse la realtà. Tutto girava, le stelle erano luci accecanti e sotto di sè c'era acqua, niente di solido, solo troppo dolore.
Era sempre stato bravo a sognare. Bastava chiudere gli occhi e lasciarsi andare in un mondo diverso, forse un po' distorto ma che non aveva nulla da invidiare al mondo delle favole. L'unica differenza era che quel mondo esisteva solo nella sua testa, e soffocava la mente in tutte quelle stronzate fatte di dolore di zucchero.
Sentiva le carezze roventi di Aoi bruciargli la pelle, incenerirgli il cuore.
Socchiuse le labbra, permettendo alla lingua del moro di invadergli la bocca, e si abbandonò con il capo contro al muro dietro di sè. Si abbandonò semplicemente a delle braccia estranee, ad un cuore freddo e distaccato, facendo la mossa sbagliata ma non avendo la forza di tirarsi indietro perchè in fondo non era questo quello che voleva?
Gemette piano, cercando disperatamente un appiglio, mentre i denti di Aoi affondavano voraci nella carne del suo labbro inferiore, mentre le sue mani gli stritolavano il cuore, spolpandolo.
"Ti odio."
Uruha sbattè le palpebre velocemente, cercando di far sparire quei mille spilli che sembravano affondare dentro i suoi occhi, oltre la sua pelle dritti nell'unico ed ultimo punto vivo del suo cuore.
"Cosa?" sussurrò Aoi, le labbra a sfiorare quelle dell'altro.

Non sei dolce, sei solo fiele, sei amaro sei crudele mi stai uccidendo, cazzo.

"Ti odio", sussurrò ancora, deglutendo dolorosamente e allontanando Aoi dal suo corpo freddo e tremante.
Il moro espirò, una nuvoletta di vapore a condensarsi di fronte a quelle labbra ancora rosse e turgide. Uruha sentì la propria mascella irrigidirsi mentre il cuore cessava di battere per un istante e tutto quello che sentiva dentro andava in frantumi - lo sentiva.
Lo schiaffo arrivò dal nulla, inaspettato e violento come il dolore pungente che Uruha sentiva dentro.
Aoi tenne il capo alto, mentre si portava una mano sulla gota già arrossata. Tenne gli occhi neri puntati in quelli mielati di Uruha, e poi gli si gettò addosso, facendolo cozzare contro al muro, navigando ovunque con le mani su quella pelle da scaldare, da mordere da bruciare da graffiare.
"Ti odio ti odio ti odio", gemette Uruha, ansimando pesantemente mentre le labbra di Aoi torturavano il suo collo, lasciando segni rossastri ovunque si fermassero, mentre le sue mani calde si insinuavano sotto la sua camicia, graffiandogli i fianchi snelli.
"Taci Uruha", mormorò il moro, le vibrazioni della sua voce contro la pelle dell'altro.

Vorrei sentirti, vorrei piangere e ridere e amarti. Invece ti odio. Ti odio da impazzire.

"No."
Aoi espirò lentamente sulla sua pelle, affondando le dita nei suoi fianchi, stringendolo possessivamente.
"No", mormorò ancora il biondo, scuotendo il capo con frenesia e artigliando la camicia scura dell'altro, cercando di ignorare le sue labbra che salivano lungo la sua guancia, fino a raggiungere il lobo dell'orecchio.
"Perchè no? Non è questo che volevi, Uruha?"
Il biondo strinse il tessuto sotto le sue dita con così tanta forza che le sue nocche divennero bianche.
Non era così che doveva andare.
Sscosse il capo lentamente, tremando di rabbia sotto quelle dita che non volevano smetterla di lasciare solchi sulla sua pelle.
Fissò con sguardo vacuo la luce fredda a intermittenza del lampione di fianco a loro - non l'aveva nemmeno notato. 
"Non sono tuo, non sono di nessuno, Aoi. Lasciami andare, lasciami."

Non ti ha mai trattenuto a sè, dove vuoi che ti lasci andare?

Aoi rimase in silenzio, le dita ancora ancorate alla pelle dell'altro.
"Sei così cieco, cazzo! Togliti quella maschera dalla faccia, togli le catene a quel cazzo di cuore, se ce l'hai, perchè sono mesi che soffro, mesi, Aoi, mesi! Io non reggo più, io non sono di nessuno, io voglio solo andarmene, io ti odio così tanto che fa male e se non è odio io non lo voglio sapere cos'è."
Aoi fece scivolare le dita lungo i fianchi di Uruha, fino a lasciarlo andare e far ricadere le braccia lungo i propri fianchi, inermi.
"Sei ubriaco, Uruha."

Di te. Del male che mi fai, della mia immagine riflessa nei tuoi occhi quando mi guardi, perchè è solo così che riesco a trovare me stesso. Non è triste?

Sostanzialmente Uruha non era una persona triste. Era pieno di vita, sereno e socievole, un po' superificiale ed egoista all'apparenza ma dentro c'era tutto un altro mondo, dentro c'erano così tanti pensieri elaborati che sarebbe stata un'ottima macchina da guerra, quel ragazzo dai lineamenti nemmeno poi così efebici. Era tutta questione di pelle scoperta e trucco sugli occhi, e ingannavi tutti.
E poi te la giocavi, la tua partita.
Ma se arrivi alla fine del gioco con solo una carta in mano, cosa decidi di fare? Guardi in faccia la realtà e getti la carta, o la tieni e scappi via?
Uruha sorrise amaramente, facendo pressione con le mani sul petto di Aoi, spingendolo indietro.
"Lasciami stare allora."

Lascia che alle farfalle nel mio stomaco cadano tutte le ali e che gli spilli che pungono spariscano dentro la carne, tanto tu rimani dentro di me. Sempre.

Con le gambe ed il cuore pesanti si staccò dal muro ghiacciato, abbassando lo sguardo e sorpassando Aoi, svoltando l'angolo e andandosene da lì di corsa.
Scappando dai propri sogni, con l'ultima carta ben stretta tra le mani e la consapevolezza che la partita era già persa fin dall'inizio.
Corse così tanto che sentì la propria milza aprirsi in due, la gola tagliata e gli occhi bruciare ancora di più, ma non si fermò finchè non arrivò sotto casa sua.
Con le mani tremanti e arrossate dal freddo infilò le chiavi nella toppa e aprì la serratura, accasciandosi sul parquet dell'ingresso.
Solo il tonfo della porta che si era richiusa alle sue spalle lo fece sussultare, rendendosi conto che di lui non poteva che essere rimasto che un fiore avvizzito, ma faceva ancora male.
Si portò le mani tra i capelli arruffati, chiudendo gli occhi ed ascoltando il suo respiro irregolare spezzare il silenzio del suo appartamento.
Il tempo era ancora sospeso nel nulla, le lancette degli orologi ferme immobili, nessuna stella cadente in cielo, solo tanto buio e nella realtà sfocata nemmeno l'ombra di un sogno, solo la forma fredda della realtà.

Non piangerò nemmeno una lacrima per te, Aoi. Nemmeno una. Aspetterò, finchè tutto diverrà finalmente un niente.

Ma tu sei sempre qui, sotto la mia pelle.


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Note finali di un'autrice impazzita:

Son dietro a questa oneshot da qualcosa come un mese, assurdo, di solito le scrivo in un'ora. Ma Aoi e Uruha sono due personaggi complicati e difficili da 'maneggiare', quindi mi son presa il mio tempo.
Ho preso ispirazione dall'intervista di Neo Genesis Vol. 21 dove Uruha dice che quando è depresso beve fino a diventare violento... E poi bhè, sullo strano rapporto che hanno i due dalla famosa intervista ad Aoi che ormai conoscono tutti ^w^
E' anche la prima fanfiction che scrivo sui GazettE, spero non faccia troppo schifo, io mi ci sono impegnata tanto ç_ç
Ringrazio la mia Tora-san, che mi ha aiutata a casa mia con la prima metà della storia, e poi l'adorata CrystalEmi che mi ha aiutata a superare il blocco creativo che ho avuto dalla metà in giù.
Grazie anche a chi arriva a leggere fin qua, magari lasciate un commentino, fa sempre piacere, positivo o negativo che sia.
Chissà che non torni presto con una ReitaxRuki, ultimamente ne leggo così tante...

Martina




  
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