Molly Hooper ha un sorriso cordiale,
modi di fare alla mano, occhi di una profondità inusitata in cui la gentilezza
è vitale al suo essere.
Indossa pantaloni comodi e un cardigan turchese, i capelli castani sono legati
in una pratica coda di cavallo.
La sua risata è acuta, non trillante. Definitivamente allegra, trasmette una
nota tranquilla.
Se avessi dovuto tirare a indovinare il lavoro della donna che mi ha aperto la
porta e che nervosamente mi ha fatto strada su per un’angusta scaletta fino ad
un salotto ingombro, non avrei cavato un ragno dal buco.
Perché questa donna dal viso grazioso e dal fisico minuto, da folletto, questa
donna intelligente e paziente e garbata, del tutto a proprio agio su una
poltrona Le Corbusier, che versa il tè e me lo porge senza alcun artificio o
cerimonia, questa donna è un medico e la sua branca di specializzazione è
l’anatomia patologica.
Quando posa la teiera di porcellana sul vassoio – un set di Ali Miller -, ruota
il manico a ponente. Per alcuni sarebbe un’avvisaglia di nevrosi, per me è il
vezzo indulgente di una persona abituata alla precisione e alla cura dei
dettagli, che ne ha fatto, forse costretta o forse no, una regola di vita.
Se già non l’avevo intuito prima, ora ne sono sicura. Si tratta di una di
quelle rare persone che non lasciano nulla al caso, nulla di intentato.
Ad una donna così potrei affidare la mia vita, in una donna così riporrei la
più completa fiducia.
Bevo il mio tè e non posso farne a meno. Deformazione professionale o semplice,
giustificabile curiosità, il mio sguardo gira in tondo per la stanza, si fissa
sul camino – cornice bombata in legno teak scurito a olio, mensola aggettante,
con accostata alla muratura rossa una griglia in ghisa nera -, sulla carta da
parati - tessuto a rilievo, stilizzata e a tema floreale.
Un bell’appartamento, dico. Lo è davvero. Appena entrati si notano subito il
teschio del bisonte con le cuffie, quello umano dipinto su sfondo verde, la
mensola con il pipistrello imbalsamato e altre creature stecchite, particolari
di accessori e mobilio che lasciano intuire una personalità dal multiforme
ingegno.
Lei annuisce. “Non mio. È di un… amico.” Esita sull’ultima parola, come se la
definizione non fosse di suo gusto, non contenesse nemmeno la metà dei
significati che il qualcuno in questione – il proprietario di questo
appartamento vittoriano, esotico e di un’eleganza trasandata, opulenta – deve
evidentemente avere per lei.
Si stringe nelle spalle. “Mi ospita, nel frattempo che il mio appartamento
torni ad essere abitabile. Lavori di strutturazione”, spiega con semplicità.
Se non avessi letto i giornali o i blog, se fossi semplicemente meno
ragguagliata sugli eventi che hanno sconvolto Londra negli ultimi mesi, le
crederei.
Nel mentire la sua voce non trema, segno che le circostanze devono averla
abituata a farlo. (Per chi fosse curioso, il suo appartamento è stato la scena
di un crimine. Il nome Moriarty vi dice niente? Esatto. Il Ladro della Corona
frequentava sotto falsa identità la donna di fronte a me. Il Dottor Hooper nasconde
decisamente più scheletri nell’armadio di quanti pensassi.)
Il fatto che ci troviamo al 221B di Baker Street mi aveva già aperto gli occhi
sul reale valore e importanza di questa donna all’apparenza ordinaria. Mai
impressione fu più inesatta.
L’abito non fa il monaco e sebbene indossi per corazza la morbidezza
confortevole di cachemire e lana, Molly Hooper ha uno sguardo meticoloso, le
mani di un chirurgo e di un’artista. Ha dita lunghe, affusolate, le unghie sono
corte e curate. Quando ci siamo strette le mani, nel presentarci, ho notato i
calli sui palmi in punti in cui solitamente non dovrebbero essercene.
Dopo i convenevoli e dopo aver spezzato il ghiaccio con Earl Grey e scones,
è ora di cominciare.
Dottor Hooper, esordisco.
“Chiamami Molly”, mi interrompe lei, con una sorta d’imbarazzo. “Mio padre era
il Dottor Hooper. Io sono Molly, solo Molly.”
Molly, mi correggo allora.
Lei sorride, incoraggiante.
Cosa spinge chiunque a decidere di intraprendere una carriera accademica come
la tua? Insomma, la medicina legale è sempre stata la tua prima scelta?
“Oh, bella domanda.” Si picchietta le dita sulle labbra sottili. “Ma devo farti
un appunto. Io non sono un medico forense, ma un anatomopatologo, un medico
specialista di anatomia patologica.”
Le chiedo scusa per la mia ignoranza.
Lei ride, dicendo che ci sono più morti che vivi a conoscere la differenza. “Se
è stata la mia prima scelta?” domanda per tornare in tema. “Sì, direi di sì. Se
rifarei esattamente le stesse cose? Assolutamente sì, di nuovo. Sin da piccola
avevo questo – ma sì, chiamiamolo strano interesse per ciò che riguardava i
processi di morte. Macabro, vero? Non a caso ho sempre trovato in Mercoledì
(Personaggio della Famiglia Adams) una affinità elettiva. Mio padre era
un medico, mia madre un esecutore testamentario. La accompagnavo alle letture e
nelle camere mortuarie quando le disposizioni erano particolarmente
stravaganti. Altri bambini si sarebbero lamentati per l’ambiente lugubre e
troppo serio, ma per me era stimolante e inaspettatamente piacevole. Ho sempre
trovato il silenzio un compagno di ventura soddisfacente e non in difetto.”
Mi vuoi far credere che eri il tipo di bambina che tagliava la testa alle
bambole e che studiava animali morti?
“Dio, no! Amavo le mie bambole”, scherza. “Una in particolare. Jane Anatomica.
La conosci?”
Non nego di non riuscire ad associarla nella mia mente ad una immagine
specifica. Conosco Barbie, ma ammetto di non aver sentito parlare di Jane.
“Davvero?” Molly inarca le sopracciglia, poi scuote leggermente la testa.
Sembra ricordarsi che molti dei piccoli piaceri che le hanno dato gioia nel
corso della vita, per altri occupano una sfera di dimensione del tutto
differente, irrilevante o peraltro considerata priva dell’attrattiva che
lei concede loro. “Ad ogni modo”, prosegue spedita, “è quando è morta mia
madre che tutto è stato davvero stabilito. Avevo quattordici anni. È stato
allora che ho deciso cosa sarei diventata da grande, cosa avrei voluto fare
della mia vita.”
Miss Hooper fa una cosa strana. Aggrotta le sopracciglia e per un istante mi
studia. “Posso farti una domanda?” mi chiede alla fine.
Stupita, io annuisco. La curiosità sfocia nel fascino che lentamente è riuscita
ad esercitare su di me questa donna dalla volontà d’acciaio e dallo sguardo riflessivo.
“In cosa credi che consista il mio lavoro?”
Esito. Poi spiego che immagino che si tratti per lo più di analisi e autopsie e
nel suo caso specifico di collaborazioni con gli organi investigativi per
accertamenti legali sulle cause di decessi non completamente chiarite.
“Sei bene informata.”
Mi permetto di farle notare che l’informazione è il pane con cui mi guadagno da
vivere.
Molly mi spiega che le attività principali del suo lavoro sono cinque, di cui
il più conosciuto è il riscontro diagnostico – per i meno versati in materia:
autopsia – seguito da […]
Le ragioni del silenzio.
“Qui ci vuole un caffè,” decise Lara ad alta voce.
Fece leva sulle gambe per spingere all’indietro la poltrona girevole, una
Torkel dell’IKEA. Ciabattò in cucina e si versò del caffè che aveva preparato
quella mattina, a cui aggiunse latte in abbondanza e due cucchiaini di zucchero
di canna. Sorseggiandolo lentamente, tornò nel suo salotto/studio.
“Non può pubblicare l’articolo.”
Lara sobbalzò, non poté evitarlo. Così come non riuscì a spegnere l’urlo che le
scaturì dalle labbra, di protesta più che di effettiva paura.
L’uomo, in soprabito – un Belstaff, per la miseria, non un cappotto
qualsiasi - e sciarpa blu, non batté ciglio. Era apparso dal nulla e se non
fosse stato pieno giorno, lei avrebbe seriamente considerato l’ipotesi di
chiamare la polizia.
Non si presentò e Lara non finse di non averlo riconosciuto. In fondo era il
motivo per cui ancora non era corsa a prendere il cavalletto della macchina
fotografica per brandirlo come arma impropria contro l’intruso alto e
pallido.
La sua fama lo precedeva. I capelli neri e quegli occhi blu penetranti, gli
zigomi pronunciati e il profilo patrizio - perfetto per essere inciso su moneta
-, il portamento aristocratico, l’aria cupa e lo sguardo torvo: tutto serviva a
rendere Sherlock Holmes la leggenda vivente che era, eroe nazionale e una delle
menti più brillanti dell’ultimo secolo.
“Come ha fatto a entrare?” domandò in tono brusco, odiandosi per aver scelto di
rimanere in pigiama: pantaloni di lino e maglietta con i protagonisti della
sit-com Big Bang Theory in formato Minion. Decisamente non il tipo di abbigliamento
che avrebbe scelto per il primo incontro con la specie di genialoide-celebrità
che si era introdotta nel suo appartamento. Che poi, come diamine
aveva fatto a entrare? Era sicura di aver inserito l’allarme, la sera prima.
Quasi le avesse letto nel pensiero, lui aggrottò le sopracciglia. Appariva
seccato. “Ho impiegato cinque secondi a decifrare il codice del suo impianto di
sicurezza, Miss Selby.”
“Cinque secondi?” Lara incrociò le braccia sul petto, per niente intimidita.
“Sul serio?”
Sherlock Holmes fece un verso di scherno. “Dubito che la data del compleanno
del suo ragazzo possa essere considerata una chiave di accesso consistente.”
Lara si ritrovò a ridacchiare. “Ragazza,” lo corresse.
Lui imprecò, borbottando sul fatto che ci fosse sempre qualcosa che gli
sfuggiva.
“Cosa vuole, Mr Holmes? Immagino che la sua non sia una semplice visita di
cortesia. In quel caso avrebbe dovuto portare un pacco di dolci.”
Lui non abboccò al suo tentativo di fare conversazione e tirò dritto per la sua
strada, arrivando al punto. “Non può pubblicare l’intervista che ha fatto a
Molly.”
Lara aggrottò le sopracciglia. “Si spieghi.”
Con un paio di falcate, lui fu in prossimità della scrivania. Sopra c’erano
sparsi gli appunti del suo articolo in fase di stesura, le foto tra cui
scegliere quella che avrebbe dovuto accompagnarlo e il laptop, con il file
ancora aperto della prima bozza da revisionare.
Gli occhi di lui vagarono sullo schermo, divorando il lavoro di un’intera
nottata in una manciata di secondi. Curvò le labbra in una smorfia. “Voi
giornalisti siete programmati per vedere il mondo sotto forma di romanzi rosa o
d’appendice, per cercare lo scoop come iene che si accaparrano l’ultimo
brandello di carne e infieriscono sul corpo martoriato della preda dopo che i
predatori più grandi ne hanno già fatto scempio.”
Lara strinse i pugni e sollevò il mento. “E lei, Mr Holmes, vive basandosi
sull’idea assolutamente irragionevole di riuscire a farla a tutti.” Detto
questo, marciò risolutamente verso la scrivania, poggiando con tanta forza la
tazza sul piano da lavoro che gocce di caffè schizzarono sui fogli sottostanti.
“Forse è vero e forse è una versione romanzata della
verità, ma la verità rimane la verità, in qualsiasi forma la si mostri o si
decida di raccontarla. Ogni parola che ho scritto, per quanto esagerata possa
apparirle, era vera e lei lo sa.” Lo guardò in faccia. “Lo sa,” ripeté con
veemenza.
Sherlock Holmes rimase immobile, le braccia incrociate dietro la schiena,
limitandosi a rispondere alla feroce occhiata che gli riservò con una
enigmatica.
Lara cercò di scacciare in blocco la rabbia che la attraversava
come una marea, salendo e decrescendo in ondate disomogenee. Mano a mano che
tornava lucida, un’altra rivelazione sopraggiunse, come un’illuminazione. “Ecco
perché è qui.”
Sherlock Holmes inspirò pesantemente, la mandibola contratta. “Se questo
articolo venisse pubblicato…”
Lara concluse per lui: “Molly Hooper diventerebbe un bersaglio.”
Una pausa pesante, indigesta seguì le sue parole. Lara lasciò che le
possibilità scavassero nella propria fantasia strade di opzioni. In una avrebbe
ricevuto il merito del suo lavoro, perdendo la stima per se stessa ed esponendo
al rischio una delle persone migliori che avesse mai incontrato; nell’altra si
sarebbe resa degna del nome che portava. Vendere una storia. Non era questo il
suo lavoro? No, perché la notorietà di uno non valeva la perdita di anonimato
di un altro, dove per anonimato s’intendeva la sicurezza del non dovere essere
soggetto all’esame meschino di impiccioni avidi, pronti a scomporre la verità e
plasmarla sino a renderla irriconoscibile.
“Sono disposto a… pagarla.”
Lara si riebbe dalle sue riflessioni con un fremito. “Cosa?” Era sicura di aver
frainteso. Lo guardò costernata.
Di nuovo, il volto di Sherlock Holmes rimase impassibile, accuratamente privo
della benché minima espressione che potesse aiutarla a decifrarne le
intenzioni. Non che non fossero chiare. Pagare il suo silenzio. Questo voleva
fare. No, erano le sue ragioni a interessarla.
“Pagarla per il disturbo che l’intera faccenda le causerà,” espose lui nel tono
impaziente di un maestro pignolo che stia spiegando una facile lezione alla sua
allieva meno sveglia e disciplinata.
Lara scosse la testa con foga. “Non voglio i suoi soldi.”
Lui indurì la bocca, serrò le mani nei guanti di pelle.
Lara non si lasciò ingannare. Sapeva leggere tra le righe, afferrare i
comportamenti e da quelli costruire congetture che avvalorassero le motivazioni
che potevano aver spinto quella o quell’altra persona a una data azione.
Non era rabbia quella che Sherlock Holmes provava, tantomeno fastidio. No, la
sua era pura, autentica paura.
Era paura quella che gli aveva fatto contrarre i muscoli del viso, poco prima,
al vago accenno che aveva trasformato Molly Hooper in una potenziale vittima;
paura quella che gli aveva fatto socchiudere gli occhi in fessure minacciose e
inquiete, che gli tendeva ogni nervo come se a tirarlo fosse un uncino di
ferro.
Ecco un uomo pronto a distruggere il mondo intero, se necessario a salvare una
sola vita a lui cara. Ecco la risoluzione di un uomo disperatamente innamorato.
Lara gli diede le spalle, prese il mouse e mosse il cursore sul monitor per
cancellare il documento aperto. Dopodiché raccolse i documenti e ne fece carta
straccia, tutto sotto lo sguardo imperscrutabile di Sherlock Holmes, unico
Consulente Investigativo al mondo.
“Non lo pubblicherò,” dichiarò, come se non fosse già stato reso chiaro dalle
azioni che avevano preceduto la sua affermazione. Gli consegnò gli appunti
perché ne facesse quel che voleva.
Lui li prese senza una parola, annuendo brevemente e Lara capì che quella
sarebbe stata l’unica dimostrazione di gratitudine che avrebbe ricevuto in
cambio.
“Si è saputo più nulla di lui?” chiese, cambiando completamente argomento. Non
aveva dubbi che Holmes avesse capito a chi si riferisse, ma ugualmente non le
rispose.
Tanto meglio. Lara non si era davvero aspettata che lo facesse.
“So molte cose sul suo conto.” Sorrise nel modo che sapeva risultare irritante
a molti, quel tipo di sorriso che sembrava far sospettare di essere al corrente
di chissà quale segreto o notizia di natura confidenziale. Con lui non sembrò
funzionare né ottenere il benché minimo effetto. “O meglio,” si sistemò i
capelli dietro le orecchie, “so ciò che basta per trarre delle conclusioni.”
Lo vide arcuare un sopracciglio in un chiaro invito: se a proseguire o a
tacere, Lara non riuscì a comprenderlo.
“Sarebbe troppo se volessi saperne di più?” si arrischiò a domandare,
azzardando un’occhiata.
Ma lui non la stava guardando. La sua attenzione era calamitata sulla sua
destra, catturata dal margine della scrivania occupato dalle foto.
In ognuna di esse Molly Hooper sorrideva del suo sorriso migliore, genuino e
semplice, nella cornice di un appartamento degno di un racconto di
fantasmi.
Lui ne prese una, dall’inquadratura leggermente sfocata. Era venuta male
perché, mentre la scattava, un gatto – Toby, se ricordava bene – le si
era infilato tra le gambe e la sua mano aveva tremolato, danneggiando la
qualità dello scatto.
Lara non poteva dirsi sorpresa che tra tante lui avesse scelto
proprio quella. Era l’unica in cui il viso di Molly Hooper non fosse forzato in
una posa plastica e visivamente gradevole, l’unica in cui il suo sorriso non
fosse uno specchietto per le allodole. In questa lei rideva di cuore, la bocca
aperta, con rughe da sorriso attorno alle labbra e agli occhi chiusi.
L’appartamento era irriconoscibile: una macchia confusa in cui la libreria
nella nicchia assomigliava a terra bagnata. Solo Molly, i contorni del viso
ammorbiditi e imprecisi, non lo era.
Sherlock degnò di un ultimo sguardo la fotografia, prima di riposarla nel
mucchio e avviarsi all’ingresso.
Senza fermarsi a pensare a cosa stesse facendo, Lara agguantò la foto e si
affrettò a seguirlo. Gliela porse con decisione e quando lui non accennò ad
accettarla fu lei stessa a mettergliela in mano. “Lei è fortunato, Mr Holmes.
Lo tenga a mente. Anche il Dottor Hooper lo è ed è da lei che vorrebbe
scoprire fino a che punto lo sia, non da altri.”
Dopo un lungo attimo, lo vide riporla con cura nel taschino interno del
cappotto e poi rivolgerle uno sguardo indagatore. “Lei non è Kitty Riley.”
Qualcosa, nel modo in cui lo disse, suonò come un complimento.
Lara sorrise. “Decisamente no. Sono una freelance.”
N/A:
Non so cosa dire o come spiegare questa storia. Non ha molto senso. Soprattutto
perché il punto di vista è affidato una volta di più ad un personaggio
originale, tale Lara Selby, giornalista freelance.
Tutto è nato dall’articolo di cui sopra avete letto uno scorcio. Ammetto di
essermi fatta aiutare da mio padre per quanto concerne descrizioni del camino e
della carta da parati, anche se ho dovuto sfoltirle di molto. Avendo studiato
Architettura, lui pretendeva che io aggiungessi che la cornice del camino di
Sherlock ha due alzatine semicircolari. L’ho accontentato per quanto riguarda
la descrizione “in legno teak scurito a olio”, ma anche “la bocca del camino
presenta, accostata alla muratura rossa, una griglia in ghisa nera” ha subito
stessa opera di alleggerimento. Povero babbo, si diverte sempre tanto quando
gli pongo domande bislacche di questo tipo. (Papà, mi aiuteresti a descrivere
un camino se te lo mostro? Che tipo di carta da parati è questa? Di che epoca?)
Non a caso è sempre stato lui l’eroe che ha trasformato in parole a me
comprensibili la struttura architettonica della Banca d’Inghilterra xD.
Detto questo, spero che la lettura si sia rivelata un passatempo gradevole.
Di corsa, mando un bacio a tutti!