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Autore: Kara Clary    03/06/2014    4 recensioni
Ambientata durante Città delle Anime Perdute.
«Levati di dosso,» si lamenta Jace, schiacciato tra il mobile duro e il corpo del ragazzo. «O devo ripeterti che -» «Che non sono il tuo tipo?» Lo interrompe Jonathan. «Questo lo vedremo.» Jonathan lo bacia. Non sa perché l'ha fatto, davvero. Forse perché vuole concludere quello che ha iniziato con la vampira. Forse perché Jace è l'unico essere umano con cui ha un contatto. Forse per puro egoismo. O forse ancora, perché dentro di sé sente un sentimento che non riesce a decifrare e che lo confonde.
Jace/Jonathan.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Jace Lightwood, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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THE MORTAL SECRET


Jace era disteso supino sopra uno dei tanti lettini dell'infermeria dell'Istituto. Da quando si era risvegliato si sentiva per la prima volta sé stesso, dopo tante settimane. Era orgoglioso di Clary e del suo enorme atto di coraggio, quando lo aveva quasi ucciso, trafiggendogli il petto con la Gloriosa, la spada angelica che aveva rotto il suo legame demoniaco con Jonathan. Non era altrettanto orgoglioso di sé stesso, però. Non dopo quello che aveva fatto. Non dopo tutto quello che aveva fatto. Non si era limitato solamente ad agire contro il bene, aiutando Jonathan nel suo piano per creare i Nephilim Oscuri; non si era limitato a trascinare con sé Clary; non si era limitato ad uccidere una persona innocente. Lui aveva fatto di peggio. Aveva fatto … Non riusciva neanche a pensarci. Non voleva, né poteva pensarci. Non era in lui quando era successo. Non aveva volontà, né libero arbitrio. Ma nonostante quelle attenuanti il senso di colpa lo soffocava, così come il disgusto per sé stesso. Non era in lui. Non ero in me. Non ero io.
Afferrò le sponde metalliche del lettino, stringendolo con forza tanto da farsi sbiancare le nocche. Sentiva il fuoco angelico scorrere nelle sue vene e accendersi come una lampadina. Ben presto le sponde metalliche divennero roventi e Jace staccò le mani, cercando di riprendere il controllo su sé stesso.
«Non devi provare emozioni forti.» Gli aveva detto Fratello Zaccaria, quella mattina stessa.
Ma come poteva? Come poteva non provare emozioni forti?
Rabbia. Disgusto. Odio. Vergogna.
Come avrebbe fatto a toccare di nuovo Clary con quelle stesse mani? Non avrebbe mai confessato a nessuno il suo segreto, di questo era certo.
 
*
 
Sono passate alcune settimane da quando Jonathan lo ha rapito dal giardino pensile sul tetto. Sono legati, lui lo sente. Ogni gesto, parola o intenzione è perfettamente accordata con le sue. È lo stesso legame che Jace avvertiva con il suo parabatai, ma ancora più forte.
Jace rientra nella tasca dimensionale che ormai chiama casa, anche se deve ancora abituarsi alla strana sensazione di svegliarsi ogni mattina con un paesaggio differente alla finestra. Vienna, Amsterdam, Los Angeles. Ogni giorno c'è una città nuova, al di là del vetro.
La casacca da Cacciatore è macchiata di icore nera, ma non sembra preoccuparsene. È riuscito a portare a termine il compito affidatogli da Jonathan e tutto quello che vuole in quel momento, è trovare il ragazzo per riferirgli i progressi.
«Jonathan!» Grida, attraversando il salone e lasciando impronte fangose sulla superficie bianca del pavimento immacolato. Nessuna risposta.
Jace rotea gli occhi e sale le scale a chiocciola che portano alle camere da letto. Fa per raggiungere la sua stanza, ma la sua attenzione viene attratta da un gemito sommesso, proveniente dalla camera di Jonathan. La porta è socchiusa e Jace la spinge con una spalla, aprendosi una visuale completa dell'interno.
Jonathan è steso sul letto sfatto. Le lenzuola nere sono avvolte attorno alle sue gambe nude e a cavalcioni sopra di lui c'è una ragazza con lunghi capelli castani. Indossa solo biancheria intima nera che spicca ancora di più sulla sua pelle pallida e priva di pori.
«Tipico.» Dice alzando un sopracciglio biondo. «Io faccio il lavoro sporco e lui pensa a divertirsi.»
Jonathan volta la testa nella sua direzione, un ghigno gli si forma sulle labbra sottili, diretto a Jace, come se aspettasse il suo arrivo da un momento all'altro. Anche la ragazza alza il viso pallido dal collo di Jonathan, mostrando i canini affilati e sporchi del sangue del ragazzo. Jace non aspetta un attimo di più, estrae la spada angelica dalla cintura, pronto a colpire la vampira, ma Jonathan lo blocca, alzando una mano e scoppiando a ridere.
«Non vorrai uccidere la mia dolce compagnia.» Dice con voce strascicata.
Jace si ferma a metà strada tra il letto e la porta, lo sguardo confuso e la spada ciondolante tra le sue mani.
«Ma … ti sta mordendo
«Farsi mordere può essere molto piacevole.» Ribatte Jonathan, dal cui collo scivolano rivoli di sangue rosso.
Jace scuote la testa, esasperato. «Credevo avessi gusti più raffinati.»
Il ragazzo si alza dal letto, cercando i suoi vestiti e indossandoli. I pantaloni gli scivolano sui fianchi e la camicia è aperta sul torace pallido e sfregiato dal Marchio di Lilith.
«Puoi andare.» Dice bruscamente alla vampira, il cui sorriso sporco di sangue svanisce in un istante. «Ho detto vattene.» Ripete Jonathan, raccogliendo i suoi vestiti da terra e lanciandoglieli addosso.
«Sparisci.»
La vampira obbedisce, dopo un attimo di riluttante esitazione. Una volta uscita dalla stanza, Jonathan si avvicina a Jace. Gli occhi neri fissi su di lui e sul suo viso d'angelo.
«Gusti più raffinati tipo … Clarissa?»
Jace lo guarda a disagio. Si fida di Jonathan, ma ogni volta che nomina Clary qualcosa nella sua mente si agita come un mostro in gabbia. «Sì.» Dice distogliendo lo sguardo dal torace di lui. «A proposito, mi avevi promesso che saremmo andati a prenderla presto.»
«E presto lo faremo.»
Jonathan si lascia cadere mollemente di traverso sul letto, con addosso solo i pantaloni neri e la camicia aperta. Appoggia entrambe le braccia dietro la nuca, lasciando scie di sangue sul tessuto del lenzuolo. Reclina la testa all'indietro, incontrando gli occhi di Jace che sosta in piedi proprio dietro di lui.
«Puoi mettere in ordine la tua roba?» Dice Jace, seccato. «Praticamente hai ridotto la casa uno schifo. Sangue di qua, sangue di là … vestiti sporchi dappertutto.»
In effetti nella stanza di Jonathan sembra scoppiata una bomba. Libri, armi, vestiti sono un'accozzaglia indistinta.
«Odio i maniaci dell'ordine.» Dice il ragazzo, stirando le labbra in un sorriso ironico.
Jace rotea gli occhi e fa una smorfia.
«Allora, sei venuto qui per dirmi qualcosa o solo per rimirare la mia performance con la Nascosta?» Continua Jonathan.
«Performance piuttosto scadente, a proposito.» Dice Jace, con gli angoli della bocca sollevati in un sorriso che non prova a nascondere. «Volevo dirti che ho portato a termine il compito. Quei demoni erano davvero degli idioti, non mi ci è voluto molto per farli parlare. Mi hanno detto che possiamo trovare l'adamas a Praga, da un certo Mirek, pare che abbia un negozio di antiquariato demoniaco.»
«Ben fatto.»
Sorride. Non sa perché, ma l'aver soddisfatto Jonathan rende soddisfatto anche lui stesso.
«Credi che Sorella Magdalena riuscirà a creare la Coppa?» Chiede Jace, fissando il muro davanti a sé.
«Dio, come sei petulante. Ogni giorno le stesse domande.» Sospira Jonathan, cambiando posizione sul letto morbido.
Jace alza un sopracciglio biondo. «E tu sei criptico. Che coppia adorabile!» Esclama con fare sarcastico. «Vado a farmi una doccia.» Aggiunge stirandosi le braccia, mentre una smorfia di dolore gli attraversa il viso.
«Sei ferito.» La frase di Jonathan non è una domanda. Lungo il fianco di Jace si intravede una macchia umida e scura che altro non è che sangue fresco che inzuppa la sua divisa.
«Sì, uno di quei demoni Vetis … niente di che.»
«Togliti la giacca e la maglietta.»
Jace lo guarda con un sorriso. «Sono lusingato, Jonathan, ma non sei il mio tipo.»
«Non tentare di essere divertente,» risponde l'altro.
Jace si libera della casacca sporca di sangue, i pantaloni gli cadono leggermente sui fianchi, rivelando le due linee oblique dell'inguine. Le rune nere si attorcigliano come intricati disegni sopra il suo dorso e il suo torace nudo, confondendosi con le cicatrici bianche e lucide di vecchi marchi, vecchie ferite o vecchie storie, come nel caso di quella a forma di stella, proprio sopra il muscolo della spalla.
«Io sono divertente.» Dice Jace, voltandosi in modo che lui possa incidere l'iratze poco sopra l'avambraccio.
«Sai, non ho mai pensato che tu fossi molto divertente,» aggiunge Jonathan, distrattamente. «Di solito non lo sei affatto.»
«Ti ringrazio,» risponde Jace, beffardo, mentre Jonathan disegna l'ultima riga del Marchio sulla sua pelle.
Un brivido leggero attraversa la spina dorsale di Jace. «Hai fatto?» Chiede impaziente, improvvisamente a disagio senza saperne il motivo.
«Fatto.»
Jonathan si alza dal letto e va verso una grande cassettiera di legno, sopra cui ci sono alcune bottiglie di vetro e bicchieri coordinati. Il ragazzo versa del liquido ambrato in due bicchieri, porgendone uno a Jace.
Lui annusa il liquido, storcendo le labbra in una smorfia. «Whisky. E questo per che cos'è?»
«Per festeggiare la tua riuscita nel piano.» Risponde Jonathan, prima di bere in un sorso il contenuto del suo bicchiere. Jace fa lo stesso.
Dopo sei bicchieri a testa e una bottiglia vuota, i due giacciono sul pavimento accanto al letto, decisamente ubriachi.
«Speravo davvero che io, te e Clary potessimo essere una famiglia.» Si ritrova a dire Jonathan, senza neanche saperne il perché.
«E lo saremo, sono sicuro che quando andremo a prenderla sarà felice di vederci, o almeno, di vedere me.»
Jonathan gli lancia un'occhiata gelida.
«Oh, andiamo, sto scherzando. E poi perché parli al passato? Sono davvero sicuro che quando le avremo spiegato il nostro piano, deciderà di rimanere con noi.»
Jace è a gambe incrociate e Jonathan è appoggiato con la schiena al letto, la testa reclinata e alcuni ciuffi biondo argentei gli ricadono sulla fronte. Giocherella distrattamente con la bottiglia vuota, sembra perso e distante in pensieri che Jace non può nemmeno immaginare.
«Se è un modo sottile per dirmi che vuoi giocare al gioco della bottiglia con me sprechi il tuo tempo.» Dice Jace, con gli angoli della bocca sollevati in un ghigno.
«Sarebbe una partita molto noiosa, no?» Risponde Jonathan, sollevando la testa e incrociando il suo sguardo. «Se ci fosse Clary sarebbe molto più divertente.»
Qualcosa dentro lo stomaco di Jace si agita. È una sensazione sgradevole, che non sa come definire, ma dopo pochi attimi è già svanita.
«Decisamente. E poi, non so se te l'ho già detto, ma non sei proprio il mio tipo.» Scoppia a ridere, passandosi una mano fra i capelli dorati. È decisamente ubriaco. La testa gira come una giostra in piena corsa e i pensieri sfuggono dalla sua mente, inesorabili.
«Sei un idiota.» Jonathan lo osserva ridere. «Credi di essere il più attraente, con quella faccia da angioletto.» Calca sull'ultima parola con sommo disprezzo, ma il suo viso è attraversato da un sorriso fugace. Forse a causa del troppo whisky o della risata contagiosa di Jace.
«Sono sicuramente più bello di te.» Asserisce Jace, con fare superbo, tra uno sghignazzo e l'altro. Le ginocchia dei due si scontrano, per un attimo entrambi si guardano negli occhi, a disagio. Poi Jonathan riassume il controllo, dietro la sua maschera di indifferenza.
«E non reggi l'alcool.» Aggiunge, divertito. «Ti riporto a letto. Non ho intenzione di dormire con te che sghignazzi sul tappeto.»
Si alza, barcollando per un attimo ma non lo da a vedere e afferra Jace per il colletto della camicia che indossa. È una delle sue camice, una di quelle particolarmente costose che gli ha prestato poco prima al posto della sua casacca insanguinata, e non vuole rovinarla, no davvero. Ma Jace sembra un peso morto e Jonathan alza gli occhi al cielo mentre lo solleva da terra senza troppe gentilezze.
«Mi stai cacciando dalla tua stanza?» Chiede il ragazzo dagli occhi ambrati, reggendosi alle spalle di Jonathan per non cadere per terra.
«Esattamente.»
«Ma è ingiusto.» Mugola, cercando di trattenere un'altra risata.
«Nessuno ti ha mai detto che sei estremamente irritante?» Chiede Jonathan, roteando gli occhi al cielo e cercando di spostarlo in direzione della porta.
«Me lo dicono in tanti …» dice l'altro, con noncuranza.
Lo spostamento non ha successo, visto che il peso morto di Jace lo fa rotolare fino al cassettone di legno, sbattendoci contro.
Jace fa un verso di protesta, portandosi una mano alla schiena, dove ha sbattuto sullo spigolo del mobile, mentre con l'altra continua a rimanere aggrappato al braccio di Jonathan.
«Levati di dosso,» si lamenta Jace, schiacciato tra il mobile duro e il corpo del ragazzo. «O devo ripeterti che -»
«Che non sono il tuo tipo?» Lo interrompe Jonathan. «Questo lo vedremo.»
Jonathan lo bacia.
Non sa perché l'ha fatto, davvero.
Forse perché vuole concludere quello che ha iniziato con la vampira.
Forse perché Jace è l'unico essere umano con cui ha un contatto.
Forse per puro egoismo.
O forse ancora, perché dentro di sé sente un sentimento che non riesce a decifrare e che lo confonde.
Jace sgrana gli occhi e si tira indietro, ma solo per un breve istante e solamente per trovare una posizione migliore. L'altro ragazzo sembra quasi sorpreso, come se quel bacio improvviso andasse oltre il suo controllo. Poi lo tira verso di sé, la sua bocca cerca la sua e i suoi denti cozzano contro quelli di lui, con un rumore simile agli scacchi sbattuti sulla pedana. La bocca di Jonathan è calda, la lingua morbida e al sapore di menta e caffè freddo. Le dita di Jonathan affondano nei suoi capelli d'oro, e attorcigliate, tirano in modo quasi doloroso. Le labbra inferiori sfregano una contro l'altra, umide, in una sinfonia di labbra, denti e lingua. Lampi di calore si formano nella parte inferiore dello stomaco di Jace, e da lì si diffondono fino al suo petto. Si chiede se anche Jonathan provi le stesse sensazioni. Probabilmente sì, a causa del Marchio di Lilith. Sente le vene gonfiarsi, costrette da brucianti pulsazioni che gli provocano le vertigini.
Tutto ciò che prova Jonathan, lo prova anche Jace. I brividi di piacere, l'eccitazione e la sensazione di quanto tutto quello sia sbagliato.
Le loro labbra si staccano per un istante, giusto il tempo per riprendere fiato. Jace si sente stordito, sconvolto, appagato.
In risposta Jonathan mette le sue labbra contro il suo collo. Jace si ritrae, non sapendo cosa aspettarsi. Teme che Jonathan, proprio come un vampiro, possa mordergli il collo e succhiargli via il sangue. Ma il giovane lascia solo una scia liscia e fresca lungo la pelle dell'incavo del collo, mentre le sue mani scivolano lungo la parte superiore del corpo di Jace, su e giù sulla sua pelle nuda, fino a che le sue dita trovano la cintura dei pantaloni di Jace e rimangono lì, leggere come farfalle.
 
*

Il calore sprigionato dal corpo di Jace fu tale da fondere il metallo del letto dell'infermeria. Mentre il fuoco celeste bruciava le sue ossa e la sua carne, Jace, furioso con sé stesso, perse conoscenza, sperando invano che quello stesso fuoco potesse bruciare anche il suo segreto.
 
  
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