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Autore: Stars Trail    03/06/2014    4 recensioni
Si chiede perché sia successo: non ha mai perso tempo dietro questo genere di stronzate, e se avesse voluto avere una relazione con qualcuno sicuramente avrebbe ripiegato su Satsuki, e sarebbe stato anche contento della cosa. Invece no. Kise. Tra tutti.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io non ho mai scritto Aokise e non so scrivere Aokise e mi dispiace tanto per chi shippa AoKise perché questa cosa è indegna.
Il prompt, da Nanodayolooo come sempre, è: makingahashofme: Kuroko no Basket: Aomine/Kise; frasi da rimorchio - dove è Daiki che ci prova disperatamente con Ryouta (alla fine, però, riesce nella sua impresa ♡)


Aomine Daiki passa la maggior parte del tempo in cui saltava le lezioni a fissare le nuvole correre in cielo e a chiedersi perché, di tutte le disgrazie che sarebbero potute capitargli, dovesse essere condannato a subire la peggiore. Sulle prime aveva cercato di ignorare la cosa, di sopprimere i pensieri che riaffioravano alla mentre con sempre più insistenza, ma alla fine si era arreso al fatto che non c’era modo di sfuggire a una cosa del genere, e aveva deciso di assecondarla. Adesso la cosa sembra diventata abbastanza impossibile.
Kise Ryouta è un’immagine costante che si forma dietro le sue palpebre ogni volta che le sbatte, e che rimane per intrufolarsi nei suoi sogni quando gli occhi è obbligato a chiuderli per dormire. Si chiede perché sia successo: non ha mai perso tempo dietro questo genere di stronzate, e se avesse voluto avere una relazione con qualcuno sicuramente avrebbe ripiegato su Satsuki, e sarebbe stato anche contento della cosa. Invece no. Kise. Tra tutti.
Preme con forza i palmi delle mani sugli occhi e il sorriso accecante è lì, davanti a lui.

Kise è una persona frivola. Non eccessivamente, non quando è in campo: lì dà davvero il peggio di sé, con i suoi sguardi languidi rivolti alla tifoseria e quell’atteggiarsi da MPV che, in verità, è tipico di chiunque abbia fatto parte della Generazione dei Miracoli - l’unico a salvarsi è Tetsu, ma forse soltanto perché, alla fine, solo loro sono stati davvero consapevoli della sua presenza. Dismessa l’uniforme da partita, però, Kise diventa un panetto di pasta di zucchero così dolce da essere nauseabondo, un ammasso di bolle di sapone che vorrebbe far scoppiare mordendole una per una. Non ha idea se la sua sia un’immagine corrotta da quello che prova, ma certo è un qualcosa che dovrebbe provocarli una nausea impossibile da gestire, e invece ha come unico effetto di fargli sentire sì la pancia in subbuglio, ma non per malessere. Vorrebbe liberarsene, perché lo fa sentire stupido - si è persino coperto la testa con un turbante e gli occhi con un paio di occhiali da sole, pur di non farsi riconoscere durante una partita di allenamento della Kaijou. Ha provato a parlarne con qualcuno, cercando di tenersi sul vago, ma Momoi ha cominciato a fare qualche domanda di troppo, e per quanto Ryou sia un bravo ragazzo, il consiglio di preparare un bento per dichiarare il proprio amore non se la sente proprio di accettarlo. Amore poi. È soltanto una - com’è che si chiama, cotta adolescenziale? Non ha nemmeno idea di che cosa gli piaccia, in Kise.
L’ammettere di provare qualcosa per Kise è già di per sé qualcosa di raccapricciante. Comunque, non ha idea di cosa fare per risolvere la cosa. Di dire tutto a Kise non se ne parla, ma d’altra parte, se non svuota il sacco con qualcuno sente che l’ansia che preme sul petto ogni volta che lo incrocia per strada - o ogni volta che chiude i suoi fottutissimi occhi, per quel che cont - esploderà uccidendolo.

“Ehi Kise.”
“Mh?”
Sono seduti entrambi su una panchina di pietra ai bordi di un campo da basket inutilizzato da chissà quanto tempo, che prendono fiato mentre si riempiono lo stomaco di Pocari. In realtà, Aomine si è già pentito di avergli rivolto la parola: avrebbe dovuto limitarsi a riprendere in mano il pallone e fare un canestro, e lasciarsi copiare ancora un po’ da Kise così da renderlo più interessante, durante un’eventuale prossima partita. E invece no. No, perché è un idiota. “Aominecchi, che c’è?” chiede Kise, la testa china di lato e l’espressione seria.
Panetto di pasta di zucchero, sì, certo. Ora come ora, tutto sembra tranne che dolce. Sente un nodo allo stomaco che gli vieta di pensare qualunque cosa di sensato.
“Vorrei essere un semaforo.”
“Scusa?”
“... così potrei fermarti e io-” Si ferma prima di andare avanti, rendendosi conto di star facendo davvero, davvero una stronzata. Il suo cervello, in protesta, pulsa per il dolore sulla tempia destra, un avvertimento a non provarci mai più. “Niente. Prendi la palla, facciamo altri due tiri.”
Kise sorride e si china per obbedire, ignorando per fortuna le sue parole, mentre lui si chiede perché stamattina non sia rimasto a letto a dormire.

“Kise?”
Lo incrocia in pieno centro a Tokyo, per fortuna non all’ora di punta, o sarebbe stata davvero una barzelletta dai toni piuttosto imbarazzanti. Ha visto diverse volte Kise con addosso abiti diversi da quelli scolastici, ma a guardarlo adesso, con una camicia nera che gli abbraccia il busto e dei pantaloni di pelle nera che poco spazio lasciano all’immaginazione - ma soprattutto, guardandolo con cognizione di causa, buon Dio del Cielo - la bocca si secca, e subito si pente di averla aperta. Kise si gira, e con la pelle ancora sporca di trucco e l’aria un po’ sfatta sembra, se possibile, ancora più bello di quanto non lo sia già.
“Aominecchi? Non mi aspettavo di trovarti qua!”
“Coincidenze,” esclama, sollevando le spalle. O una maledizione, pensa, sollevando appena gli occhi e guardando al cielo oltre i palazzi. “Eri a lavoro?”
“Sì, ho appena finito. Ma tu?”
“Mi si sono rotte le scarpe. Andavo a vedere se c’era qualche modello interessante e…” E lì si ferma, fissando Kise imbambolato per qualche secondo, prima di sentire il rumore si un interruttore nella sua testa. “Ti va di accompagnarmi?”
Il viso di Kise si illumina come la lampadina immaginaria che ha spazzato via tutti i pensieri che si nascondevano nella penombra del suo cervello. “Assolutamente!”
Non ha idea se abbia firmato o meno la sua condanna, ma è certo che è amaramente pentito di qualunque cosa le sue labbra abbiano pronunciato negli ultimi cinque minuti.

Kise è in bagno, mentre lui è appoggiato al muro arancio del centro commerciale dove si sono imbucati. Continua a far sbattere la busta delle scarpe da basket contro le gambe, fissando il vuoto.
Possibile che si sia innamorato sul serio? Si sente così disperato nel voler attirare la sua attenzione che si sente come se qualcuno si fosse impossessato del suo cervello e avesse deciso di mandarlo totalmente fuori dal suo personaggio. Sospira, scuotendo la testa. Queste son cose che accadono nei manga, non di certo nella vita reale.
È la mano di Kise sulla spalla a riportarlo alla realtà. “Stai bene, Aominecchi?”
“Eh? Sì, sì. Che dovrei avere?”
“Non lo so, sembri sovrappensiero.”
“No, no. Sto bene. Senti…” e si guarda attorno per evitare il suo sguardo e cercare parole di senso compiuto che non lo buttino nella fossa. “Ti va se ci fermiamo a bere qualcosa qui al bar?”
“Nessun problema.”
Perché spera sempre gli dica di no, e a un altro livello vede se stesso in ginocchio implorare Kise di notare quello che prova e dirgli qualcosa prima che possa fare danni irreparabili?

Si trovano uno davanti all’altro, Kise che gli racconta di come vadano le cose a scuola, di quanto ami la sua squadra, di quanto Tetsu sia meraviglioso da qualunque punto di vista lo si guardi. Non c’è niente di nuovo nelle sue parole, Aomine è abituato a sentirlo blaterare della qualunque a una velocità inquietante, e non riesce nemmeno a sentirsi invidioso dello spazio che la sua ex luce occupa in quella mente un po’ bacata. Annuisce ad ogni sua parola, lui, mentre con una mano regge il bicchiere di cola già vuoto, e fa oscillare i cubetti di ghiaccio semisciolti lungo tutta la parete di vetro.
Deve dirgli qualcosa - prima di tutto di smetterla di imbottirgli la testa di parole di cui non gli interessa sapere niente. Deve dirgli qualcosa di pregnante ma non ha assolutamente idea di dove prendere spunto per cominciare. La cameriera arriva a dieci minuti dal loro arrivo con due piatti di club sandwich. Lui ne prende uno, lo fissa, e cerca tra le uova e l’insalata la frase perfetta per dire a Kise quello che gli passa per la testa da un tempo non ben definito della sua esistenza senza fare la figura dell’idiota.
Prende fiato.
“Sai, non esiste… in nessuna lingua una parola che possa esprimere-” Si blocca, di nuovo. Guarda Kise allungare appena il collo verso di lui, e Aomine in tutta risposta prende uno dei tramezzini e lo morde, sentendo le briciole di pane sfregare contro la gola ma resistendo all’impulso di tossire. Fa una faccia disgustata, quando manda giù il boccone. Se stia dissimulando o meno, non ne è proprio convinto. “una parola che possa esprimere quanto schifo faccia questa roba. Dammi un sorso di cola, dopo te la ricompro.”
Non ce la farà mai.

Ammette a se stesso di essersi innamorato davvero di Kise solo quando arriva a sognarlo per quattro notti di fila e a più riprese. Poco importa che si alzi dal letto ogni volta che riapre gli occhi, poco importa se non capisce se sia un sogno o un incubo, quello a cui il suo cervello lo sottopone ormai ogni notte. Sa solo che deve farsi forza e cercare di risolvere il problema, perché non ne può di svegliarsi di soprassalto con la bocca secca e un’erezione fastidiosa che non soddisfa mai ben volentieri.
Allunga la mano sul comodino nell’istante in cui i suoi occhi si aprono per la terza volta nella stessa notte e il viso sorridente di Kise sparisce in un battito di ciglia, lasciando dietro di sé solo un’ombra. Afferra il telefono e lo apre, emettendo un grugnito di disappunto nel momento in cui la luce del display lo acceca. Ci mette un minuto ad abituarsi alla luce. Guarda l’ora, e in quello stesso istante si fanno le cinque - un orario del cazzo per scrivere a qualcuno, ma che cosa può fare, altrimenti?
Cerca la mail di Kise tra i suoi contatti e con le dita ancora intorpidite dal sonno digita il messaggio, inviandolo con uno sbuffo troppo pesante e gettando poi il telefono da qualche parte nel letto. Ormai è troppo tardi per tornare a dormire, e in ogni caso il sonno sembra essergli totalmente passato, per cui decide di uscire dal letto e darsi una lavata, e poi magari scappare nel campo dietro casa a fare due tiri.

“Di cosa volevi parlarmi?”
Non si aspettava di trovare Kise sveglio, quando gli ha scritto la mail. Essendo domenica, aveva sperato che quello si perdesse a dormire il più a lungo possibile, ma prima di uscire di casa il telefono aveva vibrato, e adesso invece sono lì, di nuovo in quel campo seduti sulla panca di pietra a fissare il sole che, ancora dietro i palazzi, comincia a macchiare il cielo di rosa.
Fa rimbalzare la palla contro il cemento un paio di volte, fermandola tra le mani appoggiandola poi sulle gambe. Fissa il vuoto e non muove mezzo muscolo del viso, per quanto abbia una voglia pulsante di mordersi le labbra e strapparsi la pelle di dosso. Deve farlo. Adesso. In ogni caso, se andrà male almeno si libererà di quella sensazione fastidiosa che lo accompagna da troppo tempo e lo rende nervoso come un bambino davanti a un giocattolo che non può avere.
“Kise, senti. Mi sento già un idiota ad averti fatto venire qua a quest’ora, per cui abbi pietà di me. Ho provato a girarci attorno ma non è servito a niente, però sono abbastanza testardo da provarci un’ultima volta. Quindi. Se… supponiamo... ti chiedessi un appuntamento, la tua risposta sarebbe la stessa che daresti a questa domanda?”
Con la coda dell’occhio vede Kise girarsi verso di lui, e Aomine non ha assoluta idea di dove trovi il coraggio di imitarlo e incrociare i suoi occhi. Sente il cuore battergli rapidamente in petto, ma cerca di far finta di niente mentre sorregge il suo sguardo.
“Aominecchi,” comincia Kise, e la sua faccia è così seria che Aomine ha paura potrebbe morire da un momento all’altro d’infarto. Ma poi la sua espressione cambia e si contrae in una risata che nessuno dei due si aspettava. Kise poggia una mano sulla sua spalla mentre agita l’altra nell’aria, e ci mette un po’ prima di riprendere fiato. Per lo meno adesso Aomine non si sente imbarazzato, ma solo immensamente infastidito.
“Beh, che c’è da ridere?”
“Nulla, nulla,” risponde Kise, cercando di ricomporsi. “È solo che pensavo che quelle battute terribili lasciate a metà fossero frutto della mia immaginazione. Questa le batte davvero tutte.”
Aomine non si è mai sentito particolarmente intelligente e non gliene è nemmeno mai importato troppo, di esserlo. Ma adesso, vorrebbe esserlo abbastanza da evitarsi una figura di merda colossale. Apre la bocca per dire qualcosa - vuole dissimulare, far finta che tutto quello che ha detto fino a oggi fosse frutto di un delirio da acidi o una presa per i fondelli ai danni dell’altro, non ne ha assolutamente idea - ma poi Kise poggia un dito sulle sue labbra e lo obbliga a stare zitto.
“Aominecchi, se vuoi uscire con me, basta chiedermelo,” sorride. E non c’è nessun segno di scherno, nel suo viso. “Anche se devo ammetterlo, il tuo repertorio di frasi da rimorchio è particolarmente fantasioso.”
“Non è colpa mia se su internet si trova la peggio merda,” spara, e si sente in colpa a mettere in mezzo internet che davvero, non c’entra assolutamente niente, ma nel giro di pochi secondi non ha più nemmeno il tempo di pensare a nulla.
È un semplice bacio a fior di labbra, quello che Kise lascia sulle sue labbra, eppure ad Aomine basta perché il suo corpo vada in totale corto circuito. Di certo non gli permette di allontanarsi, quando sente la sua testa muoversi appena per abbandonarlo. Affonda una mano tra i suoi capelli, tenendolo vicino a sé, dischiudendo appena le labbra e invitando l’altro a fare lo stesso. A sapere che sarebbe stato così semplice, essere accettato assieme ai suoi sentimenti, di certo Aomine avrebbe evitato di rendersi ridicolo proprio davanti a Kise, di tutti. Ma ormai…
“Allora,” mormora sulle sue labbra, quando si separano, “ci esci con me?”
“Che domanda stupida.”
È l’unica risposta che ottiene - senza ombra di dubbio la più sincera che Kise potesse dargli, e certamente l’unica che Aomine volesse sentirsi dire.

   
 
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