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Autore: stonemeister    06/08/2008    2 recensioni
Una ragazza timida, confusa e ingenua si lascia trasportare dalle persone che la circondano in un'avventura emotiva durante una settimana in gita con la nuova classe
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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COLONNA SONORA DI UNA VITA


Una storia, come tutte le mie, scritta di getto, insomma: quello che succederà sarà una sorpresa anche per me! Inoltre non la ho nemmeno riletta prima di pubblicarla per darle la massima spontaneità possibile per cui, se dovessero esserci errori di ortografia... beh, non ci dovrebbero essere
per gustare meglio la fanfic, questa volta ho deciso di darle anche una colonna sonora: una canzone per capitolo che vi prego di ascoltare prima di iniziare a leggere, scelgo a questo proposito canzoni facilmente reperibili su youtube, se c'è un video, beh, non ci fate caso XD buona lettura e mi raccomando, commenti brutali se necessario, adoro imparare!


Capitolo 1: How Far We've Come - Matchbox20

In macchina verso un nuovo inizio, forse l'inizio della fine.
Ho dovuto abbandonare i miei amici, la mia casa, e tutta la mia vita solo perchè quello stronzo di mio padre ha trovato un lavoro che ci avrebbe migliorato la vita, così diceva, per il nostro bene, diceva anche questo, ma per me erano le balle di un avvocato stanco di vivere in città e con la sua testardaggine aveva trascinato la famiglia a qualche centinaio di miglia da casa, per sempre.

Mi stavano accompagnando nella mia nuova scuola a Danville, nel Kentucky, e in auto regnava il silenzio, un silenzio alimentato dall'odio e dall'imbarazzo, certo un viaggio breve, ma in cui il tempo si dilatava straziando la mia pazienza, decisi così di rompere il ghiaccio con quella mia mancanza di tatto che mi sarei portata nella tomba e che avevo tristemente ereditato da mia madre: -Non ho bisogno di una vita migliore! Guadagnavi già abbastanza per mantenerci no? E allora perchè...-, -Basta Amore- interruppe mio padre con quel suo fare rassicurante e al contempo severo, come solo lui sapeva fare così bene -Ne abbiamo parlato: perchè ti devi accontentare di una vita così modesta?- -Perchè è la mia vita- risposi con tono di sfida, una sfida che non fù certo raccolta, lasciandomi sfuggire, dopo pochi istanti un -Papà-: non un "papà" che una figlia avrebbe detto a suo padre ma un "papà" che suonava molto come "vaffanculo!", con quella vena seccata che mi bruciava l'anima lasciando che il silenzio ripiombasse sulla nostra famiglia come se nulla fosse stato.

Scorsi dietro ad una curva, una delle tante che mi facevano salire un sapore acido in gola, una grossa struttura: sembrava disabitata. Entrammo nel cortile facendo scoppiettare la ghiaia sotto le ruote dell'auto e scendemmo dal veicolo lasciandocelo alle spalle per addentrarci nel bel mezzo di quella che sarebbe presto diventata la mia avventura.

-Forza sbrigati, siamo arrivati- mi dice mia madre interrompendo i ricordi di quel pessimo viaggio in auto e distogliendo i miei occhi dal vuoto in cui sono caduti per qualche istante. Mi riprendo a mi avvio con gli altri verso la segreteria, ben riconoscibile da un enorme scritta bianca su sfondo nero: anti-estetica ma sicuramente molto pratica, penso.
La segretaria ci accoglie calorosamente e mi invita ad accomodarmi nella mia aula e, accompagnandomi attraverso un intricato labirinto di scale e corridoi, mi abbandona al mio destino di fronte ad una stanza traboccante di ragazzi stravaccati sui banchi, con abbigliamenti certo poco raccomandabili ma che, curiosamente, erano in un silenzio tombale, quello stesso silenzio che mi sono lasciata alle spalle pochi minuti fa e di cui la mia mente si rifiuta di far nuovamente parte.

Ben pochi voltano lo sguardo nella mia direzione, si contano sulle dita di una mano, gli altri nemmeno se ne accorgono e continuano a pensare, a pensare a chissà cosa, a pensare a qualsiasi cosa li portasse fuori dal luogo in cui sono.
Il professore mi fa gentilmente accomodare al banco e mi presenta al resto della classe. Io mi siedo nell'unico banco libero, di fianco a una ragazza: -Ciao- sussurra -Sono Amber e tu?- la guardo e in un attimo sono persa nel profondo dei suoi occhi castani, lo stesso colore dei suoi capelli che armonicamente contornano quel viso perfetto. -Ciao, mi chiamo *****- non so quanto tempo è passato dalla sua domanda. Una voce profonda squarcia la quiete dell'intero istituto -Ragazze la finiamo? C'è gente che cerca di ripassare, voi siete già preparate per il compito?- nessuno sta guardando il libro -No signor Radley, ci scusi- risponde lei, e tutto, come al solito, ritorna nell' oblio.

Non molto tempo dopo il suono atono e stridente della campanella segna l'inizio della confusione, tutti si dirigono in direzioni diverse, non capisco più niente e rimango ferma in mezzo a quella baraonda, finchè una mano calda abbraccia la mia e mi tira in una direzione sconosciuta -è di qua che dobbiamo andare, noi della D abbiamo intervallo ora- mi rassicura Amber con voce esperta -Ma non so di che classe sono-. -Ora si-.

Mi ritrovo con lei in cortile e, sfortunatamente, sono giusto in tempo per poter salutare i miei genitori in partenza per casa. Mio padre mi viene in contro dicendomi: -Amore le valigie sono già nella tua stanza, la 214, eccoti le chiavi- me le diede -Ti veniamo a riprendere sabato okey?- un'altra delle cose su cui avrei voluto giustamente obiettare ma stetti zitta e lo abbracciai con un'ipocrisia tale da far vergognare chiunque. Mi da un bacio e si allontana mentre mia madre mi saluta con la mano, mi volto e mi dirigo nuovamente verso Amber, la vedo con un sorriso stampato su quelle labbra carnose: -Che ridi?- le chiedo facendole compagnia in quella risatina a denti stretti, -Non ti vanno a genio, eh?- se la cavò rispondendomi con una domanda, -Direi di no- dissi io per poi ricadere nuovamente nel suo sguardo stregato, -Dai ti mostro la tua stanza- e iniziai così a seguirla di nuovo dentro l'edificio.

Si ferma davanti ad una porta in legno: -Coraggio aprila-, tiro fuori la chiave e apro la serratura, -Qua ci sta Sharon, è una stronza, buona fortuna bellezza- mi fa un occhiolino, si volta e si allontana dicendomi -Ti aspetto giù quando hai finito-.
Entro in camera e la vedo, con i capelli neri raccolti in una coda bizzarra ed un libro in mano, che mi guarda come si guarda un assassino -Ciao, sono Sharon, ho visto che hai socializzato con quella lesbicona di Amber, ti conviene starle lontana se non vuoi brutte sorprese- la travolge così una risata di pura malvagità. Restando in piedi, ancora con la chiave in mano e la testa rivolta al pavimento le rispondo: -è gentile, e comunque sta tranquilla, non mi farò trascinare in brutte esperienze- -Brava- ribadì lei tornando al libro che stava leggendo. Io metto a posto la mia roba ricoperta di imbarazzo il più velocemente possibile scappando dalla mia nuova "casa" per dirigermi in cortile.

  
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