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Autore: _emanuela    04/06/2014    0 recensioni
- Lei, è stato lei la causa di tutto. – spaventata e ancora piangente, Camille dannava l’amore che aveva provato, un amore carnale ed effimero che aveva creato e distrutto.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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DA SVILUPPARE: si intende che è solo un abbozzo di ciò che deve accadere. Ciò per non dimenticare la trama che avevo pensato inizialmente.
La posto anche qui perché vorrei sapere se vi piace e anche perchè non so se la terminerò mai, ho poco tempo e non molta ispirazione. Spero apprezziate e spero di poterla finire un giorno.
Testo sotto copyright, vietata la copia.

BLOOD AND TEARS

Lei era tutto ciò che restava alla sua vita terrena.
Sorelle, così legate eppure estranee alla loro reale natura. Così diverse in tutti gli aspetti, Camille alta e coraggiosa, Elisa esile e fragile come un neonato.
Abbandonate dai genitori in tenera età, erano cresciute aiutandosi a vicenda, credendo l’una nell’altra. Il mondo, però, era così crudele che la speranza non durò a lungo. Diventarono piccole ladruncole, inizialmente per sfamarsi, poi sotto pagamento di persone importanti. Incredibile era ai loro occhi, osservare come la gente nascondesse da buon maestro il loro vero io, come se fin da bambini ricevessero continue lezioni per giungere alla massima perfezione. Per loro, invece, non fu così, le uniche regole insegnategli dalla vita, furono quelle di sopravvivenza. La vita è continua lotta, o combatti contro tutti, o muori da stupido eroe.
L’affetto che provavano, era spirituale, superava qualsiasi ostacolo, qualsiasi barriera. Ma sapete, l’amore terreno può essere così confuso e tormentato, da offuscare la mente. Fu proprio questo, l’amore di Camille per un giovane conte, a spezzare quel legame divino con sua sorella. Lei che era più grande di due anni, lei che proteggeva con le unghie e con i denti quello che aveva di più caro, aveva tradito.
Tutto ebbe inizio con l’incontro tra loro e il conte di Francia. Alto, bello, spavaldo, uno dei tanti nobili conosciuti, ma egli sembrava diverso. I suoi occhi, la sua dolcezza, la sua voce melodiosa, Camille ne era innamorata.
Erano state convocate in una delle innumerevoli stanze del castello, una camera nascosta, di cui nessuno conosceva l’esistenza. Camille ed Elisa abituate alla sola vista di tanto lusso, non rimasero stupite dalla ricchezza che mostravano fiere quelle mura. Ogni minimo dettaglio era curato, non un oggetto sbagliato, eppure con tanta perfezione e tanti averi, l’economia della Francia andava disgregandosi, eppure quel lungo corridoio accompagnato da molti quadri, sembrava non aver fine.
Giunte nel luogo desiderato, il conte di Valois iniziò a riferire loro il compito: rubare la preziosa collana della regina. Non aveva alcun senso sottrarle un gioiello regalatole dal marito, Luigi XIV, eppure le due giovani fanciulle non chiesero il perché, erano abituate e purtroppo obbligate, il denaro era l’unica cosa importante, i sogni non davano da mangiare, non coprivano dal freddo e non erano altro che inutili illusioni, però necessari per non togliersi la vita. Camille ed Elisa nonostante tutto continuavano a sognare, desideravano che un giorno potessero avere una loro casa, una famiglia felice con due o forse tre figli, con denaro sufficiente per accontentare alcuni capricci dei loro bambini e perché no, anche i loro.
- D’accordo, c’è altro? – chiese Elisa dopo aver ascoltato le informazioni ricevute dal conte sulla sicurezza e su come muoversi all’interno del castello.
- No, le mie guardie vi accompagneranno all’uscita –
Le due sorelle si avvicinarono alla porta, intente ad andarsene, ma il nome di Camille uscì forte dalla bocca del conte.
- Camille, aspetta, ho bisogno di parlarti –
La più grande delle due sorelle rimase nella stanza, mentre l’altra, dopo aver tranquillizzato la sorella, lasciò il palazzo e si recò nel solito posto dove nessuno l’avrebbe trovata, il luogo in cui le giovani fanciulle si proteggevano e lo stesso dove qualcuno sporcò le sue mani di sangue e peccato.
- E’ un compito impegnativo – Camille ruppe il silenzio nonostante si sentisse a disagio per ciò che stava provando, un profondo desiderio nascosto, infondo era una donna umana, per quanto potesse, non avrebbe potuto controllare la sua natura ogni singola volta. Era rapita e denudata dallo sguardo intenso del conte.
- Sono sicuro che tu ne sia all’altezza – rispose avvicinandosi a lei con passo lento, quasi come se comprendesse il sentimento della donna fino a portarlo all’estesi.
- Vi ringrazio. Cercherò di non deludervi – la fanciulla non fece alcun movimento e in poco tempo si ritrovò così vicina al conte, da poterne sentire il respiro.
Carlo di Valois le sorrise, poi lentamente le abbassò la spallina dell’abito azzurro acquistato con dei franchi guadagnati nel precedente affare.
- No, conte ve ne prego – sussurrò con tono flebile.
L’uomo si fermò, non voleva farle del male, non ora. Bramava quel corpo perfetto, ma ancor più per quella fanciulla.
Nell’aria si respirava imbarazzo, ma anche desiderio interrotto. Camille non era ancora una donna e non era pronta a diventarlo.
Con passo lento e con la mente confusa, Camille lasciò il palazzo per ritornare da sua sorella, in lei avrebbe trovato conforto e sicurezza.
Passarono diversi giorni dall’accaduto ed era giunto il momento di iniziare il lavoro assegnato. Le due sorelle si recarono al palazzo reale della regina Elisabetta. Fu un calesse trainato da un cavallo, controllato con la sua cavezza, ad accompagnare le due donne. Queste ultime indossavano un abito regale, in voga a quel tempo. I cancelli del Palazzo Reale erano aperti, ma ciononostante Camille ed Elisa avrebbero dovuto eludere le guardie e non creare sospetti nei lacchè del duca d’Orléans e nei mendicanti riuniti tutt’intorno nel cortile in cerca di calore grazie agli immensi bracieri. Le due sorelle si sarebbero attenute al piano organizzato dal conte. Camille si sarebbe fatta passare per Isabelle, una donna sui trenta, trentadue anni, di notevole bellezza; mentre Elisa avrebbe vestito i panni di Andreina, donna poco più giovane, anch’essa molto bella, assai più timida. Fortunatamente le donne di quel periodo, grazie o a causa degli abiti indossati e delle capigliature molto simili, se non del tutto uguali, risultavano tutte un'unica persona. Inoltre il carattere delle due donne si avvicinava abbastanza a quello delle giovani sorelle.
Attesero un bel po’ prima che giungesse Lorenzo, guardia che ben conosceva le due donne e che spesso chiudeva un occhio su comportamenti vietati. Nonostante la sua media età, intorno ai trentacinque anni, Lorenzo aveva una folta barba e non molti capelli, il viso pareva stanco e la sua camminata era lenta. Fu proprio la sua mancanza di energie e il suo pessimo stato di salute che non gli permise di mettere a fuoco il volto delle due giovani finte contessine.
Camille ed Elisa entrarono nella reggia e raggiunsero il piccolo Trianon, luogo abituale ove la regina trascorreva le sue giornate. Il pavimento sembrava un’enorme scacchiera e la vista dava sui giardinetti aggraziati da statue e fontane. Un peristilio (colonnato) racchiudeva lo spazio esterno ed interno.
La regina era assorta nei suoi pensieri. Meditava sui problemi che la Francia stava affrontando e sulle conseguenze future inevitabili se la situazione non fosse cambiata.
- Regina – disse Camille per attirare l’attenzione della stessa. Ella si voltò e con grande stupore salutò le due contesse pronunciando i loro nomi prima di ritornare ad osservare davanti a se, voltando le spalle alle giovani. Era un gesto maleducato, soprattutto compiuto da una regina, pensò Camille.
(DA SVILUPPARE: discorso interrotto tra le due sorelle e la regina che viene convocata altrove e con grazia di congeda. Le sorelle hanno la possibilità di rubare scaltramente la collana che si trova in una precisa stanza, chiusa a chiave.)
Era quasi fatta, la collana era stata sottratta alla regina, bisognava solo raggiungere le porte del palazzo e allontanarsi senza destare sospetti, ma ciò fu la parte più difficile. Furono fermate da una guardia che le riconobbe, ciò che le due sorelle non sapevano era che erano ricercate e qualcuno molto scaltro era riuscito a fotografarle mostrando il loro volto. L’uomo allertò le guardie che si trovano nei pressi dell’abitazione, a pochi passi dall’entrata principale.
Le due fanciulle erano circondate, non avevano via d’uscita, l’unico modo per salvarsi era combattere. Camille estrasse la spada dalla guaina, le sue doti erano notevoli, nonché era stata ben allenata anni prima, quando un noto personaggio aveva assegnato loro un incarico rischioso e aveva dovuto preparare le sorelle al peggio. La più grande delle due iniziò a sferrare dei colpi. Nella stanza risuonavano i colpi delle spade che si scontravano.
Elisa, sebbene esile, si difese con tutte le sue forze, con un misero coltello che reggeva a stento il confronto con le pesanti spade. Il loro destino era segnato, non potevano salvarsi entrambe, qualcuno doveva sacrificarsi e rimanere a combattere la battaglia.
- Dammi la spada e vattene – proferì la minore a sua sorella
- Scordatelo, non ti lascio, sai che amo combattere – controbatté sorridendo, mentre con un passo felino si contrappose tra la sorella e una delle guardie che le stava per sferrare un colpo alle spalle.
- Camille, te ne prego, sei la più astuta tra noi due, non fare questa follia proprio ora. Vedrai che riuscirò a sopravvivere. Per favore, per una sola volta credi in me e lascia che io combatta da sola – supplicò Elisa, che intanto continuava a scansare e ricevere colpi al contempo. Erano troppe guardie e con un misero coltellino non poteva lottare al loro pari.
- D’accordo, prendi la spada e crea un varco – si arrese, passando velocemente la spada alla sorella, mossa azzardata, che le procurò una ferita profonda alla spalla.
Elisa prese le redini in mano e iniziò a dimenare la spada prestando attenzione a non colpire la sorella, che intanto aveva afferrato il coltello per proteggersi. La piccola sorella soppesò ogni colpo, fino all’istante in cui quelle mani si sporcarono nuovamente di sangue. Aveva trafitto una delle guardie per creare una via di fuga per la sorella che rapidamente scappò.
Camille corse senza voltarsi, senza fermarsi, non voleva assistere alla possibile tragedia che la sua vigliaccheria avrebbe potuto causare. Sperava con tutta sé stessa di non aver fatto la scelta sbagliata. Doveva avere fiducia nelle capacità e nelle forze di sua sorella Elisa.
Quella corsa terminò nella dimora del conte. Era ritornata da lui, aveva bisogno di una strategia e di armi per liberare o salvare la sorella.
- Cosa è successo? – domandò vedendo che era ferita e dolorante.
- Elisa, l’hanno presa -
Camille, su ordine del conte, si fece assistere dal medico di corte che sterilizzò la ferita per poi fasciarla.
La giovane, seduta muoveva freneticamente le gambe su e giù, il suo volto era di pietra e sudava freddo. Il conte vedendola in quel pietoso stato, crebbe che fosse a causa del dolore fisico, era all’oscuro della vera ragione. In realtà Camille temeva per sua sorella, la sua mente era talmente scossa, la sua paura così tanta, da non provare alcune male fisico.
- Stanotte stessa, non posso permettere che le facciano del male – ruppe il silenzio.
- Va bene, organizzeremo tutto, ma prima devi riposare – rispose dispiaciuto.
Regnò nuovamente il silenzio per un breve lasso di tempo, silenzio che fu interrotto dalla sorella maggiore.
- Se capitasse qualcosa ad Elisa, non potrei perdonarmelo – la sua voce era flebile, quasi spezzata dal senso di colpa.
Il bel conte le si avvicinò, non proferì parola, le mostrò solo il suo sorriso. Nei suoi occhi si poteva leggere la stessa tensione che tormentava Camille. Le accarezzò la guancia. La ragazza strinse quella calda mano per seguirne ogni movimento, una lacrima le rigava il volto. Un bacio legò i due giovani amanti.
Lei sentiva l’abito scivolare piano sulla sua pelle, lui ammirava quel corpo imperfetto. Una cicatrice si posava violentemente sul suo costato, mentre lungo la gamba aveva una bruciatura. Il suo seno era piccolo, la sua magrezza quasi ripugnante, eppure in quell’istante sentiva di essere bella ed era così a disagio, che arrossì.
Camille con i suoi splendidi occhi color nocciola, osservava la figura perfetta del conte, ne scrutava ogni dettaglio: i capelli corvini, gli occhi azzurri, i lineamenti forti, il mento pronunciato e un fisico asciutto che ben delineava i muscoli non troppo accennati.
Si sentiva bene, felice in quegli attimi di tenerezza, ma un pensiero ostacolava la sua felicità, salvare in tempo sua sorella Elisa.
Passione, paura, amore legava ora il ricco conte alla misera ladra. Sentimenti contrastanti, anime diverse, che si unirono in un tripudio di emozioni.
la notte sopraggiunse, Camille non ebbe il tempo di ripensare a quello che era accaduto poco prima, non si voltò a guardare il conte dormire, doveva ritornare al palazzo della regina e liberare la sua piccola. In fretta si rivestì e portò con lei una pistola.
Come da lei previsto, le guardie l’avevano riconosciuta, ma non sembrava preoccuparsene.
- Necessito di parlare con la regina, mi pento di ciò che ho fatto, dirò la verità – ancora una volta i due mastini non le crebbero e l’afferrarono per le braccia per rinchiuderla anch’essa nei sotterranei – Fermi, ve ne prego, ho qui la sua collana – si fermarono e lei mostrò i gioiello. Fu portata finalmente dalla regina.
Spiegò alla regina i piani del conte di Valois e quest’ultima non sembrò sorpresa.
– Perché hai confessato? – sembrava crederle, eppure Camille non ne era sicura, avrebbe potuto pensare che fosse un’altra astuta mossa del conte.
– Mia sorella è tenuta prigioniera, vi prego di liberare, non voglio che le accada nulla, vi chiedo pietà. Vi prego di credere alle mie parole, non baratterei mai la vita di mia sorella per denaro – tentò disperatamente di salvare sua sorella e cercò di trattenere le lacrime, non voleva mostrare la sua debolezza.
Lei e una delle guardie scesero nei sotterranei dove vi erano le prigioni. Fu lasciata “in compagnia” delle due guardie di turno.
(DA SVILUPPARE: Le due delle guardie infastidiscono Elisa e sembrano aver e brutte intenzioni. Camille fa partire due colpi. Cercano di fuggire ma vengono di nuovo ostacolate dalle guardie).
Salvate dagli scagnozzi del conte. Era qualcosa che ripugnava Camille, essere in debito verso qualcuno, dover essere grata a quelle persone che non avevano esitato a sporcarsi le mani.
L’erba era bagnata e le stelle brillavano in cielo. Le sorelle si sedettero sul prato a godersi lo spettacolo che danzava lassù.
La notte passò svelta e lasciò spazio all’alba. Le due fanciulle riuscirono a chiudere gli occhi per pochi minuti prima di ritornare dal conte di Valois, che le attendeva già da un po’ di tempo.
- Mi spiace, noi… – Elisa non riuscì a concludere la frase poiché interrotta dall’uomo.
- Lo so, mi è stato riferito ogni cosa – proferì con tono serio
- Conte abbiamo fallito e in quanto troppo pericoloso, abbandoniamo l’incarico – intervenne Camille sorprendendo sia la sorella sia il conte.
- Per cortesia Elisa, potresti lasciarci soli? – chiese quest’ultimo. La giovane guardò sua sorella maggiore, il suo istinto le suggeriva di restare lì, quel conte non le sembrava un brav’uomo, non più. Aveva la strana sensazione che qualcosa in lui fosse cambiato.
- Va, Elisa – la tranquillizzò la sorella.
Elisa si congedò e aspetto fuori, a pochi passi dalla porta che lasciò semiaperta.
(DA SVILUPPARE: il conte costringe Camille a scegliere tra lei e sua sorella. Camille debole, confusa dalla notte precedente, dapprima rifiuta, ma qualcosa in lei cede. L’amore terreno può essere fatale).
Il dolore che leggeva negli occhi di sua sorella, era straziante, ancor più della sua lenta morte della quale lei ne era artefice. Il corpo di Elisa era stremato e il suo respiro era sempre più corto. Le sue gambe cedettero, ma a proteggerla dall’impatto con il suolo, fu sua sorella Camille.
Perché piangi sorella mia? – Elisa trovò la forza per riuscire a porre le sue ultime domande alla persone che più amava, il suo tono era flebile.
Perché quando una persona non crede in te fa male, ma quando è convinta che non procurerai altro che dolore, è un male insopportabile. – rispose la ragazza con il viso corrugato dalle lacrime, era questa la frase che si ripeteva ogni qualvolta che la madre pronunciava le parole “non porterai altro che dispiacere, perché in te regna il vuoto” e quando la loro cara madre morì, ella cercò di colmare quel vuoto con l’amore per sua sorella.
Non lo sei, non sei cattiva. Ciò che tu pensi è sbagliato, se ho dei valori morali e sono ancora sorridente, è perché tu sei qui accanto a me e so che non mi abbandonerai – proferì emettendo qualche colpo di tosse per la fatica – Ti prego, perdona te stessa – furono le sue ultime volontà prima di cadere nel sonno eterno.
Ogni individuo in qualsiasi modo, consapevolmente o no, è un autolesionista. Ciò accade per raggiungere, seppur in maniera distruttiva, la felicità. Fu questo che accadde a Camille, colei che non si etichettava in nessun modo, colei che non amava definirsi “persona, essere umano” perché troppo diversa. Ricercò la felicità che quell’amore avrebbe potuto darle, attraverso la più pura delle sofferenze, l’assassino di sua sorella. Uccise l’unica persona che inconsciamente le dava ciò che stava ricercando, la felicità.
- Così nella vostra famiglia scorre ancora sangue. Avete scritto la parola fine alla vita di vostra madre, quella dannata donna che non provava altro che astio nei vostri confronti. Ed ora, tu Camille, hai ucciso tua sorella. Ignobile è il tuo animo corrotto. – si fermò per qualche secondo, godendosi la vittoria – La taglia che vi è sulle vostre teste è di meritevole valore. Ora non mi resta altro che cessare il tuo dolore – concluse estraendo dalla guaina la sua spada, sicuro che la donna non avrebbe reagito.
- Lei, è stato lei la causa di tutto. – spaventata e ancora piangente, Camille dannava l’amore che aveva provato, un amore carnale ed effimero che aveva creato e distrutto. – Conte, vi perdono. Che la vostra anima sia perdonata, perché a voi vi hanno privato dei valori e degli affetti. Addio – ella si alzò, i suoi occhi erano privi di luce e di ragione. Partì un colpo, dritto al cuore del bel conte. – Perdonami sorella, ho peccato e me ne vergogno. Possa io ora raggiungerti – si distese accanto alla sorella e puntò sulla sua tempia la pistola. Poterono, finalmente, riposare in pace, ancora una volta unite.
  
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