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Autore: Hotaru_Tomoe    29/12/2004    3 recensioni
Dopo la morte di Kanan, Hakkai è convinto di non poter più avvicinare qualcuno, nè aiutarlo.
Un draghetto bianco maltrattato dal suo padrone gli farà cambiare idea.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sha Gojio, Cho Hakkai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fiction è ambientata circa un anno prima del viaggio verso Ovest, ma dopo gli episodi del manga “Be There” e “Burial”. Siccome Minekura-sensei non ci ha ancora raccontato come Hakuryu si è unito al gruppo, io la cosa l’ho immaginata così! L’idea mi è nata guardando un servizio alla tv sugli animali nei canili (c’è una scena molto cruda, lo dico per chi si impressiona facilmente) e a questo ho aggiunto la paura di Hakkai di affezionarsi a qualcuno.
Buona lettura!


STRINGERE QUALCUNO

Gojyo strappò una tendina dalla finestra e ripulì accuratamente il suo shakujo dal sangue.
Hakkai chiuse il dokko (1) nella teca e sorrise “Per fortuna è intatto.”
Stesi a terra, una decina tra demoni ed esseri umani, emettevano guaiti e lamenti di dolore. “Ma - maledetti…” borbottò il loro capo, sputando l’ultimo incisivo rimastogli. Il demone dagli occhi di giada si inginocchiò davanti a lui “Scusi, forse abbiamo avuto la mano troppo pesante, ma rubare qualcosa da un tempio di monaci indifesi è davvero un’azione deplorevole.” Nella semioscurità della stanza, il suo sorriso appariva spettrale e minaccioso. Il malcapitato, saggiamente, decise che era troppo giovane per raggiungere i suoi antenati e non replicò.
“Ehi Hakkai – lo apostrofò il rosso – andiamocene.”
“Sì. E scusate ancora se vi abbiamo messo la casa a soqquadro.”
Gojyo sbottò in una risatina: conviveva da tempo con Hakkai e certe sue uscite lo lasciavano ancora interdetto. Probabilmente non lo avrebbe mai capito fino in fondo. Lo sapeva di avere un carattere ben strano? Si accese una sigaretta, poi guardò l’orologio: si era fatto tardi. “Ch! Accidenti a quel bonzo corrotto e ai suoi dannati incarichi.”

(Al tempio di Choan Sanzo starnutì rumorosamente, tanto da far sussultare Goku che leggeva un fumetto sdraiato sul letto “Ehi Sanzo, hai preso il raffreddore?”
“No – borbottò il monaco – ma se scopro chi è quel verme che sta parlando male di me, lo ammazzo.”)

“Suvvia Gojyo – ribattè bonariamente Hakkai – Sanzo occupa una pozione importante, ha tante cose da fare e non riesce ad occuparsi di tutto.”
“Sì, ma non mi va l’idea di essere al servizio di quel biondino dagli occhi suadenti: una volta è un oggetto sacro, un’altra volta le offerte rubate, quell’altra ancora un demone che terrorizza i pellegrini! E noi a togliergli le castagne dal fuoco, che palle! Si sta abituando troppo bene il signorino.”
“Ah ah ah! In parte hai ragione Gojyo, però non mi pare che lavoriamo gratis.” Puntualizzò Hakkai.
Il mezzodemone alzò le braccia “Mi arrendo, hai ragione tu. Però te lo devo dire: sei peggio di una vecchia suocera quando ti ci metti.”
“Mphf, scusa.”
“Cambiando discorso, ti va di fare un salto con me al night-club? Spenniamo qualche pollo con il poker.”
Il moretto scosse la testa “Grazie per l’offerta, ma preferisco andare a casa.”
“Sicuro? Eppure con la tua abilità potresti fare un sacco di soldi.”
“Vero, però la seconda volta non mi farebbero più entrare nel locale.”
Gojyo constatò che Hakkai era irremovibile “Va bene, vorrà dire che avrò tutte le ragazze del night per me. Sarà una nottata faticosa.”
Hakkai sorrise divertito, lo salutò e si avviò verso casa, Gojyo verso il night; mentre finiva di fumare la sua sigaretta, rifletteva sul compagno: una cosa poteva dire di aver capito di Hakkai. Il ragazzo si sentiva solo. O meglio: voleva essere solo. La barriera più forte che era in grado di erigere non era quella fatta con il ki, ma quella di silenzio che lo divideva dagli altri. A parte lui, il bonzo corrotto e la stupida scimmia, in paese Hakkai non aveva stretto amicizia con nessuno, nonostante abitasse lì ormai da tempo. Conosceva molte persone grazie al suo lavoro di insegnante, era gentile e disponibile con tutti, ma nulla di più. Apparentemente era premuroso, in realtà era distaccato, e mai una volta dava confidenza a qualcuno.
E un’altra cosa aveva imparato in quell’anno di convivenza: ad interpretare i suoi sorrisi, a distinguere quelli veri da quelli falsi. E purtroppo, concluse, i veri sorrisi del ragazzo erano molto rari. Gran peccato, perché Gojyo pensava che il vero sorriso di Hakkai era molto bello, gli sarebbe piaciuto vederlo più spesso.

Quasi giunto in paese, Hakkai sentì un’insolita animazione per quell’ora tarda. Ah, vero! Qualche giorno prima era giunto un piccolo luna park che aveva occupato un prato alla periferia del paese. Il suono di un allegro organetto risuonava per le strade, lanterne colorate illuminavano con la loro luce tenue le bancarelle di dolciumi e quelle degli indovini, i saltimbanchi camminavano sui trampoli, nell’aria si levava l’odore intenso di frittelle e zucchero filato, i bambini saettavano ovunque eccitati, inseguiti dalle mamme in apprensione.
Era un bel quadretto, ma non fece sorridere affatto Hakkai; al contrario il ragazzo provò una stretta al cuore [Kanan, amore mio, tu amavi tanto queste fiere…] Una volta aveva vinto per lei un enorme orso di peluche al tiro a segno e Kanan l’aveva guardato estasiata e felice, stringendo a sé l’enorme animale, come se le avesse regalato il più prezioso dei diamanti. La sua Kanan… era unica… e non sarebbe più tornata…
Purtroppo non c’era un’altra strada per andare a casa di Gojyo, quindi Hakkai si mise le mani in tasca e si rassegnò ad attraversare il luna park, schivando bambini ed ubriachi.
“Attenzione gentile pubblico! Non crederete ai vostri occhi.”
Un uomo che urlava più forte degli altri attirò la sua attenzione: vestiva un vecchio tait sgualcito ed un enorme cilindro, era in piedi su un bancale di legno di fronte ad un carro coperto da un drappo di velluto rosso, che aveva conosciuto tempi migliori. Patetico nel complesso, ma adatto ad attirare la curiosità dei paesani.
“Sto per mostrarvi un animale rarissimo. No, ma che dico – si battè teatralmente la mano sulla fronte – questo è probabilmente l’ultimo esemplare della sua specie. Una creatura antica e mitologica, che dona fortuna e felicità a chi la guarda.”
I piedi di Hakkai si fermarono ed il ragazzo decise di dare un’occhiata. Tanto, pensava, il suo umore non poteva peggiorare più di così.
“Averlo mi è costato inenarrabili fatiche, ma per il mio adorato pubblico farei questo ed altro.”
L’uomo si levò il cappello e fece un esagerato inchino alla folla. La gente rise ed applaudì. Hakkai pensò che quello era un imbonitore molto abile.
“Solo per i vostri occhi, un magnifico esemplare di drago bianco.”
Scostò il drappo e gli spettatori emisero il convenzionale Oooohhh di meraviglia. Hakkai si spostò per guardare meglio il carro, che in realtà era una grande gabbia. Sul pavimento era acciambellato un piccolo drago, che definire “magnifico” era alquanto esagerato. Forse una volta era stato bianco davvero, ora aveva una tonalità grigio polvere, dovuta probabilmente al fatto che nessuno si era preoccupato di fargli un bagno da molto tempo. La bestiola stava con le ali ripiegate sul corpo e la testa nascosta sotto una di queste: magrissimo, tanto che gli si potevano contare le costole, con molte cicatrici vecchie e nuove sul corpo.
“Papà, non vedo il muso. Voglio vedere il muso del drago!” protestò una bambina.
“Un attimo, dolce miss.” Il proprietario del drago scosse rumorosamente le sbarre ed il draghetto alzò il lungo collo allarmato.
“Ha le ali, quindi sa volare?” chiese un vecchietto.
“Ovviamente, signore.” L’uomo afferrò un frustino e lo fece schioccare più volte all’interno della gabbia. Impaurito, il drago si alzò in volo per evitare di essere colpito, pigolando terrorizzato. La gente rideva divertita.
Hakkai si trovò a pensare che, a dispetto di tutto, il suo umore era peggiorato ulteriormente.
Trovava quello spettacolo triste e vergognoso: come si poteva ridere di una povera bestiola indifesa e chiaramente terrorizzata? Possibile che nessuno si fosse reso conto delle sue condizioni? Nessuno protestava contro quell’uomo crudele?
“E non solo! E’ anche in grado di sputare fuoco.” Asserì l’uomo.
“Davvero?” i bambini lo guardavano increduli.
“Certo, certo. Basta farlo arrabbiare un po’.” Detto questo, iniziò a pungolarlo con il frustino, cercando di colpirlo sul serio. L’animaletto si accucciò in un angolo, tremando di paura. Il ghigno sul volto del domatore presto si trasformò in una smorfia d’ira “Avanti, stupida bestiaccia – sibilò sommessamente – sputa fuoco.” Ma il draghetto non voleva saperne.
Passato lo stupore iniziale, il pubblico iniziò a trovare lo spettacolo noioso e, viste altre attrazioni, man mano si allontanò dal carro, lasciando in un cestino poche monete.
Il domatore coprì il carro con un drappo e poi sparì sul retro. Hakkai restò lì, aspettando che la gente si disperdesse; stava per andarsene anche lui, quando udì la voce irata dell’uomo, che non aveva gradito la poca collaborazione del drago bianco al suo spettacolo.
[Non sono affari miei…] pensò Hakkai, ma poi rivide gli occhi scuri e terrorizzati, i suoi strazianti pigolii, e si diresse anche lui sul retro del carro. La scena che si presentò ai suoi occhi lo pietrificò: il draghetto era stato rinchiuso in una piccolissima stia per polli che non gli lasciava alcuna libertà di movimento, anzi lo costringeva ad una posizione scomodissima ed innaturale, in alcuni punti la rete d’acciaio feriva la pelle delicata. Il domatore urlava contro la bestiola, scuotendo violentemente la gabbia e tirandogli pugni e calci “Lurido animale pulcioso! Quando ti dico di fare una cosa, tu la devi fare, altrimenti il pubblico non mi lascia niente! Per punizione non avrai da mangiare, vediamo se ti piace.” Sferrò un ultimo calcio alla stia che sbattè rumorosamente contro una ruota del carro, deformandosi. Il draghetto urlò dal dolore e quel suono, alle orecchie di Hakkai, sembrò come un pianto.
“La smetta immediatamente!” urlò il ragazzo indignato, stringendo i pugni. I suoi occhi verdissimi brillavano di indignazione.
“E tu chi accidenti sei?” chiese l’uomo.
“Come può trattarlo così, non vede che è spaventato a morte? E poi probabilmente è troppo debole per sputare fuoco, è denutrito!”
“Oddio – l’uomo alzò gli occhi al cielo – ci mancava solo un ambientalista per concludere in bellezza la giornata.”
Hakkai passò di fianco al domatore e raggiunse l’animale chiuso in gabbia, per accertarsi delle sue condizioni. Abituato a ricevere solo botte dagli uomini, chiuse gli occhi, prendendo a tremare ancora più forte.
“No – mormorò Hakkai – non voglio farti del male.”
“Non toccarlo!” il domatore fece schioccare la frusta e colpì Hakkai sulla tempia, facendolo sanguinare. “Quel drago è mio, l’ho pagato un sacco di soldi e mi appartiene. Posso fargli quello che mi pare, capito? E adesso sparisci, prima che chiami la polizia!”
Hakkai si alzò di scatto, in preda ad una rabbia profonda. Sentiva vibrare i limitatori sul suo orecchio sinistro, una parte di sé aveva una gran voglia di toglierli, l’altra, che aveva in odio il colore rosso del sangue, lo pregava di calmarsi.
“Ma se proprio ci tieni a quel drago, forse potremmo raggiungere un accordo – disse il domatore – 2.000 monete d’oro ed è tutto tuo.”
[Mio?] Hakkai guardò il piccolo animale chiuso nella gabbia: era piccolo, indifeso, fragile. Era una creatura bisognosa di affetto e, soprattutto, di protezione. E lui, incapace ed inutile, non poteva offrirgli né l’uno né l’altro. Con le sue mani macchiate di sangue, poteva solo sporcare il suo corpicino candido. E quando ne avrebbe avuto bisogno, lui non l’avrebbe saputo difendere, ne era più che certo.
La vita per il draghetto non era facile assieme a quel domatore, ma con lui sarebbe stata anche peggio: con lui non avrebbe avuto alcuna vita. Perché, così pensava Hakkai, lui ormai era vuoto e non aveva nulla da offrire, non poteva farsi carico della vita di nessuno, nemmeno di un animaletto. “Mi scusi per il disturbo…” mormorò piano e si allontanò, muovendo a fatica un passo dietro l’altro, come un automa.
“Ma tu guarda questo pazzo!”
   
 
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