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Autore: Lost_it_all    04/06/2014    3 recensioni
Stringendo a disagio nelle spalle, feci mente locale: in quei giorni avevo spesso guardato alla televisione il TG, ma non avevano dato annunci del tipo « killer in libertà » o simili. Nel mio paesino non succedevano mai cose così –al massimo, il crimine più eclatante fu quello di Billy Jones, che rubò dal negozio Victoria’s Secret alcuni tanga rosso tiziano in pizzo per un valore totale di novantatre dollari e settantacinque. Poi Billy spiegò alla polizia locale che erano per la sua ragazza, oramai ex ragazza, ma non aveva abbastanza soldi per permettersele. Il caso finì lì-.
Genere: Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jolly rosso
 
 

Capitolo uno.

Un’anziana signora mi guardò storto, probabilmente pensando « Che ci fa qui una ragazzina? » col solito broncio che caratterizza le vecchie scorbutiche.
La superai facendomi strada fra alcune persone, oltrepassai la porta scorrevole e, alla vista dell’ambiente asettico e purtroppo familiare, mi si accapponò la pelle delle braccia.
Odiavo gli ospedali.
Il motivo per il quale ero lì era in bella mostra, segno indelebile sulla mia pelle, ma anche più a fondo, nella carne, nel sangue. Una cicatrice chiara e frastagliata era delineata sul mio gomito, lunga una manciata di centimetri, almeno cinque o sei, e guardava tutti facendosi beffe di chiunque. La odiavo. Era a dimostrazione della mia stupidità e insolenza, anche arroganza. Ma soprattutto stupidità.
Passai l’ora seguente sul lettino della fisioterapia, col cuore a pezzi e la morale sotto ai piedi. Nonostante quella fosse stata un’eccezionale mattinata –avevo addirittura preso un sette e mezzo di greco!- il dover andare in ospedale mi deprimeva da morire.
La fisioterapista cercò di fare conversazione, peccato che io dovessi trattenere il fiato per non urlare dal male che mi faceva: come potevo rispondere alle sue domande? E poi che gliene importava di sapere se passerò « l’anno senza ricevere debiti »? Lei aveva già una figlia –che poco dopo chiamò tutta contenta, l’appellò col nomignolo « pucci » ed io non potei non invidiarla- e doveva occuparsi di lei, non di me.
Quando uscii dall’ospedale, una sensazione di sollievo mi riempì. Ora avrei dovuto aspettare solo mezzora per la corriera –fortunatamente mi ero portata dietro Goes to the movies di Stephen King, per passare il tempo.
Erano le due e dieci quando giunsi in stazione. La cosa che mi stupì più di tutte fu che l’intera zona era vuota, non c’era neanche uno studente.
Al loro posto, c’erano agenti di polizia dovunque.
Indossavano una divisa scura e stavano appresso alle loro auto blu e bianche, emanando un senso d’arroganza e superiorità che mi irritò non appena li vidi.
Una sensazione sgradevole mi serrò la bocca dello stomaco: esattamente nello spiazzo in cui la corriera –la mia, la 23 centro- si sarebbe dovuta parcheggiare per poi far salire noi studenti sgomitanti, c’era una zona delimitata da nastro rosso e bianco, quello che si usa nella scena di un delitto, con la scritta Prego mantenersi lontani. Ovviamente la mia deduzione –e cioè che qualcuno era morto- poteva benissimo essere errata, dato che quel nastro si usava anche per delimitare porzioni di spazio in cui si stanno svolgendo dei lavori che sono ancora in corso.
Ma, in tal caso, che ci facevano lì otto auto della polizia e almeno una trentina abbondante di agenti? E perché la zona era stata evacuata?
Stringendo a disagio nelle spalle, feci mente locale: in quei giorni avevo spesso guardato alla televisione il Tg, ma non avevano dato annunci del tipo « killer in libertà » o simili. Nel mio paesino non succedevano mai cose così –al massimo, il crimine più eclatante fu quello di Billy Jones, che rubò dal negozio Victoria’s Secret alcuni tanga rosso tiziano in pizzo per un valore totale di novantatre dollari e settantacinque. Poi Billy spiegò alla polizia locale che erano per la sua ragazza, oramai ex ragazza, ma non aveva abbastanza soldi per permettersele. Il caso finì lì-.
Me ne stavo dietro un albero, osservando la scena, quando un poliziotto si voltò e mi notò. Subito cominciò a sbraitare, venendomi incontro:
« Ragazzina! Che fai lì? » mi domandò quando mi fu davanti.
La sensazione di essere chiamata “ragazzina” da un agente di polizia non mi piacque affatto.
Risposi, pacata e calma, come sempre:
« Io? Assolutamente nulla signore. Ero qui per prendere la mia corriera, ma ora vedo che non è possibile. »
« Beh, » borbottò, stirandosi la camicia blu scuro, « vedi bene » esordì sarcastico. « Ora va’, chiama tua madre. La stazione, sia delle corriere sia dei treni, è chiusa per tempo indeterminato, finché il caso non sarà chiuso. »
Quando pronunciò l’ultima frase, la curiosità germogliò nel mio stomaco come una pianta rampicante, crebbe a dismisura e ormai era impossibile sradicarla.
Scoprii la mia voce domandare, senza esitazioni: « Il caso, signore? Che caso? Posso sapere cos’è successo? »
L’uomo borbottò ancora. Doveva avere suppergiù una sessantina d’anni e doveva detestare i ficcanaso come me, specie se erano sciocchi ragazzini affascinati dal mistero.
« Senti, te lo dico solo perché la notizia uscirà domani in Tv » commentò più fra sé che con me. Si schiarì la gola e cominciò a spiegarmi che « Questa mattina –tu eri a scuola- c’è stato un omicidio. La vittima è la tabaccai, Fiona Rogers, la conosci? » Annuii. « Non si sa chi l’abbia uccisa, ma ha lasciato una firma, se posso chiamarla così. »
Si interruppe.
« E cioè? » lo esortai io, puntandogli gli occhi addosso e stringendo con le mani le spalline dello zaino della Eastpack. « Cos’ha lasciato? »
La mia curiosità sembrò compiacerlo, così proseguì, rianimandosi.
« Non è stato molto originale, bisogna dirlo. Sul cadavere di Fiona Rogers –che è pure stato privato di una mano...- ha lasciato una carta da poker, un Jolly rosso. Sai... » si rabbuiò « Non so se è professionale dirlo a una ragazzina, ma quella dannata carta ha qualcosa di strano. Mi inquieta. È come camminare al buio in un bosco e sentire scricchiolii. Non so se mi spiego... » Alzò lo sguardo su di me, e i suoi liquidi occhi azzurri mi sembrarono più anziani di quanto non fossero. Borbottò: « Ma ora, ragazzina, ho detto va’. Non è affar tuo. »
Imbambolata, sentivo le gambe pesanti.
Puntai lo sguardo verso la zona col nastro rosso e bianco. Mi attirava a sé come una calamita attrae il metallo.
L’agente mi bloccò la visuale col suo corpo grosso. Notai che aveva una pancia prominente, sembrava quella di una donna incinta.
Mentre me ne andavo, pensai prima alla pancia del poliziotto, ma poi mi tornò in mente l’omicidio.
Scossi la testa. Non è affar mio mi dissi, facendo il verso al poliziotto panciuto.
« Pronto? Mamma? Ecco io... »

 
 
 

 

Capitolo 2.

Qualche tempo dopo.
La notizia di Fiona Rogers fu un’eccitate novità dal quotidiano, uno strappo alla noia generale della vita monotona di un piccolo paese.
Certo, fu anche una grande fonte di vendita per i giornali locali: non ce n’era uno che ogni giorno non piazzasse in prima pagina qualche titolo riguardo l’omicidio, alcuni più strappalacrime di altri. Io li acquistai praticamente tutti, poiché la curiosità che si era radicata in me non voleva sapere d’andarsene, ma la verità non era quella più apparente.
A me non importava un fico secco della tabaccaia Fiona Rogers, che non aveva né marito né figli, al massimo il suo gatto Kitty avrebbe sentito la sua mancanza, ma ognuno gli portava qualcosa da mangiare, dato che continuava a gironzolare in stazione, forse alla ricerca della perduta padrona.
La cosa che mi importava davvero era il Jolly rosso. Nessun giornale l’aveva mai tirato in ballo. Nessuno! Eppure avrebbe incrementato ancor più le vendite, chissà, qualcuno avrebbe persino potuto scriverci un libro –ma non avrebbe avuto molto successo, al paese non c’era nessuno che avesse un’innata dote per la scrittura, neppure io-. Eppure la faccenda rimaneva nell’oscurità.
Più volte mi balenò nella mente l’idea di andare in commissariato a parlare ancora con l’agente di polizia sovrappeso, ma non conoscevo neppure il suo nome. Cos’avrei detto? « Salve, sto cercando un vostro collega che ha una pancia enorme »?
Il tutto scemò dopo alcune settimane, nessuno menzionò più la faccenda.
Io però non riuscivo più a dormire la notte. Ci pensavo troppo. A scuola avevo collezionato un’esorbitante quantità di valutazioni negative poiché non riuscivo più a concentrarmi per studiare, e fui chiamata dalla Preside in colloquio per chiarire la cosa.
Anche lì, l’attenzione tornò al Jolly rosso, la mia ossessione.
La Preside, una signora grossa e scorbutica, stava giusto dicendo: « Con te è come giocare a poker, non si sa mai cos’hai in mente! » senza sapere che mi aveva spinta a non prestarle più ascolto.
La mia mente partì in quarta: poker uguale Jolly rosso.
Una sera, mia madre mi guardò con serietà e cercò di non irritarsi troppo: « Che ti succede in questo periodo? Hai qualcuno? »
Sogghignai. Beh, in un certo senso sì. L’uomo che io avevo costantemente in testa era colui che si celava dietro il Jolly rosso. Ma non gliel’avrei mai detto.
« Nessuno. »
« E allora cos’hai? » inforcò il coltello e tagliò la carne.
Scrollai le spalle. « Niente. Perché? »
« Come perché? Sentimi bene » alzò il tono della voce, senza però riuscire ad imporsi su di me. « Tu stai buttando via la tua carriera scolastica! Devi almeno dirmi perché lo fai! Sei la migliore della classe, anzi, eri la migliore. In ogni materia! »
Lo ero ancora. O meglio, lo sarei stata, se fossi riuscita a disintossicarmi dalla mia piccola ossessione personale, che mi stava distruggendo la vita. E non avevo neanche un indizio! In quel momento compresi quant’ero stupida.
« Scusami mamma. » Dissi mogia. Ero una deficiente, ero la regina dei deficienti! « E’ che in questo periodo sono un po’ distratta ... »
« Santo Iddio » sbraitò con gli occhi fuori dalle orbite. Ad un tratto il coltello che aveva in mano mi inquietò. « Distratta da che cosa! »
« Io... »
« Basta così! Va’ in camera tua! Uscirai solo quando saprai dirmi per cosa diamine stai distruggendoti l’esistenza! »
« Mamma... »
« No! Zitta! Non ti prendi gioco di me in questo modo chiaro? Fila! »
Avevo la gola secca e mi tremavano le mani. Stranamente, però, non volevo né piangere né difendermi. Non sentivo più nulla.
Qualcosa in me mi sussurrò: va’ via di qui. Andiamo di sopra,forza.
E lo feci.
Non badai a quell’andiamo, non mi spaventò. Ma avrebbe dovuto.
Perché io non ero sola.
 

 

Capitolo 3.

 
Mi chiusi la porta alle spalle e fu in quell’istante che apparve.
Dal nulla, davanti a me, si materializzò qualcosa. Non sapevo bene cosa.
Era nera, viscida, aveva due vispi occhi color sangue ed emetteva un tanfo mostruoso.
La cosa che più colpiva, però, era il sorriso.
Grande, con una fila di denti affilati, taglienti come rasoi, ma allo stesso tempo amichevole, invitante. Ti diceva “ridi con me” e così lo feci. Ridacchiai di fronte a quell’essere nero e luccicante.
La mia mente scattò a scoppio ritardato: quel sorriso, maledizione quel sorriso, era quello di un Jolly da carte da poker.
In quel momento fece saettare la sua lunga lingua rossa e bagnata verso di me. Si fermò a un centimetro dal mio viso.
Su di essa
c’era la mano mozza di Fiona Rogers –la riconobbi dall’anello a forma di gatto che portava sull’indice-
che stringeva una carta.
Un Jolly rosso.

 

 

Capitolo 4.

 
« Ehi! Apri questa porta! »
La signora batté furiosamente le nocche sulla porta della figlia.
« Ho detto aprila!!! »
Nessuno rispose.
« Giuro che se entro le prendi, sai!? »
Minacce inutili.
Continuò così finché la paura non le attanagliò le membra tremanti. Corse a chiamare il 911. Arrivò un agente con una pancia ridicola che la guardò esterrefatto piangere e le chiese: « Che succede, signora? »
Lei pianse e gli gettò le braccia al collo, nuotava nell’ansia.
« Mia figlia! » gemette. « E’ in camera sua! Non apre! Non parla! »
L’agente borbottò. Pensò: Queste madri iperprotettive che chiamano il 911 senza validi motivi!
Che scocciatura!
Ma la accontentò.
Salirono le scale mentre lui ipotizzava che « forse è al cellulare col ragazzo... » ma la donna gli fece notare che « non c’era nessuna voce lì dentro! » per poi aggiungere, terrorizzata, « ma c’è un tanfo! Sa di morto! Mi aiuti la prego! » e scoppiò ancora a piangere.
L’uomo bussò alla porta della camera della ragazza –c’era affisso un poster degli AC/DC-.
« Ehi, ehi, ehi... Forza... Apri. Sono della polizia. Non ti faccio paura eh? Guarda che butto giù la porta. Ragazzina! Non scherzo! La butto giù! Sta’ attenta eh! »
Inizialmente scherzava, poi però lo fece davvero.
Caricò la porta con tutta la forza che aveva e quella venne giù.
Si frantumò per terra.
La stanza era vuota. Non c’erano più neanche i mobili. La finestra era aperta.
Per terra. Le uniche due cose.
Una mano e una carta.
Un Jolly rosso.


NdA: è la mia prima one-shot nella sezione "horror", com'è venuta? Se avete dei pareri potete lasciarmi un commento...
Spero sia piaciuta.

Lost_it_all

 
   
 
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