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Autore: Class Of 13    04/06/2014    13 recensioni
[Malec | Leggerissimo spoiler di CoHF| 2199 parole]
Alec, Magnus e un tramonto a New York.
«Le sue braccia circondarono il collo dell’altro in un gesto che ormai è familiare, e lo avvicinò a sé, per sentire meglio il sapore conosciuto della sua bocca, il suo profumo speziato e dolce di sandalo e caramello, la curva della schiena e le insenature sotto le scapole, i capelli lisci e corvini pieni del glitter che era parte di lui proprio come la sua magia».
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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A Rei, che mi auguro si riveda in questa storia.
Ad Ale, che con il suo Magnus continua ad ispirarmi le scene più dolci.
E alla mia neesan, che mi sostiene sempre, anche quando quello che scrivo fa schifo.
 

«Even if it were just days , I would want to spend them all with you. Does that mean anything?».
«Yes», Magnus said. «It means that from now on we make each day matter».
[The Mortal Instruments – City Of Heavenly Fire]
 
 
Gli avevano sempre ripetuto che la vita di quelli come lui, dei Nephilim, era una vita pericolosa e imprevedibile, da cui non potevi sapere cosa aspettarti.  Alec ci aveva sempre creduto, fino a che non aveva incontrato Magnus Bane. Essere il ragazzo del Sommo Stregone di Brooklyn significava avere una vita veramente imprevedibile, e gli eventi di quella sera lo testimoniavano.
Erano comodamente seduti su un divano a guardare uno dei melensi film mondani di cui Magnus era appassionato e in cui un certo Jack sembrava volesse buttare a mare da un enorme transatlantico la ragazza a cui presumibilmente stava facendo il filo, quando lo stregone era saltato in piedi spegnendo la televisione con uno schiocco di dita, trascinandolo, con un sorriso che aveva ben poco di rassicurante, nel portale che aveva aperto.
E adesso era lì, in alto sopra tutta New York, sulla statua di quella signora che era il simbolo della città che lui sentiva come casa più di Alicante. Davanti a lui si estendevano soltanto l’immensità dorata dell’oceano e del cielo e il sole morente che calava dietro l’orizzonte.
«Ah, abbiamo fatto appena in tempo», disse Magnus con un sorriso furbo, gli occhi scintillanti come gemme preziose alla luce del tramonto.
Chissà quante volte gli era capitato, in passato, di osservare un simile spettacolo con qualcuno che amava. Alec sapeva che la risposta era “molte, molte più di quante tu possa immaginare”, ma, se fino a qualche tempo prima la cosa gli avrebbe provocato un doloroso nodo alla bocca dello stomaco, adesso, in un certo senso, non gli provocava nessun effetto in particolare, se non quello di ricordare che, come si erano promessi qualche anno prima, stavano lavorando per dare importanza ad ogni singolo giorno che trascorrevano insieme.
«E’… incredibile».
Magnus lo guardava assorto, concentrato, quasi volesse fotografare con la mente quell’istante che, lo sapeva, non si sarebbe ripetuto mai più.
«Perché mi fissi?».
Sentiva lo stomaco attorcigliarsi, quando lo guardava in quel modo: sembrava che il paesaggio fosse una mera cornice e lui la vera e propria opera d’arte. Non avrebbe mai capito cosa ci trovasse di così speciale in lui, ma sapeva che Magnus non avrebbe mai smesso di fargli quell’effetto. Non ebbe risposta alla sua domanda, ma l’espressione del figlio di Lilith si addolcì a tal punto da costringerlo a tornare a concentrarsi sul paesaggio per non arrossire. Il mare sotto di loro era una distesa di sfavillante e ipnotico oro liquido, mentre il sole spariva sempre di più dietro la sottile linea tra terra e cielo, lasciando che questo sfumasse sempre di più verso il violetto e l’azzurro. I raggi dell’astro morente lasciavano che le fiamme sul suo anello di famiglia brillassero come se fossero vive, come se potessero scottare, e per un attimo Alec immaginò come sarebbe stato vedere quell’anello che per i Nephilim significava tanto sulle dita scure e affusolate di Magnus.
«Gold for a bride in her wedding gown…», gli venne spontaneo canticchiare a quel pensiero così bello e terrificante.
Lo stregone gli rivolse un’occhiata curiosa, quasi avesse scorto sul suo viso qualche rimando al vorticare di sentimenti che si era impadronito di lui.
«A cosa pensi?», disse Magnus tirandolo vicino a sé in un abbraccio. Era una sensazione bella, di familiarità e sicurezza,  ma Alec non poté fare a meno di sentirsi come se fosse stato colto in flagrante a commettere qualcosa di estremamente imbarazzante, e, proprio per questo, cercò di porre rimedio alla situazione.
«Nulla, cioè, qualcosa è, ma è così stupida che scoppieresti a ridere, se te la dicessi». Non era mai stato bravo con le parole, e queste sembravano sempre venirgli meno nei momenti più inopportuni, e, come se la cosa non bastasse, a ciò si aggiungeva l’incredibile capacità di Magnus di leggergli dentro, come dietro i suoi occhi potesse vedere chiaramente il turbine di pensieri e immagini nella sua testa.
L’altro scosse la testa con espressione esasperata, dietro la quale, però, poteva chiaramente scorgere l’affetto che provava nei suoi confronti.  «Provaci. Non potrò dirti se è stupida fino a che non la dici, no?».
Chissà perché tutti difetti che vedeva in se stesso, e che riteneva insopportabili, allo stregone risultassero adorabili, non riusciva a capirlo, ma non poteva impedire ad una piacevole sensazione di calore di farsi strada nel suo petto ogni qual volta questi gli rivolgeva quello sguardo. «Il colore del mare mi ha fatto tornare in mente una filastrocca che io, Jace e Izzy cantavamo da piccoli», cominciò cautamente, quasi a voler prendere il fiato necessario per continuare. «Per un attimo mi sono domandato come sarebbe se… come sarebbe se… beh, seioetefossimosposati».
Alec si sentiva come un vero e proprio idiota, rendendosi conto solo dopo aver detto quelle imbarazzantissime parole quanto effettivamente sciocche potessero sembrare. Magnus Bane non era un tipo da matrimoni, lo sapeva, ma nel momento in cui quell’immagine meravigliosa gli era passata per la mente la sua bocca aveva parlato prima che il cervello le impartisse un ordine effettivo.
Il figlio di Lilith appariva sinceramente stupito, oltre che leggermente confuso, le sopracciglia scure alzate quasi fino a sparire sotto l’attaccatura dei capelli e Alec dovette lottare ferocemente contro la voglia di prendersi a schiaffi dandosi dell’imbecille. «Io e te… sposati?», domandò infine Magnus con attenzione, quasi temesse di non aver sentito bene le sue parole.
Solo in quel momento gli venne in mente come il ragazzo di fronte a lui, che nell’aspetto non dimostrava più di diciannove anni, avesse in realtà quasi quattrocento anni, quattro secoli in cui avrebbe potuto benissimo sposarsi più volte. Quattrocento anni erano un tempo infinitamente lungo, per un mortale come lui, e il fatto che lo stregone non avesse mai intrapreso l’esperienza del matrimonio non poteva che significare che questi non avesse mai avuto l’intenzione di convolare a nozze con qualcuno.
«L-lascia perdere. Era un’idiozia, te l’avevo detto», disse Alec appoggiandosi alla balaustra. Il cielo era ormai tra l’indaco e il violetto, mentre il sole morente si coricava tra le acque dell’oceano come un disco di un arancio intenso, quasi vermiglio, lasciando una tenue striscia dorata tra le onde.
Magnus gli si affiancò, lo sguardo perso nell’orizzonte quasi stesse ricordando un passato lontano. «Non credo che le cose cambierebbero molto, se ci sposassimo», cominciò piano, quasi sottovoce. «Però in quel caso saresti mio, mio ufficialmente». Alec si voltò a guardarlo, lo stupore dipinto negli occhi azzurri profondi come le acque dell’oceano sottostante, le guance rosse al solo pensiero. «Ma sarebbe un problema per te, con il Conclave, con la tua famiglia…».
Non l’aveva mai vista in quell’ottica. Sapeva che i Nephilim avevano una mentalità conservatrice, che non amava sconvolgimenti delle regole, e che non amavano mischiare la propria “razza” con quella dei Nascosti, ma l’esperienza di aver perso Magnus per un lasso di tempo che gli era parso infinito, l’aver temuto per le sua sorte durante la Guerra Oscura, gli avevano insegnato che certe cose avevano più valore di altre.
«Non voglio il mondo. Voglio te».
Prese un respiro profondo prima di parlare, fissando il proprio sguardo in quello dell’altro. «Sì, i miei genitori e il Conclave non approverebbero, ne sono cosciente. Ma se il nostro tempo si sta lentamente esaurendo, preferisco una vita assieme a te, piuttosto che l’approvazione di persone che temo non mi capiranno mai».
Magnus sorrise, orgoglioso nel vederlo prendere coscienza di sé e dei suoi desideri con così tanta decisione. Il timido Alec Lightwood di diciassette anni, che aveva varcato la soglia del suo loft quella fatidica sera di sette anni prima, era cresciuto, e, pian piano, stava diventando un uomo meraviglioso, di cui solo il più immeritevole dei genitori non avrebbe potuto essere fiero.
«Solo una volta il Conclave ha acconsentito ad un matrimonio misto, ma è stato un caso particolare, quello di Tessa Gray e William Herondale, un antenato del tuo parabatai ossigenato. Ma loro… loro erano un uomo e una donna», disse infine Magnus, il sorriso ormai adombrato da un velo di tristezza.
Il cielo era ormai scuro, e la luminosa Vespero aveva fatto la sua comparsa, fulgida ed eterna. «Sai», mormorò Alec osservando con un velo di nostalgia la prima stella della sera. «A volte mi stupisco di come i Mondani sappiano essere più avanti della mia gente. Qui a New York quelli come noi possono sposarsi, mettere su famiglia…».
«È vero, i Mondani sanno essere più comprensivi sotto questo profilo, ma sanno anche essere crudeli nei confronti di chi è diverso. La paura genera odio», lo interruppe lo stregone in tono grave, troppo serio per il giovane che appariva.
«Eppure, a volte, mi rendo conto che noi Nephilim sappiamo anche essere peggiori di loro. Mi domando che differenza il Conclave veda tra un amore come quello di Jace e Clary e il nostro».
«Qualcosa sta cambiando, nelle coscienze dei Cacciatori», disse Magnus solenne. «Magari un giorno potremo pensarci seriamente, quando le acque si saranno calmate…».
Alec trattenne una risata al commento che Jace avrebbe fatto sul Conclave se avesse ascoltato i loro discorsi, ricordava ancora quando aveva detto che questo aveva “l’intelligenza collettiva di un ananas” e non poté evitare di trovarsi d’accordo con le parole del suo gemello in battaglia. «Vorrà dire che aspetteremo, per il loro consenso. Anche se l’idea di un rito mondano non è poi così male». Il giovane Lightwood, questa volta, rise di gusto, volgendo lo sguardo a Vespero con gli occhi carichi di quel desiderio che rifuggiva dalle parole.
Magnus gli sorrise di rimando, di quel sorriso sincero tutto guance e zigomi, gli occhi felini come scintillanti nel buio come le luci dei grattacieli di Manhattan. «Mh? Rinunceresti alle tue tradizioni per me?».
L’espressione del Cacciatore si addolcì. «Hai pensato di rinunciare all’immortalità, hai rinunciato al segreto sul tuo passato, hai infranto la promessa di tenerti lontano dalle vicende dei Nephilim, e tutto questo per me», disse posandosi una mano sul petto, all’altezza del cuore. Aveva sentito dire che l’amore era anche sacrificio, dolore, e i gesti di Magnus erano stati sufficientemente eloquenti nell’esprimere la sincerità del sentimento che lo stregone provava nei suoi confronti. Adesso toccava a lui sacrificare qualcosa. «Sarebbe stato bello sposarci secondo la tradizione dei Figli dell’Angelo, ma, dopo tutti i sacrifici che hai fatto per me, rinunciarvi sarebbe il minimo che potrei fare».
«E’ stato – ed è – un ottimo motivo per farlo».
Alec guardò per l’ultima volta l’argento splendente del suo anello di famiglia, e, nonostante tutto, nonostante i dolori, i lutti, le separazioni di cui era stata la causa, sentì un moto di affetto nascergli dal profondo del petto prima di sfilarselo. Sentiva le guance ardere, la gola secca, le mani tremanti e il ronzio assordante del battito del suo cuore, ma sapeva, sentiva che era giunto il momento di farlo.
«S-sposami, Magnus Bane».
A quelle parole Magnus lo guardò con un’espressione di tale amore, che Alec si sentì completamente felice senza neanche aver ricevuto la sua risposta. «Se sei sicuro di volere al tuo fianco questo vecchio ma incredibilmente affascinante stregone per tutta la vita», disse sorridendo con un alzata di spalle «vorrà dire che il mondò rinuncerà al mio splendore. Certo che ti sposo, stupido Nephilim».
Alec sapeva che sarebbe stato sbagliato pensare che, se la morte l’avesse colto in quell’istante, sarebbe morto felice, perché non avrebbe mai voluto né potuto rinunciare alla vita quando, per la prima volta, davanti a lui si stagliava un futuro che brillava più delle stelle in quella notte così bella.
Lassù era tutto piccolo, silenzioso, ma nel contempo infinito e luminoso: avrebbe potuto desiderare di fermare il tempo in quell’ istante, mentre le mani di Magnus erano sulle sue guance, così calde che sì stupì di non vederlo ritrarsi, scottato, e le sue labbra, piegate chiaramente in un sorriso, sulle sue. Sorrise anche lui, sentendosi sciocco, stupido, ma incredibilmente leggero, come se avesse potuto spiccare il volo da un momento all'altro. Le sue braccia circondarono il collo dell’altro in un gesto che ormai è familiare, e lo avvicinò a sé, per sentire meglio il sapore conosciuto della sua bocca, il suo profumo speziato e dolce di sandalo e caramello, la curva della schiena e le insenature sotto le scapole, i capelli lisci e corvini pieni del glitter che era parte di lui proprio come la sua magia. Temeva che neanche l'Angelo avrebbe potuto sapere quanto lo amava, e forse non lo sapeva nemmeno lui stesso, e solo il tempo, magari, avrebbe potuto fargli capire la portata che quel sentimento spietato e meraviglioso poteva raggiungere. «Ti amo...», mormorava di continuo tra un bacio e l'altro, il fiato corto. «Ti amo». E che fossero la grande e bianca Luna e la luminosa Vespero a testimoniare quanto lo amava, perché le parole non avrebbero mai potuto raccontarlo.
 
   
 
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