N/A: Le inserisco
all’inizio perché prima che vi avventuriate per queste terre inesplorate,
occorre che io vi prepari. Non so cosa sia (nulla di nuovo al riguardo). È ambientata
prima de “Le ragioni del silenzio”, in risposta a chi mi chiedeva, più che
giustamente, come si fosse arrivati a quella data circostanza. Eccola dunque:
La Situazione di Partenza. Un’idea che spopola, almeno nel fandom oltremanica:
Molly viene presa di mira da Moriarty e queste sono le conseguenze. Per la
gioia di qualcuno, forse, sarà una long. Non so quanto lunga, non so se
articolata in un paio di capitoli o molti di più. Certo è che Molly dovrà
trasferirsi a Baker Street. Buona lettura!
P.S.: dopo aver visto la 3x01 e la
familiarità con cui Lestrade e Molly parlano tra loro, come conoscenti – se non
proprio amici – di vecchia data, mi sono convinta che sarebbe stato strano che
lei non pensasse a lui o lo chiamasse per nome. Spero che siate della mia stessa opinione.
Caccia alle ombre
“Sul serio, Meena, è stato fantastico!”
esclamò Molly.
Meena arricciò il naso, come se stesse
trattenendosi dall’esprimere un’opinione sferzante. “Non saprei,” considerò,
riluttante. “Logan aveva fin troppa cera in testa. Guardandolo, ho dovuto
sopprimere per tutto il tempo la voglia di strigliarlo per bene.”
“Erano gli anni ’70,” osservò Molly.
Stavano attraversando l’affollata hall del cinema e la coda di persone che
aspettava per l’inizio dello spettacolo seguente era smisurata. “Che mi dici di
Kitty Pryde?”
“Sai che adoro Ellen Page, ma non
capisco perché i registi debbano sempre, sempre
cambiare particolari nella trama della storia originale.”
“Licenza del poeta,” disse Molly,
divertita.
Meena era troppo impegnata a lamentarsi
per ascoltarla: “E lo so che non c’entra niente, ma voglio Jubilee e Gambit. James
McAvoy, quando si punteggia la fronte con l’indice come se volesse trapanarsela,
è un tale -”
Molly smise di ascoltarla, corrugando
la fronte. Le era parso di vedere… Ma no. Si diede della sciocca. Era
impossibile che Sherlock mettesse piede in un cinema senza gli obblighi di un
caso. O della sua immaginazione. Scosse
la testa.
“Mi stai ascoltando, Molly?” Meena la
trucidò con uno dei suoi sguardi da feroce mastino.
Molly le sorrise con fare di scuse. Indicò
nella direzione in cui le era sembrato di cogliere il profilo di Sherlock.
“Credevo di aver visto qualcuno che conosco, ma devo essermi sbagliata. Anzi,
sicuramente devo essermi sbagliata. Lui non metterebbe mai piede in un posto
così rumoroso.” Esitò. “E frivolo.”
Meena, perspicace, magnifica Meena, inarcò le sopracciglia, ma non fece
commenti. E, cosa di cui Molly le fu intimamente grata, si limitò ad avanzare a furia di
spallate e spintoni. Alla terza volta che qualcuno le pestava inavvertitamente
il piede, l’ultima in questione si trattava di un tizio grosso come un armadio,
Meena imprecò con veemenza, scandalizzando un’algerina e suo marito, che non mancarono
di riservarle occhiate offese.
“Ricordami perché non siamo andate al
Coronet,” la sentì borbottare pochi secondi dopo.
“Perché è martedì sera,” spiegò
Molly,
infilandosi nel gruppetto di ragazzi abbigliati a tema. Riconobbe una
versione del tutto credibile di Mystica. “E perché qualcuno
si è dimenticato di prenotare.”
Meena sbuffò e nello stesso momento
Molly lo vide di nuovo e fu sicura di non esserselo immaginato. Perché quello
che procedeva, aprendosi un varco con cipiglio severo e bocca dura e insolente,
un’aria di tempesta imminente, era senza ombra di dubbio, senza margine o
possibilità di errore…
“Sherlock,” soffiò Molly, fissandolo
sbalordita.
“Molly,” la richiamò Meena, a mezzo metro
di distanza. “Cosa stai facendo là impalata? La –” s’interruppe. Anche lei doveva
aver notato l’uomo che si stava avvicinando. “Cosa accidenti ci fa lui, qui?”
Per quello Molly non aveva risposte.
“Deve essere morto qualcuno o qualcosa
del genere. Dio, sembra di essere in un giallo di Agatha Christie: richiama gli
assassini e i ladri come il sangue attira gli squali.”
Molly avrebbe voluto dirle che non era
per niente così, che sì, la presenza di Sherlock solitamente lasciasse presagire
che qualcosa di grave o pericoloso fosse in corso, ma che non dipendesse da
lui, che lui fosse solo il curatore di un’opera ultimata o in
itinere.
Non ne ebbe il tempo. Sherlock le era
di fronte e le parole che le erano affiorate alle labbra là morirono.
“Molly.”
Molly sussultò, senza averne
l’intenzione. Qualcosa, nel modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome,
suonò carico di significato.
Gli occhi azzurri di Sherlock,
appuntandosi sul suo viso, espressero per un attimo un sentimento di sollievo
talmente radicato che lei si chiese come fosse possibile che una manciata di
secondi dopo si fosse già dileguato senza lasciare traccia del suo passaggio.
“Sherlock, cosa –” si accigliò e prima
che potesse finire, comparvero John e Greg. Anche loro apparivano decisamente
sollevati nel trovarla; e turbati, come se avessero visto un fantasma.
Greg non si trattenne dall’abbracciarla
di slancio. “Grazie a Dio, stai bene,” le mormorò esausto all’orecchio, la voce
rauca e graffiante.
Molly non aveva la più pallida idea di cosa
accidenti stesse succedendo. “Mi cercavate?”
Trafelato e stremato, quasi avesse appena
finito di partecipare a una maratona, John scoppiò in una risata incontrollata,
di puro nervosismo. “Cercarti? Cosa ti ha dato quest’impressione?”
Molly si sciolse dalla presa solida di
Greg e si voltò verso Sherlock, il cui volto, ora, era accuratamente privo di
espressione, come una pagina bianca. “Mrs. Hudson sta bene? O è Mary?” domandò, cercando di
apparire calma, intanto immaginando le peggiori prospettive, le più fosche. “È
successo qualcosa?"
Dopo una pausa interminabile, Sherlock
fece un cenno di diniego. C’era un bagliore indefinibile nel suo sguardo,
qualcosa di feroce e oscuro, che la fece rabbrividire. “Non a loro,” rispose monotono.
Non si diede pena di fornire maggiori particolari.
Molly si rivolse a John, confusa. “E
allora chi –”
“Si tratta del tuo appartamento, Molly.”
“Il mio appartamento?”
“Un ordigno,” disse John in un tono
vibrante, che lasciava trapelare strascichi della preoccupazione e dell’ansia
accumulate. “Era camuffato nella sveglia sul tuo comodino. Secondo Sherlock,
chi l’ha piazzato l’ha programmato in modo che la detonazione avvenisse quando
tu fossi uscita. Il raggio di azione era relativamente poco esteso.”
“Relativamente,” fece eco Molly. Lo
guardò vacuamente. “Cosa intendi per relativamente?”
John evitò il suo sguardo, trovando più
facile osservarsi le scarpe che proseguire. Si massaggiò il collo. Lei lo conosceva
abbastanza da considerarlo un cattivo segno.
“La deflagrazione è avvenuta nella tua
camera da letto, rendendo pressoché inattuabile l’identificazione del corpo.”
Era stato Sherlock a parlare e a lui e
non ad altri, lei indirizzò uno sguardo disorientato. Un pensiero tremendo, orribile,
le sfrecciò nella mente, improvviso come uno sparo. “Credevate che fossi io,”
comprese, attonita. “Di chiunque sia il corpo che avete trovato… credevate che
fossi io,” ripeté.
Sherlock non batté ciglio. “Indossava i
tuoi vestiti. Inoltre aveva questo.” Prese dalla tasca un medaglione. Il suo medaglione. Glielo porse. Era
annerito e le due facce puzzavano di bruciato, le incisioni nel metallo rese
irriconoscibili.
“Oh,” fece Molly, prendendolo. Tornò a
guardarlo. “Quindi tu hai pensato…” Si voltò verso John e Greg. “Tutti voi
avete pensato che fossi…”
“Morta,” concluse Greg brusco, la
mandibola contratta. “Sì. Il pensiero mi ha attraversato un paio di volte.”
Molly chiuse gli occhi, serrando la
mano con forza. “Mi dispiace,” disse un secondo più tardi, riaprendoli. Li
aveva lucidi per quelle stupide lacrime che non avrebbe voluto mostrare e che
lo stesso una parte di lei non poteva non essere felice di mostrare. Perché erano la prova che era viva.
“Sul serio, mi dispiace. Io –” si coprì
la bocca.
“Vieni qui.” Meena scansò malamente
Sherlock (in un’altra occasione l’aria da virtù oltraggiata di lui le avrebbe
strappato una risata) e la confortò con un abbraccio da orso del suo repertorio.
Le accarezzò i capelli, sussurrandole che andava tutto bene. “Butta fuori,
Molly, da brava.” La sentì dire e poi aggiungere, inviperita: “Uomini. Vi sembra questo il modo di informare
qualcuno che uno psicopatico ha piazzato una bomba nel suo appartamento?”
Molly avrebbe voluto spiegare che non
era il motivo per cui stava piangendo. La frenò la consapevolezza di non dover essere
un bello spettacolo e la vergogna per essere scoppiata a piangere in quel modo.
“Non è per quello che sta piangendo,”
intervenne inaspettatamente Sherlock.
La testa di Meena scattò verso di lui, come un toro che studi l'avversario prima di ricaricare. “Ah, no?”
“No,” replicò Sherlock, suonando
infastidito e annoiato in egual misura. “Si sente in colpa perché sa cosa significhi per gli altri: essere
convinti che una persona cara sia morta e poi scoprire che non lo era; e
l’ultima cosa che desiderava era che una circostanza del genere si verificasse
di nuovo. Si sente in colpa perché si è resa conto che dimenticare il cellulare
sia stata un’imprudenza e nutre sentimenti di rimorso anche nei miei confronti,
in quanto è supportata dalla convinzione, del tutto erronea dovrebbe essere superfluo
che io aggiunga, che l’intera faccenda abbia ridestato ricordi sgraditi. È amareggiata
perché immagina che l’esplosione abbia distrutto oggetti familiari a cui è
affezionata e ovviamente sì, è anche spaventata, nonostante si rifiuti di
ammetterlo.”
“Crede onestamente di conoscere Molly
meglio di me?”
“Onestamente, sì. Credo di conoscerla
meglio di chiunque altro. Compresa lei, signorina Saini.”
“Wow.” Questo era John. Molly si accorse, nel
silenzio greve che seguì quella dichiarazione, di essere arrossita.
“Cosa?” lo sollecitò Sherlock,
annoiato.
“Quello che hai detto suonava… uhm, piuttosto
ambiguo, amico.”
“Ambiguo. In che modo potrebbe suonare
ambiguo – ma certo. Capisco. Tuttavia no. Sebbene tra me e Molly siano sempre
intercorsi buoni rapporti, la nostra relazione interpersonale si basa sulla
reciproca fiducia e sulla base di passioni condivise, impegni sociali e professionali.
Non è mai sfociata in atti di natura sessuale.”
“Gesù, Sherlock!” sbottò Lestrade. “Non
puoi andare in giro a dire certe cose, non così, non in pubblico o al di fuori
della tua testa contorta.”
“Non bene, John?”
“No, Sherlock. E con questo temo che
possiamo dire addio alla possibilità di rivedere il viso di Molly entro tempi
brevi.”
“Molly è una donna adulta e vaccinata.
Inoltre è un dottore. Mi auguro che sia a conoscenza del fatto che nella piramide
di Maslow l’intimità sessuale sia identificata come un bisogno di appartenenza.”
“Ti ricordo che lo sono anch’io.”
“Molly, saresti così gentile da rassicurare
John che le mie dichiarazioni non ti abbiano procurato imbarazzo?”
Molly si strofinò gli occhi. “Non mi
hai messo in imbarazzo,” dichiarò, riemergendo dalla spalla di Meena.
Sherlock reagì con un’aria trionfante.
“Con tutto il rispetto per Molly,
questo non toglie che tu abbia messo a disagio il resto di noi,” ribatté John.
“Oh, per l’amor del – ”
“Lo ritenete appropriato? Parlare di
questo? Adesso?” intervenne Meena. Né
la direzione degli eventi né quella presa dalla conversazione sembravano averla
sconvolta, il che, in tutta franchezza, non era affatto una sorpresa per Molly.
Era sua amica da una vita e sapeva che esistesse davvero poco in grado di
farlo. A quanto pareva neppure una bomba rientrava nell’utopia del genere. “Non
che la cosa non sia divertente. Siete davvero uno spasso, ragazzi, ma inizio a
sentirmi osservata.”
Era vero. Parecchie persone cominciavano
a prestar loro attenzione, lanciando di quando in quando occhiate incuriosite nella
loro direzione.
“Andiamo,” disse Sherlock imperiosamente.
Quattro paia d’occhi, Molly inclusa, lo
fissarono come se improvvisamente gli fosse spuntata una seconda testa sul
collo.
“Devo seguire voi stramboidi?” Meena fu
la prima a riaversi. Fece una smorfia contrariata. “Senza offesa, Molly, ma hai
sempre avuto un pessimo gusto in fatto di amici. Tranne me. Io sono l’eccezione
che conferma la regola.”
“Molly verrà con noi a Baker Street,”
le comunicò Sherlock, pronto a riprendere in mano le redini e condurre il
gioco, impartendo ordini, “mentre per quanto riguarda lei, signorina Saini, l’Ispettore
Lestrade provvederà ad accompagnarla a casa, dopodiché sarà libera di ubriacarsi
com’è stata sua intenzione fare per gran parte della serata.”
“Di sicuro da quella in cui sei
comparso tu, tesoro.” Meena gli strizzò l’occhio, quindi si girò verso di lei
con un’espressione di assoluto concerno, le sopracciglia leggermente aggrottate.
“Chiamami per qualsiasi cosa, intesi? Qualsiasi.
Anche se si tratta di sfogarti per l’universalmente nota idiozia maschile. Mi troverei
una più che compiacente ascoltatrice.”
Molly
promise che lo avrebbe fatto.
Meena
annuì con approvazione e poi si avviò a passo di marcia verso l’uscita.
Dopo
aver salutato John e Sherlock con un cenno e lei con una stretta rassicurante
sul braccio, Greg le fu affianco.
“Sa,
Ispettore, ho sempre desiderato un poliziotto per amico. Da ragazza mi avrebbe
fatto assolutamente comodo. Nell’eventualità, da oggi in poi posso sentirmi
libera di contattare lei?” domandò Meena, seria.
Prima
che girassero l’angolo, Molly vide che Greg le riservava un’occhiata perplessa.
Rise
(istericamente, se ne rese conto), ma rise.
Sherlock strinse gli occhi,
osservandola con severità dall’alto della sua statura svettante. Sul serio, Molly? – pareva riprenderla. Il
tuo è un comportamento del tutto fuori luogo.
Un tempo, un tempo diverso e
decisamente lontano, Molly si sarebbe rimpicciolita sotto il peso di quello
sguardo che sondava e calibrava al dettaglio i pensieri, ma oggi non più. Sospirò.
Scoprì che le tremavano le mani e in fretta le infilò nelle tasche del
cappotto, sperando che gli fosse sfuggito. Speranza vana, trattandosi di
Sherlock.
La richiamò in tono basso e pressante e Molly rialzò il viso verso di lui.
“Ho
bisogno che tu ti fidi di me, Molly. Puoi farlo?”
Certo. Certo che poteva. Per qualche
ragione, però, non riusciva a parlare.
“È in stato di shock,” si frappose
John.
Sherlock sbuffò, alzò gli occhi al
soffitto. Puoi
dire qualcosa che non sia ovvio? Curvò leggermente il busto in avanti e le sistemò
le mani ai lati della testa, gli occhi assicurati ai suoi, ad un palmo di naso.
“Ascolta la mia voce. Isola i pensieri e concentrati sulla mia voce.”
John parlò della possibilità di farla sdraiare
nella posizione di Trendelenburg.
“Ridicolo. Non è in shock osmotico. È
solo confusa.”
Sì e non ne aveva forse ogni sacrosanto diritto?
Uno psicopatico aveva fatto saltare in aria il suo appartamento, con il chiaro scopo
di mandare un messaggio. Se
davvero volessi, lei sarebbe già morta.
Molly si morse il labbro inferiore. “È
stato lui, vero? Moriarty.”
“Sì.”
Sherlock non lasciò andare la presa. Si
limitò a scrutarla. Poi, con deliberata lentezza, si allungò per darle un bacio
sulla guancia.
"Grazie." Molly chiuse gli occhi. “Per la
sincerità.”
“È stato un piacere.” Sherlock sollevò un angolo di bocca nella miniatura di un sorriso.
“So che muori dalla voglia di chiedere come abbia fatto a trovarti.”
Molly non negò. “E io so che tu muori
dalla voglia di rendermi partecipe.” Raddrizzò le spalle con un gesto risoluto,
ricacciando il freddo e i sentimenti contrastanti che provava ad un luogo e un
tempo imprecisi nel futuro. “Scommetto che si tratta di un racconto avvincente.”
Sherlock annuì, assorto. “John deve
avere già una o due idee per il suo blog.”
John sbuffò sentitamente.