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Autore: Abbey_00    05/06/2014    3 recensioni
Ti è mai capitato di rispondere d'impulso 'bene' alla domanda 'come stai?' senza nemmeno averci riflettuto? Questo a Faith succedeva spesso,
----- Tratto dalla storia-----
"Smettila di comportarti così!" le urlò il biondo.
"Così come?" Gridò di rimando Faith.
"Come se niente potesse ferirti."
I due stettero in silenzio. Due occhi di ghiaccio si scontravano con due occhi color oceano e Faith non voleva assolutamente che, quel caldo colore, riuscisse a sciogliere l'ice-berg che l'aveva salvata.
Lei si era rifugiata su quel blocco di ghiaccio per non annegare nel dolore.
Una domanda, però, la uccideva da giorni: e se ora, il suo ice-berg fosse diventato Luke?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Quel silenzio era vuoto. 


FAITH
Quella mattinata era stata particolarmente straziante. Con la voglia di alzarsi pari a zero si era costretta a uscire dal suo rifugio caldo e protettivo per ritrovarsi in un bagno freddo alle 7.00 di mattina. Come sempre si era messa eyeliner, matita e mascara ma, quel giorno, sembrava aver fatto un patto con il diavolo, poiché starnutì nell’esatto momento in cui si passava le spatole ricoperte di nero nelle ciglia lunghe, con il risultato di diventare un panda. Erano le 7.15 e non aveva tempo per ritruccarsi da capo.
Bene.
Oggi sarebbe andata a scuola solo con un po’ di mascara a contornarle quelle iridi celesti e, questa cosa, la odiava.
Si pettinò velocemente i capelli biondi e corse in camera sua alla ricerca di un paio di jeans. Ovviamente sua zia non aveva ancora fatto il bucato e, la ragazza, non ci aveva minimamente pensato a occuparsene lei.
Si costrinse a infilare un paio di leggings neri e una felpa della blu sbiadito.
Si scaraventò al piano di sotto, rischiando di scivolare un paio di volte, e afferrò il suo zaino. Calzò velocemente le sue Nike bianche e uscì senza degnare alcuno sguardo alla zia.
Imprecò quando si accorse di aver dimenticato le cuffie dentro casa, ma ormai era troppo tardi e, con tutte le forze che le rimanevano, obbligò le sue gambe a camminare verso la scuola.

Erano le 7.50 quando arrivò davanti a quella struttura orripilante, con il fiatone per la veloce camminata. Prese tra le mani l’orario delle lezioni dato che ancora non se le ricordava. La prima ora aveva scienze. Le balenò subito in testa il ricordo di una potenziale interrogazione da quella strega della professoressa e non le andava proprio di prendere un due.
Rimise il foglietto nello zaino ed entrò dentro la scuola.
Girovagò lungo i corridoi affollati da studenti diretti in classe, svoltò a destra un paio di volte fino a ritrovarsi nel bagno delle ragazze. Senza indugiare aprì la porta verde e aspettò il suono della campanella.
Quando, finalmente, le lezioni furono annunciate, uscì in punta di piedi.
Percorreva quegli androni pieni di armadietti come se fosse un ladro. Girava qualche angolo mentre i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra assicurandosi che non ci fosse nessuno. Fece un’altra decina di passi e si ritrovò davanti a quella porta, con quel cartello rosso con su scritto “NON ENTRARE” che lei amava.
Faith era sempre stata una ragazza solare, divertente, che faceva amicizia con chiunque. Questo fino a tre mesi fa. Ora, non lo decifrava più nemmeno lei il suo comportamento. Sapeva solo che, da quando aveva iniziato la scuola lì, non le andava proprio di avere amici, perciò, saltava spesso le lezioni, per evitare qualche sguardo che giudicava solamente.
Spinse la porta e salì quelle scalette familiari. Svoltò a destra ed ecco la ‘sua’ terrazza. Beh, era più o meno sua, lì non ci andava quasi nessuno a parte lei e quel biondino dagli occhi dannati. Per sua fortuna era deserta e si avvicinò alla ringhiera.
Era da molto che non fumava, così non si lasciò perdere quell’occasione.
Aspirò il fumo dal filtro della sigaretta e lo trattenne nei polmoni. Chiuse gli occhi e ripensò alla decisione che aveva preso. Era la cosa giusta da fare, per Michael e per Luke. Più loro si affezionavano a lei e più lei li avrebbe uccisi.
Buttò fuori il fumo rimanendo fermamente convinta che l’avrebbe fatto: non c’era altra scelta.
Sobbalzò quando un corpo le si posizionò accanto. Si girò di scatto incrociando quell’oceano in tempesta. 
Doveva mettere in atto la sua decisione e quello era il momento adatto. In fondo, quel giorno, aveva preso una brutta piega già dalla mattina e, sembrava che Luke fosse stato mandato proprio per testare la sua determinazione.
Quella ragazza non aveva già sofferto abbastanza?
Ciò nonostante rimase fermamente convinta su cosa avrebbe dovuto fare.
Continuò a fumare la sua sigaretta ignorando completamente lo sguardo di Luke addosso.
Stettero in silenzio per molto tempo, lui che scrutava ogni suo minimo movimento e lei che continuava a guardare un punto fisso nel vuoto che le stava davanti. Quel silenzio non era imbarazzato, nemmeno carico di tensione o paura. Quel silenzio era vuoto, come gli occhi di Faith e il cuore di Luke.
La ragazza, gettò il mozzicone a terra e si diresse verso la panchina affacciata a un lato della terrazza. Avrebbe dovuto stare un ora lì, perciò si mise comoda. Tirò fuori dallo zaino un quaderno e una matita e, senza sapere cosa di preciso, incominciò a disegnare.
Passarono così svariati minuti, la matita scorreva sul foglio senza fermarsi e gli occhi della ragazza erano incendiati, come se su quel pezzo di carta stesse imprimendo il suo dolore, i suoi demoni.
“Sei brava.” un tono piatto e atono alle sue spalle la fece spegnere.
Lei l’ignorò guardando la sua creazione.
Non se n’era resa conto fino a quel momento.
Sul foglio troneggiava un mare, un mare in tempesta, con onde alte e pericolose. Un mare che si andava a schiantare contro un iceberg, corrodendolo lentamente.
Sospirò richiudendo il quaderno e rimettendolo al suo posto. 
Avrebbe fatto di tutto pur di costruire un muro attorno a se. La bolla in cui si era nascosa era stata troppo fragile, e infatti era scoppiata, facendo entrare miriadi di emozioni diverse che le si accavallavano nello stomaco a ogni tocco, ogni sguardo con quell’oceano.
Michael era entrato dentro quella bolla, ma l’aveva richiusa. Luke, invece, l’aveva scoppiata, facendo mancare l’aria a Faith, che aveva smesso di respirare.
“Mi dispiace per sabato sera.” soffiò lui sedendosi vicino a lei.
“Anche a me.” rispose.
Con la coda dell’occhio notò Luke esitare. Il tono della ragazza era stato talmente spento che tutti si sarebbero chiesti se fosse stata davvero lei a parlare o un robot.
“Io, ehm, non volevo… ecco…”
“Lo so, nessuno dei due voleva.” lo interruppe lei.
Il biondo si strinse nelle spalle, inconsapevole che, quella, sarebbe stata la loro ultima conversazione, per molto tempo.


MICHAEL
Era già la Vigilia di Natale ma, a Michael, non cambiava assolutamente niente. Era la solita giornata, senza, però, vedere tutte quelle teste di cazzo dei suoi compagni di scuola.
Come sempre avrebbe raggiunto Lucy, l’avrebbe salutata con un cenno del capo e, dopo essersi rifornito di schifezze varie, sarebbe tornato in camera sua.
Questo Natale, però, era diverso.
Se ne stava sul letto con gli occhi chiusi, sperando che tutto finisse.
Erano passati due mesi dall’ultima volta che aveva parlato con Faith.
Due mesi da quando aveva visto quegli occhi color ghiaccio diventare più vuoti che mai.
Forse era meglio così. Lui l’avrebbe fatta solo soffrire, non l’avrebbe potuta aiutare, l’avrebbe tenuta chiusa dentro quella bolla di apatia, e se n’era accorto molto tempo fa: quella ragazza non poteva continuare a soffrire.
All’inizio si sfogavano, ma non gli faceva stare meglio. I loro demoni continuavano a rimbalzare dentro le pareti di quella sfera d’apatia e questo, a loro, non cambiava niente. Anzi, ognuno subiva un attacco dai demoni dell’altro, provocandosi solo più ferite.
Ma, loro, non meritavano di stare bene. Giusto?
Di questo, Michael, ne era convinto.
Le sue intenzioni non erano quelle di salvare Faith, voleva solo qualcuno con cui parlare, per convincersi che, in fondo, non era poi così solo. Ma ogni giorno che passava, scoprendo ogni cosa di quella ragazza, si accorgeva che lei non meritava di fare quella fine.
Michael si era accorto dagli sguardi di Faith e Luke, che si cercavano, che si aggrappavano come se fossero stati due ancore di salvezza. Quei due avevano bisogno di salvarsi a vicenda.
Qualcosa, però, cambiò.
Gli occhi di Faith non trasmettevano più quella speranza che luccicava quando incontrava quelli di Luke, le sue labbra non si incurvavano più, nemmeno con un sorriso falso. Le maniche dei maglioni non venivano mai tirate su e i bracciali aumentavano.
Strinse gli occhi. Troppi pensieri confusi gli stavano pulsando in testa, non poteva continuare così. Non riusciva a capire il suo rapporto con quella ragazza.
Si passò una mano tra i capelli biondi. Sorrise.
Il giorno in cui Faith aveva notato la sua nuova tinta non aveva smesso un secondo di scompigliare la sua povera chioma.
Gli mancava terribilmente.
Se avesse permesso a Luke di salvarla dall’inizio, forse lei, ora sarebbe stata felice.
Con un mal di testa che gli distruggeva le tempie, si costrinse a raggiungere Lucy in salotto.
“Michael, è arrivata questa per te” disse la donna porgendo una lettera al ragazzo.
“Cosa è?” chiese impassibile.
“Una lettera, è di…”
“Ho capito” la interruppe lui.
Afferrò quel pezzo di carta bruscamente e se ne tornò in camera.
Incominciò a osservarla attentamente. Con due dita passò sull’apertura di essa e l’aprì, facendone uscire un foglio macchiato da dell’inchiostro. Una scritta sbilenca era impressa tra quelle righe.

                                                           

                                                                                             23 Dicembre 2012.                  

Caro Michael,
se stai leggendo questa lettera vuol dire che è già la Vigilia di Natale e tu avrai compiuto da poco più di un mese 18 anni. Ricordo ancora le tue adorabili guance rosse, i pochi capelli sulla testa e quei due occhioni che mi guardavano appena uscito dalla mia pancia. Sei una delle cose più belle che mi sia capitata e non posso nemmeno credere a quello che sto per fare, ma tu non eri solo mio, eri anche di papà e da quando lui non c’è più, io…



Michael gettò la lettera a terra. Si rifiutò di andare avanti.
Strinse i denti e senza pensarci due volte si diresse verso il portone di casa Clifford, o per quello che rimaneva di quel nome e salì in macchina.
Sfrecciava tra le strade di Sydney e in 10 minuti era arrivato in quel bar in fondo ai vicoli, quello nascosto nella penombra, la vera casa di Michael.





Scusate, davvero, per il ritardo ma, oltre ad avere avuto un blocco, ho anche avuto problemi di connessione e non ho potuto collegarmi prima.
Questo ‘capitolo’, che non si può definire tale, è abbastanza corto ma è di passaggio. Nel prossimo si scopriranno parecchie cose.
Non so cosa dire, a parte che, qualcosa, ha fatto cambiare idea a Faith e nel prossimo capirete. La lettera che ha ricevuto Michael è un frammento del suo passato che presto verrà svelato. Concludo qui le mie note finali, ringraziando tutti quelli che leggono, recensiscono, seguono e mettono tra i preferiti questa storia.
Ci sentiamo domenica, spero, e recensite!
Un bacio:*


 
  
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