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Autore: StandAboveTheCrowd    06/06/2014    2 recensioni
Due neolaureate due anni a Chicago per un concorso. Non sanno che le aspettano incontri fuori dal comune, disastri, equivoci e fiumi di annacquato caffè americano.
(Scritta a quattro mani con Jump And Touch The Sky)
Genere: Comico, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la prima fanfiction di due povere liceali in crisi da compiti, dalla molto compromessa salute mentale.

Ci piace fantasticare su cosa accadrebbe se incontrassimo i nostri idoli… e se questi fossero comuni mortali.

Speriamo che il nostro esordio qui non sia disastroso come i vari avvenimenti di cui leggerete tra qualche riga.

Enjoy!

Ary e Vale
 

Dopo l’interminabile traversata atlantica e innumerevoli scali, Arianna e Valentina erano distrutte. Strisciarono fuori dall’aeroporto trascinandosi dietro i bagagli, alla disperata ricerca di un taxi. Quando finalmente ne ebbero trovato uno disposto a fermarsi -evidentemente tutti gli altri conducenti preferivano stare alla larga da quei due personaggi che parevano usciti direttamente da un horror di serie B- e furono riuscite a caricare i cospicui bagagli di Arianna e la valigia di Valentina, impiegarono circa venti minuti per far capire al tassista (messicano) dove avrebbe dovuto portarle, dopodiché si sorbettarono mezz’ora di mariachi sgolati e il tremendo odore dei tacos che il conducente stava sgranocchiando allegramente. 

Quando finalmente raggiunsero l’albergo, Valentina tentò di comunicare in un inglese decente col receptionist, che si spaventò appena vide Arianna sbucare con aria inquietante da dietro le sue spalle. Probabilmente non aveva mai visto un essere con una tale massa di capelli schiacciati e il mascara tanto colato. Porse con mani tremanti le chiavi della stanza. Arianna si limitava a scrutarlo impassibile, Valentina buttò là a mezza bocca un grazie e le due si ritirarono nella loro stanza. La stanza trecentonovantaquattro.

Ovviamente, l’ascensore era fuori uso, e il malcapitato facchino che si era dovuto caricare quella montagna di bagagli mandava mentalmente macumbe ad Arianna. 

Valentina pensò che forse avrebbe dovuto regalarle una borsa senza fondo alla Hermione Granger o alla Mary Poppins, un giorno. 

Una volta entrate, Arianna si buttò a pesce sul letto, allargando le braccia. Il facchino scaricò con tutta la grazia possibile i bagagli davanti alla porta e se ne andò, maledicendo anche Valentina, dalla quale probabilmente si aspettava una mancia.

-Ariaannaaaaaa…

-Mmmmh.

-Chi va per prima in bagno?

-Mmmmh.

-…io?

-Mmmmh.

E Valentina si avviò verso il bagno. Quando uscì, Arianna si trovava nello stesso, penoso stato in cui l’aveva lasciata. Rendendosi conto che era il suo turno, senza avvalersi dell’uso delle gambe, quest’ultima rotolò giù dal letto e strisciò fino al bagno. 

Come abbia fatto a farsi la doccia è ancora un mistero, ma nel momento in cui la porta del bagno si aprì, una nuvola di vapore profumato aggredì i capelli di Valentina, che era troppo stanca per difenderli. 

 Il trucco colato era sparito e i suoi capelli erano di nuovo ricci e definiti, così Arianna cominciò a saltellare per la stanza, gongolando.

 - So di cioccolato!

- Ma tu non eri quella che venti minuti fa sembrava una del cast de “L’alba dei morti viventi?” 

- Taci, il cioccolato fa miracoli e finalmente non puzzo più di tacos.

- Si ma la tua amata nuvoletta di vapore mi ha trasformato la testa in un ginepraio.

- Attacca la piastra, ci penso io. 

Arianna aveva uno sguardo vagamente malefico e Valentina sapeva di non doversi fidare, ma non aveva scelta.

 

-Ahia! Mi hai bruciato un orecchio!

- Se tu stessi ferma invece di cercare di guardare fuori dalla finestra…

- Sono solo curiosa, ok?

- Di cosa?

-Quel tipo (o forse tipa?) ha i capelli lunghissimi! Ha anche lo shatush! Porta addirittura il maglione con il caldo che fa!

- Sì, sì, adesso vieni qui.- disse Arianna tirando Valentina per la maglietta.

- No, seriamente, è appena uscito dal nostro hotel insieme ad altri due.

- Fighi? 

- Sei sempre la solita. Che ne so io?! Qualcuno non me li ha fatti vedere bene.

Arianna alzò gli occhi e continuò a torturare i poveri capelli di Valentina, la quale si era ormai rassegnata ad avere le orecchie come due peperoni. 

-Rimaniamo in stanza o usciamo?- chiese Arianna, quando ebbe decespugliato i capelli dell’amica.

- Boh… che ore sono?

- Le 10… magari possiamo fare un giro e prenderci un caffè.

- Qui il caffè fa schifo e lo sai.

- Sì, ma ho bisogno di darmi una svegliata, forza mettiti le scarpe e usciamo. 

Valentina sbuffò, lanciando un'occhiataccia alla compagna. La odiava quando aveva quegli attacchi di iperattività. 
-Smaltiamo il jetlag con un caffè annacquato, allora- sospirò, afferrando la giacca.
Arianna le trotterellò dietro con aria allegra e lievemente spiritata. 
-Sembri posseduta.
-Però so di cioccolato. E tu invece sembri Tutankhamon. 
Arianna corredò la sua brillante frecciatina con un sorriso da Stregatto che rischiò di far cadere le braccia a Valentina. 
Il receptionist perse altri dieci anni di vita quando si vide passare davanti saltellando la stessa persona che poco prima l'aveva guardato con la stessa faccia di una morta.
Lo Starbuck's non era lontano dall'hotel, fortunatamente. Mentre entrava, Arianna vide un tizio, avvolto in una felpona grigio topo di due taglie minimo troppo grande per lui, che se ne stava appoggiato a un muro lì di fianco, un bicchiere in mano e la testa sprofondata nel cappuccio della felpa.
-Oh poverino. È un barbone...
Valentina lanciò un'occhiatina al tizio. 
-Ce ne sono tanti...
Ma Arianna voleva a tutti i costi dargli delle monetine. 
-Dagli due dollari, che le monetine non valgono niente, qui!
Suggerì Valentina, ma ormai Arianna era partita. 
Si avvicinò rapida al barbone e gli lasciò cadere una manciata di monete nel bicchiere... Che era pieno di caffè.
Il tizio alzò gli occhi sulla squinternata che gli aveva appena rovinato il caffè e adesso lo fissava bianca come un fantasma, ad occhi sgranati.
-Ehm... Sorry?- pigolò, sfoggiando un sorriso patetico.
Valentina non aveva capito esattamente cosa fosse successo, ma si rese conto che la sua amica ne aveva combinata un'altra delle sue appena la vide raggiungerla col tizio/barbone e QUEL sorriso. 
-Ehm, Vale, lui è Jake- disse, in inglese.
-...e non è un barbone.- aggiunse, sottovoce, in italiano.
-Ah. Piacere, Jake, io sono Valentina... E sospetto che ti dobbiamo un caffè.

Si accomodarono ad un tavolo e Arianna andò a prendere i caffè. Valentina era troppo stanca per sentirsi a disagio per la presenza del non-barbone Jake e soprattutto per tentare di spiccicare qualche parola comprensibile in inglese. Si stava esibendo in uno sbadiglio degno di un ippopotamo a lezione di greco, quando Jake-il-non-barbone si tolse il cappuccio, rivelando un sorriso a dir poco celestiale, nonché una dentatura perfetta. 
Valentina lasciò a metà lo sbadiglio e lo fissò ad occhi sgranati.
Lui ridacchiò, ma lei riuscì solo a peggiorare la situazione balbettando un "s...sorry" con bellissima doppia r all'italiana, mandando a farsi friggere tutti gli anni che aveva passato a studiare inglese.
In quel momento Arianna tornò con i tre bicchieroni pieni di caffé all'acqua americano e, ovviamente, rischiò di rovesciarli in testa all'amica appena vide Jake. 
-Ommammasaura.
Commentò, poggiando i bicchieri sul tavolo e sedendosi senza staccare gli occhi dall'essere celestiale che aveva davanti.
Dal canto suo, Jake doveva essere abituato a scene simili, per cui non si scompose, ringraziò e iniziò a bere il suo caffè. 
-E così, voi sareste... Italiane?
Valentina ignorò completamente il caffè che aveva davanti e ripescò faticosamente dal beverone che le aveva sostituito il cervello qualche parola di decente lingua inglese.
-Italianissime. E costernate per averti scambiato per un mendicante.
A quelle parole, Arianna nascose la faccia nel bicchiere, paonazza.
-Non importa, è tutto okay. Come mai siete a Chicago?- chiese Jake, bevendo molto tranquillamente.
-Abbiamo vinto un concorso all'università e siamo capitate qui. Tu, invece? Che ci facevi qui fuori solo soletto?
Arianna lanciò a Valentina un'occhiata perplessa. Di solito non parlava MAI con gli sconosciuti. E nemmeno coi conosciuti. E soprattutto, non in quel modo.
I suoi ormoni dovevano aver preso il controllo. Sì, era necessariamente così.
-Stavo meditando.- rispose Jake.
Arianna per poco non si strozzò col caffè.
-Ehi! Anche io medito spesso!- fece una stranamente loquace Valentina.
"Dev'essere il jetlag. O una variante." 
Pensò, rendendosi conto di non essere lei.
-Sto cercando un lavoro, ma non mi sento tagliato per qualcosa in particolare- proseguì Jake.
-...un tipo così deve avere taaante potenzialità- osservò Arianna, fortunatamente in italiano.
-Che? 
-Niente, ha detto che prima o poi lo troverai di sicuro.- rispose Valentina, mollando un pizzicotto all'amica, che saltò su con un "Ahia!" che fece voltare quasi tutti gli altri clienti.
-Ehm. Bene, dicevamo?- Arianna si sedette con tutta la calma possibile e appoggiò la testa a una mano, rendendosi conto di odorare di cioccolato, per cui cominciò a sniffarsi il più discretamente possibile.
-Anche noi due dovremo trovarci un lavoro, quando torneremo in Italia- disse Valentina, bevendo un sorso di caffè. -Bleah- aggiunse, subito, scostando il bicchiere con espressione orripilata.
-Da voi il caffè non è così?- chiese Jake, che invece sembrava adorare il suo bibitone americano.
-Da noi? Così? Oh, please, da noi il caffè è caf-fè- rispose Arianna, tornando immediatamente a sniffarsi il braccio.
-Dovreste farmelo assaggiare, una volta- sorrise Jake.
-Contaci. Comunque, si sta facendo tardi... Il mio fuso orario è ancora sfasato (e lo sarà finché non torno in Italia, probabilmente)... Propongo di tornarcene a casa.
Arianna guardò delusa Valentina.
Ma come? Aveva già represso gli ormoni ed era tornata la solita bacchettona? Era come se le fosse apparsa in fronte una scritta lampeggiante: FINE DEI GIOCHI.
-Ma...
-Niente ma, il caro Jake ci lascerà il suo numero di telefono, giusto? Dovremo pur metterci d'accordo per il caffè italiano...
La scritta luminosa si fulminò di colpo sfrigolando.
Jake annuì entusiasta. Ci teneva davvero tanto a conoscere il caffè italiano.
 -Ovviamente. E visto che ci siamo... che ne dite di andare a visitare la città, prima di pranzo? 
Arianna smise di sniffarsi. 
-Intendi, con te come guida?- chiese, con gli occhi che le brillavano.
Sui suoi ormoni il jetlag non aveva alcun effetto.
-C’è da fidarsi?- fece Valentina, passando di nuovo al ruolo di guastafeste professionista. 
L’amica la guardò malissimo. O la stava prendendo in giro, il che era probabile, oppure aveva una doppia personalità, il che era ancora più probabile. Una cosa era certa: la traversata oceanica aveva strani effetti sul suo umore e sulla sua personalità. 
Jake alzò le spalle.
-Ah, dipende da voi.
Valentina non rispose, rimirandosi le unghie ostentando interesse. Facevano veramente schifo. Necessitava di una lima, subito.
-Be’...
Arianna decise di prendere in mano la situazione. 
-Certo che sì! Andiamo dove vuoi, forza.
Valentina tentò di non scomporsi, ma stava maledicendo Arianna con tutto il cuore.
-...benissimo. 
Arianna e Jake le lanciarono contemporaneamente sguardi di sfida. Sfida che lei, ovviamente, raccolse subito. 
-Che stiamo aspettando? Andiamo sì o no?- sbuffò, alzandosi e uscendo dal locale.
Arianna scoppiò a ridere. 
-Lunatica, la tua amica.- osservò Jake, alzandosi a sua volta.
-Non quanto me, fidati.

La macchina di Jake era esattamente la macchina che ci si aspetterebbe da un ragazzo americano disoccupato. Una monovolume nera col paraurti ammaccato e la carrozzeria graffiata da un lato.
-Che macchinone.- osservò Valentina, in italiano.
-Va be’, dai... la macchina non fa il barbone.- replicò Arianna, con un sorrisetto.
-...d’improvviso ho sentito una sventata di aria gelida. Strano, perché c’è il sole...
-Gne gne gne, che senso dell’umorismo.
Jake, nel frattempo, aveva aperto la macchina con un calcio e un’imprecazione.
-Prego, signorine, la limousine è a vostra disposizione- disse, aprendo la portiera anteriore.
Valentina fece per salire sul sedile posteriore, ma Arianna la invitò gentilmente ad accomodarsi davanti. 
-Com’è questa generosità...?- fece Valentina, sospettosa. Normalmente, l’amica avrebbe fatto di tutto per sedersi accanto al belloccio di turno. Il fatto che avesse lasciato a lei l’onore indicava qualche macchinazione segreta e potenzialmente pericolosa.
-Suvvia, lo so che soffri di mal d’auto. Non fare quella faccia e sali in macchina!- esclamò Arianna, quasi spingendola sul sedile.
Valentina sbuffò e salì, ignorando il sorrisetto divertito dello squattrinato -e affascinante- ragazzo americano che le stava tenendo aperto lo sportello.

Chicago era veramente favolosa.
Grattacieli a perdita d’occhio, una quantità pazzesca di macchine e persone di ogni tipo.
-Com’è vivere in una città così grande?- domandò Valentina, per contrastare l’effetto soporifero che la macchina (specialmente dopo l’interminabile viaggio per arrivare in America) aveva su di lei. Non importava se a meno di venti centimetri da lei c’era una delle creature più belle che avesse mai visto.
Mentre la creatura in questione rispondeva, lei spostò lo sguardo sullo specchietto retrovisore, distrattamente, e si accorse di avere dietro un’Arianna semplicemente terrificante.
-Arianna!- esclamò, sobbalzando. Jake smise di parlare, guardandola interrogativo, mentre Arianna mise su la faccia più innocente e smarrita che conosceva.
-Che cosa c’è?! 
-T...tu... lo stavi fissando con quella faccia!
-Ma cosa dici... stavo solo ammirando le bellezze degli USA.
-Scusate- interruppe Jake, che si sentiva escluso dalla conversazione in italiano: -ma non capisco proprio cosa state dicendo.
-Stiamo dicendo che quel grattacielo è bellissimo!- mentì spudoratamente Arianna, con un sorriso innocentissimo: -Vero, Vale?
Dal canto suo, Valentina aveva troppo sonno per mettersi a discutere in inglese.
-Mmmh.- bofonchiò, appoggiando la testa al sedile con una specie di grugnito di disappunto.
Come volevasi dimostrare, e come probabilmente era nelle intenzioni di Arianna, due secondi dopo, la sua amica stava dormendo beata, farfugliando strane cose in una lingua sconosciuta.

Dopo circa due ore di gita in macchina, durante le quali né Arianna, né Valentina avevano prestato alcuna attenzione alla città, lo stomaco di Arianna cominciò a brontolare.
Jake si fermò accanto a una pizzeria. Credendo che Valentina fosse sveglia, decise di dar prova della sua galanteria aprendole lo sportello, al quale lei però si era appoggiata per dormire. In quel momento si sentì solo Arianna ridere. 

Valentina non si svegliò in tempo per impedire la catastrofe; poté solo cadere come un sacco di patate addosso a Jake, il quale fece del suo meglio per evitarle un incontro ravvicinato del terzo tipo col marciapiede. Quindi la riacchiappò per le spalle con tutta la delicatezza di cui fu capace. E così Valentina si ritrovò per metà tra le braccia del suo salvatore dalla felpona grigia e per metà dentro la sua macchina scassata, con la faccia allibita e il cervello praticamente in pappa per lo shock. Dal canto suo, Arianna se la rideva della grossa, tenendosi la pancia, con le lacrime agli occhi, comodamente sbracata (e al sicuro) sul sedile posteriore della macchina. 

- Tutto bene?- fece Jake, quasi più shoccato della fanciulla che si era appena visto piombare sopra.

-Bene? Io?- farfugliò quest’ultima, tentando di tirare fuori la parte inferiore del suo corpo da quella stramaledetta macchina, senza fare altri danni. 

- Dillo che non aspettavi altro!- fece Arianna, interrompendo per un istante la sua carinissima risata.

- Certo- replicò Valentina - Non vedevo l’ora di sfracellarmi su un marciapiede americano, tra l’altro interrompendo il mio pisolino molto meritato.

- Tecnicamente ti ho salvato. - precisò Jake, che non aveva la minima idea di cosa fare in quel momento, ma ci teneva a sottolineare il suo ruolo di eroe. Valentina tirò fuori una gamba dalla macchina. 

- Tecnicamente mi hai aperto lo sportello facendomi cadere e, soprattutto, svegliandomi.

Quando finalmente riuscì a rimettere in piedi quell’acidona di un’italiana, Jake sospirò di sollievo.

- Spero che la tua amica non soffochi a forza di ridere.

Valentina guardò Arianna con aria seriamente omicida.
 -Per lei, io spero di sì.
A pranzo Arianna si abbuffò come se non ci fosse un domani, mentre lo stomaco dell’amica, un po’ per il viaggio, un po’ perché il cibo faceva schifo, un po’ per il risentimento per la figuraccia di poco prima, si rifiutò di ricevere qualcosa. 

Finito il pranzo, Jake insistette per accompagnarle in hotel. Lungo la strada, il sonno frenò finalmente la lingua di Valentina, che di colpo parve scordarsi ogni singola parola di inglese che conosceva e andò in stand-by.

-Abiti molto lontano, Jake?- chiese Arianna.

-Sai com'è... Chicago è grande...

Appena arrivarono più o meno davanti all’ingresso dell’hotel, Valentina guardò distrattamente attraverso le vetrate della hall. Fu allora che vide i tre strani tizi che aveva visto dalla finestra quella mattina.

Il capellone col maglione, il tizio dalla folta barba e il basso con... gli occhiali da sole?! 

-Ehi, quello ha gli occhia...

Il rumore della fanciulla distratta che sbatteva contro un lampione risuonò per tutto il quartiere.

-Tutto bene?- chiesero Jake e Arianna, stereofonici. 

-S...se. A-ah. Yeah.

Valentina si strinse la testa con entrambe le mani e lasciò che fosse Arianna a salutare Jake.

Quando furono in camera, finalmente Arianna si lasciò andare a un tanto sospirato commento.

-Annacquato o no, quel caffè ci ha portato fortuna.

 

   
 
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