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Autore: Fragolina84    06/06/2014    1 recensioni
Sequel di "I belong to you"
"Non posso smettere di essere Iron Man perché il mio compito è proteggervi"
Il palladio gli sta avvelenando il sangue e l'America è di nuovo sotto attacco terroristico. Iron Man dovrà cercare la Chiave del Domani per salvare se stesso e le persone che ama.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tony avrà bisogno di un aiuto speciale dall'aldilà
per risolvere il proprio problema.
I dialoghi e le scene, li riconoscerete, sono quelli del film,
leggermente riadattati per incastrarsi con la mia trama.
Buona lettura!

 

Tony era nel seminterrato, seduto sulla sua poltrona con davanti a sé la cassetta di suo padre, aperta. Ne aveva sparso il contenuto per terra: c’erano ritagli di giornale, quaderni di dati scritti nella grafia regolare di suo padre, il progetto del reattore Arc così com’era nella sua versione normale e fotografie di Howard da solo nel momento del ritiro di un premio o con alcuni personaggi famosi.
Il cellulare di Tony squillò.
«È sua moglie, signore» disse Jarvis, passandogli la comunicazione.
La donna era partita quel mattino con il jet privato di Tony: a New York dovevano essere le otto di sera, quindi doveva essere in albergo. Già gli mancava: quasi stentava a credere di essere lo stesso uomo che al mattino non ricordava nemmeno il nome della donna che aveva portato nel suo letto.
«Ciao, dolcezza» disse cercando di dare alla voce un tono leggero, per mascherare la mancanza che sentiva di lei.
«Manchi anche a me, Tony» disse lei.
«Colpito e affondato!» replicò lui. «Com’è andato il volo?»
«Schifosamente comodo, come sempre» rispose lei. «Elizabeth ha dormito tutto il tempo. Mi sento troppo fortunata ad aver messo al mondo una creatura così tranquilla. Probabilmente quando crescerà ci farà impazzire con richieste di tatuaggi e piercing».
«Per la legge del contrappasso è il minimo che ci possiamo aspettare» disse Tony, rabbrividendo al pensiero di sua figlia quindicenne che usciva con qualche ragazzo.
«Come sta Coulson?» chiese Tony.
Dato che lui era costretto a restare a Malibu, Tony aveva preteso che a Victoria fosse assegnata una scorta da parte dello S.H.I.E.L.D., oltre a Gary e Brian. Gli agenti che Fury aveva assegnato alla donna erano tre, con a capo proprio Phil Coulson.
«Phil è dovuto rientrare per assumere un altro incarico. Mi è stata assegnata l’agente Romanoff».
Chiacchierarono per un bel po’, finché Elizabeth reclamò sua madre e dovettero salutarsi.
Tony sospirò e si rimise al lavoro. La cassetta di suo padre conteneva anche delle vecchie bobine marcate Kodak.
«Jay, abbiamo ancora il vecchio proiettore?»
«Sì, signore» replicò il suo maggiordomo virtuale, aprendo una porta di acciaio su un lato del laboratorio.
Tony entrò nel piccolo magazzino. «Il proiettore è sullo scaffale alla sua destra, signore. Scatola C12» indicò Jarvis e l’uomo vide la scatola contrassegnata. La prese e stava per uscire quando, nell’angolo più lontano del magazzino vide qualcosa di voluminoso ricoperto da un telo scuro.
Posò a terra il suo fardello e raggiunse il fondo. Sollevò il telo: sotto di esso c’era il plastico della “città del futuro”. L’aveva costruito suo padre ed era stato per anni nel suo ufficio alla Stark Industries. Quando Pepper aveva preso possesso del trono di Presidente, lui se l’era fatto mandare e l’aveva fatto mettere temporaneamente lì.
Qualcosa gli stuzzicò la mente, ma fu una scintilla talmente evanescente che non riuscì a coglierla. Rimise a posto il telo e uscì.
Una volta montato il proiettore e sistemata la bobina, Tony fece partire la registrazione. Apparve suo padre: erano i provini del filmato che aveva fatto proiettare all’inaugurazione della Expo. Suo padre stava provando il suo discorso davanti allo stesso plastico che ora, smontato, era riposto nel suo magazzino.
Spaparanzato sulla poltrona, Tony ascoltava con un orecchio mentre esaminava il resto del contenuto della cassetta. All’improvviso si sentì chiamare e alzò lo sguardo. Suo padre non stava parlando con lui o meglio stava parlando con un Tony Stark che doveva avere sette o otto anni e che, spuntato dietro il plastico, stava armeggiando con i pezzi dello stesso. La voce irata di suo padre lo sgridò finché qualcuno entrò nell’inquadratura e lo prese in braccio, portandolo via.
Tony si sollevò, gettando nella cassetta il quaderno che stava esaminando. Bevve un sorso di coca ghiacciata, chiedendosi se Fury non gli avesse fornito quella cassetta solo per liberare un angolo del magazzino dello S.H.I.E.L.D.
Ma poi si sentì chiamare di nuovo. Stavolta il tono di suo padre era diverso, più personale.
«Tony, ora sei troppo piccolo perché tu possa capire, così ho pensato di lasciarti questo film». Ecco lì ciò che cercava: suo padre stava parlando direttamente a lui, come non aveva mai fatto quando era in vita.
«L’ho costruita per te» disse, indicando il plastico alle sue spalle. «E un giorno ti renderai conto che rappresenta molto più che una semplice invenzione. Rappresenta tutta la mia vita. Questa è la chiave del futuro». A quelle parole qualcosa gli solleticò di nuovo la mente, ma suo padre proseguì.
«Io sono limitato dalla tecnologia dei miei tempi. Ma un giorno tu risolverai questo rompicapo. E quando lo farai… potrai cambiare il mondo».
C’era una ferrea convinzione nelle parole di suo padre. Era sempre stato molto più avanti dei suoi tempi, una mente visionaria che aveva saputo attuare molti progetti che chiunque aveva ritenuto impossibili per l’epoca.
La telecamera strinse sul viso baffuto di suo padre. «Quello che ora è e resterà sempre la mia più grande creazione… sei tu».
Tony sentì gli occhi pizzicare per la commozione. Quell’uomo divergeva dall’immagine che lui ricordava di suo padre, l’uomo freddo e duro che lo sgridava se lo trovava a leggere i fumetti invece di qualche libro “impegnato” o che non comprendeva che lui volesse giocare con i suoi coetanei invece che stare in laboratorio a costruire cose e fare esperimenti.
Quella rivelazione lo colpì più di quanto fosse disposto ad ammettere. Forse l’immagine di suo padre si era distorta negli anni e non era vera. Forse il vero Howard Stark era quello del filmato, quello che parlava con dolcezza di quanto fosse fiero di suo figlio.
Aveva vissuto troppe emozioni in una sola giornata e si sentiva stanco e spossato. Decise di andare a letto. Avrebbe ripreso le sue ricerche il mattino seguente.
La camera gli sembrava troppo vuota senza Victoria, ma la stanchezza ebbe il sopravvento e si addormentò. Sognò di essere nella “città del futuro” di suo padre. Si trovava sotto l’Unisfera e la osservava. Di colpo si ritrovò bambino e suo padre fu al suo fianco.
 «La chiave del futuro è qui» disse. «E un giorno tu risolverai questo rompicapo».
Tony si svegliò di soprassalto. Nel sogno suo padre non aveva usato le stesse parole del video. Non aveva detto questa è la chiave del futuro bensì la chiave del futuro è qui e lui sapeva a cosa si riferiva.
Corse nel seminterrato, ordinando a Jarvis di aprire di nuovo il magazzino. Tolse il telo che copriva il plastico smontato e appoggiato alla parete e la vide. C’era una targhetta dorata con stampigliate le stesse identiche parole di suo padre: la chiave del futuro è qui.
Erano le tre del mattino e ci vollero due ore per montare il plastico ma finalmente Tony ce l’aveva davanti. Si chinò su di esso, soffiando via lo strato di polvere che si era accumulato.
«Jarvis, ho bisogno di un reticolato digitale. Per favore, puoi farmi uno stampo in vacuform?» chiese.
Jarvis cominciò a scansionare il plastico riproducendone virtualmente ogni particolare. Tony attese che finisse.
«Scansione modello Stark Expo 1974 completato, signore» annunciò Jarvis. L’uomo tese le mani e sollevò il modello tridimensionale, rappresentato in linee virtuali azzurre. Si voltò e lo spinse davanti a sé. La scansione digitale rimase a fluttuare a mezz’aria.
«Quanti edifici ci sono?»
«Devo includere anche i chioschi di waffles belgi?» chiese Jarvis con la solita pedanteria.
«Era retorico» borbottò Tony. «Mostrameli» ordinò poi. Jarvis fece quanto richiesto.
Tony osservava il plastico digitale. Poi schioccò le dita, facendolo ruotare. Mentre l’uomo prendeva una sedia girevole e vi si accomodava, Jarvis mise il plastico in verticale. L’Unisfera centrale era al livello dei suoi occhi.
«Che cosa ti sembra quello, Jarvis?» domandò, proseguendo poi senza attendere risposta. «Non dissimile da un atomo. In tal caso il nucleo sarebbe qui» disse, toccando l’Unisfera virtuale. Il punto in cui il suo dito entrò in contatto con l’ologramma prodotto da Jarvis si illuminò.
«Evidenzia l’Unisfera» ordinò e quella specie di mappamondo – che era stato replicato fedelmente anche nella nuova Expo a New York – si illuminò del tutto. Tony fece un movimento con le dita, come a volerlo cerchiare. Il computer replicò i suoi movimenti e quando Tony allargò le mani, anche la sfera si ingrandì.
Tony rimase ad osservarla, la testa piegata da un lato. La soluzione era così vicina.
«Elimina i passaggi» disse a Jarvis. «Falli sparire» aggiunse e con un movimento della mano fece scomparire le strade e i sentieri della “città del futuro”.
«Cosa vuole ottenere, signore?» domandò Jarvis.
«Sto scoprendo… ah, mi correggo: sto riscoprendo un nuovo elemento, credo» replicò Tony, sollevando una mano a stuzzicarsi la barba, come faceva sempre quando rifletteva su qualcosa.
«Via l’architettura del paesaggio» continuò. «Cespugli, alberi, parcheggi, uscite, entrate» elencò, mentre ad ogni gesto delle sue dita il particolare nominato spariva dall’ologramma. Ora, attorno all’Unisfera, erano rimasti solo gli edifici principali.
Strinse gli occhi. «Struttura i protoni e i neutroni, utilizzando come intelaiatura i padiglioni» comandò e, mentre Jarvis eseguiva, ingrandì di nuovo la sfera, facendola ruotare. Jarvis stava elaborando quelle informazioni e Tony si scostò un poco, passandosi una mano sul viso. Non sapeva bene dove l’avrebbe portato ciò che stava facendo, ma lì c’era qualcosa, qualcosa che suo padre aveva lasciato per lui.
Jarvis concluse il compito assegnato: ora il plastico virtuale non c’era più. Al suo posto c’era una grande palla che sembrava un’enorme molecola. Tony batté le mani e le allargò.
La sfera seguì i suoi movimenti e si espanse, inglobandolo all’interno. Eccola lì, la soluzione. Tony rimase a guardarsi intorno mentre quelle proiezioni giravano intorno a lui. Le parole di suo padre gli riecheggiarono in testa: un giorno tu risolverai questo rompicapo. E quando lo farai… potrai cambiare il mondo.
«Morto da quasi vent’anni» disse fra sé. «Mi porti ancora a scuola» ridacchiò, come se Howard potesse sentirlo.
Batté di nuovo le mani e le proiezioni si ridussero ad un’unica piccola molecola che lui tenne fra due dita.
«L’elemento proposto dovrebbe servire come effettuabile rimpiazzo per il palladio» intervenne Jarvis.
«Grazie, papà» mormorò, sentendolo vicino come mai prima di allora.
«Sfortunatamente è impossibile da sintetizzare» concluse Jarvis.
Tony ne prese atto con un mugugno. Ma impossibile non esisteva nel suo vocabolario. Se suo padre si era dato tanto da fare per fargli trovare la chiave del futuro, lui avrebbe portato a termine il suo lavoro. Aveva l’intelligenza e i mezzi per farlo. E da quella piccola molecola luminosa che teneva fra le dita dipendeva la sua vita e la possibilità di tornare a godere di sua moglie e sua figlia.
Prese la sua decisione e si alzò. Doveva fare alcune telefonate, procurarsi del materiale e già mentre formulava quei pensieri il suo cervello era al lavoro e stilava liste di cose da fare e piani d’azione per raggiungere l’obiettivo.
«Preparati ad un super rinnovamento. Torniamo alla modalità hardware».
I vecchi metodi erano sempre i migliori.
 
Quando Coulson entrò a Villa Stark, pensò di aver sbagliato casa. Solo che quella era l’unica villa sulla scogliera, l’unica servita da un maggiordomo virtuale, l’unica e sola casa di Tony Stark.
L’ingresso sembrava essere stato messo a soqquadro da un terremoto, con il magnifico pavimento in marmo completamente distrutto. Phil si avvicinò, calpestando cautamente pezzi di pietra e marmo: sembrava che qualcuno avesse usato un martello pneumatico in salotto, portando alla luce una centralina da cui ora partivano grossi cavi neri che si snodavano per tutta la casa.
I suoi uomini l’avevano avvertito delle “cose da fuori di testa”, così le avevano definite, che stava facendo Stark, ma non pensava che fosse arrivato a tanto.
Scese le scale che portavano al piano di sotto, quasi timoroso di ciò che avrebbe potuto trovare. La scansione delle sue impronte gli aprì la porta del laboratorio.
C’erano grandi casse di legno con il logo dell’azienda di Stark sparse ovunque e i due bracci robotici di Tony vi giravano intorno, quasi dotati di intelligenza propria. Un grosso tubo, sospeso a circa un metro da terra, percorreva tutta la stanza, formando un cerchio. Su uno dei lati era incassato nel muro, che era stato spaccato senza troppe cerimonie, forse con un maglio.
Coulson riconobbe in quella struttura un acceleratore di particelle, anche se si chiedeva come mai Tony Stark avesse sentito l’impellente bisogno di costruirne uno in casa sua – devastando, tra l’altro, quella meraviglia di casa.
Tony, vestito in jeans e maglietta neri, stava armeggiando in fondo alla stanza.
«Il suo incarico non era quello di proteggere mia moglie?» disse, quando lo sentì entrare.
«È tutto sotto controllo: c’è l’agente Romanoff con lei» rispose Coulson. «So che ha oltrepassato il perimetro» aggiunse poi.
Tony, che aveva in mano una livella, non alzò nemmeno la testa da ciò che stava facendo.
«Ah sì, è stato almeno tre secoli fa, lei dov’era?»
Da quell’esperimento dipendeva la sua vita e Tony non aveva voluto affidarsi ai ragazzi delle Stark Industries: era andato personalmente a recuperare la maggior parte dei materiali.
«Ho avuto da fare» commentò Coulson, facendo finta di non notare la nota di sarcasmo nella voce di Tony.
«Ah, sì? Beh, anch’io e ha funzionato».
Coulson avanzò nella stanza e l’occhio gli cadde dentro una delle casse. Qualcosa attirò immediatamente la sua attenzione.
«Ehi, io gioco per la squadra di casa, Coulson» disse Tony, posando la livella e chiedendosi come mai non riuscisse a mettere in orizzontale quel maledetto tubo. «Per lei e per tutti i suoi favolosi fricchettoni. Ora, mi lascia lavorare o mi rompe le palle?»
Coulson si raddrizzò con un oggetto tra le mani. L’aveva riconosciuto immediatamente: era lo scudo di un eroe leggendario, Captain America. O meglio, e se ne accorse quando lo prese in mano, era il supporto che probabilmente era servito a verniciare lo scudo originale.
«Che ci fa questo, qui?» chiese e Tony, che era voltato e stava togliendo da un sacchetto una grossa flangia, si voltò lentamente.
«Eccolo» disse, come se Coulson tenesse tra le mani il Graal. «Me lo porti» aggiunse poi, facendo cenno all’agente di avvicinarsi.
«Lei sa cos’è?» chiese, porgendoglielo.
«Mi serve per far funzionare quest’affare» disse e Coulson si chiese a che cosa potesse servire lo scudo di Captain America in un generatore di particelle.
«Alzi un po’» disse Tony e Coulson capì che si riferiva al tubo che stava fra loro. Si chinò e lo circondò con le braccia.
«Su» ordinò Tony. «Leva sulle ginocchia».
Phil sollevò il pesante tubo mentre Tony inseriva lo scudo tra quello e il supporto che lo sosteneva.
«Lasci» ordinò alla fine, girandosi per prendere la livella e posandola sul tubo.
«Perfettamente livellata» approvò infine. Poi alzò gli occhi: «Sono occupato, che vuole?»
«Niente. Addio» replicò Coulson con la stessa freddezza. «Sono stato riassegnato. Il direttore Fury mi vuole nel New Mexico».
«Fantastico» commentò Tony. «Terra d’incanto»
«È quello che mi dicono»
Tony non ci mise molto a capire che Coulson non sarebbe andato in New Mexico ad indagare sull’incidente di Roswell.
«Roba segreta» insinuò Tony.
«Qualcosa del genere» confermò l’altro con un mezzo sorriso. «Buona fortuna» concluse, tendendo la mano al di sopra dell’installazione dell’acceleratore.
«Addio» replicò Tony, stringendogli la mano che Coulson trattenne un po’ più del necessario.
«Ci è utile» disse.
«Sì» confermò Tony, «più di quanto crede».
«Non così tanto» frenò Coulson, allontanandosi per andarsene.
Tony rimase a guardarlo andare via; poi si dedicò al proprio lavoro. Era pomeriggio inoltrato quando finalmente l’acceleratore fu pronto.
Ok, Stark. Vediamo se sei davvero un genio come dicono.
Infilò un paio di occhiali protettivi e sistemò il prisma che sarebbe servito da catalizzatore nel proprio supporto, posando lì accanto una grossa chiave inglese. Accese il generatore supplementare che avrebbe dato energia all’apparecchio e, mentre le particelle, sotto forma di raggio luminoso, iniziavano a vorticare nel tubo, si tolse la maglietta. Fra poco avrebbe fatto molto caldo lì sotto.
«Avviamento acceleratore prismatico» annunciò Jarvis.
Il fascio luminoso era già velocissimo e Tony lasciò cadere la maglietta sul pavimento e afferrò la manopola che gli sarebbe servita per dirigere il flusso di energia sul supporto che aveva preparato sul tavolo da lavoro.
«Conseguimento massima energia» asserì Jarvis, mentre tutto il tubo veniva squassato dalla potente energia che esso stesso stava generando.
Aiutandosi con la chiave inglese, Tony iniziò a far ruotare il prisma che improvvisamente sparò la propria energia fuori dal tubo.
«Ops» borbottò Tony, mentre il potente raggio laser tagliava ogni cosa sul proprio cammino.
Con lentezza, l’uomo spostò il raggio, finché non riuscì a dirigerlo sul supporto triangolare. Lo tenne fermo in quella posizione, mentre il raggio di energia lo fece diventare luminoso in modo accecante.
Prima che esplodesse, Tony spense il generatore il cui sibilo si arrestò immediatamente.
«Era facile» disse a se stesso, chinandosi a passare sotto il tubo. Si avvicinò al tavolo su cui il nuovo elemento continuava a brillare e gettò sul piano di lavoro gli occhiali protettivi. Con una pinzetta prelevò l’elemento con estrema delicatezza.
«Congratulazioni, signore. Ha creato un nuovo elemento» annunciò Jarvis.
Tony rimase per un momento ad osservare quel punto di luce pura; poi lo adagiò nella sede di un nuovo reattore Arc che aveva creato appositamente. Il minireattore si richiuse e inizio subito a brillare.
«Signore, il reattore ha accettato il nucleo modificato. Eseguirò test diagnostici» affermò Jarvis.
  
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