È notte fonda.
Le palpebre sembrano volersi abbassare da un momento all'altro, ma la mia testa urla, mentre io mi cullo, e dolcemente dondolo davanti al fuoco, sul punto di spegnersi.
Ho le braccia dolenti perché strette in una morsa pungente intorno alle ginocchia -e fa male, ma è l'unico modo che conosco per calmarmi, perché sono sola, dannatamente sola.
La notte però spesso lui arriva. Spinge con delicatezza l'anta della porta ed entra lì dove nessuno osa avvicinarsi; si stampa sul volto un sorriso e si accovaccia dinnanzi a me, con i capelli biondi spettinati e le labbra secche, che sembrano pregare per un altro bacio, e un altro ancora.
Ma io no.
Lo desidero ardentemente, ma sono qui, ferma e paralizzata dal terrore. Di cosa, non lo so.
Ma le sere passano, il fuoco si attenua all'una in punto e lui arriva, piano piano, accanto a me: mi stringe fra le sue forti braccia, mentre io imparo ad
amare di nuovo quel dolce profumo di pane.
Lo riconosco fra mille, e lo sento mio, mio soltanto.
Ho imparato che la paura uccide.
Ci rapisce lenta, in un circolo vizioso di pause e paranoie.
Ho imparato che la paura domina.
Distrugge la mia fortezza, la saccheggia e mi denuda.
Ho imparato che la paura esaspera. Scioglie ogni speranza, ogni nodo, ogni ancora.
Ma -col tempo- ho imparato anche che il suo cuore culla, riscalda; accende ogni scintilla oramai spenta del fuoco del camino, anche dopo l'una. Mi nutre di speranza grazie ai suoi abbracci, e so per certo che posso vivere solo di quelli.
Ma poi arriva un'altra notte, più piccola, più stretta.
Le distanze si accorciano, i cuori si uniscono, e il suo fuoco brucia ogni paura, alimentando la speranza di un nuovo giorno con la sola potenza di un bacio-