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Autore: Rosalie97    08/06/2014    6 recensioni
Cosa avrebbe detto Mike se l'avesse vista? Zoey era sicura che l'avrebbe odiata, guardata per sempre con disprezzo. Ma ora Mike non c'era più, ed a lei non restava che il suo peggior nemico.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Gwen, Heather, Mal, Zoey
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Gwen e Duncan riuscirono a trovare, con un po’ di fortuna, un rifugio dove passare la notte che ormai era alle porte. Il vento freddo non smetteva di soffiare, anzi, si faceva sempre più forte, rendeva loro difficile continuare a camminare, facevano un’immensa fatica a poggiare un piede dopo l’altro per non far finire lì, ad un passo dalla “vittoria”, la loro fuga. Fu per questo che quella casa fu per loro come una manna dal cielo.
La porta era chiusa a chiave, l’intonaco bianco cominciava a staccarsi dalle pareti e le finestre erano opache. Sembravano passati anni ed anni dall’inizio della tempesta, sembrava che ogni traccia di civiltà fosse scomparsa, morta per sempre, sembrava appartenere ad un mondo lontano, ad un ricordo che mai più avrebbe potuto vivere.
Corsero verso la loro meta, ancora stringendosi per mano. Gwen, avvolta nel giubbotto di Duncan cercava di coprire alla meglio il viso, gli occhiali di fortuna che avevano trovato posti a cavallo del naso per proteggere gli occhi feriti dalle sferzate di vento. Le sue mani erano fredde, congelate, tanto da sembrare quelle di un cadavere.
Duncan aveva freddo, molto freddo. Indossava solo una maglia a maniche corte, dei jeans neri quasi tutti strappati ed aveva il volto coperto con un foulard da donna a quadri rosso e nero.
Con la spranga che aveva trovato grazie ad un colpo di fortuna cominciò a colpire la maniglia. Tentò in tutti i modi, con crescente fretta. Non era sicuro per loro trovarsi lì fuori a quell’ora, anche se dopotutto, non era sicuro trovarsi fuori da un rifugio e basta. Stavano correndo un grande pericolo, se quegli scheletri mostruosi li avessero attaccati, loro si sarebbero trovati nei guai fino alla punta delle orecchie, o, nel suo caso, alla punta della sua cresta verde.
Dopo l’ennesimo tentativo, la maniglia finalmente si ruppe e la porta si aprì.
Dentro, la casa era buia ed immobile, come se non ci fosse stata nessuna tempesta, non ci fossero stati gli scheletri o il passare del tempo non esistesse. Il silenzio regnava incontrastato e Gwen dovette ammettere, tra sé, che la cosa era altamente inquietante.
<< Coraggio >> disse Duncan con voce ferma e sicura. Lui di coraggio non ne provava nemmeno un po’, in quel momento, avrebbe voluto trovarsi a casa sua e non a correre in giro per le strade deserte di Honolulu sotto ad un ciclone con i fiocchi, in un’apocalisse senza precedenti e con al fianco Gwen. Ma doveva essere forte per lei, doveva dimostrarle di credere, di essere convinto con tutto se stesso, che loro due avrebbero potuto farcela, insieme.
Indicò un grande armadio posto contro la parete a lato della porta d’ingresso.
<< Aiutami a spostarlo >> disse, e Gwen fece come detto, in silenzio. Dal momento in cui si erano visti costretti a scappare dal resort lei non aveva più parlato molto, non interrompeva il silenzio per dire le sue idee e contrastare quelle di Duncan. Semplicemente stava zitta e metteva in pratica gli ordini di lui.
Il ragazzo doveva ammetterlo, gli mancava la bellissima voce di lei, il tempo che passavano a “litigare” sui loro pensieri contrastanti o a discutere di film dell’orrore.
Sistemarono il mobile davanti alla porta, ma Duncan non era convinto bastasse, gli scheletri avrebbero potuto buttarlo giù, e poiché la porta ora non si poteva più richiudere a chiave, aveva paura potessero avere problemi. Così spostò il divano, facendo un gran baccano: le rotelle del mobile strisciarono contro il pavimento di mattonelle. Il risultato fu un rumore inquietante che si disperse nel silenzio della casa.
Si guardarono attorno con terrore, ma poiché non successe niente distolsero l’attenzione.
<< Ora… >> cominciò a parlare, ma subito fu interrotto da un rumore di passi. Il ragazzo non attese un millisecondo, scattò pronto. Si pose davanti a Gwen, la spranga stretta nelle mani. Osservava le scale dall’altra parte della stanza, in ombra, con i suoi occhi azzurri e profondi. Scrutava nel buio con un’espressione pericolosa. Era pronto a tutto, a nessuno avrebbe permesso di far del male alla sua Gwen.
Quando la figura comparve Duncan alzò la spranga ancora di più, per poi fermarsi di colpo quando la luce illuminò il viso di ciò, o meglio di chi, era in piedi davanti a loro.
<< Ma cosa… >> cominciò il giovane, per poi bloccarsi di colpo.
<< Non ci credo! E tu come ci sei arrivato qui? >> intervenne Gwen. La voce della ragazza fu un suono celestiale per le orecchie di Duncan, che in quei giorni aveva sentito solo il rumore dei tuoni, l’avvicinarsi del pericolo ed i versi di quelle creature demoniache.
<< Voi piuttosto che ci fate qui!? >> intervenne invece l’altro, con voce piena d’incredulità ed un pizzico di rabbia. << Questo è il mio rifugio, l’ho trovato prima io, voi non potete stare qui! >>
<< Ceerto, come no >> replicò la voce sarcastica di Duncan. << E sarai tu ad impedircelo? Io ho una spranga se non te ne sei accorto, non avrei problemi a colpirti, considerando tutto ciò che ci hai fatto. Perciò, a meno che tu non abbia un fucile a canne mozze o una mitragliatrice, io non credo minimamente tu possa costringerci a lasciare questa casa. >>
L’uomo li guardò storto per qualche secondo, per poi sospirare rumorosamente. << In realtà ho un fucile di precisione, ma ho quasi finito le munizioni, e non credo lo userò per spararvi. Ci sono problemi più importanti che vengono prima di voi. >>
Duncan inarcò un sopracciglio e l’altro spalancò le braccia esasperato.
<< Al diavolo, fate come volete! >> Urlò per poi voltarsi e dirigersi verso le scale.
<< Ehi, c’è cibo qui? >> intervenne poi Gwen allungando il collo per vedere oltre Duncan.
<< Si, ma lo tengo di sopra, dove sono più al sicuro. >>
<< Possiamo averne un po’? Sono giorni che non mettiamo niente sotto i denti, se continuiamo per molto così non credo potremo farcela. >>
L’uomo sbuffò, guardandoli. Stava chiaramente ponderando la richiesta, i due ragazzi potevano udire, nel silenzio di quella casa, gli ingranaggi del suo cervello girare.
Li guardò con occhi impassibili, di un nero intenso simile a pece. << Si >> sospirò, << basta che non mi divorate l’intera scorta. Mi deve durare per almeno una settimana, cercate di darvi un contegno. >>
<< Ma certo! >> replicò subito Gwen correndo verso di lui. Si voltò verso Duncan, ancora immobile. << Ehi, che hai? >> gli chiese la ragazza, << Tu non vieni? >>
Lui si sentì stringere il cuore nell’udire la sua voce, nel guardare negli occhi di lei. Sembrava una bambina impaurita, tanto che temeva scoppiasse a piangere da un momento all’altro.
Scosse la testa. Si chiedeva come potesse mai fidarsi di quell’uomo dopo tutto ciò che avevano dovuto sopportare, creato dalla sua perversa e sadica mente, ma non le pose quella domanda. Si limitò ad annuire e a raggiungerla.
Salirono le scale uno dopo l’altro, e raggiunsero un terrazzo. Dava su una collina verde ed immensa.
<< Ma cos’è questo posto? >> esclamò Duncan.
<< Una specie di club, credo di golf ma non ne sono sicuro. L’ho trovato una decina di giorni fa, e da allora vivo qui. >>
Si sedettero a terra, in un angolo erano ammonticchiate delle borse bianche strapiene.
<< Volete un po’? >> l’uomo estrasse dalle borse delle barrette energetiche al cioccolato e riso soffiato e le offrì ai due giovani.
<< Si, grazie >> rispose subito Gwen afferrandone due. Guardò Duncan, che ancora non si fidava. Aveva un’espressione da cane bastonato dipinta sul volto, ma dopo che lei gli diede una debole spallata e gli sorrise, afferrò le due barrette rimanenti dalle mani dell’uomo.
Chris sorrise triste, abbassando lo sguardo a terra.
<< Chris? >> disse Gwen con voce gentile, e lui alzò gli occhi neri verso quelli di lei, neri anch’essi.
<< Si? >> sussurrò con voce flebile.
<< Cosa è successo? >> inclinò la testa di lato, guardandolo con un misto di compassione, tristezza e dolcezza.
Aveva capito. << Come lo hai capito? >> abbassò di nuovo il capo, fissando gli occhi a terra.
Lei non rispose, si limitò a dire, << Chris, cosa è successo a Chef? >>
L’uomo sospirò, alzando di colpo la testa e poggiandola all’indietro, sulle spalle. Agganciò le schegge d’ebano ch’aveva per occhi al cielo viola e livido e sospirò di nuovo, per l’ennesima volta.
Si lanciò nella descrizione di ciò che era successo a lui ed al suo amico in quelle ultime settimane.
Non ci poteva ancora credere.
<< Ci trovavamo in una villa, insieme a molti amici. Eravamo in vacanza, cioè, potevamo permettercelo… quando accadde… tutto questo. Inizialmente non capimmo cosa stava succedendo, lasciammo le finestre aperte, saltammo sotto alla pioggia… >> fece una pausa, voltando di lato il capo, mentre gli occhi diventavano luci e cominciavano a bruciargli. Il suo aspetto non era dei migliori, lo sapeva, eppure, per la prima volta non se ne preoccupava. La barba nera ed incolta poteva crescere quanto voleva, i suoi capelli potevano diventare lunghi… nulla più era importante. I soldi e la bellezza esteriore non avevano salvato il suo migliore amico. << Quando si fece pericoloso allora decidemmo di chiuderci in casa… ma… successe qualcosa di strano, di estremamente spaventoso. >> La sua voce era spezzata, balbettava, faceva fatica a trovare le parole. << Tutti i nostri amici, falsi amici, cominciarono a morire uno dopo l’altro e poi a risvegliarsi e cominciare a cacciarci. Io e Chef facemmo in tempo a scappare. Prendemmo quante più scorte di cibo potemmo e ci rifugiammo nella prima casa che trovammo. Ma non bastò. >>
Smise d’un tratto di parlare, e toccò a Gwen esortarlo.
<< E poi? >>
<< E poi lui si ammalò. La febbre cominciò a salire e a salire, il sangue pompava nelle vene e le gonfiava… I suoi reni smisero di funzionare, poi anche i polmoni… finché non fu troppo ed il suo corpo non resse più. L’ho seppellito, l’ho colpito in modo che non si trasformasse in uno di quegli esseri e… me ne sono andato. >> Abbassò il capo, << Dio solo sa quanto è stato difficile >> tirò su col naso e guardò Gwen, per poi portare gli occhi sulla distesa verde. Erano rossi e Chris sembrava pronto a scoppiare a piangere.
<< E voi? Come mai siete qui? >> chiese dopo un po’.
<< Eravamo in vacanza… Heather è insieme a Zoey, Mal, Dakota, Sam e Alejandro nella casa dei nonni di Zoey. Mentre Courtney è con Scott a casa nostra… >> abbassò il capo. << Spero stiano bene… Cameron è anche lui a Seattle, ma non so cosa sia successo loro. >>
<< Vedrai… vedrai che staranno bene >> annuì Chris, e Duncan cambiò idea su di lui. Il vecchio Chris non avrebbe mai pianto così davanti a qualcuno, se non ne avesse ricavato un profitto, e cosa mai potevano portargli loro due? Quello era un nuovo Chris, ed il ragazzo decise che poteva aiutarlo e fidarsi.
<< Staremo qui con te >> disse poi, e l’uomo lo guardò. << Ti aiuteremo, non sarai più solo >> e detto questo, la questione si chiuse.
 
Zoey aprì piano gli occhi, sbattendo le palpebre a fatica. Quanto tempo era passato? Quanto tempo aveva passato lì distesa su quel letto a non fare niente se non a disperarsi e a provare paura?
Mal le era stato sempre accanto, l’aveva aiutata, e lei lo amava. Solo che non glielo aveva ancora detto.
Nel buio sentì un respiro accanto a sé, un corpo disteso accanto a lei, e quando si mosse, la voce di lui interruppe il silenzio.
<< Sono io, tranquilla. >>
Zoey si tranquillizzò, << Ehi. >>
<< Ehi. >>
<< Quanto tempo… >>
<< Quanto tempo è passato da quando sei sclerata completamente e ti sei chiusa qui in camera? Almeno quattro giorni… >> sospirò. << Ma anche Heather è nelle tue stesse condizioni. >>
<< Heather? >> Domandò la ragazza con voce incredula. Come era possibile? Ora che era lucida poteva pensare, poteva eliminare la paura dal suo cuore, anche se non era facile dopo ciò che aveva visto.
<< Si >> rise piano il ragazzo. << Dovresti vederla, quasi è messa peggio di te, e che ce ne vuole eh… >> Fu interrotto dallo schiaffo con cui Zoey lo colpì alla spalla. Scoppiò a ridere e la ragazza lo guardò male, con gli occhi spalancati.
<< Odioso >> disse imbronciata.
<< Lo so >> rise ancora più forte.
Era quello il momento, lo sapeva. Così lo disse, senza tanti problemi, anche se il suo cuore batteva talmente forte che sarebbe potuto scoppiarle o uscirle dal petto. << Ti amo, Mal. >>
Il silenzio calò nella stanza quando lui interruppe di colpo la sua risata.
<< Zoey… >> disse piano.
<< Si? >>
<< Lo dici sul serio? >>
<< Perché mai dovrei mentire? >>
<< Non ne hai motivo >> rispose allora lui, per poi rimanere in silenzio. La ragazza cominciò a chiedersi se aveva commesso un errore, ma la linea dei suoi pensieri fu interrotta dalle parole di Mal. Erano piene di dolcezza, << Ti amo anche io, Zoey, e non mi sarò mai scusato abbastanza per ciò che ti ho costretta a sopportare dopo la morte di Mike. >>
Lei allora sorrise, << Tranquillo >> annuì piano tra sé. << Io ti amo per ciò che sei ed il passato è passato, soprattutto con tutto ciò che sta succedendo ultimamente a questo mondo. >>
<< Allora mi perdoni? >> la voce di Mal era piena d’insicurezza.
Lei sorrise di nuovo, << Ma Mal, io ti ho perdonato ormai da molto tempo. >>
  
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