Capitolo 2
La sveglia cominciò a fare il suo
lavoro e la macchina del caffè aveva
ormai creato ciò che permetteva di affrontare la giornata.
Sareeya
cominciò a svegliarsi, ma venne bloccata da un vassoio.
«Buongiorno,
Reeya.»
«'Giorn...
Wow, la colazione a letto?»
Andrew
le sorrise e si sedette sul bordo del letto. Lasciò vagare lo
sguardo sui capelli scompigliati della giovane e indugiò sull'anello
che
portava all'anulare sinistro. Un calore indescrivibile lo avvolse e lo
rese
euforico. «Sempre il meglio per la mia musona.»
Lei
gli fece la linguaccia e diede un morso a una brioche gigantesca. Si
portò la tazzina di caffè alle labbra, ma l'aroma forte del suo elisir
di
energia le fece venire una nausea senza precedenti.
«Tutto
bene?» Non riuscì a trattenere una risata di fronte alla sua
espressione schifata.
«Ridi,
ridi. Tu non sai cosa significa rinunciare alla mia unica fonte di
vita.» Gli porse la tazzina e affogò i suoi dispiaceri nella brioche.
La
sveglia disturbò il silenzio del mattino per la seconda volta, firmando
la sua condanna a morte. Sareeya prese il suo cuscino e lo lanciò sul
comodino,
ponendo fine a quel fracasso.
«Oggi
cosa dobbiamo fare?»
«Beh,
dobbiamo farti conoscere tuo figlio o figlia.»
«Ah,
sì. Allora dobbiamo... Aspetta un attimo. Cosa? Allora...» Non riuscì
a trattenersi. Si lanciò su di lei e l'abbracciò.
«Fai
piano! Altrimenti non lo conoscerai.»
«Ok.
Messaggio ricevuto.» Si staccò e sparì nell'armadio. Ne riapparve
qualche secondo dopo vestito di tutto punto.
La
giovane nascose un sorriso e si alzò. Si preparò anche lei e lasciarono
l'appartamento. Durante il viaggio parlarono del bambino in arrivo e
del
desiderio di Andrew che fosse un maschietto, nonostante amasse molto le
bambine. Sareeya lo ascoltava in silenzio e rispondeva solo quando lui
gliene
dava la possibilità.
«Quanto
sei loquace, Rew.»
«Scusa.
E' solo che... sono felice.»
«Si
vede.»
Rew
fermò la macchina nel parcheggio dell'ospedale e si fiondò ad aprire la
portiera alla sua futura moglie.
«Grazie,
tesoro.»
Le
prese la mano e si diressero verso l'entrata. Su di lui vennero puntati
tutti gli occhi delle infermiere e cominciò a sentirsi inadeguato.
Lei
vide il suo imbarazzo. «Non ti preoccupare. Conoscono la mia situazione
e non sono abituate a vedermi insieme a qualcuno. Soprattutto insieme a
qualcuno così romantico.» E mentre lo diceva, gli strinse di più la
mano.
Andrew
le posò un bacio sulla fronte e fece per sedersi, ma un'infermiera
li raggiunse. «Il dottore è pronto. Vi prego di seguirmi.»
I
due entrarono in una stanzetta che odorava di disinfettante. Un uomo
sulla cinquantina era appostato a una strana macchinetta e li guardava
sorridendo.
Sareeya
lo salutò e si preparò a stendersi sul lettino. Il dottore le
spalmò un gel ghiacciato sul ventre e cominciò a sondarle la pancia.
Sullo
schermo apparvero immagini incomprensibili ai due giovani.
«Allora,
ho una buona notizia e una cattiva.» L'uomo non staccò gli occhi
dallo schermo neanche per un secondo, un'espressione corrucciata in
viso.
«Quale volete sentire per prima?»
I
due si guardarono perplessi e preoccupati. «Quella cattiva, va.»
«Siete
sicuri? Io partirei dalla buona.» Le loro facce lo spronarono a
continuare e un sorriso gli illuminò il viso. «La buona è che questo
bell'imbusto qui è accontentato, la cattiva è che sono due.»
«Due?
Ma era uno lo scorso mese.»
«Alle
volte non si vedono subito.»
«Due!
Reeya, mi hai reso l'uomo più felice del mondo...!»
«Congratulazioni,
mamma e papà.» e posizionando l'ecografo in modo che si
vedessero le due figure, aggiunse: «Vi presento i vostri figli.»
Sareeya
non sapeva cosa dire. La sua mente era bianca come la tela di un
pittore e leggera come un palloncino. Non riusciva a capire se fosse
felice o
triste. Non sentiva nulla. Incontrò gli occhi verdi di Andrew e una
sensazione
dolcissima la avvolse con un'intensità tale da toglierle il fiato.
Incurante
della presenza del dottore, prese il suo fidanzato per la maglietta e
gli
stampò un bacio sulle labbra.
«Se
volete, posso uscire e lasciarvi soli.»
Si
staccarono e lanciarono un'occhiata all'uomo sorridente. Ricambiarono
il
sorriso e si strinsero la mano, felici.
Andrew
la aiutò a sistemarsi mentre il dottore stampava qualcosa.
«Ecco
a voi l'ecografia. Come potete vedere, si vedono entrambi.»
«Grazie.
Grazie mille.»
Detto
ciò, Sareeya riprese la mano del fidanzato, si diresse verso la porta,
ma il dottore la fermò. «Posso parlarti un attimo a quattr'occhi?»
«Certo.
Andrew, mi puoi aspettare fuori?»
Il
ragazzo annuì.
«Cosa
succede?»
«Volevo
solo sapere se tutto si è sistemato visto che c'è lui e ti vedo
felice.»
«Sì
sì, non si preoccupi. Ora posso dire che sia tutto a posto.»
«Ricordati
che lavorare troppo e non mangiare non fa bene e tu lo sai.»
«Sì.
Lo sa anche Andrew. Gli ho raccontato quello che stava per
succedere...»
Il
dottore sorrise. «Sono felice per voi.» Con questo l'accompagnò alla
porta e lei ricambiò il sorriso.
«Arrivederci,
dottore.» Raggiunse Andrew e si diressero verso l'uscita.
Poco prima di lasciare l'ospedale, un'infermiera li fermò tutta
trafelata.
«Un
momento, signorina Edwards.»
Sareeya
si voltò e riconobbe la donna che l'aveva soccorsa qualche settimana
prima. «Sì?»
Le
prese la mano e la guardò negli occhi. «Si ricordi quello che le ho
detto l'ultima volta. Lotti per quello in cui crede.»
La
giovane annuì e la salutò, trascinandosi dietro un Andrew perplesso.
«Cosa
significa?»
«Segreto.»
Si allacciò la cintura e si perse a osservare la città fuori dal
finestrino.
«Dove
vuoi andare a festeggiare?»
«Festeggiare?»
«Sì. Il fatto che sono due... e che ci sposeremo.»
«Quindi,
se dici così, vuoi invitare anche i nostri genitori?»
«I
miei no di sicuro.» Andrew scosse la testa energicamente.
«E
poi, pensavo a una cosa un po’ più intima.»
«Ah,
allora facciamo così: stasera cucino tutti i tuoi piatti preferiti e
una sera andiamo a festeggiare con tutti, ok?»
«Va
bene.»
«Mi
vuoi spiegare quella cosa?»
Scosse
la testa. «Non è nulla per il quale ti debba preoccupare.»
Rew
socchiuse gli occhi, combattuto. Non sapeva se insistere o aspettare
che fosse lei a dirgli tutto. La osservò per un secondo. La luce del
sole le
illuminava il viso e carezzava i suoi morbidi ricci castani. Aveva lo
sguardo
perso nel vuoto e la sua bellezza gli faceva battere il cuore.
Riportò
lo sguardo sulla strada. Aveva fatto la sua scelta. «Va bene.» Si
morse la lingua per impedire ad altre parole di uscire dalla sua bocca.
«Qual è
il prossimo impegno, signor comandante?»
Sareeya
gli sorrise riconoscente. «Farmacia.»
«Farmacia?
E perché mai?» Si fermò al semaforo e la guardò visibilmente
preoccupato. «C'è qualcosa che non va?»
«Nulla
di grave, tranquillo. È finita la scorta di cerotti e poi...»
«Poi...?»
«Beh,
questo lo scoprirai una volta lì.» Si girò verso di lui con un
sorriso da gatto.
Quella
fu la goccia che fece traboccare il vaso. Andrew accostò e si volse
con una faccia indescrivibile. «Ora però
basta. Sono troppi i segreti che si stanno accumulando.»
Il
sorriso di Reeya sparì. Il giovane si sentì in colpa per quello
scoppio,
ma non era riuscito a trattenersi. Aveva rischiato di perderla una
volta, non
voleva che succedesse di nuovo. Non l'avrebbe sopportato. Sì, ok, si
era
ripromesso di aspettare, ma non ce la faceva. Era più forte di lui.
Voleva
sapere cosa stava succedendo, anche a costo di rovinare l'atmosfera che
si era
creata tra di loro.
«Rew...»
«Reeya,
so di averti fatta soffrire così tanto da non meritare il tuo
perdono, ma credo di esser stato punito abbastanza, non credi?»
Lei
si morse un labbro e abbassò lo sguardo. Aveva ragione, davvero. Era
solo che... Non riusciva a dimenticare. Quello che era successo l'aveva
segnata
più di quanto avesse immaginato. Avrebbe dovuto metterci sopra una
pietra. Già.
Avrebbe dovuto. Il problema era che
non ci riusciva. Qualcosa, dentro di lei, la spingeva a essere così.
«È
quello che ti hanno detto i tuoi su Rosaleen, vero?»
Sareeya
alzò lo sguardo. Come pensava, sentire il suo nome le faceva ancora
male. Chiuse gli occhi.
«Reeya...»
La abbracciò dolcemente e rimase in attesa.
La
ragazza si abbandonò al calore che le infondeva il suo corpo. Non ci
voleva pensare, ma i ricordi ritornarono in superficie prepotenti.
Rammentava
ancora le parole di suo padre. Quanto dolore aveva provato nel
sentirle. Tutto
il mondo che conosceva non esisteva più. Anzi, non era mai esistito.
Dopo
un tempo simile a un'eternità, parlò. «È morta di cancro.» A quelle
parole, Rew la strinse più forte. «Aveva perso il bambino e... Non
voleva più
lottare. Era la sua unica speranza di vita, Andrew. Capisci? Non aveva
più
nessuno oltre a lui. L'unica cosa della quale mi pento è averla
abbandonata. È
anche colpa mia se ora non c'è più. Se solo...»
«Non
è colpa tua, piccola. Non potevi saperlo.»
Il
silenzio cadde nell'abitacolo della macchina. Un silenzio che nessuno
dei due aveva il coraggio di rompere.
Finalmente,
Sareeya buttò fuori tutto quello che aveva dentro. «Ti ho
lasciato anche per quello, Rew. Prima di dirle addio, le avevo promesso
di non
lasciarmi ferire da nessuno. Nemmeno da te. Mi dispiace.»
Si
staccò e la guardò negli occhi. Aveva tante di quelle cose da dirle, ma
una sola parola uscì dalla sua bocca. «Grazie.» Le posò un leggero
bacio sulle
labbra e mise in moto la macchina.
«Comunque,
non ti sentire in colpa, sei già stato perdonato.»
Rew
le prese la mano e le stampò un altro bacio nonostante gli occhi
fissassero la strada.
«Lo
sai che sei sempre più bella?»
«Grazie.
Lo stesso non si può dire di te.»
La
guardò con gli occhi di un cucciolo e lei si intenerì subito. «Sai che
scherzo, scemo!»
«Sì,
sì...»
«Dai,
non fare così.» e nel mentre lo abbracciò.
«Fai
piano! Sento la pancia premere su di me.»
«Ok,
ok, non faccio più nulla.»
«No,
continua, ma dobbiamo stare attenti.»
«Va
bene, paparino.» Lo strinse leggera e poi si staccò da lui. Mosse
qualche passo verso la macchina, ma un dolore improvviso le avvolse una
caviglia. Non ebbe neanche il tempo di accorgersi cosa stesse
succedendo che si
ritrovò per terra, di fronte l'insegna della farmacia.
Andrew
scattò e si chinò su di lei. «Stai bene?»
Sareeya
annuì e fece per alzarsi, ma il suo cuore smise di battere per
un'eternità. Tra le sue gambe una macchia di sangue stava diventando
sempre più
grande.