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Autore: BlueCandle    10/06/2014    4 recensioni
Persefone, unica figlia di Demetra. Persefone, e il suo destino. Il rapimento, il regno degli inferi. Ade.
Ma non solo.
Questa Persefone, la "mia" Persefone, non resterà una dolce, ingenua e innocente Kore per sempre, come lo resta invece la sua gemella antica di leggende e poemi. Qualcosa, alla fine, scatterà, come un processo di crescita.
Non c'è nulla di più potente di un piccolo cambiamento.
Qui vi propongo il mio, per la dolce Persefone.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***

La mano del Dio della Morte è morbida, leggera sulla mia pelle. 
D’un tratto si allontana da me, e solo allora mi ricordo di respirare.
“Vieni”.
Allunga il braccio verso di me, in offerta, e io poso la mia mano nella sua.
Non c’è quasi differenza nel colore della nostra pelle. Entrambi figli della luna, del suo riflesso sulla superficie nera del mare, la pelle di seta che sento sulla mano mentre Ade richiude piano il palmo e mi tira dolcemente a sé, portandomi nuovamente sotto la sua ala.

Il mio sguardo torna sulla sala, e i troni non ci sono più. 
Fiori secchi e ghirlande di erbe profumate ornano una tavola imbandita. Il dio della morte mi ci conduce, lascia la mia mano solo quando mi sono seduta,  nell’aria il profumo delle portate, del vino e delle decorazioni.  
Ade aggira la tavola, si muove fino a raggiungere il posto proprio di fronte al mio.
Quindi si siede, e nel momento in cui la sua posa diventa rilassata, nell’ampio salone inizia di nuovo a risuonare la musica, i flauti e le arpe che intonano una melodia lieve, serena, ma a momenti malinconica. 

Posso sentire il mio cuore. Batte a tempo, perché sta cantando. Il suono di una canzone melodiosa. 
E improvvisamente sento la mancanza dell’erba sotto i piedi, il respiro del sole sulla pelle. Il colore del cielo, il sapore del mondo, così da poco sfiorato e subito a me sottratto. La compagnia del vento - mie ali... persino le ninfe. 
Mia madre.
Ma poi incrocio lo sguardo di Ade, il suo sorriso lieve. Quasi sussurrato, un segreto tra me e lui.

Dimentico.

Il profumo è forte, buono. 
Ho fame. Non mangio da prima che le ninfe avessero acconsentito ad accompagnarmi sulla terra. 

Non mangerò.


So di non doverlo fare. 
È una regola semplice, che ogni bambino conosce; che ogni essere, umano o divino, sa di dover rispettare. 
Il cibo dei morti è la condanna dei vivi. Una volta posate le labbra su un frutto dell’aldilà, della terra nascosta, parte di me non sarà… più.
Resto in silenzio, ascolto la musica, il dolce cullare dei flauti che accompagna il flusso dei miei pensieri.
Ade continua a guardarmi. Sa che so di non dover mangiare. 
Eppure la tavola è imbandita, e le portate sembrano sempre più invitanti, sempre più profumate. 
Non sono mortale. 

Non mangerò.

Ma non ho mai sperimentato una fame così atroce. 
I demoni ballano, si muovono aggraziati nella sala.
I loro corpi sembrano quasi eterei, accompagnano la musica con movenze tanto lievi e delicate che non sembrano nemmeno esseri infernali.
Sono piume, trasportate dal vento, dalla brezza tiepida e fresca che solletica il volto nei giorni caldi d’estate.

“Persefone”. 
Ade mi sorride, e mi perdo ancora una volta.
Ma poi batto le palpebre, e vedo che con gli occhi mi sta indicando qualcosa.

Volto lo sguardo, e Thanatos è accanto a me, il busto leggermente piegato in avanti, la testa lievemente china. 
Lo guardo, i suoi lineamenti di giovane cacciatore, gli occhi di rubino che sondano discretamente la mia attenzione. 
Non mi muovo, aspetto che parli.
“Mia signora,” dice, la voce bassa, quasi un sussurro. “…vogliate gradire”. 
Un vassoio argenteo, sulla punta delle dita. 
Nel vassoio, un frutto rosso, dal profumo inebriante. 
È abbastanza vicino perché lo possa prendere. 
Ma abbastanza lontano perché debba allungare il braccio, la mano, per prenderlo. 
Thanatos resta immobile. 

Una scelta. La mia.

Mi volto verso Ade.
È sempre lì. Mi osserva, tranquillo. Il sorriso continua ad aleggiare sulle sue labbra. 


So di non dover mangiare. 

Non mangerò.

Ma è senza distogliere lo sguardo dal volto del Dio della Morte, che compio la mia scelta.
Allungo il braccio, le mie dita sfiorano la superficie del frutto, ruvida, ma liscia allo stesso tempo. Chiudo la mano sulla sfera rossa, e me la porto in grembo. Ora la tengo con entrambe le mani, ne saggio la forma, la consistenza tra le dita.
Con la coda dell’occhio vedo Ade fare un lieve cenno. Thanatos si inchina di nuovo, e arretra, fino a sparire tra le ombre.
Ma non bado allo scambio.
La mia attenzione, ora, è altrove.

La piccola sfera rossa nelle mie mani è leggera, ma porta con sé il profumo di un’intera stagione.
È… inebriante.

Fresco, e dolce, ma ho come la sensazione che se dovessi assaggiarlo, il sapore sarebbe anche aspro, inaspettato, sulla lingua.

Non mangerò.
 
  
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