Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Polla89    10/06/2014    6 recensioni
In un universo parallelo, esistono persone che NON vedono il mondo a colori, ma solo attraverso una scala di bianchi, neri e grigi.
Sherlock è una di queste.
Almeno fino al giorno in cui non accade qualcosa di inaspettato.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Non voglio tediarvi con inutili sproloqui, quindi ci tengo solo a ringraziare Caterina, mia amica da ormai tanti anni che continua a sostenermi in ogni cosa che faccio (e continuo a esserle grata per questo), e MelaChan, inaspettata amica di chiacchiere e deliri. :)
Il titolo, Unfinished Sympathy, è lo stesso della canzone dei Massive Attack che mi ha accompagnata nella stesura di questa "cosa" (e l'ha un po' influenzata). Il link è il seguente: https://www.youtube.com/watch?v=ZWmrfgj0MZI. Qualora vogliate ascoltarla...
Vi lascio alla lettura, ritornerò con le note alla fine della storia cosa... Insomma, di questo delirio.
:)
*spariscenelsuoangolinobuio*


 


Unfinished Sympathy




Mattino.

Un raggio di luce filtra attraverso la finestra, posandosi sulla pelle candida di Sherlock.
Quest’ultimo, malvolentieri, apre gli occhi a fatica.
Un’altra giornata all’insegna della noia si appresta a cominciare. 
Più precisamente, un’altra noiosa giornata incolore sta per cominciare.
Dalla cucina, sente provenire un debole rumore di passi. Probabilmente è John che sta preparando il tè per entrambi. Gli chiederà di accompagnarlo da Lestrade (se non arriva prima al 221/B) e sa già che, probabilmente, rifiuterà un paio di volte perché deve andare in ambulatorio. Ma sa anche che se prova a insistere un po’, gli dirà sicuramente di sì.
Si alza dal letto e si affaccia alla piccola finestra della sua stanza.
Lancia una rapida occhiata su Baker Street, per fare un controllo della reattività del suo Mind Palace. In pochi minuti, capisce da uno sguardo cosa nascondono tutti quegli individui che camminano dritti per la loro strada. 
Da qualche giorno, però, un pensiero lo deconcentra più del solito.
I colori.
Si chiede che colori ha il mondo. Sì, perché Sherlock è conscio del fatto che non può sapere cosa siano i colori. John, qualche volta, ha provato a spiegarglielo, ma con scarsi risultati. Avrebbe tanto voluto sapere che colore ha il sangue, e perché lo chiamano così. Inoltre, avrebbe voluto vedere di che colore sono i capelli di John, i suoi occhi, i maglioni improbabili che si ostina a indossare, il cielo, le strade, i fiori che colorano Londra in primavera e che lui, per uno strano scherzo del destino, vede solo come scale di bianchi, neri e grigi.
Si è sempre chiesto l’origine dei vari modi di dire come “rosso di sera, bel tempo si spera” o “essere verdi d’invidia”. Non riesce affatto a capire come un sentimento possa essere associato a un colore specifico.
Stringe forte gli occhi e cerca di allontanare quei pensieri dalla sua mente. Si volta verso il letto e si avvicina allo specchio, guardando la sua immagine riflessa.
Guarda i suoi riccioli ribelli e scuri, le iridi che sembrano dei pozzi di luce talmente chiari che quasi si confondono con le sclere, il corpo candido, segnato qua e là da quei puntini neri chiamati nei.
Chiude gli occhi, e prova a immaginare di che colore possano essere i suoi capelli e i suoi occhi. Ma nel vedere solo i soliti bianchi, neri e grigi grugnisce. Il pensiero di non riuscire a dare una definizione precisa di colore da inserire nel suo Mind Palace lo fa quasi impazzire.
Certo, ha letto le definizioni dai dizionari, ma non sa spiegarsele. 
Ed è frustrante.
«Sherlock, sei sveglio?»
Il detective, incantato di fronte alla sua immagine in bianco e nero riflessa nello specchio, non risponde alla domanda di John.
«Ho preparato il tè. Mrs. Hudson ha lasciato anche i suoi biscotti al burro!»
Risvegliandosi dai suoi pensieri, prende il lenzuolo dal letto e lo indossa come se fosse una tunica.
«Sherlock?»
Apre la porta della stanza e a passo svelto si dirige in cucina.
«Ha chiamato Lestrade. Sarà qui a momenti».
Non appena John entra nel suo campo visivo, gli vede fare una smorfia di disapprovazione.
«Sherlock, per l’amor del cielo! Quante volte ti ho detto che devi metterti dei vestiti addosso? Non puoi indossare un semplice lenzuolo, soprattutto se devi ricevere delle persone!»
Sherlock, con la sua espressione impassibile, prende la sua tazza di tè e si accoccola nella sua poltrona.
«Non credo sia così differente se indosso un lenzuolo, o una camicia, o un maglione con strani disegni come quelli che ti ostini a indossare tu», dice sorseggiando la sua bevanda preferita. «Per me sono tutti uguali: bianchi, neri o grigi».
John, sentendo nella voce di Sherlock una nota di esasperazione e frustrazione, decide di chiudere il discorso senza ribattere nulla.


~


Mentre sono sul taxi, Sherlock guarda attraverso il finestrino il paesaggio urbano scorrere davanti ai suoi occhi. Lestrade e John parlano del caso per cui New Scotland Yard si è rivolta (di nuovo) al consulente investigativo; quest’ultimo, però, continua a fissare il panorama al di fuori del finestrino. È stato costretto da John a vestirsi (ha abbinato per lui un vestito scuro e una camicia viola che, a quanto dice, sembrano fatti per essere indossati insieme; Sherlock nemmeno sa com’è fatto il viola) e ora si dirigono verso il St. Bart’s. Sherlock non proferisce parola per tutta la durata del viaggio, perso nel suo Mind Palace a riflettere.
Giunti a destinazione, Lestrade cerca di fare strada, superato in poco tempo da Sherlock, il quale è impaziente di entrare nell’obitorio e tenere occupato il suo cervello per un po’.
Una volta lì, avrebbe avuto del tempo per riflettere e per cominciare a unire tutti i tasselli del nuovo omicidio (che, ovviamente, non è un suicidio come pensa Lestrade), grazie all’aiuto di Molly per il riconoscimento dei colori.
Nell’obitorio, la patologa è già china sul cadavere, impegnata nell’autopsia.
«Che abbiamo qui? Scoperto qualcosa?»
Molly, impulsivamente, sbanda sul posto e si volta di scatto.
«Oh… Sherlock… io...»
Il detective la riporta bruscamente alla realtà.
«Non balbettare, Molly Hooper. Riesci a dire una frase di senso compiuto?»
La patologa, arrossendo appena, lo guarda negli occhi.
«No. Cioè, il 'no' era riferito alla domanda precedente, ovvero se ho scoperto qualcosa…» 
Sherlock alza gli occhi al cielo e sospira.
Ma Molly non si perde d’animo. Fa un bel respiro e cerca di parlare senza interrompersi. È la vicinanza di Sherlock a farle questo effetto.
«Come vedi, stavo continuando a fare l’autopsia; nel frattempo, ho mandato in laboratorio dei campioni per l’esame istologico».
Sherlock rimane impassibile.
«Bene», è tutto quello che ha da dire.
Molly, allora, gli sorride appena e torna a chinarsi sul cadavere per continuare il suo lavoro.
John, approfittando dell’attesa estenuante per conoscere i risultati dal laboratorio, porta con sè Greg per prendere un caffè; Sherlock, intanto, continua a fissare Molly.
Le sue mani, la sua precisione nel tagliare quella carne ormai senza vita, per trovare qualsiasi indizio che possa aiutarlo a confermare la sua ipotesi di omicidio.
Mentre la osserva, gli torna in mente il loro primo incontro.
Accadde molto tempo prima, quando lui cominciò ad aiutare Lestrade a risolvere i casi più ostici per New Scotland Yard.

«Sherlock, devo metterti al corrente di una novità».
Il detective, troppo impegnato a guardarsi intorno, sembrò non ascoltarlo.
Lestrade, però, non si fece intimidire.
«Oggi conoscerai il nuovo patologo».
Sherlock, alquanto disinteressato, a stento gli fece un verso.
«Si è trasferita un paio di settimane fa».
Il detective, improvvisamente, si bloccò senza voltarsi.
«Hai detto trasferita
«Ehm… sì. È una brava ragazza, un’ottima patologa e-»
«Dovrò lavorare a stretto contatto con una donna
Greg, sospirando, cercò di farlo ragionare.
«Oh, andiamo! Non avrai mica problemi a lavorare con una donna? È sicuramente una persona che fa il suo lavoro in modo ammirevole, non vedo qual è il problema. E poi tu piaci alle donne».
Sherlock, voltandosi di scatto, gli lanciò un’occhiata tagliente.
«Io non amo lavorare con le donne. Tendono facilmente a distrarsi».
Greg ridacchiò.
«Dovrai ricrederti», disse ancora sorridendo. Ma subito si ricompose e recuperò il tono serio.
«Ah, Sherlock… un favore: per l’amor di Dio, sii gentile con lei. O almeno provaci».
Poi, entrando nell’obitorio, la vide. 
Era una donna abbastanza buffa, impacciata, che nel vederlo rovesciò un’intera pila di cartelle cliniche, messe in ordine in maniera quasi maniacale.
«Oh, mi dispiace… Io…»
Sherlock alzò gli occhi al cielo, mormorando tra i denti.
«Santo cielo».
Molly sembrò non farci caso.
«Mi… Mi chiamo Molly. E tu devi essere il famoso Sherlock Holmes».
Il suo volto non lasciò trasparire alcuna emozione.
«Complimenti, Molly Hooper. È notevole che ricordi il mio nome. Non possiamo dire lo stesso per le tue capacità di linguaggio».
Molly, per niente offesa da quella frase, gli sorrise debolmente.

Riaprendo gli occhi (che non ricorda di aver chiuso) la vede ancora lì, china su quel cadavere, a cercare qualche traccia che sembra non voglia farsi trovare.
Guarda i suoi capelli, raccolti in una lunga coda, che si muovono appena a seconda dei movimenti della testa. La pelle, chiara e liscia. Gli occhi, fissi sul cadavere, sul quale si muovono veloci.
Si ritrova a pensare che vorrebbe sapere con tutto se stesso che colori predominano in Molly Hooper. Non può essere solo un insieme di bianchi, neri e grigi.
Significherebbe dire che è come un’armonia incompiuta.

Gli piacerebbe conoscere il colore dei suoi capelli, che ora sono un grigio che si illumina a seconda della luce. E dei suoi occhi.
Quegli occhi grandi, dolci, che sembrano dei pozzi neri profondi. È quasi sicuro che non siano neri. Non sarebbe da Molly Hooper. 
Ma il non poterlo sapere gli fa provare frustrazione. 
E nel suo Mind Palace si fa strada un pensiero strano.
Gli piace lavorare con Molly Hooper. E osservarla. Potrebbe farlo senza che ci fosse un domani.


~


È una mattina di qualche mese dopo che accade.
Sherlock si sveglia compiendo la sua solita routine: check del Mind Palace, sguardo perso sulla sua figura in bianco e nero allo specchio, entrata teatrale in cucina, dove lo attende John con il suo tè.
Quel giorno è stranamente felice di andare al St. Bart’s, perché così può passare del tempo con la sua Molly Hooper.
Questo è l’unico pensiero che (con sua sorpresa) lo accompagna per tutto il tragitto dal 221/B all’ospedale. Non appena arriva lì, cammina veloce in direzione dell’obitorio in compagnia di John, che fa fatica a sostenere le sue lunghe falcate.
Quando giunge davanti alla porta, la apre senza esitazione e si dirige verso Molly.
Quest’ultima, voltandosi, lo guarda e sorride.
«Ciao Sherlock! Guarda qui cos’ho per te!»
Sherlock, guardandola, si blocca all'istante.
C’è qualcosa di strano in Molly Hooper, ma non riesce a capire bene cosa.
Stringe appena gli occhi, e comincia a studiarla con lo sguardo.
Pantalone chiaro, camicetta a quadretti, capelli raccolti nella solita coda, occhi…
Si pietrifica nel guardare gli occhi di Molly.
Non sono neri, né grigi.
Sono diversi.
Sgrana gli occhi, non potendo credere a quello che sta accadendo.
Sherlock Holmes riesce a vedere il colore (reale) degli occhi di Molly Hooper.
E, con suo enorme disappunto, non sa descrivere qual è.
Sembra un colore piuttosto scuro, tendente al nero… ma ha delle venature strane.
«Sherlock, tutto bene?»
Il detective continua a guardarla spaesato.
E l’unica cosa che riesce a fare è voltarsi di scatto e scappare via.

Una volta tornato a casa, corre davanti allo specchio e si fissa.
Ha corso con tutto il fiato che aveva fino al 221/B, ed è visibilmente sconvolto.
Non può aver visto dei veri colori negli occhi di Molly. Lui ha sempre e solo visto il bianco, il nero e il grigio.
E anche lui, riflesso nello specchio, è ancora un insieme di colori morti.


~


Tempo dopo, al St. Bart’s, Sherlock è in compagnia di Molly per alcune analisi su dei campioni di sangue. Ha scoperto (grazie a una ricerca sul web) che gli occhi della sua patologa sono marroni. Come il cioccolato.
La vicinanza di Molly lo destabilizza un po’: di certo non le può dire che ha visto per la prima volta il colore dei suoi occhi. Potrebbe fraintenderne il significato. 
Mentre legge delle cartelle cliniche, Molly gli chiede se vuole un caffè.
Voltandosi di scatto, guarda la patologa e per poco non sbanda.
Anche i capelli, ora, sono di un colore diverso. Un colore radioso, leggermente più chiaro rispetto ai suoi occhi.
Gli si blocca il respiro in gola.
Quei colori sono così… strani, ma allo stesso tempo affascinanti.
«Sherlock?»
Il detective continua a fissarla, come se avesse visto un animale selvatico raro e incantevole.
«Sherlock...?»
L’uomo, cercando di tornare in sè, le sorride appena.
«Sì, Molly Hooper. Nero, due zollette di zucchero. Grazie».
La patologa, non troppo convinta dalle parole di Sherlock, lo fissa per un po’, dopodiché va via.


~


È un giorno speciale per Sherlock: ha quasi catturato un serial killer che insegue da mesi.
Non appena ha trovato un’impronta del piede del sospettato, si è fiondato al St. Bart’s per fare delle analisi sulle componenti chimiche di quella traccia.
Molly, come sempre, gli fa compagnia, aiutandolo a riconoscere i colori.
Per poco non ha fatto scoprire alla patologa la sua nuova capacità di saper identificare colori come il marrone scuro (quello dei suoi occhi) e chiaro (quello dei suoi capelli).
Molly non deve sapere che sa riconoscere quei due colori. Nessuno deve saperlo.
Si sente un po’ in difficoltà, perché non riesce a spiegarsi quegli eventi così assurdi.
E Sherlock Holmes odia non saper spiegarsi le cose.
«Sherlock, puoi passarmi il vetrino con il fango, per favore?»
Il detective, istintivamente, si avvicina al campione senza rendersi conto che dovrebbe far finta di non riconoscerlo.
«Oh, scusami, dimentico che non puoi sapere qual è. È alla tua destra».
Mordendosi la lingua per non far uscire dalla sua bocca parole poco carine, si gira verso di lei e si pietrifica.
Adesso vede anche una nota di colore diversa sulle labbra di Molly.
Quelle labbra così sottili, disegnate con un colore chiaro ma abbastanza acceso da risaltare la loro forma che sembra sussurrargli di baciarle.
Sherlock resta immobile, senza sapere cosa fare.
È inconsciamente attratto dalle labbra di Molly Hooper.
«Sherlock, stai bene?»
Il detective non sa più cosa pensare.
«Io… Devo andare».
Lascia il vetrino vicino alla mano di Molly, prende il suo cappotto e scappa via.

Per strada, pensa che avrebbe tanto voluto testare se quelle labbra sono effettivamente morbide e invitanti come sembrano.
Però subito dopo scuote la testa, cercando di rimettere ordine nel suo Mind Palace: giorno dopo giorno, l’ospite fisso nelle sue stanze sembra essere proprio Molly.


~


Non ne può più.
Per l’ennesima volta, Sherlock vede un nuovo colore spuntare su quella sua buffa Molly Hooper.
Per la precisione, vede il candore della sua pelle, liscia e chiarissima. Però, è certo che non è affatto bianca, ma un colore che si avvicina al chiarore del latte.
Sentendo la testa esplodere, scappa via per l’ennesima volta da quella sensazione così nuova per lui.
Corre senza una meta precisa. Lo aiuta a pensare nei momenti in cui non riesce a ragionare lucidamente.
Non appena alza lo sguardo, è incantato dallo spettacolo che gli si para davanti.

Il mondo è interamente a colori. Non è più un’armonia incompiuta, ma ogni cosa ha un suo colore e una sua bellezza del tutto estranea agli occhi di Sherlock.
Col fiatone, si volta verso una vetrina di un negozio e fissa la sua immagine riflessa.
È anch’essa sorprendentemente a colori.
I suoi occhi, stupefatti, continuano a fissare la sua immagine non più in bianco e nero.
Poco dopo, sente il respiro affannoso di Molly alle sue spalle.
«Sherlock, sei di nuovo scappato via. Che succede?»
Il detective, voltandosi verso Molly, la guarda e sorride.
È così bella, ora che non è una figura in bianco e nero. I colori le donano particolarmente.
Osservandola, si rende conto che è grazie a lei e a quello strano sentimento che prova in sua presenza che riesce finalmente a vedere i colori di ogni singola cosa. Il suo affetto, che sembrava non voler ricambiare a nessun costo, ha cancellato dai suoi occhi quella patina di grigiore e tristezza alla quale era ormai abituato. Ma che, tutto sommato, non gli manca affatto.
Ricorda di aver letto da qualche parte che, in alcuni casi, la propria anima gemella ha il potere di trasformare in meglio il modo in cui guardi e osservi il mondo.
E all’idea di aver finalmente
trovato la sua, abbraccia Molly dolcemente e le dà un bacio a fior di labbra.









Note finali
Questa "cosa" è nata da un prompt di Tumblr, che diceva «In a world where people don't see in color until they find their true mate».
Inutile dirvi che tra i commenti subito si era pensato a una JohnLock.
Ma io, da buona shipper SherLolly, ho voluto che fosse proprio la dolce Molly l'anima gemella che mette in moto la graduale "trasformazione" del nostro consulente investigativo.
Perdonatemi se Sherlock, anche in questo caso, è leggermente OOC.
Grazie per l'attenzione, a presto!

  
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