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Autore: Jiulia Duchannes    10/06/2014    2 recensioni
Storia basata sulla serie Tv. Paring: James/OC Logan/Camille Kendall/Jo Carlos/OC
Siamo nel 1775, durante la rivoluzione Americana.
Karen Jane Mitchell, sorella di Logan Mitchell è una 15enne piena di sogni e bisogno d'amore. Quando incontra James David Diamond le sembra di aver trovato il principe che sempre aveva popolato i suoi sogni. Ma non è tutto così facile.
Dal testo:
Da piccola sognavo sempre, sempre un principe, un duca, un nobile giovane coraggioso e bello, che mi sposasse, mi amasse, mi facesse vivere un sogno. Sognavo l’amore, vero. Sognavo i baci al tramonto. Sognavo il cuore battere all’impazzata. Sognavo l’abito bianco. Sognavo i bambini.
Quei sogni infestavano come demoni le mie notti, i miei desideri mi rendevano folle, facile da ingannare con qualche frase fatta. Avrei creduto ad ogni bugia, pur di essere amata.
Era il 1775, e in America l’odore di un imminente rivolta verso gli inglesi si poteva fiutare ovunque. In quell’anno di rivoluzioni, battaglie e subbugli, la mia vita prese una piega inaspettata, realizzando i miei desideri, da una parte, distruggendoli, dall’altra.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Chiusi gli occhi, sperando che non vedendo i volti afflitti dei miei amici,  pregando che quel dolore acuto alla bocca dello stomaco, che faceva venir voglia di rigettare tanta era l’ansia, andasse via. Chiusi gli occhi sperando che almeno quella volta avessi sognato tutto.

I sogni, già, loro erano per me quanto di più inaffidabile, patetico e triste vi fosse al mondo.

Sognavo ciò che desideravo fosse reale, e vivevo ciò che speravo fosse un incubo terribile. Non sapevo, e tutt’ora non sono sicura, che anche gli altri abbiano questo rapporto con il mondo dell’immaginazione e dei sogni. Sapevo solo che chiunque ci fosse nella nostra mente a governare i nostri sogni era un essere crudele e meschino.

I sogni erano per me una malattia, una di quelle alle quali non puoi sfuggire, peggiore di ogni epidemia di peste,  del colera. Peggiore di polmonite e febbre.

Kendall passò un braccio attorno alle mie spalle, tenendomi stretta a se. Potevo chiaramente udire il costante rumore del suo cuore, galoppare velocemente a causa della preoccupazione che affliggeva chiunque in quella stanza. Il biondo mi teneva così vicina a se che in un altro momento mi sarei vergognata a morte, eppure non importava, sapere che non ero sola, sapere che lui era mio amico ed era con me, era ciò che mi serviva. La solitudine avrebbe solo peggiorato le cose

In quel salone eravamo tutti così diversi tra noi, così unici, così opposti eppure pregavamo tutti per la stessa cosa, per la stessa persona.

 C’era Camille rannicchiata in un angolo del piccolo divano, lei così sicura di se, così debole e forte allo stesso tempo, così gioiale eppure così lunatica, carezzava i capelli biondi di sua cugina Jo, ormai addormentata, estenuata dal pianto. Jo non era forte quanto Camille, ma era dolce, buona, affettuosa con chiunque, e sapeva amare, donare il suo cuore a chiunque lo meritasse.

Su un altro divano sedevano,rigorosamente  l’uno distante dall’altro, James e Ronald.

Il moro fissava, assorto nei suoi pensieri, il vuoto. Non c’era un accenno di lacrime nei suoi occhi, eppure potevo leggervi il dolore, dolore vero, e disperazione, tanta, troppa, insopportabile. Mi fece ancor più male vederlo in quello stato, sembrava fragile, come se potesse rompersi da un momento all’altro. James non era uno a cui piaceva mostrare i propri sentimenti, anzi, preferiva tenere tutto dentro, fingere un sorriso e continuare a ribollire di rabbia, o in questo caso a star male, all’interno. Ma per quanto ci provasse non c’era spazio per i sorrisi, e per quanto cercasse di mantenere un espressione neutra, attraverso i suoi occhi nocciola potevo leggere ogni suo tormento. Avrei voluto confortarlo, abbracciarlo, sussurrargli un “ va tutto bene” all’orecchio, scostandogli dolcemente una ciocca di capelli lisci dal volto d’angelo, eppure non potevo. Il motivo non era la litigata, non le sue parole, o la sua razione, semplicemente non potevo mentirgli, non potevo dire che andava tutto bene quando il mondo sembrava esserci crollato addosso. Non potevo confortarlo se io stessa avevo bisogno di conforto.
In un altro momento Diamond, per motivi allora a me sconosciuti, avrebbe cacciato via Ronald, eppure allora il dolore era talmente tanto che non possedeva nemmeno le energie per far ciò.

Ronald dall’altro lato, era invece  meno tranquillo di James.La sua gamba destra  si muoveva freneticamente per la preoccupazione. Pur non conoscendo Carlos, era preoccupato. Allora mi sembrava così assurdo,  falso, non conoscevo il giovane Wanter abbastanza bene per comprenderlo a fondo.
 Vi posso dire che non  conobbi in tutta la mia vita un giovane dal cuore tanto puro, tanto grande.
Lui, lui che Diamond tanto disprezzava, lui che Diamond voleva vietarmi di conoscere, lui che avrebbe combattuto a nostro fianco rischiando la vita,   e sarebbe diventato forse la mia salvezza nel periodo più buio della mia vita, venne trascinato nel mezzo del nostro mondo anche se in modo indiretto, quel maledetto giorno del 1775, che fece prendere alla sua vita una piega tragicamente triste, come alla mia d’altronde.

Quel giorno nessuno che si trovasse in quella stanza se lo dimenticherà mai. Non dimenticheremo il caldo asfissiante, non dimenticheremo il salato delle lacrime,il bruciore negli occhi. Non dimenticheremo il sangue, il pallore di Carlos,  non dimenticheremo i nostri volti distrutti, le parole di conforto che ci sussurravamo tra noi, i singhiozzi, le preghiere, la rabbia. Nulla, nulla di quel giorno che rovinò le nostre vite senza ritorno.

Logan era chiuso nella cucina della famiglia Knight da ore ormai, cercando di salvare, con la sua abilità di medico, la vita del suo migliore amico. Potevo solo minimamente immaginare quanto dovesse essere difficile sapere che la vita di qualcuno che ami come un fratello è appesa ad un filo, sapere che tu potresti salvarla o metterle fine.

Aspettavamo che la porta s’aprisse, che Logan uscisse di li, magari con un espressione di pura felicità in volto, magari dicendoci che era riuscito a salvarlo.

Quando la porta in mogano scricchiolò aprendosi lentamente, la prima cosa che fissai fu lo sguardo di mio fratello, la sua espressione, che però era indecifrabilmente neutra, così neutra che pensai non appartenesse al mio Logan, bensì al medico che sin da piccola credevo vivesse in lui.

Ci fissò uno per uno per interminabili istanti, finchè Kendall pose a Logie la domanda che ci affliggeva tanto, la cui risposta non tardò ad arrivare.
-Sono riuscito a bloccare la perdita di sangue e ricucire la ferita. Penso che se la caverà. La cosa che più mi preoccupa è che la ferita s’infetti, questa probabilità c’è sempre, e in quel caso le probabilità che Carlitos sopravviva sarebbero minime- Spiegò distaccato mio fratello.

Mi spaventai per quella sua innaturale freddezza,  era come se non stesse parlando del suo migliore amico, come se non importasse nulla. Non un sentimento trapelava dai suoi occhi scuri, non un accenno di tristezza, sollievo.  Nulla.

Eravamo arrivati a quella situazione a causa degli inglesi, dell’attacco in città, a causa di un  generale dagli occhi di ghiaccio su un cavallo bianco. Avevamo quasi perso il nostro piccolo Carlos quel giorno e nulla ci assicurava che sarebbe sopravvissuto in seguito. 

Nella locanda dei Garcia ero rimasta sola con Carlos, perché Rondal riteneva che l’unica cosa da fare era cercare aiuto, e lui si sarebbe potuto muovere indisturbato per la città.
Il latino faticava respirare, e il suo pallore diveniva sempre più evidente. Nonostante facessi pressione sulla ferita il sangue continuava a sgorgare velocemente, creando una pozza al di sotto del corpo del mio amico.

Erano passati dei minuti, minuti che mi sembrarono durare un eternità, ero talmente preoccupata, talmente scioccata e disparata che prima, quando il giovane Wanter era ancora lì con me, non mi ero accorta dello spettacolo che si celava dietro un tavolo della locanda. Solo quando spostai lo sguardo, mentre attendevo con ansia il ritorno di Rondal, notai la scia di sangue che proveniva direttamente da una figura, inerte sul pavimento. La riconobbi, da lontano, con il grembiule ormai scarlatto di sangue, i capelli spettinati e gli occhi aperti a fissare il vuoto. Era la signora Garcia.

Carlitos mi fissava, faticando visibilmente a tenere gli occhi aperti,  con paura. Ogni tanto una lacrima fuoriusciva dagli occhi a mandorla semichiusi.
-Cosa c’è dopo?-Domandò tanto flebilmente che feci fatica ad udirlo
-Dopo cosa?-Chiesi a mia volta
-Dopo la morte- Rispose con un enorme sforzo. Quell’affermazione fece formare nuove lacrime nei miei occhi.
-Non morirai- Dissi risoluta io
-Karen- Mi chiamò
-No, sta zitto Carlos, devi risparmiare le energie-
-Non fa nemmeno più male- Sussurrò prima di chiudere gli occhi, perdendo i sensi.
Cominciai a gridare e scuotere il mio amico, ero oramai completamente fuori controllo, senza nemmeno controlla che respirasse ancora. 
Quando Ronald tornò, io agitavo ancora freneticamente il corpo del latino.
-Ti avevo detti di non lasciare che chiudesse gli occhi-Mi sgridò con una punta di agitazione nella voce il biondo.
-Non è il  momento di litigare. Dobbiamo controllare il polso e la respirazione- Ordinò Logan mantenendo un tono relativamente calmo.
Dietro di lui potevo udire i singhiozzi di Camille che si portava le mani alla bocca con un espressioni disperata a dipingerle il volto coperto di furigine.
-James, Kendall, prendete Carlos, cercate di tenerlo il più dritto possibile- Continuò mio fratello-Tu Wanter aprici la strada. Dobbiamo far presto-
Riuscimmo ad arrivare a villa Knight, che non distava altro che pochi minuti di camminata dalla città nel caos, e vi era allo stesso tempo abbastanza lontana.
Ora però Litos, il nostro Litos, era relativamente salvo e continuare a ricordare quei momenti di pure angoscia non sarebbe servito a nulla.

Logan s’allontanò velocemente dalla grande sala per dirigersi verso il giardino.
Non avevo idea di cosa gli fosse preso, del perché della sua fuga improvvisa e del suo comportamento così assurdamente strano, ma volevo assolutamente stargli vicina, consolarlo. Per una volta volevo essere io a stringerlo tra le mie braccia.

Feci per andare da lui quando Camille si mosse con estrema velocità per inseguire mio fratello.
Non so perché ma quel suo semplice, spontaneo gesto mi fece innervosire notevolmente.
Nonostante avessi ormai capito che tra Logan e Camille vi era un rapporto speciale, non volevo che fosse lei a stargli accanto in quel momento così difficile.
Aspettai qualche secondo e poi seguii le orme della giovane Roberts.
Mi nascosi dietro una colonna non appena udii Logan pronunciare con sorpresa il nome di Camille.

-Come stai?-Chiese lei sedendosi con non poche difficoltà sul prato.
-Bene.Credo. Non so come sto Mille, non lo so mi sento così confuso- Confessò Logie con un accenno di disperazione nella voce.
-Perché mai dovresti essere confuso?-Domandò la mora carezzando dolcemente la schiena di mio fratello.

-Perché? Camille mi hai visto prima? Non sembravo nemmeno io a parlare, non..non provavo alcuna emozione mentre parlavo di mio fratello e della sua vita! Non so cosa mi sia preso..solo ho cercato di fingere che non fosse lui il ragazzo che stavo operando..perchè se mi fossi reso conto che quello era il nostro Litos io..non so se sarei riuscito a salvarlo. Però mi sento così in colpa Mille. Mi capisci? Non ho mostrato alcun interesse, nessun emozione ed ora nemmeno riesco a piangere capisci, eppure vorrei..Dio quanto vorrei, ma è come se non riuscissi a liberarmi di quella finta indifferenza di prima. Ho paura Camille, ho paura di non tornare più come prima, di no sapere cosa mi sia successo e…- Camille lo interruppe posando delicatamente un dito sulle sue labbra.
-Shhh Logan. Sfogati, piangi, lo so che puoi farlo, so che non sei indifferente, sei solo scosso. Piangi Logie, qui non devi essere forte per nessuno chiaro? Ci siamo solo io e te, non devi essere forte per nessuno- Lo rassicurò la giovane che accolse tra le sue braccia mio fratello, ormai in preda dei singhiozzi.

Camille carezzò dolcemente i capelli di Logan mentre lui aveva posato la testa nell’incavo del collo di lei.

Quando si staccò Logan aveva un espressione strana, non gliela avevo mai vista prima, mai. Era un misto di gratitudine, ammirazione, con una punta di felicità, probabilmente dovuta alla vicinanza con la ragazza.

MI girai dall’ altra parte non sapendo come reagire quando vidi i volti di mio fratello e quella giovane che dal primo momento avevo capito sarebbe divenuta la sua fidanzata, avvicinarsi sempre più. Sapevo cosa sarebbe successo, lo sapevo benissimo, ed avrei dovuto esserne felice, eppure la gelosia mi faceva odiare quella situazione, così perfetta per Logan e Camille, così improponibile per me.

Era dannatamente gelosa, non solo di mio fratello, ma anche della situazione in se, situazione che io tanto sognavo, situazione che tanto volevo fosse mia e  di James. Ero gelosa dei loro sentimenti, di ciò che provavano, della facilità con cui riuscivano a stare assieme, della facilità con cui s’amavano.
Volevo tutto quello che aveva Camille, lo volevo, più d’ogni altra cosa.

Mi sporsi dalla colonna e mossi un passo, decisa a rovinare quel momento tanto speciale ed irrepetibilmente perfetto, quando qualcuno mi bloccò per il braccio e mi tirò indietro prima che potessi compiere quell’avventato gesto di rabbia. Oramai Logan aveva posato le sua labbra su quelle di Camille e lei aveva delicatamente cominciato ad accarezzare la sua schiena.

-Cosa volevi fare?-Mi chiese Diamond in un sussurro
-Non sono affari tuoi- Risposi freddamente. Ero arrabbiata con lui, nonostante avessi voluto precedentemente confortarlo e stargli vicino ero arrabbiata con lui. No, non di certo per le parole pesanti che m’aveva lanciato la sera precedente, non per avermi bloccata dal commettere il mio errore in quel momento, bensì per non avermi aiutata in città. Una parte di me credeva, sperava, che non mi avesse sentita, ma l’altra ere sicura che l’avesse fatto per ripicca nei miei confronti.
-Si che lo sono visto  che Logan è praticamente mio fratello e Camille è mia amica- Mi tenne testa lui, bloccandomi contro la colonna, mentre io cercavo di scappare alla sua ferrea presa.

Abbassai lo sguardo non appena notai quanto fossimo vicini in quel momento, come solo una volta prima di allora, eppure così mentalmente e sentimentalmente lontani, esattamente come la volta precedente. Tra di noi era palabile l’invisibile muro spesso metri che ci divideva completamente.
-Che c’è, hai perso la voce?- Si burlò di me Diamond vedendo che non rispondevo.
-No. Sai mi sembra che non ti importi nulla di quello che è successo- Lo accusai io, senza specificare cosa in particolare. Erano tante le cose che mi sembravo essergli indifferenti: Carlos, me, la nostra litigata.
-A cosa ti riferisci esattamente?-Chiese scrutandomi con curiosità attraverso gli occhi nocciola.

-A  me Diamond, a me. Sai so che ti ho deluso e sei irato con me per aver ballato con Ronald, ma tu non mi degni di una decente spiegazione per il quale non avrei dovuto farlo. Inoltre ti ho visto oggi, in città, mentre un inglese tentava di violarmi. Sai io…ti ho implorato, ho gridato il tuo nome, ho cercato aiuto in te e per questo sono stata presa a calci, ma tu…tu non sei venuto, non ti sei degnato di aiutarmi per colpa del tuo stupido orgoglio e per la tua rabbia. Ma lo sai chi mi ha salvata? Vuoi saperlo?E’ stato Ronald, si, lui che tanto volevi che evitassi. Ti è chiaro cosa, ora- Gridai, attirando l’attenzione di Logan e Camille che fino a poco prima si stavano baciando appassionatamente.

-Come potevi pensare che ti avrei udita Karen?! Non potevo, lo so che ho tutte le qualità per esserlo, ma non sono un Dio greco o una creatura mitologia, sono umano. Non ti ho sentita e mi dispiace ma comunque c’era il tuo amichetto a salvarti di cosa ti lamenti?Sicuramente lui ti ha aiutato molto di più di come avrei potuto aiutarti io. E per quanto riguarda la mia ira nei tuoi confronti i motivi sono molto personali, così personali che nemmeno il tuo caro rampollo Wanter li conosce- Rispose lui con il mio stesso tono di voce.

-Perché devi sempre confrontarti con gli altri dimmelo!? Non ho  mai fatto un paragone tra te e Ronald, James, mai.  E lo sai che c’è che se sei irato con me ho tutti i diritti di saperne il motivo visto che sono umana anche io, e, a differenza tua io soffro se tengo ad una persona. Ma evidentemente ho sbagliato tutto su di te. Non sei il perfetto, irreale, James che mi illudevo di conoscere, no. Credevo che almeno un po’ ci tenessi a me, ma mi sbagliavo. Sei solo un egocentrico, presuntuoso,egoista, figlio di papà James David Diamond-

Vidi passare una varietà di emozioni sul viso del ragazzo che mi stava di fronte. Prima shock, poi rabbia, poi tristezza e delusione. Mi avrebbe dovuto far male sapere che tutte quelle emozioni erano sul volto di James a causa mia, ma non riuscivo tanto ero arrabbiata con lui, tanto in quel momento sentivo di odiarlo pur continuando a desiderarlo immensamente.

La mia parte più romantica, più irragionevolmente sognatrice, immaginava che il giovane mi prendesse il volto tra lei mani e posasse con dolce violenza le sue labbra sulle mie, le muovesse assieme alle mie, cingendomi la vita, carezzandomi i capelli. In quel caso avrei dimenticato ogni suo inspiegabile comportamento, avrei dimenticato le parole che ci eravamo scambiati, gli sguardi rabbiosi, la delusione e la tristezza.  Avrei dimenticato il mondo circostante, ci saremmo stati solo lui ed io. 

Aspettai qualche secondo in attesa che quel mio desiderio impossibile s’avverasse, quando l’arrivo di Ronald ci fece destare dai nostri pensieri.
-Abbiamo portato Carlos a letto, se volete vederlo ora è possibile- Ci avvisò il biondo scrutandoci.
-Portami da lui- Sussurrai lanciando un occhiata a James, che ebbe il buon senso di non venire anche lui, e a mio fratello e Camille i quali mi fissavano uno sconcertato, l’altra delusa.

Quando arrivai nella stanza dove Ronald e Kendall avevano adagiato Carlos, non potei fare a meno di sorridere e dimenticare per qualche secondo quanto accaduto poco prima, davanti alla più dolce scena che avessi  visto.

Carlos era sdraiato sul letto, coperto da candida stoffa color avorio, le braccia erano scoperte, così che Jo potesse tenere la mano del latino carezzandogli i capelli cortissimi e posando un delicato bacio sulla fronte del ragazzo addormentato di tanto in tanto. Kendall dall’altra parte teneva la mano di suo fratello, sorridendo leggermente all’affetto che pochi immaginavano che Jo avesse nei confronti del latino.

Entrai nella stanza e Kendall mi cedette il suo posto. Carezzai delicatamente la mano morbida ed ancora abbastanza fredda del mio migliore amico, desiderando che aprisse gli occhi, mi sorridesse e mi desse qualcuno di quegli ingenui consigli che tanto mi aiutavano. 

  
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