RATING: Verde bosco.
PAIRING: Sorpresa, dai.
GENERE: Fiaba, Sentimentale.
AVVERTIMENTI: AU, Cross-over, Slash accennato e
un po’ di OOC.
DISCLAIMER: Nessuno degli EXO mi appartiene
(anche se vorrei
adottarli in massa, ma vabbé); fyccina scritta assolutamente
non a scopo
di lucro: non guadagno nulla dalla mia attività di
fangirlamento compulsivo.
NOTE: Forse più di tanto non
riesco a stare lontana da
Word, forse il caldo mi concilia la scrittura, o forse
l’ispirazione non è
ancora scemata: com’è e come non è,
sono di nuovo qui con una nuova storia. Una
one-shot, stavolta, non tanto lunga, palesemente ispirata
all’omonima fiaba di
Hans Christian Andersen; solo il finale è diverso.
Buona lettura (si spera)!
C’era una volta, in
un’epoca
lontana e remota quanto lo è questa storia, un giovane uomo
di nome Zhang
Yixing. Egli era bello, con lunghi capelli d’ebano e occhi
altrettanto neri,
due deliziose fossette sulle guance e la pelle di madreperla, morbida
come
quella di una fanciulla. Abiti di seta purissima e velluto ne vestivano
le
membra agili e flessuose, esaltando così il suo vigore di
ragazzo da poco
entrato nell’età adulta.
Yixing era l’imperatore
della Cina, succeduto al trono ancora adolescente dopo la morte del
padre, e
ciò lo rendeva uno degli uomini più ricchi e
influenti delle terre conosciute. I
suoi sudditi lo amavano con vera devozione: egli, infatti, era saggio e
giusto,
misericordioso con i poveri e spietato solo con i criminali che si
macchiavano
di turpi delitti.
Non era avido di ricchezze ed era di costumi morigerati, tanto che alla
sua età
non si era ancora deciso a prendere moglie –nemmeno una
concubina che gli
scaldasse il letto. Egli, tuttavia, era pur sempre
l’imperatore di un grande
continente, sicché quando necessario sapeva mostrarsi molto
esigente, forse fin
troppo. Quando si prefiggeva un obiettivo, dimenticava di tenere conto
dei
consigli dei suoi uomini di fiducia e la sua smania non si placava
finché non
aveva raggiunto lo scopo.
Il palazzo dove egli
risiedeva era uno degli spettacoli più sublimi che
esistessero al mondo.
Costruito in pregiato marmo bianco (lo stesso utilizzato per i
pavimenti),
aveva il tetto di porcellana azzurra e numerose torri
d’avorio; le tappezzerie
di ogni stanza erano di tutti i colori dell’arcobaleno,
intessute d’oro,
argento e porpora. Anche il giardino circostante era una meraviglia; vi
crescevano i fiori e le piante più rari, e ad ogni ramo era
appesa una
campanella d’argento che tintinnava al minimo soffio di
vento. Nei cento e più
laghetti artificiali nuotavano pesci di ogni tipo e grandezza, insieme
ad
anatre, rane, tartarughe ed altri animali anfibi.
Oltre il giardino, un
immenso e fitto bosco si estendeva fino al mare. Il caso volle che nel
cuore
del bosco vivesse un usignolo la cui voce non aveva eguali. Dalla sua
minuscola
gola scaturivano delle melodie così struggenti e accorate
che chiunque le
ascoltasse si commuoveva fino alle lacrime.
Da ogni parte del globo
giungevano forestieri per ammirare il palazzo dell’imperatore
Zhang, e ogni
volta restavano a bocca aperta davanti a tanta sfolgorante
magnificenza; ma
quando capitava loro di udire i cinguettii dell’usignolo, si
trovavano tutti
d’accordo nell’ammettere che il suo canto era il
tesoro più prezioso del grande
impero. Tra i visitatori che annualmente si recavano in Cina
c’erano anche
scrittori e poeti –alcuni dei quali, tornati in patria,
scrissero libri e
sonetti sullo straordinario uccellino, tessendone le lodi
più sincere e
sperticate.
Accadde che, un giorno, uno
di questi volumi giunse nelle mani del giovane Yixing. Egli lo lesse,
strabiliò
e fece subito chiamare il gran cerimoniere.
“Nel bosco che confina
con i
miei giardini vive un usignolo dal canto incomparabile e io non ne
sapevo
niente” esordì, la voce vibrante
d’indignazione. “E’ inaudito che io abbia
dovuto leggere un libro straniero per apprendere che la più
grande meraviglia
dell’impero non è che un uccellino dalla voce
d’oro! Perché non mi è mai stato
riferito?”
“Anche io ne ignoravo
l’esistenza, Figlio del Cielo [1]” rispose
l’uomo, il cui nome era Lu Han,
spaventato dalla collera del suo signore. “Ma lo
troverò, se questo è ciò che
desideri”.
“Al più
presto, mi
raccomando. Questa sera stessa l’usignolo deve cantare solo
per me” fu l’ordine
perentorio.
Il gran cerimoniere dette
subito inizio alle ricerche. Interrogò principi e nobili,
cavalieri e guardie.
Nessuno di loro però aveva sentito parlare del fantomatico
volatile, né sapeva
dove vivesse.
Scoraggiato, il funzionario tornò dall’imperatore.
“Huángdì [2], l’usignolo è
introvabile. Forse non esiste, è tutta
un’invenzione di
chi ha scritto il libro, una favola per dilettare i suoi
connazionali”.
Ma Yixing non volle sentire
ragioni, testardo com’era. “Non contraddirmi, Lu
Han. Rintraccia l’usignolo e
portamelo: se stasera non darà un concerto a corte, tu
verrai punito della tua
incapacità con cento nerbate”.
Spronato dalla minaccia, il
poveretto riprese a correre in lungo e in largo per strade, piazze,
vicoli e
giardini, a tempestare di domande chiunque incontrasse. Finalmente,
nelle
cucine imperiali, si imbatté in una sguattera che gli fu di
aiuto.
“Sì, conosco
l’usignolo di
cui parlate. Qualche volta, la sera, mi viene concesso di portare gli
avanzi di
cucina a mia madre, che abita poco distante dalla costa. Al ritorno
sono stanca
e mi fermo nel bosco a riposare un poco, e spesso ho la fortuna di
ascoltare il
canto dell’usignolo. Ha una voce così dolce che
ogni volta mi vengono le
lacrime agli occhi” raccontò la ragazza, Song Qian
[3].
“Potresti aiutarmi a
rintracciarlo?” Lu Han dovette trattenersi dal baciarle
d’impulso le mani.
“Credo di
sì”.
“Se ci riesci, ti
farò avere
un posto di cameriera al servizio personale
dell’imperatore” promise.
Radunò in gran fretta un
folto seguito di cortigiani e cavalieri e, guidati dalla bella
sguattera, si
diressero tutti verso il bosco. Camminavano già da
un’ora quando nell’aria si
alzò il muggito di una mucca. I gentiluomini si fermarono
con aria rapita.
“Deve essere
l’usignolo che
canta. Ha una voce stupenda”.
“Questo è il
muggito di una
mucca” ridacchiò Song Qian, divertita da tanta
dabbenaggine. “L’usignolo non vive
qui”.
Poco più avanti,
sentirono
delle rane gracidare ai bordi di un fossato.
“Oh, il dolce
canto!”
sospirarono gli uomini. “L’abbiamo finalmente
trovato!”
La fanciulla rise
apertamente, spiegò che la voce dell’usignolo era
tutt’altra cosa e proseguì.
Si fermò poco dopo davanti ad un albero e indicò
un uccellino minuto dalle
piume grigie che saltellava aggraziato tra i rami.
“Ecco, quello
è l’usignolo
che state cercando”.
Il gran cerimoniere ed il
suo seguito rimasero delusi dall’aspetto modesto del volatile
ma, non appena
udirono il suo canto, ne furono conquistati, e con tutti i riguardi lo
invitarono a corte. L’usignolo accettò di buon
grado.
Erano stati fatti grandi
preparativi per il suo arrivo: fiori freschi a profusione dappertutto,
pavimenti lucidati a specchio e un trespolo d’oro massiccio
in mezzo alla sala
del trono per il piccolo cantore. E, seduto sul suo scranno, Yixing
attendeva
con impazienza di ascoltare le meravigliose melodie di cui tutto il
mondo
parlava.
L’usignolo si
posò sul
trespolo, si inchinò nella direzione del suo illustre ospite
e cominciò a
cantare. Al termine del concerto l’imperatore piangeva di
commozione; quelle
note perfette e malinconiche avevano toccato le corde del suo cuore, ed
egli
per qualche istante aveva riassaporato la splendida e amara ebbrezza di
un’infanzia trascorsa troppo in fretta.
“Resta per sempre con me
e
rendimi felice” pregò l’uccellino.
“In compenso avrai tutto ciò che desideri,
ciò che più ti piace, tutto
insomma…!”
“Maestà”,
rispose l’altro, “mentre
cantavo ho visto le lacrime nei tuoi occhi e questo, per me,
è la ricompensa
più grande, non chiedo altro. Se lo vuoi, sono pronto ad
abbandonare il bosco e
a rallegrarti con la mia voce ogni volta che me lo chiederai”.
E così
l’usignolo rimase a
palazzo, alloggiato in una gabbia d’oro appesa nella stanza
da letto di Yixing.
I due non ci misero molto a stringere una profonda, seppur bizzarra,
amicizia.
Il giovane sovrano scoprì che l’uccellino aveva un
nome, Zhongdai, e ne rimase
molto colpito poiché aveva sempre creduto che quello di
chiamarsi per nome
fosse un vezzo esclusivamente umano. E le straordinarie
capacità linguistiche
dell’usignolo contribuivano solo ad infittire il mistero.
Qual era il passato
di Zhongdai, che cosa nascondeva? Era forse l’unico
sopravvissuto di una razza
ormai estintasi di usignoli graziati dagli dèi con il dono
della parola? Yixing
se lo domandava spesso; il suo amico pennuto lo incuriosiva.
Zhongdai, però, non
sembrava
volergli dare la soddisfazione di rivelare il suo segreto
all’imperatore.
Cantava per lui, assecondandone le richieste e talvolta intrattenendolo
con conversazioni
piene di brio, ma di sé non parlava mai. Gli era permesso
uscire una volta al
giorno nei giardini, con un filo di seta legato ad una zampina,
sorretto da Lu
Han.
Un giorno Yixing ricevette
un dono dal suo alleato, l’imperatore del Giappone: uno
stupendo usignolo
meccanico di notevoli dimensioni e tutto d’oro con le ali
costellate di
diamanti, la coda risplendente di zaffiri e gli occhi di rubino.
Bastava girare
una piccola chiave nascosta tra le pietre preziose e
l’uccello meccanico si
esibiva in una bella melodia.
“Ti ringrazio
infinitamente,
mio caro amico” entusiasta ammirò il ricchissimo
dono. “Che il gran cerimoniere
porti qui Zhongdai: voglio sentirlo cantare insieme a questo prodigioso
automa”.
Il risultato fu una grossa
delusione. L’usignolo vero cantava col cuore,
l’altro con molle e cilindri
d’acciaio. Le due voci non si armonizzavano tra di loro e il
sovrano si stizzì.
“Che l’usignolo
meccanico
canti da solo” ordinò.
Per ben trenta volte il
giocattolo ripeté la stessa canzone senza mai cambiare una
nota, tra gli
applausi e i complimenti della corte al completo. Alla trentunesima
Yixing
comandò di spegnerlo.
“Ora canti
Zhongdai”.
Ma il volatile era
introvabile. Approfittando della disattenzione generale era volato via
attraverso la finestra aperta, diretto verso il bosco dove aveva sempre
vissuto
in libertà. Era offeso e ferito dalla facilità
con cui l’imperatore si era
lasciato affascinare da una voce artificiale, priva di qualsivoglia
emozione,
stregato dall’aspetto vistoso dell’usignolo
meccanico. Era così semplice
sostituirlo? Non contavano nulla, dunque, la loro amicizia, tutte le
ore
trascorse insieme?
Yixing si rattristò per
la
scomparsa di Zhongdai, ma ben presto si consolò: gli restava
sempre l’usignolo
meccanico, e ne era così orgoglioso che permise anche alla
popolazione della
capitale di ascoltare il suo canto. Molti andarono in visibilio, ma
coloro che
avevano avuto occasione di sentire l’usignolo vero, nel
bosco, scuotevano il
capo.
“C’è
una gran differenza tra
i due…” mormoravano, attenti a non farsi udire dal
sovrano.
L’imperatore, invece,
ogni
giorno che passava era sempre più soddisfatto dello
straordinario giocattolo.
Lo teneva su un cuscino di raso rosso accanto al letto e lo caricava di
continuo, e si entusiasmava di quel canto sempre uguale, senza mai una
variazione. Alla gabbia dorata di Zhongdai, ora desolatamente vuota,
non
riservava che qualche distratta occhiata e ignorava sempre la fitta di
dispiacere che lo coglieva a tradimento allo sterno.
Ma una sera, proprio nel bel
mezzo del gorgheggio più acuto e complicato, si
udì uno schianto e la musica
emessa dall’usignolo meccanico tacque: qualcosa si era rotto
nel delicato
dispositivo. Yixing subito chiamò a consulto tutti i medici
del regno, ma
nessuno sapeva quale rimedio proporre per un marchingegno. Fu invece un
esperto
orologiaio a trovare la soluzione, cambiando la molla che si era
guastata.
“Maestà, mi
duole informarti
che ormai tutto il meccanismo interno è logoro e consunto.
D’ora in poi, se non
vuoi che si rovini irrimediabilmente, potrai caricare
l’usignolo solo una volta
all’anno” lo avvisò poi.
L’imperatore,
benché
controvoglia, fu costretto a seguire il consiglio
dell’artigiano.
Passato che fu un anno, Yixing
si ammalò in maniera gravissima. Giaceva nel suo letto con
lenzuola di seta e
coperte di broccato, e nonostante tutta la sua potenza era solo. Nobili
e
cortigiani erano impegnati a discutere della successione al trono
-questione
spinosa, poiché l’imperatore non aveva figli
né moglie- e i medici studiavano i
loro tomi alla ricerca di nuove medicine da somministrare al giovane
ammalato.
Servitori e camerieri si limitavano a svolgere i compiti a loro
assegnati,
indifferenti.
Mai come in quei giorni di
malattia Yixing sentì la mancanza di Zhongdai. Nonostante
gli sforzi non era
riuscito a dimenticarlo; si rendeva conto di averlo perso per sempre e
malediceva la leggerezza con cui gli aveva preferito un banalissimo
automa. E
lui, l’usignolo, si ricordava ancora dello stolto che si era
lasciato
abbindolare dalla lucentezza delle pietre preziose a discapito di una
voce, e
soprattutto di un cuore, tra i più rari e puri?
Un giorno, al suo risveglio,
l’imperatore aprì gli occhi e vide, seduta sulla
sponda del letto, la Morte che
lo fissava, immobile e silenziosa, avvolta in un ampio mantello nero.
Capì che
era giunta la sua ora e si voltò verso
l’usignolo meccanico alla sua
destra, avendolo scambiato per Zhongdai.
“Canta, ti prego,
canta”
sussurrò agonizzante. “Voglio sentire la tua voce
ancora una volta, prima di
morire”.
Ma il giocattolo taceva. Non
c’era nessuno a caricarlo e lui, da solo, non poteva cantare.
A un tratto
risuonò nella stanza una melodia colma di tristezza. Yixing
sollevò lo sguardo
e riconobbe, sul davanzale della finestra, Zhongdai, il caro e vecchio
Zhongdai, piccolo e grigio come lo ricordava. L’uccellino era
venuto a
conoscenza della sua morte imminente e, pur con grande dolore, era
tornato per
allietarne come poteva gli ultimi attimi di vita.
Anche la Morte udì quel
canto straziante, e quando l’usignolo s’interruppe
lo incitò a proseguire.
Quella musica le trasmetteva una gran nostalgia del suo regno lontano
ed ella,
benché sentisse le sue forze venir meno, continuò
imperterrita ad ascoltare.
Altre note soavi riempirono la stanza e, ad ogni istante che passava,
l’imperatore si sentiva meglio mentre la Nera Signora pian
piano si allontanava
dal capezzale, trasformandosi in una nebbia opalescente che
svanì oltre la
finestra.
“Mio salvatore”
disse, con
un po’ di fatica, Yixing, “sono stato un ingrato
nei tuoi confronti, preferendo
a te, un amico sincero, l’usignolo meccanico; ma ora intendo
riparare.
Distruggerò quello stupido giocattolo, se vuoi, ma ti prego,
non abbandonarmi
mai più. Solo adesso lo capisco: senza di te non posso
vivere”.
A quelle parole, pronunciate
con un’emozione che fece breccia nel cuore di entrambi,
Zhongdai emise un
trillo di gioia e fu avvolto da un turbine di scintille dorate. Yixing
spalancò
la bocca per gridare, terrorizzato all’idea che stesse
capitando qualcosa di
nefasto alla creatura a lui tanto cara, ma dovette ben presto
ricredersi.
Sotto il suo sguardo esterrefatto si materializzò infatti la conturbante
figura di un bellissimo
uomo dagli occhi di gatto e le labbra incurvate
all’insù, gli zigomi cesellati
ed un fisico minuto ma dalla muscolatura elegantissima. Indossava
un’esigua camiciola
di lino e, pur così poco vestito, non vi era nulla di
indecoroso in lui.
Vedendo che Yixing si limitava a fissarlo con tanto d’occhi,
incapace di
proferire verbo, il giovane balzò giù dal
davanzale ed entrò nella stanza,
sorridente.
“Sono proprio io,
Maestà,
non temere. Il mio vero nome è Jongdae e sono nato nel regno
di Silla [4] più tempo fa di quanto
riesca a ricordare. Cantavo per il re ed ero
l’artista più ammirato del paese, colmato di
onorificenze e regali da parte del
sovrano e dei suoi dignitari. Ma un anonimo musico di corte, invidioso
del mio
talento, si procurò da una maga un sortilegio per
sbarazzarsi di me e con
l’inganno mi fece bere un filtro magico che mi
tramutò in usignolo. Mi disse,
prima che io riuscissi a volare via da una finestra, che avrei serbato
l’aspetto di un volatile fino a che non avessi incontrato
qualcuno capace di
nutrire per me un sincero affetto, a prescindere dalla mia
voce e nonostante il mio umile aspetto” si avvicinò al
letto, ove l’imperatore giaceva convalescente. “E
sembra proprio che abbia trovato
quel qualcuno, alla fine”.
Yixing gli tese le mani ed
esalò, tremando al contatto con le dita fresche
dell’altro, “Un motivo in più
per rimanere qui con me, non trovi?” abbozzò un
sorriso esausto.
“Adesso riposa. Hai
sofferto
tanto, devi riprenderti” Jongdae si chinò a
baciargli la fronte. “Domani,
quando ti sveglierai, sarai completamente guarito ed io sarò
ancora al tuo
fianco. Dormi, amore mio” ed intonò per lui una
dolcissima ninna nanna.
L’imperatore cadde in un
sonno profondo e ristoratore.
La mattina seguente, quando
cortigiani, medici e servitori entrarono nella stanza
dell’ammalato, convinti
di trovarlo morto, lo videro già alzato e allegro, pieno di
energia.
Accoccolato sulle soffici coltri con lui stava uno sconosciuto di
incredibile
avvenenza, il capo posato sulla spalla dell’imperatore.
Basiti, ne udirono la
risata squillante e credettero di non aver mai ascoltato una voce tanto
bella.
Non seppero mai il perché di quel doppio prodigio, ma
gioirono per la pronta
guarigione del loro signore e accolsero il nuovo arrivato con tutti gli
onori.
E un mistero rimase anche la
scomparsa dell’usignolo meccanico.
[1]
Secondo
Wikipedia è un titolo conferito
all’imperatore cinese e creato durante il regno della
dinastia Shang (1600 a.C.
- ca. 1046 a.C.).
[2]
‘Imperatore
della Cina’, letteralmente (sempre
secondo Wikipedia).
[3]
Alias Victoria
delle f(x).
[4]
Antico nome
della Corea del Sud.
Pochi
dialoghi –potrebbe quasi sembrare una fiaba vera e propria.
Che stia
migliorando?
Spero vi sia piaciuta. In caso contrario, le critiche
(purché educate) sono ben
accette.
Vi lascio il
link della mia pagina Facebook, in
caso vi incuriosisse seguire
in diretta
i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Bye!