Respirava a fatica. Tutte le forze lo avevano abbandonato.

Buio. I suoi occhi erano spenti, vacui. Non c’era luce in essi.

Non ce l’avrebbe fatta, lo sapeva. No, ormai aveva perso tutto.

Tutto, dannazione!

Alzò lo sguardo a quello che avrebbe dovuto essere il cielo. Nemmeno una stella lo ornava.

Cercò di muoversi. Non ci riusciva. Sentì appena il morbido dell’erba sotto a sé. Forse era bagnata, ma era solo un particolare fastidiosamente irrilevante.

La sua armatura fredda era in netto contrasto con il caldo dei fiotti di sangue che sgorgavano dalle ferite.

Oramai non gli importava più nulla.

Aveva paura, eppure cercava di non dimostrarlo. Sapeva bene che se si fosse lasciato invadere da quell’emozione, avrebbe ceduto in fretta. Ma, grazie al timore, aveva finalmente compreso a fondo chi era.

La paura blocca le menti ma apre i cuori, la paura è dei coraggiosi che sanno affrontare i propri limiti, la paura è per gli impavidi che vogliono vincere nonostante le avversità, ma la paura è soprattutto accorgersi che qualcosa è davvero importante...

Rivolse i suoi pensieri alla sua vita. Era doloroso ricordare quei fatti accaduti così tanto tempo addietro. Forse più doloroso delle ferite che laceravano il suo corpo.

Molto più doloroso.

Si portò faticosamente una mano al petto. Era lì che faceva più male. Un taglio profondo, non sulla carne, no, bensì nell’anima.

Una mente potrà anche dimenticare, ma un cuore non dimentica mai.

Qualcosa gli pizzicò la guancia. Ne era sicuro, erano lacrime. Torrenti impetuosi di acqua salata gli scorrevano sul volto, rigato da quei corsi gelati.

Non era triste. Sapeva che sarebbe vissuto in un altro universo, l’indomani. Un mondo etereo, divino.

Vide una luce fioca. Una luce fredda, gelata come il ghiaccio siderale. La Luna gli stava rendendo omaggio. Era il Sole che trasmetteva calore, non quel satellite. Quella stella illuminava i volti dei vivi. Quella che brillava in quel momento, invece, accompagnava pian piano ogni persona alla sua fine.

No, quella non poteva essere la vicenda finale di quello spettacolo chiamato vita. Avrebbe ricominciato di nuovo, avrebbe fatto grandi cose in un nuovo teatro più vasto.

A volte la cosa migliore che puoi fare è fermarti, restare immobile, ascoltare. Lascia che il vento passi, che la pioggia cessi, che le ferite rimarginino. Prendi tempo. Respira. Lascia andare. Il corpo curerà le sue ferite diventando mappa dove la vita ha segnato le sue coordinate, memoria di ogni battaglia. L'anima riposerà, per un po', fino a trovare la forza di rialzarsi, una volta ancora.

Non era una fine. Affatto.

Quello era un nuovo e coinvolgente inizio.

Quando nasci tu piangi e tutti gli altri ridono. Vivi la tua vita in modo che quando morirai tutti piangeranno, ma tu potrai sorridere.

Angolo autore

Ciao a voi tutti, io sono KraTøs. Nessuno mi ha mai sentito, difatti sono nuovo qui su efp. Scrivo con un account condiviso con una mia amica.

Questa è una ff senza troppe pretese, che racconta la morte di Durbe (non dovrebbe essere andata proprio così, ma fa niente. Immaginate siano andati così i fatti). Perchè su Durbe? Una specie di regalo per la sopracitata amica (infatti questo personaggio è il suo preferito). Se fa schifo, beh...lasciate recensioni negative. Sono quelle che aiutano a migliorarsi. (ho intenzione di scrivere una breve long, verso luglio. Non so se lo farò, è una possibilità)

Ora mi eclisso.

KraTøs

_S n a k e