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Autore: Kastel    14/06/2014    2 recensioni
Servire il nostro Dio è una delle cose più difficili che possano esserci.
È un sovrano severo che pretende tanto ma, secondo le incisioni dei miei predecessori, dona anche il doppio di quanto sacrificato.
Sono anni che lo venero ed ascolto la sua voce. Eppure in cambio non ho avuto nulla. E quel poco che ho desiderato mi è stato portato via.
Quindi...
Dio è morto.
È questa l'unica verità.
Perché è la mia.

[AoKuro]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Tetsuya Kuroko
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Servire il nostro Dio è una delle cose più difficili che possano esserci.
È un sovrano severo che pretende tanto ma, secondo le incisioni dei miei predecessori, dona anche il doppio di quanto sacrificato.
Sono anni che lo venero ed ascolto la sua voce. Eppure in cambio non ho avuto nulla. E quel poco che ho desiderato mi è stato portato via.
Quindi...
Dio è morto.
È questa l'unica verità.
Perché è la mia.

 

 

 

“Maestro, cosa le è stato comunicato questa volta?”
Una stanza vuota, priva di ogni genere di comodità: era il luogo sacro dove i Maestri, gli unici testimoni e portatori della voce di Dio, avevano il dovere di abitare, senza nessuna possibilità di sfuggire a tale destino.
“Mi ha riferito che presto ci sarà una siccità che colpirà duramente il popolo. Si raccomanda di agire con coscienza e intelligenza, poiché non sarà un momento facile.”
Un ragazzo giovane, di massimo sedici anni, dai corti capelli che sfumavano nel cielo: era questo l'aspetto fisico della persona che stava al comando di quella che era l'unica istituzione religiosa di quel paese con attorno solamente il nulla creato dal deserto.
“Ovviamente ascolteremo ciò che Dio le ha rivelato. Salutiamo Voi, Padre e Figlio legati assieme.”
Una porta chiusa, senza che il giovane avesse il permesso di aprirla: era questa la sua gabbia, la prigione dorata dove era stato condotto da bambino, senza potersi lamentare o protestare. Anzi, si doveva ritener fortunato.
Eppure lui tutta quello non gli appariva come un segno della sua buona sorte.
Forse perché intorno a lui era così nero da poter solo provarne il terrore.
Era destino, gli era stato detto più volte: era stato proprio il fato a sceglierlo tra i tanti bambini nati il suo stesso giorno. Era stato esso a decretare che dovesse possedere le caratteristiche fisiche necessarie per poter diventare il Maestro, ovvero occhi e capelli azzurri. Era tutta fortuna. E sarebbe anche potuto andare così, se solo non avesse perso la propria famiglia (strappato dalle braccia di sua madre praticamente appena nato), la propria istruzione (non sapeva né leggere né scrivere, poiché ciò era considerato inutile al fine di compiere il suo dovere), e, soprattutto, alla propria libertà.
Non era assolutamente libero: non poteva uscire, non poteva scegliere cosa mangiare, non poteva desiderare qualcosa. In special modo non poteva amare. La sua era una vita destinata ad essere riempita dall'amore di quel Dio che tanto premurosamente aveva trovato in lui il suo sacerdote. Non poteva e non doveva desiderare altro.
Eppure... Non era possibile ciò.
Non dopo quella visione.

 

Non sarebbe mai dovuto scappare dalla stanza, quella notte. Non avrebbe mai dovuto disubbidire a ciò che gli era stato insegnato, il
primo regolamento.

Il Maestro non deve farsi contaminare dal Mondo terreno.
Ma all'epoca era solamente un bambino, curioso e stanco di essere chiuso dentro quattro mura perennemente buie. Per questo aveva approfittato di una notte senza luna per uscire, scoprendo come i suoi guardiani dessero per scontato il suo rispetto per le regole. Quanta fiducia mal riposta.
Non si era avventurato chissà quanto fuori, nella realtà. Giusto quei pochi metri che gli avevano permesso di potersi avvicinare al balcone appena fuori dalla stanza.
Spalancò la bocca, il bambino, poiché ciò che vide gli mozzò il fiato.
Era la prima volta che vedeva con i propri occhi il profilo di una città di notte: le luci delle case, la musica che si sentiva per le strade, le risate e le voci delle persone. Non gli era concessa una visione più completa, essendo troppo in alto e troppo poco abituato alla luce per poterlo fare, ma già quel poco gli riscaldò il cuore e la curiosità. Chi erano quelle persone? Cos'erano quei rumori che gli facevano venire voglia di cantare? Cos'erano quelle luci?
Tutte domande a cui, probabilmente, non avrebbe mai avuto una risposta.
E tu chi sei?”
Se solo non avesse incontrato lui.

 

 

Era ancora una volta notte.
Non poteva dirlo con assoluta certezza, poiché la stanza non possedeva né finestre e nemmeno una luce. E anche se c'era abituato odiava non riuscire a comprendere lo scorrere del tempo. Per lui la vita era solamente un lungo giorno a cui non era donata una fine.
Eppure sapeva che, per il mondo fuori da quella porta massiccia, era il momento del riposo e della quiete.
Perché Aomine gli stava accarezzando il viso.
Lo chiamò, lasciando che le loro bocche s'incontrassero ancora e ancora. Sentiva di non poterne mai fare a meno, di desiderarlo in ogni momento e ogni attimo.
Era difficile dover aspettare la notte per poterlo avere al suo fianco, per poterlo baciare e stringere. Spesso voleva fuggire, così come gli aveva proposto più di una volta, per poter stare sempre con lui. Ma non era facile.
Per nessuno dei due.

 

 

E tu chi sei?”
Appena sentì quella voce si girò di scatto, sentendo il terrore ghiacciargli le vene. Cosa avrebbe fatto? Dove poteva scappare?
Ma invece di trovarsi davanti a un sacerdote che a causa del buio non l'aveva riconosciuto intravide la sagoma di un ragazzino.
Chi sei?”
... Nessuno, presumo.”
Non poté vedere il suo viso stupito, ma percepì la sua perplessità nella risposta che gli diede poi.
Nessuno? Tutti abbiamo un nome.”
Io... Vengo chiamato il Maestro. Può valere come nome?”
Si aspettò riverenza e incredulità dopo la sua affermazione. Invece ciò che ricevette fu un mugolio che indicava che stava riflettendo su ciò che gli aveva detto.
Maestro... Non è un nome vero. Uhm... Allora che ne dici di Kuroko? Nella mia lingua significa ombra!”
Il ragazzo si bloccò, rimanendo stupito da tutta quella situazione che gli sembrava assurda.
L'altro... non sapeva chi lui fosse e lo stava trattando come un suo coetaneo.
Come un amico.
Rimase in silenzio mentre annuì, anche se era buio e non l'avrebbe mai visto. Eppure il ragazzino rise, avvicinandosi e prendendogli la mano.
Allora è deciso!”
Gliela chiuse a pugno, facendolo scontrare con il proprio.
È il modo in cui nel mio paese ci si saluta. Devo scappare, altrimenti verrò punito.”
Lo lasciò andare, allontanandosi pian piano. E fu solo in quel momento che colui che da allora si sarebbe chiamato Kuroko lo chiamò, chiedendogli solamente una cosa.
E il tuo nome... qual è?”
Io sono Aomine.”

 

 

Aomine: era questo il nome del suo salvatore. Altroché Dio, era stato un misero umano a salvarlo dalla sicura pazzia.
Con il tempo avrebbe scoperto altre cose sul ragazzo: che era uno schiavo, ovvero la posizione a cui si riteneva più affine, soprattutto dopo che gli raccontò che gli era stata rubata la libertà da bambino per trasformarlo in un essere sfruttato e usato per troppi scopi; che veniva da un lontano paese dove i nomi possedevano un proprio significato (il suo era riferito ai capelli neri dai riflessi blu scuro) e parlare voleva dire narrare qualcosa di importate ogni volta; che era figlio unico ma che i suoi parenti erano stati uccisi dai mercanti di schiavi. Gli insegnò tutto ciò che sapeva sul mondo e sugli uomini, gli raccontava cosa accadeva fuori dalla stanza. Aomine era diventata la sua finestra sull'esterno, qualcuno che ogni giorno gli faceva compagnia e evitava che provasse troppo la solitudine e la noia.
Un giorno, però, qualcosa cambiò.
Il primo ad accorgersi che ciò stava accadendo fu Kuroko, sentendo dentro di sé montare ogni volta che stava con il ragazzo la voglia di toccare la sua pelle e di scoprire quanto era caldo. Aomine non fu più lento, ma si trattenne poiché aveva capito chi fosse in realtà Kuroko, percependo i suoi desideri e pulsioni impuri.
Bastò solamente sfiorarsi per cadere in quello che, senza dubbio, era un peccato. Ma nessuno dei due sembrava intenzionato a porre rimedio a quell'errore.
Perché solamente in quegli attimi si consideravano persone libere.

 

 

AH!”
Kuroko ansimò forte, percependo la mano di Aomine toccare il suo membro. Gli pareva una cosa stranissima, quasi impossibile: quella parte del suo corpo che considerava solamente il mezzo per fare i suoi bisogni gli stava dando emozioni completamente diverse. Gemette quando sentì le dita muoversi su di lui, dandogli scariche di quello che avrebbe dovuto evitare come la peste essendo l'emissario di Dio: piacere. Ed era troppo bello, troppo intenso, troppo tutto per poterci rinunciare senza prima averlo assaporato nella sua interezza.
E anche Aomine, nonostante i dubbi e le paure che lo facevano rabbrividire, sembrò intenzionato a non lasciarlo rifugiare nei propri doveri, anzi. Intuì vagamente come andare avanti, preparandolo con le uniche cose che aveva a disposizione: le proprie dita e la saliva.
Dimmi se ti faccio male.”
Oh sì che faceva male, tanto che avrebbe voluto urlare. Ma si trattenne perché gli era ben chiaro che, probabilmente, dopo sarebbe stato premiato. E non fermò il tutto perché gli sembrava di aver trovato ciò che Dio non era riuscito a dargli in tutti quegli anni.
Affetto, piacere, libertà, legami.
Fu per questo che lasciò che Aomine lo prendesse.
Se proprio doveva servire un Dio tanto valeva sceglierlo e non subirlo.

 

 

“Quanto manca ancora all'alba?”
“Troppo poco, Kuroko, troppo poco.”
“Quindi... Devo salutarti?”
“Purtroppo sì. Ma tornerò domani, non dubitarne.”
Quel domani non sarebbe mai arrivato. Non in quella vita, perlomeno.

 

 

“Che significa ciò?”
Kuroko fissò il sacerdote che gli aveva appena riferito quella notizia senza aver compreso realmente cosa gli avesse detto.
“Abbiamo catturato colui che la induceva nel peccato. Non si preoccupi, oramai è al sicuro.”
Si strinse le mani in grembo, non riuscendo a rispondere. Che diavolo significava tutto quello? Perché stavano dicendo quello di Aomine? E perché lo considerava al sicuro?
“Non è colpa sua, io...!”
“Maestro, non cerchi di proteggere chi l'ha distolta dal suo dovere. Sappiamo assai bene che la sua santità la rende superiore e più generoso, ma ciò che ha fatto quel ragazzo è imperdonabile. Osare toccarla così... Grazie a Dio un altro schiavo ci ha avvertito del pericolo.”
Si sentì sempre peggio, capendo tutto. Evidentemente le uscite di Aomine non erano passate così tanto inosservate e di conseguenza qualcuno aveva riferito tutto ai sacerdoti.
Ora come ora avrebbe voluto solamente morire. Ma, purtroppo, neanche quello gli era concesso.
“L'unica cosa di cui si deve preoccupare adesso è purificarsi. È stata solo una prova, non abbiamo dubbi in proposito. E lei l'ha superata.”
Abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. Non era esattamente sicuro di voler sapere cosa significava purificarsi e cosa ciò comportava. Lo capì solo quando vide il sacerdote alzarsi e salutarlo.
“Adesso si prenda il suo tempo per riprendere a parlare con Dio. Non si preoccupi e parli tranquillamente con Lui. Salutiamo Voi, Padre e Figlio legati assieme.”

 

 

 

Dio è morto.
Dio è morto.
Oh sì se è morto.
È stato lapidato da infedeli che hanno osato dire che mi ha forviato e reso un peccatore. Ma non capiscono, non capiscono come nella realtà io sia stato felice di servirlo nel migliore dei modi, come mi ha reso veramente libero e credente in lui.
Dio è morto.
E io sto solo aspettando di poterlo raggiungere.
Prima o poi ci riuscirò.
Quindi attendimi, oh mio Dio.
Il tuo fedele sarà con te. E stavolta, per sempre.

 

 

 

 

Note.

Questa fic è... Boh. Premettendo che io non sono religiosissima, ho delle mie idee su Dio e mi affascinano le religioni al di fuori del Cattolicesimo (io sono cattolica anche se non praticante).
Dunque... L'idea della stanza viene da una storia che lessi. Narrava di un bambino che venne chiuso dentro una stanza senza avergli insegnato niente poiché potesse trovare il linguaggio di Dio. Racconto vuole che poi ce la fece, imparando a parlare e a scrivere qualcosa che nessuno poteva comprendere. Ho ripreso l'idea modificandola un po', rendendo la stanza solamente un tramite per parlare a Dio.
L'ambientazione è desertica, fate conto intorno al periodo romano. Non è basato su nessuna religione esistente in particolare e il Dio che narro non esiste. 
Kuroko non ha nome, per questo Aomine non lo chiama Tetsu. La storia del nome è inventata, il nome di Kuroko significa altro ma ho preso il significato che lui stesso si da all'interno del manga.
Eeee insomma, spero di non aver fatto errori e che vi piaccia.
Se vi va leggetela ascoltando musica pagana o “Il testamento di Tito” di De André (io amo la versione dei Modena City Rambles), che trovo molto azzeccata con il tema.

   
 
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