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Autore: Hi Fis    15/06/2014    0 recensioni
Epilogo delle avventure del Comandante Hayat Shepard, dieci anni dopo gli avvenimenti di Mass Effect 3, e protagonista dei miei precedenti racconti relativi a Mass Effect. Non è necessario aver letto le mie fiction precedenti, perché il prologo conterrà una breve descrizione della protagonista.
Multipli comprimari, un nuovo personaggio, varie scene. A tratti AU.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Liara T'Soni, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Mio padre amava ripetere che sono nata con una cloche in mano: non credo lo intendesse letteralmente, o dubito che mia madre mi avrebbe amato allo stesso modo delle mie sorelle.
La luce viaggia alla velocità di 299'792'458 metri al secondo: questo significa che posso guardarmi mentre dico questa frase, se viaggio abbastanza lontano e velocemente.
Volete vedermi volare fino al limite estremo della Galassia e ritornare?
...Volete che lo faccia di nuovo?
Capitano Ariel bint Hayat T'Soni, detentrice di cinque record di volo FTL e pilota designato del Nexus
 
 
"Non so davvero cosa ci faccia io qui." disse Elea rassegnata.
"Stai facendo un viaggio con la tua famiglia." rispose dolcemente Liara, con Sesat addormentata in braccio.
L'invito ad andare con loro era stato forzato, quasi una minaccia, dopo la rivelazione del segreto dei Razziatori. Tuttavia, Elea aveva dovuto riconoscere che Hayat e Liara erano state nel giusto nel volerla portare via da Trategos: se fosse rimasta sulla colonia, le suggestioni della conversazione con Defiant si sarebbero trasformate probabilmente in timore, o peggio Elea non avrebbe potuto più guardarle senza ripensare al Razziatore. Imbarcandosi su Oasi invece, quella terribile impressione le veniva tolta un pezzo alla volta, mentre assisteva e veniva coinvolta nei drammi banali e quotidiani di una famiglia numerosa: Elea stessa aveva dovuto riconoscere che il viaggio era stato di una tranquillità disarmante, tanto che era quasi riuscita ad abituarsi ad Apostata.
La partenza della dottoressa da Trategos era passata quasi inosservata fra i molti coloni che avevano fatto una scelta simile alla sua: sembrava proprio che i abitanti avessero improvvisamente riscoperto di non essere nati in mezzo al ghiaccio e al freddo.
Per quanto la riguardava personalmente, Elea si era presa un mese di aspettativa, con l'opzione di assentarsi più a lungo se così fosse stato necessario: nessuno si era opposto, anche perché chi avrebbe potuto porre un veto alla sua "vacanza" era partito addirittura prima di lei. Ma ora che erano arrivati alla loro prima tappa del viaggio, che avrebbe dovuto concludersi con la visita di Aethyta prima di riportarla su Trategos, la persona che Elea era stata prima di incontrare Liara e Hayat tornava a farsi sentire.
Tuttavia, questo era perfettamente comprensibile e normale: Tuchanka non è mai stato un luogo accogliente.
"Questo lo so. Intendevo qui, nel senso... per la Dea cos'è quello?"
"Hai buon occhio..." rispose Hayat avvicinandosi a lei.
Non era stata una sorpresa per Elea scoprire che a bordo della nave c'era un arsenale, a cui normalmente nessuno poteva accedere. Quello che Elea non si era affatto aspettata, anche per una leggenda come sua cognata, era la quantità e la solennità di tutte quelle armi ed armature: la stanza sembrava quasi un museo, se non perfino un tempio, dedicato alla venerazione degli strumenti di guerra. Al posto d'onore, in mezzo alla sala, c'era ciò che Elea stava indicando in quel momento: era grosso, sbozzato, brutto e consunto.
"È Krogan: lo chiamano Graal." Hayat lo imbracciò nella destra, con un sorriso nostalgico sul volto: "Lo usavano per andare a caccia di Divoratori, secoli fa, quando ancora non era stato inventato il bombardamento aereo. Nella sua incarnazione originale non era nemmeno un'arma ad accelerazione di massa: più una balestra a ripetizione. Non ne fanno più così. "
"...Divoratori? Quei Divoratori?" I Divoratori erano rimasti una piaga interstellare anche dopo la Guerra: parassiti che usavano le navi spaziali per spargere le loro spore e diffondersi. Poi, trovato un pianeta qualsiasi, la spora germogliava, trasformandosi nel corso degli anni in vermi territoriali e aggressivi grandi quanto una collina: c'erano stati insediamenti interi che erano spariti in ore per colpa di un singolo Divoratore.
"Tuchanka ne è infestata da millenni" annuì sognante Shepard: "I Krogan hanno dovuto inventare qualcosa per tenere il loro numero sotto controllo. Il Graal è stata la risposta: spara sei schegge di metallo ad alta velocità, lunghe quanto la mia spanna, concepite per penetrare la dura corazza di un Divoratore e ucciderlo per dissanguamento. La tecnologia moderna non è stata in grado di migliorarlo molto in fondo: l'unico vero cambiamento dalla sua prima incarnazione è che ora non pesa più quanto un'astronave, e può sparare anche qualcos'altro, invece di semplici schegge di metallo."
Da una pila posata a fianco del Graal, Shepard prese uno stecco appuntito e aereodinamico:
"Flechette esplosive. Penetrano in profondità anche le corazze più resistenti e obliterano il bersaglio: su bersagli umanoidi il risultato è... sanguinolento."
"Chi è lo sconsiderato che lo userebbe su bersagli umanoidi?"
"Io." disse semplicemente Shepard, cominciando a caricare il Graal con le flechette esplosive: "Questa è un arma per dare la caccia ai mostri, Elea: è stata la mia arma. E durante la Guerra c'erano mostri di tutte le dimensioni: non solo alti due chilometri."
"...Non ho alcuna intenzione di usare una cosa del genere."
"Bene. Perché non te lo stavo offrendo." rispose Shepard: "È difficile da imparare a usare. Hai qualche esperienza con le armi da fuoco? O da taglio?"
Elea scosse la testa.
"Questo può essere un problema."
"Ancora non capisco perché devo per forza portare un'arma sul pianeta: soprattutto, non capisco perché dovrei scendere sul pianeta."
"Elea, cerca di capire: per una serie di circostanze, io sono un Krogan onorario. Liara può rimanere a bordo perché sanno del suo stato e capiscono, ma se la sorella a lungo perduta di Liara rifiutasse di scendere sul pianeta per conoscerli, come minimo ci troveremmo a bordo mezzo clan di umore rissoso, lievemente innervosito dal tuo comportamento, a cui dovrei dare da bere fino a stordirli per tenerli buoni. Hai idea di cosa farebbero ai miei tappeti, dopo aver mangiato i miei mobili?"
"... Dovevi proprio fargli sapere che c'ero anch'io?"
"Siamo una famiglia Elea, perché avrei dovuto nasconderti? E alcuni del clan avrebbero potuto spararti a vista, quando avessero trovato un estraneo a bordo di Oasi. Sono... protettivi." disse Shepard, giocando con i suoi capelli.
"...Immagino che questo risponda al perché debba scendere su Tuchanka. Ma... armi?"
Fu Sihaya a rispondere questa volta, che insieme a Selene e Alune era rimasta fino a quel momento ad osservare da vicino la corazza da combattimento di Hayat, nera come la pece e con un drago d'oro rampante sul petto. La piccola Asari recitò per Elea un noto detto Krogan:
"Tuchanka è un luogo di grandi doni, zia: uccide i deboli, tormenta i lenti e distrugge gli stupidi."
"...Sihaya: cosa abbiamo detto riguardo ad usare frasi Krogan fuori da Tuchanka?"
"Ma mamma: anche la zia è un quarto Krogan!" protestò Sihaya.
"E questo fa di te che cosa?"
Sihaya rimase a pensarci attentamente, gonfiando le guance nello sforzo di rispondere:
"Un... un ottavo?"
"Brava la mia bambina." si complimentò Hayat, prima di tornare a rivolgersi ad Elea: "Su Tuchanka andarsene in giro disarmati equivale a sfidare ogni Krogan che ti veda a dimostrare che ti sei guadagnata quel diritto: nemmeno io lo faccio."
"Troppo pericoloso?"
"Stancante. Tenere al loro posto adolescenti Krogan in preda agli ormoni è un lavoro a tempo pieno. Ed è per questo motivo che scenderemo sul pianeta in zona neutra, non in una delle città."
La dottoressa non sembrava ancora convinta del tutto:
"Non ci saranno seri pericoli, Elea, ma vorrei darti qualcosa che tu possa usare comunque: per ogni necessità... vediamo, vediamo." disse Shepard, facendo vagare lo sguardo per la stanza: "Ah!" Esclamò, prima di catapultarsi letteralmente dall'altro lato della stanza: nel senso che si ricoprì di una barriera biotica, scomparve e si materializzò a diversi metri di distanza. Per poi tornare allo stesso modo dopo aver aperto alcuni scomparti invano, fino a trovare...
"Eccola: M358 Talon. Scalcia come un mulo, ma non devi prendere la mira quando la usi: è uno shotgun miniaturizzato." disse, mettendogliela in mano.
"Papà, cos'è
un mulo?" chiesero le due gemelle.
"È simile ad un cavallo. Ma di solito non si cavalca. Ed è famoso sulla Terra per essere testardo."
"E mangia l'erba?" chiese una delle due gemelle.
"Certo che mangia l'erba, ma non la carne, al contrario di Urz."
Al Varren di famiglia non era permesso entrare nella stanza: da quello che aveva osservato nei giorni passati, quando non era tormentato dalle due gemelle, il vecchio animale passava il suo tempo libero nel Giardino, o caracollando nella biblioteca fino a trovare il cantuccio più caldo e sonnecchiare.
"Papà, chi è che mangia la carne oltre a Urz?" chiese l'altra gemella, spalancando due occhi violetti pieni di curiosità.
Era impossibile per Hayat resistere a quelle faccine: mentre l'eroe di guerra si lanciava in una vivida descrizione di tigri, leoni, leopardi, giaguari, puma e pantere, con tanto di effetti sonori e gesti esplicativi, Liara continuò il compito di preparare Elea da dove Hayat l'aveva lasciata:
"Mi sono permessa di far adattare la mia vecchia corazza per l'occasione."
"...Anche la corazza?"
Liara sorrise lievemente, avvicinandosi fino a sussurrarle:
"Quello che Hayat non riesce ad ammettere, è che non si perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa. Non ti capiterà niente di male, sarai sempre tra amici, anche se magari non subito: una spinta biotica di solito è abbastanza per avere la loro attenzione. A proposito...?"
Elea annuì con la testa:
"Sono nella squadra campionessa di biotiball di Trategos: nel torneo fra le equipe, non mi hanno mai tolto la palla."
"Bene. Direi che non manca nulla..."
Esattamente in quel momento, Apostata, con uno dei suoi corpi blu cobalto, si affacciò sulla porta della stanza:
"Miss Shepard, Miss Liara, Miss Elea, signorina Sihaya, signorine Selene e Alune: abbiamo finito ora di approntare lo shuttle. Pranzo al sacco e bagagli sono già stati caricati."
"Non avresti dovuto disturbarti, Apostata: grazie." rispose Hayat, sdraiata sul pavimento con le proprie figlie a cavalcioni, ancora ansanti a causa dell'attacco del terribile solletiguaro.
"...è un piacere." rispose Apostata dopo un momento muovendo la testa di lato per osservare meglio Hayat e le bambine: "Vorremmo preservare questa immagine nelle nostre banche dati. La disposizione degli arti era... interessante."
"Apostata, quanto volte ti ho detto che non hai bisogno del mio permesso per farmi una foto? Almeno fino a quando condividi delle copie."
"Non è una foto, miss Shepard: è una compressione dati tratta dalla periferica visiva delle nostre piattaforme."
"In poche parole: una foto." sbuffò Hayat rialzandosi in piedi con un sorriso: "...Come al solito, mentre saremo sul pianeta sei tu il secondo in comando, Apostata."
"Terremo le luci accese, miss Shepard." assentì il Geth con la torcia che aveva per testa.
"...Sicura che non ti annoierai, Liara?"
"Ho Sesat a tenermi compagnia. E poi sai che Treeya continua a mandarmi materiale sui Prothean per farmelo correggere... strano, considerando che fra noi sei tu l'esperta."
"Credevo di essere la tua cavia."
Le guance di Liara diventarono di un blu più scuro, mentre ricordava la giovane Asari che era stata e le sue prime impressioni col senso dell'umorismo, e coi doppi sensi, così tipici in ogni lingua umana.
"Quello è stato molto tempo fa..."
"E ora ti dedichi solamente alla tua nuova pupilla: sono quasi gelosa." disse Hayat avvicinandosi.
"E perché mai?"
"Non posso farne a meno: sei così sexy quando leggi..." concluse l'umana, dandole un bacio tale sulle labbra, che Elea stessa, che era solamente rimasta a guardare, sentì le ginocchia farsi molli.
Liara dovette sbattere gli occhi diversi volte prima di ritrovare il suo centro:
"...Adulatrice."
"Mamma, tu e papà, pensate
di fare un altra sorellina?"
"Avevate promesso che non..." cominciò a protestare Sihaya.
"Anche tu
vuoi saperlo." la interruppero le gemelle.
Hayat abbracciò la vita di Liara, voltandosi a guardare le tre bambine con un sopracciglio alzato: "Ne vorreste un'altra?" chiese loro Liara.
Selene e Alune scossero la testa:
"Ne abbiamo parlato e ci abbiamo pensato.
Visto che il fratellone è sempre su Tuchanka,
in quattro siamo poche: lo zio Garrus dice
che in quattro non si può nemmeno giocare a poker...
Ma in sei non ci staremmo tutte nel lettone.
Cinque è più bello: come le dita delle mani."
Dissero a turno, facendo danzare le loro ditine, prima che Sihaya aggiungesse:
"...E il fratellone per fare il pugno."
Hayat non sapeva se rimanere seria o mettersi a ridere: un breve scambio di sensazioni e pensieri con Liara attraverso il loro contatto fisico rivelò che anche la sua compagna provava le sue stesse emozioni.
Fu Elea a salvarle dal dover rispondere:
"Alune, Selene: sapete come si indossa la corazza? Per me è la prima volta..." chiese la dottoressa, ed era vero: tute ambientali erano comuni su Trategos, dove la temperatura all'esterno poteva scendere facilmente di un centinaio di gradi sotto lo zero. Su Tuchanka i pericoli non erano così impersonali, ma avevano molti più denti: la corazza che era stata adattata per Elea era un'armatura militare, per lei davvero fin troppo sofisticata e all'avanguardia.
"Ma zia, è
così facile!" dissero le gemelle, schizzando in suo aiuto, seguite dopo un momento da Sihaya.
Le tre piccole Asari presero ciascuna la loro corazza, procedendo a calzarle con una velocità che denotava lunga pratica: dopotutto, erano cresciute a bordo di una nave spaziale e ciò che indossavano a contatto con la pelle era composto da gomma e schiuma antichoc, ovvero lo strato protettivo di base di ogni tuta spaziale, corazza da combattimento e via di mezzo. Sopra di essa, le piccole allacciarono un primo strato di plastica dura e protezioni rimovibili e poi le protezioni finali di metallo: Elea cercò di seguirle meglio che poté, ma alla fine Hayat dovette darle una mano per aiutarla ad incastrare ogni porzione. Inutile dire che l'umana aveva indossato la sua corazza in meno di quaranta secondi: con l'arma anti mostri nota come Graal già attaccata al magnete sulla schiena e una spada lunga attaccata al polso destro, Elea capì cosa dov'esse essere stata Shepard durante la Guerra: anche con l'elmo aperto che le copriva solo la nuca, la dottoressa non ebbe dubbi che in questa Galassia non c'era nulla che avrebbe potuto opporsi a sua cognata sul campo di battaglia.
"Ti sta bene." le disse Hayat quando incrociò il suo sguardo.
La dottoressa non disse nulla, mentre passava il guanto corazzato sul metallo che le copriva la pancia: gli emulatori sensoriali all'interno dell'armatura trasferirono parte della sensazione, un'esperienza completamente nuova per Elea: era quasi oppressiva per quanto era aderente, ma non impediva i suoi movimenti in alcun modo. Quando le IV integrate nell'armatura presero vita, la Talon si attaccò al magnete sulla coscia automaticamente. Elea subì anche con una certa apprensione la lieve distorsione del suo campo visivo, mentre gli scudi venivano attivati e gli ultimi sistemi dell'armatura, come il traduttore universale, testati automaticamente.
"Siamo tutti pronti?" chiese Hayat facendo un'ultima veloce ispezione delle sue figlie: "Elea? Tutto a posto?"
Suo malgrado, la dottoressa si ritrovò ad annuire.
Con un piccolo sbuffo, dovuto alla vita che portava in grembo, e a Sesat in braccio, Liara si chinò verso di loro distribuendo baci e gli ultimi consigli del caso:
"Non andate in giro da sole, restate vicino a vostro padre e non mangiate o bevete niente di quello che vi offriranno se non è stato cotto o bollito, mi raccomando..."
"Mamma, abbiamo sette anni
Non siamo delle bambine." protestarono le gemelle.
"Già, avete ragione." sorrise Liara: "A volte me lo dimentico... state crescendo così in fretta. E tu signorina..." disse rivolgendosi a Sihaya: "Cerca di non farti trascinare di nuovo in qualche avventura, d'accordo? E tieni sempre il tuo comunicatore acceso."
Sihaya guardò suo padre di sfuggita, scambiando con Hayat un cenno di complicità, prima di annuire col capo.
"Allora si parte." disse Hayat, depositando un rapido bacio sulle labbra di Liara, uno ancora più lieve sulla fronte di Sesat e seguendo le tre piccole Asari che stavano già scalpitando per scendere sul pianeta. Liara le guardò andare, scambiando un cenno di incoraggiamento con Elea, e poi chiuse la porta dell'armeria, pronta a godersi un po' di tempo in tranquillità.
 
Mentre si dirigevano verso l'hangar della nave, la dottoressa invece ebbe un improvvisa intuizione:
"Come faremo a scendere sul pianeta?"
"Con uno dei nostri shuttle..." rispose Hayat.
"Per la dea..." sospirò la dottoressa: un viaggio in locali angusti non era proprio il modo con cui sperava di cominciare la visita su Tuchanka.
"Non possiamo usare i robot? Prometto che non lo diremo alla mamma..."
"Sihaya, non credo proprio che tua zia amerebbe venire sparata all'interno di un esoscheletro da combattimento..."
"Davvero zia?"chiese la piccola Asari con gli occhi pieni di speranza. Elea si piegò su un ginocchio per guardarla negli occhi:
"Ci conosciamo da poco, Sihaya, ma sento di volervi già bene..."
"Allora possiamo usare i robot!"
"No, non li useremo: perché per quanto vi voglia bene, io non verrò mai sparata. Da nessuno."
Lo disse con un tono di voce tale, che la discussione terminò lì.
 
***
 
Elea vorrebbe fare tante cose: scendere dallo shuttle ha avuto la priorità numero uno nella sua lunga lista, ma ha già avuto modo di pentirsene.
Lo navicella che vibrava loro attorno per la decelerazione atmosferica non è stato per nulla rilassante per la dottoressa, che ha trascorso il volo con la testa fra le ginocchia e le cinture ben strette attorno alla vita, mentre le bambine osservano rapite il pianeta che si avvicinava sotto di loro. Elea non ha nemmeno visto l'hangar scavato nella roccia che si è aperto per loro, ne ha potuto apprezzare l'abilità necessaria per condurre la manovra di atterraggio: nonostante il vento e la polvere che esso trasportava, Shepard ha fatto posare lo shuttle dolcemente nella cavità scavata in una delle alture equatoriali di Tuchanka. L'ululato del vento attorno a loro è cessato non appena le porte dell'hangar si sono chiuse dietro di loro, ed Elea è stata la prima a mettere piede nel fresco ambiente, ansiosa più che mai di avere terra solida sotto i piedi.
Solo per trovarsi faccia a faccia con una squadra di Krogan dallo sguardo truce: per un istante, la dottoressa incrociò lo sguardo col capo del drappello, solo per venire etichettata e messa da parte in pochi istanti.
Anche Elea aveva osservato il Krogan: era brutto come il peccato, e probabilmente più vecchio. Una vistosa cicatrice gli sfregiava la placca che tutti i Krogan avevano per fronte, continuando fino alla base del collo, segnando come un canyon vecchie scaglie rossastre.
Senza dirle una sola parola, il Krogan le afferrò la spalla e la spostò di lato: un gesto che Elea gli lasciò compiere, estremamente felice di uscire dal suo campo visivo. Aveva occhi rossi come il sangue.
"Shepard." disse il Krogan, rivolgendosi ad Hayat: pronunciava quel nome in modo unico, quasi masticando le lettere e poi sputandole perché non erano di suo gusto. Un brontolio di gola che suonava molto come Shepurrd.
"Wrex." rispose Hayat dalla passerella dello shuttle.
"Shepard!" ruggì ancora il vecchio Krogan, aprendo le braccia e la bocca allo stesso modo.
"Wrex!" ripeté Shepard, prima di lasciarsi stritolare in un abbraccio che sembrava fatto per spaccare le rocce.
"Shepard!" disse un altro Krogan, dalle scaglie color cromo.
"Grunt!" Se possibile, l'abbraccio spaccaossa fu ancora più forte del primo, e per un istante Elea giurò di aver visto i piedi di Shepard staccarsi da terra: "Sei cresciuto. Ancora."
"Eh eh eh."
"ZIO WREX." dissero in coro le due gemelle, prima di saltare dalla passerella addosso al Krogan rosso, che le acchiappò al volo fra due dita.
"Selene. Alune." brontolò, prima di metterle a cavalcioni sulle spalle: era così grosso, che gli spallacci della sua armatura erano della taglia giusta per fare da poltrona alle due piccole Asari.
"Grunt." dissero poi le gemelle in coro dall'alto del loro trespolo.
"Sorelle." assentì il Krogan, che però poi le ignorò in favore di Sihaya: "Sorella."
"Fratellone."
"Sihaya."
"Zio Wrex..."
Lo scambio di saluti durò per un certo tempo: nomi e sillabe venivano fatti girare da una bocca all'altra, mentre Elea rimaneva in disparte a farsi ignorare. Si concluse tutto solo quando due Krogan più piccoli si fecero avanti di fronte ad Hayat: Elea non aveva mai visto prima bambini Krogan. Come in molte specie, anche quei cuccioli erano quasi tutti testa, ma il loro retaggio impediva ad Elea di trovarli carini come al solito: erano delle patate piuttosto bitorzolute e mezze nude.
Senza timidezza, i due Krogan guardarono da sotto in su l'umana:
"Shepard." abbaiò il primo. O forse la prima: era difficile capirlo con i Krogan.
"Mordin." rispose Hayat: il Krogan aveva occhi rossi come Wrex, indicando quasi certamente un certo grado di parentela. Poi si fece da parte, lasciando all'altro Krogan più piccolo spazio per farsi avanti:
"Shepurrd." biascicò, con una pronuncia quasi incomprensibile. L'umana si piegò su un ginocchio davanti a lui, fino a quando i loro occhi furono allo stesso livello.
 "...Shepard." ripose l'umana, facendo toccare le loro fronti per un momento. Il piccolo Krogan provò a spingerla via, ma quando gli fu chiaro che non ci sarebbe riuscito, ringhiò soddisfatto, per poi allungare una mano per afferrare la protesi di Hayat.
Solo allora Shepard presentò finalmente Elea al clan:
"Clan Urdnot, questa e la dottoressa Megara, la sorella di Liara, la mia compagna."
"Un'altra Asari molliccia." berciò Mordin. Sì, senza dubbio era una femmina: "Scommetto che po..." Elea non seppe mai cosa la Krogan stesse per dire, perché Mordin chiuse la bocca all'instante.
Di fronte a lei, si era materializzata Sihaya, esattamente allo stesso modo in cui Shepard si era spostata nell'armeria:
"Eh Eh Eh." rise ancora Grunt.
"Sei sfortunata, Mordin: nostra sorella
ha imparato direttamente da papà."
"Sul serio?" chiese Wrex, guardando le due Asari che aveva sulle spalle.
Shepard annuì, con il più strano dei sorrisi sul volto:
"Per qualche motivo, Sihaya non ha ereditato il potenziale di Liara. È più simile a me e quindi le insegno: però questa è la prima volta che lo fa."
"Il sangue Krogan non mente. Anche quando è solo un ottavo: sta crescendo bene." si complimentò Wrex: "Un vero membro del clan."
"...Grazie zio."
"Avresti dovuto colpirla." balbettò Shepard, il Krogan, non l'umana. Al che sia Grunt che Wrex scoppiarono a ridere:
"Sembra che anche qualcun'altro stia crescendo bene." disse Hayat, abbassando lo sguardo sul piccolo.
"Già... al contrario di Mordin. È litigiosa quanto un Varren."
"Mi domando da chi abbia preso..."
Wrex fissò il suo sguardo dritto su Hayat.
"Shepard." la ammonì.
"Wrex."
"GRUNT!" gridò scandalizzata Sihaya, quando il Korgan color cromo, che Elea realizzò avere gli occhi di un perfetto azzurro, la sollevò da terra e se la mise a cavalcioni sulla gobba. Per nulla impressionato dai suoi sforzi per liberarsi, compresi quelli biotici, il Krogan caracollò verso Elea, fermandosi ad una distanza tale che se non fosse stato un Krogan, Elea avrebbe potuto definirlo "sfacciato". Perfino la sua faccia era più larga delle spalle di Elea.
"Quindi sei la sorella di Liara. Io sono Urdnot Grunt, un Krogan puro."
"... Come si fa ad essere un Krogan puro?" chiese Elea educatamente.
Grunt sembrò pensarci su per un momento:
"Non lo so. Ma io lo sono." affermò orgogliosamente: "Shepard è la mia Guerriera: questo ci rende Krannt. Se hai bisogno di qualcuno per lottare al tuo fianco, chiamami."
"Molto... cavalleresco, da parte tua."
Il Krogan annuì lievemente:
"Sei anche tu un soldato? Una spia o un assassino?"
"Temo di essere semplicemente una biologa marina: mi occupo dello studio e della catalogazione delle forme di vita autoctone di Trategos, e della comparazione dei loro percorsi evolutivi con quello di altre specie..."
Grunt corrugò la fronte:
"Parli sempre così?"
"Così come?"
"Con parole grosse. Sono difficili."
"...Temo di sì."
"Urgh."
"Non farti ingannare da Grunt, Elea..." disse Shepard avvicinandosi: "Gli piace farsi passare più sciocco di quanto non sia: in realtà ha probabilmente letto più di ogni altro Krogan messo assieme."
"Madre... non davanti al vecchio fossile." protestò debolmente Grunt.
"Ah! Sembra che junior qui si vergogni di essere diventato uno scienziato. Colpa di tutta quella roba che leggi, dico io..."
"Meglio che essere un vecchio fossile che non è nemmeno più in grado di sconfiggere un bicchiere di latte caldo."
"Devo aver sentito male, cucciolo. Sembrava quasi che mi stessi sfidando..."
Entrambi i Krogan si fermarono all'improvviso, percependo un cambio repentino nell'atmosfera: non poteri biotici, ma qualcosa di più astratto e assai più letale.
"...Wrex, Grunt, sembrava quasi che vi steste per mettere a litigare con le mie figlie sulle spalle. Questo mi irriterebbe molto. E voi non volete vedermi irritata, non è vero?" chiese Shepard.
I due Krogan non replicarono, mentre gli sguardi di Elea passavano da Shepard ai Krogan e alle bambine, che trattenevano il fiato.
"...Donne." sibilò Wrex, cercando invano di non farsi sentire.
"Wrex." lo ammonì Shepard e per la prima volta il grosso Krogan non replicò, deglutendo invece rumorosamente.
"...Fico."fu il commento di Shepard il Krogan: "Posso imparare a farlo?"
"Non vedo perché no." rispose l'umana: "Basta essere capaci di mantenere le proprie minacce."
"...Eloquentemente posto." commentò Grunt, grattandosi il mento con un dito tozzo.
Elea non seppe se essere stupita dal fatto che un Krogan avesse usato correttamente il termine "eloquentemente" in una frase. Piuttosto che rischiare di offenderlo, decise invece di chiedere qualcos'altro, avvicinandosi a Shepard e mormorando a bassa voce:
"Sono un po' confusa: che rapporto c'è tra te e Grunt?"
Prima di rispondere, Shepard si assicurò che entrambi i Krogan non fossero a portata d'orecchio: non c'era pericolo che il piccolo Shepard origliasse, perché del tutto occupato dal contenuto del suo naso.
"Grunt è un Krogan artificiale, creato dal signore della Guerra Okeer prima della Guerra, grazie alla tecnologia dei Collettori. Okeer voleva un supersoldato, un erede delle migliori qualità Krogan, addestrato tramite simulazioni neurali impiantate direttamente nel suo cervello durante una maturazione accelerata: in realtà, Grunt è poco più vecchio di Sihaya."
Elea osservò il Krogan, mentre Sihaya si chinava dalla sua posizione per sussurargli qualcosa che lo fece tremare dalle risate:
"Io ho ereditato la vasca dove era stato coltivato e l'ho accolto nel mio equipaggio un anno prima della Guerra. Ho cercato di dargli una direzione, un'educazione: prima che me ne accorgessi, e capissi del tutto cosa stavo facendo, l'ho iniziato alle tradizioni Krogan e l'ho aiutato a diventare membro del clan Urdnot. Non sapevo come sarebbe finita tra noi..."
Hayat si fermò un momento ad osservare anche lei Grunt e Sihaya:
"Per i Krogan, io sono la sua madre Guerriera, perché l'ho educato e portato in battaglia per la prima volta. E lui è il mio krannt e il mio bambino: l'unico maschio della famiglia, per ora. Se vuoi conoscere il resto, ti consiglio di chiedere a lui: le sue parole hanno... impatto, quando racconta."
 "Shepard: dobbiamo muoverci." ululò Wrex dal fondo dell'hangar.
"Arriviamo." fu la risposta: "Pronta ad incontrare il coro?" le chiese.
"...Spero di sì." fu la sua debole risposta: si poteva mai essere pronti ad incontrarLi? Perfino Urz era rimasto sullo shuttle ed Elea lo invidiò moltissimo in quel momento.
Seguendo il gruppo, la dottoressa salì sul mezzo Krogan che li stava aspettando in fondo all'hangar, per condurli nelle profondità del pianeta: un tomkah, una sorta di carro armato costruito dai Krogan, abbastanza spazioso per accogliere Wrex e Grunt ai comandi e il resto dei passeggeri nel suo capiente vano di carico. Il mezzo rugginoso era partito con un ruggito quando Wrex aveva premuto a fondo l'acceleratore, imboccando a velocità pericolosa una galleria scavata nella nuda roccia, che si inabissava dolcemente nelle profondità di Tuchanka: il tunnel era largo come una strada a due corsie, e illuminato ad intervalli irregolari da lampade fluorescenti.
Era stupefacente constatare quanto potessero creare in pochi anni.
"Perché hanno costruito così in profondità?" cercò di chiedere Elea al di sopra del ruggito del motore.
"Per quanto possano vivere in presenza di ossigeno, a loro non piace molto." rispose Hayat: "Dovrai indossare il casco quando saremo a destinazione." disse ancora, indicando il suo elmo con un gesto esplicativo. Elea assentì con la testa e fece un segno per farle sapere che aveva capito.
Il tomkah procedeva ad alta velocità lungo il tunnel in pendenza, eppure il viaggio durò molto più a lungo di quanto Elea si aspettasse: almeno dieci minuti, secondo il cronometro integrato nella sua corazza.
Quando finalmente si fermarono, Elea fu sorpresa dal constatare quanta luce filtrasse nel vano passeggeri attraverso il cruscotto.
"Maschere su." esclamò giulivo Grunt dal suo posto di copilota e tutti si affrettarono a prepararsi: perfino Mordin e Shepard si allacciarono delle mascherine attorno alla faccia, legandosi addosso il marchingegno per il riciclo dell'aria. Hayat e le Asari invece, si limitarono a lasciare che il loro elmetto scivolasse loro addosso, sigillandole in sicurezza, nascondendo i loro volti sotto forme aereodinamiche e lievemente bulbose, come quello di insetti di metallo.
Shepard fu la prima ad uscire dal vano passeggeri, raggiungendo Wrex e Grunt davanti al tomkah: si erano fermati in un largo spiazzo, scavato nella roccia nell'immagine speculare dell'hangar da cui erano partiti. Nelle pareti di fronte a loro si aprivano un numero incalcolabile di tunnel bui in cui nemmeno la fluorescenza delle lampade e i fari del Tomkah riuscivano a penetrare.
"Non c'è nessuno..." disse Elea e la sua voce venne amplificata dai sistemi della corazza:
"Stanno aspettando che Shepard li chiami." rispose Wrex: ed infatti, Hayat avanzò di qualche passo dal drappello, sollevando il braccio in aria. Una melodia di campanelli e flauti si liberò dalla sua protesi, una musica fuori moda e arcana, che si propagò nei tunnel attraverso la roccia.
La dottoressa li sentì prima di vederli: lo scalpiccio lontano di qualcosa che si avvicinava a loro. Una stampede di corpi enormi, alieni per forma a tutte le altre specie della Galassia: quando Sihaya strinse la mano di Elea, la dottoressa non si ritrasse, ma anzi, fu grata di quel contatto fisico.
Emersero lentamente dall'ombra dei tunnel: se la paura di Elea verso i sintetici era motivata da preconcetti antecedenti alla Guerra, la sua reazioni ai Rachni fu dovuta più a paure primordiali.
I Rachni erano... chiamarli enormi sarebbe stato sottovalutarli: anche i Krogan avevano un fisico massiccio, ma i Rachni eguagliavano facilmente la stazza dei nativi di Tuchanka. Quello che colpiva di più era la loro estraneità: l'evoluzione aveva percorso altre strade con loro, dando ai Rachni quattro zampe disposte a raggiera, che sorreggevano un corpo simile a quello di un gambero, ma con un carapace simile a quello degli scarafaggi. I Rachni non avevano braccia, ma due lungi tentacoli filiformi che terminavano in aguzze pinze ossee, capaci di tranciare anche i metalli più duri: allo stesso modo, non possedevano una faccia, ma il loro corpo terminava in una bocca aguzza, coperta da un becco osseo segmentato simile alle loro pinze, attorno al quale erano disposti occhi composti e bulbosi, che Elea notò scintillare lievemente nel buio.
Dal tunnel più grande, emerse un esemplare così titanico che Elea seppe trattarsi della Regina: il suo carapace era di colore purpureo, quasi setoso, e torreggiava perfino sul Tomkah che li aveva portati fino a lì. Alle sue spalle, i suoi figli la seguivano camminando gli uni sugli altri, con dimensioni variegate: c'erano alcuni esemplari appena più piccoli della regina, di un colore nero lucido, i più numerosi operai, non troppo più grandi di un Krogan, di colore marrone sporco, e poi, fra gli spazi rimasti liberi, si insinuavano piccoli corpi verde pallido, scorrendo come l'acqua tra le fessure delle rocce.
Solo la Regina avanzò verso di loro, lasciando i suoi figli radunati dietro di lei: istintivamente, Elea fece un passo indietro, tenendo dietro di sé i bambini.  
La Regina non badò affatto ad Elea, ma allungò un solo lungo tentacolo, fino a quando le sue pinze toccarono la mano di Shepard, che strinse le dita attorno ad esse.
Quello che la dottoressa non si aspettava fu la presenza che percepì agli angoli della sue mente: un intelletto molto più vasto di quanto Elea avesse mai sperimentato prima, un Io solenne, privo di malignità, ma ricolmo di reverenza, diretta tutta verso Shepard. Elea seppe che se avesse abbassato le difese della sua mente, la Regina sarebbe potuta entrare dentro di lei anche senza toccarla.
Poi la madre dei Rachni cantò: i suoi polmoni dalle molte camere modularono suoni che furono fatti vibrare attraverso il suo becco osseo.
La dottoressa non aveva niente con cui paragonare quel suono: se fosse stata umana, avrebbe cercato di descriverlo come un duetto fra un uccello tropicale ed un didgeridoo.
Era in questo modo che i Rachni comunicavano: veniva definito "canto", ed era una lingua estremamente difficile da comprendere, anche attraverso l'uso di traduttori computerizzati. Questo perché i Rachni cantavano e ascoltavano ogni lunghezza d'onda sonora: infrasuoni e ultrasuoni allo stesso modo. Al loro confronto, le altre specie erano peggio che sorde: inoltre, vi era una ulteriore barriera culturale a rendere difficile il dialogo con loro. I pensieri dei Rachni, e la loro stessa mente, erano diversi da quelli di qualunque altra specie, dando vita ad un sistema di riferimenti che doveva essere sempre tenuto da conto per cercare di comprenderli.
Il Porpora Regale torna a noi: la matrice dei nuovi canti. Un crescendo di verdi toni in allegretto.
Fu un sussurro, l'eco di molte voci sovrapposte ma non completamente sincronizzate: la mente di Elea diede quella struttura ai pensieri che la Regina emanò.
Era diverso da ciò che gli Asari erano capaci di fare: la loro connessione mentale funzionava sostituendosi alle parole, mentre i pensieri dei Rachni avevano bisogno di altre menti per assumere una forma compiuta: come l'albero che ha bisogno di qualcuno che lo ascolti cadere.
Elea chiuse gli occhi, per cercare di respingere quell'eco dai toni ipnotici, soverchiante.
L'azzurro d'assolo solitario sente i nostri cori: la sua ancia è delicata. Il nostro sottovoce già colora i suoi toni.
"...Zia ti senti bene?" le chiese Sihaya, stringendole la mano abbastanza forte da tenerla ancorata alla realtà che conosceva.
"Sì, piccola mia. Ma tienimi stretta la mano, o temo che volerò via."
Elea non osò aprire gli occhi: la sua mente era in preda alla vertigine.
"Cosa succede?" chiese Wrex, la voce lievemente nervosa:
"... A quanto pare Elea è affetta dal canto dei Rachni." spiegò Shepard, accorrendo in suo soccorso:
"Io non ho sentito niente." disse Grunt.
Il tamburo del cielo è pieno di muti spartiti. I nostri canti non possono raggiungerlo.
Elea fu la prima a sorprendersi quando quelle parole uscirono dalla sua bocca. Hayat decise di intervenire: con gesti rapidi liberò dalla corazza entrambe le loro mani, prendendo quella di Elea nella sua.
"Apriti all'universo Elea, abbraccia l'eternità..." recitò Hayat e gli occhi di Elea si fecero neri come la notte, mentre Shepard la accoglieva.
 
La mente non è come un libro, da aprire e consultare a piacere: più come una pozza, in cui ci si deve immergere per bere.
"Quindi è questa la tua mente." Scale e lunghi corridoi. Molte stanze, ma non tutte avevano una porta da cui si potesse entrare. Echi di ricordi in lontananza, tenuti volutamente lontano da Elea, e abissi recintati pieni di stelle.
"Mi dispiace. Temo che non sia accogliente come vorrei: solo con Liara ho conosciuto la pace. Anche dopo anni, credo che solo lei sappia come avventurarsi senza pericolo e anche in quel caso, ci sono luoghi che non le ho mai mostrato."
Una città ricostruita, dove la serenità era custodita gelosamente dietro mura molto alte. Elea trovò anche se stessa in quel luogo, sorprendentemente:
"...Non sono così importante."
"Forse. Forse no. Ma non so come rifiutare le persone. Loro vengono. A volte se ne vanno." le statue rovinate di un uomo e di una donna dal volto sereno, ma coperti di erbacce. "Vorrei che restassi: non sopporterei di perdere un altro membro della mia famiglia."
E Shepard fu il drago che Elea aveva visto nel quadro di Apostata, con lunghe ali di metallo.
"..."
"Mi dispiace."
"Non fa niente. Tutti abbiamo i nostri mostri." ed Elea lo sapeva bene, perché anche Shepard era nella sua mente, una distesa dove la neve copriva ogni cose, anche le migliori:
"I miei non sono i tuoi."
"Nessuno dovrebbe avere i tuoi mostri. Come anche Liara ti ha detto..."
"...Già."
 
Il ritorno alla realtà fu repentino ed Elea dovette piegare sulle ginocchia per non cadere: le sembrava di aver appena trascorso un secolo a meditare nei campi di battaglia. Anche se il loro contatto si era interrotto, un'eco di Shepard era dentro di lei ora. Una scintilla, capace però di fare la differenza.
La dottoressa annuì verso Hayat, per rassicurarla e l'umana le lasciò andare la mano.
"...Mi dispiace, Madre. Non ero pronta alla forza della vostra voce. Posso ascoltare, ora: lasciate solo che mi sieda." disse Elea rivolgendosi alla Regina dei Rachni, mentre si chinava sulla nuda roccia.
A fianco a lei, Sihaya fece lo stesso ed Elea si trovò ben presto a circondarla con un braccio, mentre sotto l'altro si erano annidate in tutta fretta Alune e Selene.
Noi cantiamo per i nostri figli. Per quelli che non sono più, muti gusci morti senza conoscere il colore, e per quelli scordati dalle gialle e aspre melodie . Per quelli che sono ora e che saranno. Cantiamo, per il Porpora Regale e per lo spartito bianco che ci ha concesso. Noi siamo la Madre e cantiamo. Perché i Rachni sono vivi. E ricorderanno.
E poi i Rachni cantarono per Shepard in quella caverna. Ed Elea pianse.
 
***
 
Diverse ore dopo...
 
"Che posto è questo?" chiese Sihaya a suo padre.
"La sorpresa che ti avevo promesso. Un luogo di memorie."
Era scesa la notte su Tuchanka e la famiglia si era divisa. Elea era stata presa da Wrex e Grunt per subire l'iniziazione ai Krogan: una gara di rutti fra i membri più anziani del clan, in cui chiunque fosse riuscito a produrre il verso più simile ad una parola, avrebbe battezzato Elea. Anche Wrex aveva avuto il suo nome in quel modo e anche se era meglio non ricordarlo al vecchio capoclan, quella era la tradizione di Tuchanka ed Elea non aveva potuto rifiutare: le due gemelle avevano deciso di restare con la loro zia, assieme ad Urz, per assistere e conservare una memoria dell'evento.
Hayat e Sihaya invece, erano risalite nuovamente sullo shuttle, volando sotto le stelle verso le rovine dell'antica Torre del Velo. Hayat aveva fatto posare dolcemente lo shuttle su una strada dissestata, a lato di una vecchia muraglia di pietra che continuava per chilometri, erosa dal tempo e dalla sabbia. Con sicurezza, nonostante mancassero segni di riconoscimento o indicazioni, Shepard aveva guidato sua figlia fino a quando avevano raggiunto l'ingresso di una voragine, in cui si intravedevano scale consunte dal tempo e dall'età, costruite dai Krogan in un'epoca lontanissima.
Qualcuno le stava aspettando: per Sihaya, quella era la prima volta che vedeva un Krogan adulto senza addosso una corazza. Ed era un Krogan molto più massiccio di Wrex, quasi un gigante, o un orco: ma Sihaya stava imparando che l'aspetto delle persone cela ciò che sono realmente.
I Rachni erano stati un'utile lezione, anche se ancora non riusciva a collegare le due cose.
Fu per questo che Sihaya lasciò andare la mano di suo padre, avanzando lentamente verso il Krogan che rimase ad osservarla a braccia conserte. Era orribilmente sfigurato, molto più di Wrex e perfino più vecchio. Profumava di incenso e aveva occhi d'oro, incassati in profondità nella pelle vecchia e sbiadita: sulla placca della fronte, nel suo centro, qualcuno aveva inciso l'osso fino a riprodurre un Divoratore stilizzato, raccolto in una spirale.
"Io sono Sihaya bint Hayat T'Soni, del clan degli Urdnot." disse la piccola Asari senza mai interrompere il contatto visivo con il vecchio Krogan. No, non vecchio: antico.
"...Io sono l'ultimo sciamano del clan Raik, che cadde e fu conquistato da Urdnot Wrex. Durante la Guerra, i Turian mi hanno chiamato il Titano di Menea. In onore alle antiche tradizioni ho rinunciato al mio vero nome: ora io sono solo la strada attraverso cui scorre il furore e la rabbia della mia gente." La sua voce era un cupo brontolio di sassi che correvano l'uno sull'altro e il suo retaggio molto nobile: le tradizioni orali dei Krogan tramandavano che fosse stato il furioso clan Raik a dare per primo il nome al sole di Tuchanka. Una furia che nei millenni aveva causato il loro declino.
Sihaya si chiuse il pugno sulla fronte, in un saluto che perfino fra i Krogan era considerato desueto:
"Korbal." disse Sihaya con una piccola voce: vittoria o morte, in una rozza traduzione, ma nel suo significato più ancestrale quel saluto poteva essere tradotto in un altro modo. Ci lasceremo come krannt, o uno di noi sarà morto.
"...Ti è stato insegnato bene."
"E siamo venuti per imparare ancora, sciamano: ci è stato detto che questo luogo conserva antiche storie. Ci permetterai di entrare?" gli chiese Shepard.
"Quasi nessuno viene più qui: io sono il custode di questo luogo, ma esso non mi appartiene sorella. Però, a volte mi parla: ascolterai, piccola Asari?"
Sihaya annuì con la testa: in risposta, il Krogan allungò una delle sue mani callose. Sihaya gli afferrò l'indice e cercò di chiudere le dita attorno ad esso: non ci riuscì del tutto. Poi il Krogan si voltò, e assieme, cominciarono a scendere i rozzi gradini scavati nella pietra: nessun Krogan degno di questo nome avrebbe mai fatto del male ad un bambino.
L'eredità del millennio di Genofagia e degli infanti nati morti sarebbe rimasta con Tuchanka per sempre.
Quando il tunnel di pietra si fece troppo buio anche per lo sciamano, una sfera biotica si accese nel suo palmo libero, abbastanza luminosa per scacciare le tenebre per diversi passi.
"Questo luogo precede la caduta di Tuchanka. Fu edificato da un grande re, un condottiero degli antichi, coloro che vennero prima del fuoco nucleare. Tuchanka era diversa allora. Noi eravamo diversi."
Diversi come?" chiese Sihaya.
"... Noi combattevamo. Distruggevamo con le nostre mani. Ma sapevamo serbare noi stessi allo scorrere del tempo. Questo luogo non è una tomba, ne un luogo dove nascondere tesori o un monumento di trionfo. È un luogo in cui il re scoprì come insegnare alle pietre a ricordare e a raccontare."
Sollevando la sua singolarità biotica nell'aria, Sihaya poté ammirare le pareti del tunnel, coperte dal più fine dei mosaici. Tasselli minuscoli anche per lei, di ciottoli, ceramica, vetro, granito e pietre colorate, scelti con pazienza infinita e composti per rappresentare i fiumi, i laghi e le montagne verdeggianti della Tuchanka che fu.
"Dopo che il fuoco nucleare venne e passò, questo luogo fu dimenticato: ciò che contiene non può essere razziato, perché mantiene il suo valore solo rimanendo dov'è. Se cerchi di afferrarne le storie, di rubarle per farle solo tue, rimani solo con un pugno di sassi senza senso: l'antico re era molto saggio. Egli trascrisse in questo luogo la storia dei suoi tempi e tutto ciò che poteva essere importante ricordare: forse aveva guardato in sogno Aralakh, l'occhio dell'ira che risiede nel nostro sole, e carpito una parte del futuro."
"E tutti si dimenticarono  di questo luogo?"
"Quasi.... Alcuni vennero. E preservarono l'eredità del grande re del passato."
"Le storie?"
"E come insegnare alle pietre a ricordarle: è difficile e richiede pazienza. Ma alcuni aggiunsero alle storie del passato le loro storie."
Figure di Krogan in ginocchio, piegati all'obbedienza di vari signori della Guerra si susseguivano adesso sulle pareti.
"Io sono l'ultimo ad aver trovato questo luogo. Ma non sarò l'ultimo che parlerà alle sue pietre: i miei nipoti preserveranno le storie, quando Kalros verrà per me."
"Kalros?"
"Kalros è la figlia di Tuchanka, piccola Asari, creata dal pianeta per dare una forma alla sua furia. La cicatrice sulla mia fronte ne è il segno..."
Erano entrati in una vasta sala rettangolare e, dall'altra parte rispetto all'ingresso, illuminata solo dalla luce di fioche candele, si innalzava una statua serpeggiante e arrotolata su se stessa in molti giri delle sue spire:
"...Quella è Kalros, madre feconda di tutti i Divoratori. L'inizio dei Krogan come specie, e la fine di ogni individuo. Avvicinati, piccola Asari e rendi omaggio alla sua effige. A volte, quando mi addormento sotto le sue fauci di pietra, sogno le storie di questo luogo."
Sihaya si staccò dal Krogan, catturata dalla forma scolpita a viva forza nella roccia in un passato ormai perduto. La statua accoglieva il visitatore con le fauci e le zanne spalancate, srotolando la lingua quasi fino a terra: sulla punta di quel rostro di pietra, lo sciamano aveva sistemato una candela, che illuminava l'incavo nella roccia dove in tempi antichi i Krogan ponevano le loro offerte.
Una tradizione che era stata rinnovata: Sihaya non toccò i frutti e la verdura che erano stati lasciati là per Kalros.
"Vieni sorella. C'è qualcosa che devi vedere." disse lo sciamano a Shepard, conducendola lungo uno dei corridoi che si allungavano dal salone principale.
C'era meno sabbia sul pavimento, a testimoniare come lo sciamano passasse spesso in quel luogo: si fermò quasi sul fondo del tunnel, alzando in alto la singolarità biotica perché Shepard potesse vedere.
"Io ho imparato ad insegnare alle pietre. E sto insegnando loro questo."
C'era un mosaico davanti ad Hayat, non ancora completato, ma di cui si poteva comprendere la storia. E la storia era quella della Guerra e di Shepard, così come i Krogan l'avrebbero ricordata: il soggetto era la Cittadella, aperta a rappresentare una stella, con una figura umana al centro che emetteva raggi di luce verso il nero circostante, in cui erano stati rappresentati i Razziatori, ognuno con un occhio al centro del loro corpo. I più vicini alla Cittadella avevano l'occhio aperto, che andava a chiudersi a mano a mano che si allontanavano dalla figura centrale: la consapevolezza che era stata data di nuovo a loro. Sotto la rappresentazione, una stilizzazione delle specie che avevano partecipato al conflitto erano state raffigurate unite, ad osservare la sagoma luminosa al centro della Cittadella.
Il ricordo di tutto ciò che era stato sacrificato per il giorno presente assalì Shepard come una marea: i volti dei perduti e di coloro che credeva di aver dimenticato lungo la strada erano ancora lì. Perfino l'eco dei Prothean, che Shepard aveva accolto tanti anni prima su Eden Prime, tornò a farsi sentire.
"...Posso restare, ancora un poco?" disse Shepard, mentre dal suo occhio umano scorrevano lente delle lacrime.
"Questo posto non mi appartiene, Aralakh. Non posso scacciarti più di quanto non possa obbligare alle pietre di andarsene. Questo posto è tuo, perché racconta la tua storia."
"Grazie."
Il vecchio sciamano assentì con la testa, ma non disse nulla, limitandosi a ripercorrere il corridoio sui suoi passi: alcuni pensavano che dare acqua così facilmente fosse una debolezza. Ma il vecchio sciamano non era d'accordo: quando si ha un solo cuore e si sparge la sua acqua, quella non è debolezza, ma generosità.
Quando i suoi passi lo ricondussero nella sala principale, lo sciamano trovò Sihaya addormentata sotto la statua di Kalros. Lo Sciamano non la svegliò, ma quando la piccola Asari si fosse alzata il mattino dopo, avrebbe trovato suo padre accanto a se, e una coperta sopra entrambe: una coperta che lo Sciamano Krogan le avrebbe lasciato tenere e che avrebbe accompagnato Sihaya per il resto della sua vita... per poi essere ereditata dai suoi discendenti.


 
E con questo il capitolo si conclude, prima di lasciarci, qualche informazione in più su Treeya: è una dei comprimari di Paragon Lost, anime con protagonista James Vega, che racconta alcuni retroscena tra ME2 e 3. Non credo che valga la pena perdere tempo a guardarlo: è estremamente superficiale e poco curato (certe scene di combattimento... -_-). Ha il solo pregio di introdurre l'unica altra Asari pronta a credere negli studi di Liara  sull'estinzione dei Prothean (non viene mai chiarito a sufficienza, ma sembra che Liara sia stata la sua mentore).

A parte questo, "La Cerimonia del Rutto" Krogan di cui accenno, è un semi-canon, nel senso che appare come contenuto eliminato all'interno di Mass Effect 3: esistono ancora i dialoghi, ma non è possibile ascoltarli normalmente nel gioco. Mi chiedo perché sia stato tolto... XD. Spero che il capitolo sia riuscito a divertirvi, sopratutto nella sua parte iniziale: ogni recensione è ben accetta.

I should go.
Alla prossima!

  
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