Titolo:
Just your taste
Personaggi: Tobias/Quattro
Genere:
Introspettivo, malinconico. One shot
(881 words)
Rating: Verde
Note introduttive: Questa shot nasce dall’esigenza di
scrivere qualcosa una volta terminato Allegiant, libro
che mi ha devastato e che ho amato soprattutto per quel finale, maledetto ma
bellissimo. Questa storia nasce dal what if?: e se Christina non avesse fermato Tobias quel giorno, quando aveva deciso di soffocare il
dolore con il siero della memoria?
Qui, troviamo Tobias che ha dimenticato ogni cosa e che è stato rieducato
con ciò che gli hanno raccontato la madre e gli amici.
A introdurre la shot, ho deciso di mettere i versi di Montale, che credo
calzino a pennello e poi… io amo le sue poesie!
Buona lettura.
Just your taste
“Non recidere,
forbice, quel volto,
solo nella
memoria che si sfolla,
non far del
grande suo viso in ascolto
la mia
nebbia di sempre.”
(E. Montale.
Non recidere, forbice, quel volto)
***
Caro diario.
No dannazione, non posso
cominciare così, ma a chi dovrei rivolgermi? A Dio? A mia madre che mi ha
chiesto di mettere nero su carta i miei pensieri? Non sono mai stato un
letterato, anzi, non so nemmeno chi sono io.
Tobias, mi chiamano tutti così.
Quattro, a volte, quando
faccio arrabbiare le persone che mi stanno vicino, e purtroppo la cosa succede
fin troppo spesso.
Forse sarà meglio spiegare
che l’unica cosa che mi ricordo con certezza è stato
il forte dolore alla mascella e poi, tutto è come avvolto da una strana nebbia.
Un pugno terribile può essere il mio primo ricordo? A quanto pare sì.
So con certezza che Evelyn
è mia madre e mi basta semplicemente guardarla per capire che le voglio bene,
però è più il fastidio e il dolore che leggo negli occhi di Christina a
rendermi inquieto e a spingermi a scrivere.
Come può odiarmi una
persona se ho dimenticato ogni cosa a causa di un incidente?
Eppure è quello che
Christina fa ogni singolo giorno, sputando veleno su qualsiasi cosa io faccia, e io non riesco a dirle nulla, magari chiederle il perché di
tanta rabbia nei miei confronti. Sento di meritare ogni suo insulto e pugno, solo che non ricordo il motivo.
Non credo che scrivere un
diario servirà a molto, però forse mi aiuterà ad allontanare quella nebbia che
offusca i miei ricordi. Forse, appunto. Nessuno può avere la certezza di quello
che succederà una volta finito il foglio di questa pagina.
Mi chiamo Tobias Johnson e non ricordo
nulla di quello che è successo nei miei diciotto anni di vita prima di sei mesi
fa. C’era il sole quel giorno? Pioveva? Perché mi trovavo in quella piazza in
cui è scoppiata la bomba che ha causato la mia amnesia? E come sono riuscito a
scappare e a raggiungere casa, senza riportare nemmeno una ferita?
I miei ricordi iniziano
nella stanza da bagno e con il pugno di Christina, un maledetto gancio destro e
con le sue accuse soffocate dalle lacrime.
“Come hai potuto
cancellarla dalla tua vita? Non ti credevo così codardo.” Sono state queste le
sue parole: Tobias Johnson
non è altro che un codardo, un uomo che merita solo disprezzo. Posso accettare
la sentenza, ma vorrei almeno conoscere la persona che ero e imparare dai suoi
errori.
Qual era il mio lavoro? I
miei tatuaggi mi ricordano ogni giorno che le scelte prese dal mio precedente me erano molto
diverse e lontane dall’avvicinarsi all’ambiente politico che frequento ormai
quotidianamente. Eppure tutte le mattine, copro i segni del mio passato e
arranco nel presente, cercando un futuro più stabile e magari meno angosciante.
Non dormo mai la notte, o
almeno cerco di farlo. Puntualmente mi alzo e comincio a passeggiare, in
salotto, in cucina, per poi finire fuori all’aria aperta. Non so per quante ore
io vaghi, ma il mio corpo si rifiuta di dormire per più di un paio di ore.
Mi piace camminare in
città mentre tutti dormono. Mi dà la possibilità di riflettere e di
allontanarmi, almeno per poche ore, dal Tobias che
gli altri vorrebbero e che continuano a cercare nel mio sguardo e nei miei
gesti. È come se mi fossi addormentato un giorno e da allora non mi sia più
svegliato, camminando come un sonnambulo in questa città deserta.
Dovrei svegliarmi e
riprendermi la mia vita, se solo sapessi come fare. Forse, dovrei ricordarmi
che non sono nessuno di importante, non c’è alcuna
gesta eroica nel mio passato. Sono solo un vigliacco.
Eppure nonostante tutto,
nonostante ogni notte io decida di scappare da me stesso e dalla
persone che mi circondano, c’è qualcosa che me lo impedisce.
No, non è
mia madre e nemmeno Zeke, l’unica persona che mi
guarda senza provare ribrezzo. Non so nemmeno se esista o se è frutto di questa
mia insonnia che dura ormai da mesi. Mentre avanzo per strada, riesco persino a
vederla. Piccola e magra. Corre,
libera e selvaggia, e mi chiama per nome invitandomi a seguirla.
Mi ritrovo a correre, nel
tentativo disperato di afferrarla per la mano o almeno di rallentarla, ma
sembra avere le ali ai piedi e la distanza che ci separa diventa sempre più
insormontabile. Finché lei non si ferma e viene verso di
me.
Chi sei?
Tutte le notti vorrei porle la stessa domanda, ma è come se sapessi ogni cosa e
non avessi bisogno di indagare.
Lei mi guarda e sorride,
accarezzando la mia guancia ispida, guardandomi come se fossi la persona più
bella del mondo.
Mi parla velocemente e io non riesco a fermarla, a dirle che non sento ciò che
dice. Mi sembra di trovarmi dentro uno di quei film a cui hanno tolto l’audio e che
diventa impossibile da seguire; così continuo a fissarle le labbra nel disperato
tentativo di carpire almeno qualche parola.
Non importa, capisco.
Vivi e sii felice, mi
dice.
Rimango fermo sul
marciapiede, con mille domande in testa e nessuna risposta, e la mia unica
reazione è abbassarmi verso di lei e baciarla. Elettricità. Disperazione.
Rimpianto.
È allora che mi sorride e
scappa via, lasciandomi solo in mezza alla strada con l’eco della sua risata
alle mie orecchie sorde.
Mi chiamano Tobias Johnson e ho dimenticato
ogni cosa.
Tutto. Tranne il sapore di quel bacio.