“Padre…madre…”

La sua voce risuonò in quella sala vuota, ornata solamente da vecchie tende nere. La luce non penetrava dalle grandi finestre, quasi come se volesse maledire la sua dannata esistenza.

Era stata colpa sua, ed ora era rimasto solo.

Non poteva credere che la vita delle persone a cui teneva maggiormente, quelle che lo avevano cresciuto, quelle che lo avevano forse amato, si fosse spenta.

 I loro corpi esanimi erano a terra, privi di forze. Il sangue si espandeva per tutto il suolo. Si specchiava in quel liquido rosso, senza riconoscersi. Era ancora se stesso? No, quell’espressione disperata non gli apparteneva. Era un ragazzo con tanta voglia di vivere, non quella figura sfocata che rimirava.

No, non era più lui.

“Vector…”

Si girò di scatto. Quella voce gli incuteva timore, lo faceva tremare di paura come una foglia durante il vento d’autunno. Si ritrovò davanti una figura incappucciata, armata di una falce. Sperò fosse venuta per porre fine alla sua esistenza, così da non patire più l’infinita sofferenza di quelle perdite, che gli lacerava il cuore sfregiandolo in modo irreparabile e facendolo divenire solo un guscio vuoto pieno di risentimento.

“Chi…chi sei tu?” chiese, con voce ancora tremante. I suoi occhi, vacui, esprimevano solo disperazione. Non aveva più paura, ormai non poteva più provarne.

“Non essere il principe della tragedia…”

Vector lo guardò negli occhi, cercando di non far trapelare alcuna emozione. Un solo attimo, in cui le spaventose iridi quell’uomo (se così si poteva definire) si illuminarono di una luce rossastra, della stessa tonalità del sangue che gli bagnava i piedi.

Sentì che tutto diventava sfocato, per poi tingersi di un colore sinistro. Provò un forte dolore alla testa, ma non si mosse. Era come pietrificato, si sentiva un burattino nelle mani del burattinaio. Di un crudele burattinaio.

“…diventa il principe della follia!” finì la figura incappucciata, lanciandogli una carta e sparendo in un portale cremisi. Appena la prese in mano, sentì una gran forza crescere dentro di sé.

“Io ho ucciso mio padre e mia madre…” disse, con sguardo perso.

“…ecco il mio compito. Portare dolore nel mondo!” finì. Un sorriso sadico gli affiorò sulle labbra, mentre la sua risata isterica e sadica rimbombava nella stanza.

Del ragazzo felice e spensierato di un tempo non rimase più nulla; commise innumerevoli assassini, sporcando la sua anima, precedentemente bianca come le candide piume di una colomba, e rendendola nera come il buio che oramai lo aveva inghiottito.

Angolo autore

Beh, finalmente ho postato! Sono emozionato, è la mia prima long...spero vi sia piaciuto questa specie di prologo, che racconta come tutto ebbe inizio...

KraTøs

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