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Autore: ViolaNera    15/06/2014    2 recensioni
Il gesto di tirare indietro l'elastico del cappellino è solo la conferma definitiva, perché Makoto capisce subito che quella figura uscita dalle ombre del corridoio è il loro Rin e lo sa per una motivazione estremamente limpida: il suo cuore si è risvegliato dopo anni di torpore.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Makoto Tachibana, Rin Matsuoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rin è tornato.

Basta quella semplice constatazione a gettare Makoto nel caos più completo e a fargli dimenticare persino quanto spettrale sia diventato quel luogo ormai abbandonato che stanno per demolire. La paura che lo attanagliava, opprimente soprattutto a causa del buio che li circonda, sfuma come nebbia allontanata da una ventola: c'è Rin davanti a loro, non ha tempo per preoccuparsi dei fantasmi o degli scricchiolii sinistri.

Per un lungo momento si limita a fissarlo senza sbattere nemmeno le palpebre; per ritrovare, nei tratti meno infantili e dolci, il ragazzino con cui andava a scuola e nuotava. Dice a Nagisa che non sa chi sia, ma è più una risposta data per dire qualcosa.

Il gesto di tirare indietro l'elastico del cappellino è solo la conferma definitiva, perché Makoto capisce subito che quella figura uscita dalle ombre del corridoio è il loro Rin e lo sa per una motivazione estremamente limpida: il suo cuore si è risvegliato dopo anni di torpore.

Davanti al ragazzo tornato dall'Australia senza nemmeno avvisarli (e chissà da quanto è lì senza che loro ne avessero la benché minima idea), l'unico pensiero razionale è quello di sorridere e scattare in avanti per raggiungerlo, ma le sue parole dure, un attimo prima che Makoto palesi anche alle mura intorno il suo entusiasmo, lo fermano sul posto.

Chi è quel Rin? Cosa gli è successo? Il cambiamento non è solo esteriore se si rivolge ai suoi vecchi amici (a lui) in quel modo.

Cerca di gestire la delusione come può e non renderla troppo manifesta, mentre rilassa le braccia lungo i fianchi e lancia un lungo sguardo ad Haruka. È preoccupato per lui, ovviamente, ma si sente meschino mentre spera che anche Nagisa non si accorga di niente e pensi soltanto ad Haruka, il quale risponde a tono e con una presenza di spirito che lui non avrebbe avuto.

Se parlano può sperare che nessuno badi al suo cuore che ha ripreso a contrarsi nel modo sbagliato.





*





Makoto esce dal negozio per animali e si avvia con passo misurato alla vecchissima villa. È un posto speciale, quello, un posto pieno di bei ricordi e che gli permette di isolarsi per qualche ora dal resto del mondo.

Quando sposta le due stecche di recinzione non inchiodate e si infila nel passaggio aperto ha di nuovo la sensazione di finire in un universo atemporale, dove Rin non è mai partito e sono ancora scriccioli che combattono la calura estiva a suon di ghiaccioli.

In quel periodo ormai perduto non c'è struggimento particolare e Makoto è solo felice di averlo conosciuto, di potergli stare accanto ogni giorno. È tranquillo come quando è con Haruka, ma si accorge che verso il nuovo amico le cose sembrano leggermente diverse. È troppo piccolo per capire cosa, esattamente, renda Rin diverso dagli altri, ma a quei tempi non se ne preoccupa più di tanto.

Makoto scuote la testa e si fa strada nel grande giardino. Non è bravo con le faccende manuali e non ha una particolare passione per il giardinaggio, ma ha comprato un paio di libri e qualche attrezzo per rendere quel posto meno selvaggio. Ai gatti che ci vivono di certo non importa, ma gli sembrava carino avessero un posto dove stare che non sembrasse proprio abbandonato.

Viene quasi immediatamente attorniato da circa una trentina di musetti curiosi e vispi. La tentazione di lanciare le borse per aria e rotolarsi tra di loro è decisamente forte, ma Makoto ridacchia e si limita ad accovacciarsi.

«Avete fame?», chiede in tono affettuoso, assistendo alla solita scena dei meno pazienti che provano a ficcarsi dentro le buste senza nemmeno annusarle. Alcuni si tendono all'estremo e premono a ripetizione le zampe sulle sue cosce, cercando di attirare le mani che -lo sanno bene- sono sempre pronte a coccolarli.

Makoto non si fa pregare oltre e perde molti minuti solamente ad accarezzare quei gatti senza padrone che potrebbero benissimo considerarlo la loro mamma, dato che li ha trovati ancora cuccioli e li ha portati in quel giardino. Insieme a Rin.

A quel tempo erano molti meno e non era così impegnativo accudirli, ma a Makoto sprizzano stelle dagli occhi ogni volta che si accorge che presto ci saranno nuovi gattini ad aumentare il loro numero. Al diavolo lo stipendio del lavoro part-time, è ripagato da tanta di quella dolcezza e soddisfazione che non gliene importa nulla.

Un fruscio improvviso in fondo al giardino gli fa sollevare la testa di scatto.

Rin emerge da dietro un cespuglio e lo fissa imbronciato, le mani affondate nelle tasche e le cuffie appoggiate al petto. Ha l'aria di essere rimasto lì un po' prima di decidere di farsi avanti, perché muove le gambe come per far riprendere loro la circolazione impigrita.

«Vieni ancora qui, uh.»

Makoto sente di nuovo quel familiare torcersi di viscere e lo osserva più possibile, come per immagazzinare nuovi dettagli. Pensa che sia diventato molto più bello di come lo ricordava, ma privo del suo sorriso luminoso quel bel volto sembra mancare di qualcosa di fondamentale.

«», risponde, sforzandosi di tenere la voce ferma e avere un tono normale. «Non posso abbandonarli.»

E poi c'è la promessa, l'ha dimenticata? La promessa di occuparsi dei gatti che hanno salvato e di cui si sono presi cura insieme finché è stato possibile, dividendosi le spese e le coccole da distribuire; ma se Rin è lì significa che non ha dimenticato affatto, così come non ha scordato la sede del vecchio club di nuoto, andando a passeggiare di notte per corridoi nostalgici e lugubri.

Sta andando in tutti i posti che per lui hanno un significato. Anche Makoto è un pezzo importante del suo passato?

«Perché non ci hai detto che eri tornato?»

Makoto si alza, un gatto bianco e flessuoso comodamente di traverso tra le braccia. Gli altri cominciano immediatamente a strusciarsi contro le sue gambe lunghe e sono così tanti che rischiano di sbilanciarlo, ma una volta che ha catturato lo sguardo di Rin c'è poco del mondo esterno che riesca a distrarlo.

Sono gli stessi occhi, anche se il taglio si è allungato. Il colore forte, così caldo da rapirlo completamente, è identico. L'unica cosa che è cambiata è l'intensità dello sguardo, che ora è troppo da sopportare e gli provoca curiose capriole brucianti che fa davvero fatica a ignorare.

«Non credevo fosse rilevante.»

Rin si avvicina con aria annoiata, la camminata spavalda e ciondolante che si arresta solo quando si stanno fronteggiando e un ulteriore passo avanti sarebbe imbarazzante per entrambi.

«A te interessava?»

Makoto apre la bocca per rispondergli, ancora indeciso su che tono di voce gli verrà naturale, ma Rin estrae un portafoglio e lo palleggia nel palmo della mano tesa.

«Senti, amico, mi dispiace che ti sei dovuto sobbarcare questo impegno da solo. Posso risarcirti della mia parte?»

Tachibana-kun, nuotiamo insieme!

Makoto? Posso davvero chiamarti così? Yay!

Guarda, dei gattini! Sono così piccoli! Dobbiamo aiutarli, Makoto!

… “Amico”? È troppo anche per un ragazzo paziente, accomodante e tranquillo come lui.

Makoto dà una manata al portafoglio nel momento in cui è sospeso nel vuoto e sente il tonfo morbido che ne annuncia la caduta sull'erba. In realtà non voleva respingere così brutalmente la sua offerta, ma solo afferrare l'oggetto e premerglielo sul palmo. Ha calcolato male la grandezza della sua mano, come spesso capita da quando ha subìto i cambiamenti della crescita.

Gli dispiace solo in parte di quel gesto brusco (anche se arrossisce), perché non sopporta essere chiamato così e non vuole uno yen da lui. Quello che vuole davvero è solo il vecchio Rin, prima che tutto ciò che costituisce un passato breve, ma pieno di momenti preziosi, finisca per sembrargli una grande illusione costruita dalla sua mente.

Rin non si scompone troppo, ma le sue sopracciglia si avvicinano pericolosamente.

«Che problemi hai?», ringhia.

«Perché non mi hai detto che eri tornato?», lo incalza di nuovo.

Torna a guardarlo dritto negli occhi, distogliendo l'attenzione dalla bocca storta, incattivita, sbagliata. E finalmente vede qualcosa vacillare, lì in fondo, come se stessero per velarsi di lacrime, ma dev'essere un'altra interpretazione errata, perché un istante dopo gli occhi di Rin sono tornati freddi e distaccati.

Sbuffa e raccoglie il portafoglio, se lo ficca in tasca e gli mostra le spalle.

«Stammi bene, Makoto.»

Ci mette due secondi netti a lasciar libero il gatto che teneva in braccio e a fermare Rin per il gomito. Ci mette ancora meno a tirarlo indietro e stringerlo con mano ferma. Parlare è molto più complesso, perché la voce non sembra volerlo assecondare, ma trova il coraggio di sbloccarsi grazie alla mancata reazione di Rin, immobile in quella stretta.

«Scusa. Mi sei mancato», sussurra a occhi bassi, con una sincerità disarmante che riprende a fargli sentire spasmi dolorosi e sconvolgenti nel petto. «Sei mancato a tutti, ma a me...»

A me di più. Non è passato giorno senza pensarti.

Rin sembra riprendersi con incredibile ritardo e comincia a scuotersi per fargli mollare la presa, cosa che Makoto non vuole o non riesce a concedergli, fino al punto che è Rin stesso a cedere e calmarsi.

Makoto appoggia la fronte ai capelli rossi davanti a lui. Vorrebbe che bastasse così poco per farlo voltare e cambiare completamente espressione, ma non ci spera troppo. Non dice niente, comunque, e nemmeno sembra volerlo fare lui, perciò rimane a tenerlo per l'incavo del gomito e si sforza di respirare con una calma che non possiede affatto, perché l'emozione di averlo di nuovo tanto vicino rischia di farlo svenire.

«I gatti.»

Si scuote sentendo la voce priva di inflessione e riapre gli occhi, scostandosi quel tanto che basta per vedere una porzione di guancia incredibilmente arrossata.

«I gatti hanno fame.»

Solo in quel momento Makoto si accorge del concerto di miagolii e di come un po' tutti li stiano prendendo a testate, alcuni cercando di arrampicarsi sulle gambe, artigliando i pantaloni, altri arrotolando le code attorno alle caviglie dei due, fermi come statue in mezzo al giardino.

«Vuoi aiutarmi?», sussurra, liberandolo con riluttante lentezza.

Rin annuisce girando la testa di poco e per un brevissimo istante Makoto si accorge che ha la faccia completamente rossa, non solo le guance.





*





Rin è ancora lì anche se hanno finito di sfamare le belve e non sembra avere tanta fretta di scappare via. Passa l'indice sul bracciolo del divano consunto per controllare che non sia sommerso di polvere e Makoto lo tiene d'occhio con apprensione. Quando lo vede sedersi e accavallare una gamba di traverso, le braccia rigorosamente incrociate e la testa china, tira un sospiro di sollievo capendo che intende restare e accende la seconda lampada a batteria posata sul tavolino.

Alcuni gatti li hanno seguiti e due di loro stanno facendo fusa rumorosissime attorno alla caviglia di Rin. Makoto sorride e si china per prendere il più piccolo, ficcandolo in grembo all'amico per tentare di ammorbidirlo.

Rin non ci mette molto a cedere e sciogliere l'intrico delle braccia per accarezzare la testa dell'animale, indugiando a fargli grattini dietro le orecchie mentre la sua faccia viene annusata dal musetto curioso.

«Sono tantissimi. Come ci sei riuscito?»

«Non è stato difficile», risponde subito.

Prende la coperta dal cassetto del comò scricchiolante e la stende sul divano, poi si siede vicino a lui. Viene immediatamente assalito da una palla di pelo miagolante, che decide di acciambellarsi sulle sue gambe impedendogli di tormentarsi le dita da solo. Affonda le mani nel pelo morbido e sorride.

«Non è mai stato un peso venire qui.»

Ci sono bei ricordi, lì dentro, di loro due a dividersi dolci e nikuman caldi comprati a un chiosco. Discorsi importanti sui sogni del futuro, le ambizioni, il relay che si avvicinava...

«Non è cambiato molto. A parte il numero dei gatti e il giardino.»

Makoto si stringe nelle spalle e arrossisce appena, consapevole di non aver fatto un gran bel lavoro con l'ultima parte. Nasconde le mani sotto la pancia del gatto tigrato e si lascia cadere alcune ciocche castane sulla fronte.

«Se non fossi partito ti avrei dato una mano e sarebbe venuto meglio.»

«Ma sei partito.»

Il ragazzo seduto sul bracciolo si volta a sbirciarlo. Makoto ricambia l'occhiata, nervoso. Gli basta che rimanga lì ancora un po', che non si arrabbi e non sia troppo scontroso, ma ha paura di farlo fuggire da un momento all'altro.

Rin sostiene la sua espressione tenera ancora per qualche secondo, poi concentra tutta la sua attenzione sul gattino che cerca di artigliare il filo della cuffia che pende da una spalla. Gli accarezza i fianchi e quello fa fusa più rumorose chiudendo gli occhi, riuscendo a dissipare il suo broncio costante.

«Mako-»

«È andata bene? Era come ti aspettavi?»

Ne è valsa la pena? Sei più vicino a quello che vuoi diventare?

Non lo interrompe di proposito. In realtà, dopo essersi reso conto che Rin stava per dirgli qualcosa, non può che mordersi la lingua, dispiaciuto del pessimo tempismo. Dispiacere che aumenta quando si accorge che la domanda, del tutto normale, non viene accolta molto bene, ma sembra infastidirlo ulteriormente.

«Me lo dirai quando ne avrai voglia», lo rassicura, voltandosi nella sua direzione giusto in tempo per vedere Rin sporgersi e allungarsi con il braccio disteso lungo la spalliera del divano.

Le labbra entrano in contatto prima che Makoto possa registrare cosa sta per succedere, ma chiude gli occhi d'istinto trattenendo il respiro.

Il gatto sulle gambe di Rin scende velocemente e gli altri che avevano finito per circondare Makoto si acciambellano come nulla fosse, insensibili alla scena. Il divano manda un cigolio preoccupante, poi ci sono soltanto le fusa e una sirena in lontananza.

Resta fermo, non muove nemmeno la testa, né in un senso né nell'altro, sospeso in quel contatto gentile e soffice. Rin si separa e sospira come se avesse trattenuto il fiato per due minuti.

Gli morde il labbro inferiore inclinando il viso.

Non è sensuale o arrabbiato. A Makoto sembra triste e inquieto.

Nonostante queste osservazioni e la brevità del momento, sente distintamente un lungo brivido caldo risalirgli lungo la schiena e deglutisce a vuoto guardandolo scostarsi per tornare sul bracciolo.

«Orecchie rosse», mormora Rin, la bocca tirata da una parte in una specie di ghigno canzonatorio. «Cute.»

Makoto si prende le orecchie tra le mani e guarda in basso, mentre realizza che lo sta prendendo in giro e che non è affatto divertente.

«Anche tu sei rosso», ribatte con un filo di voce scandalizzata.

Ma non per il bacio, quello no. È stato dolce e gli è piaciuto, anche se sta per bollire orrendamente come una teiera dimenticata sul fuoco.

«Io? Ti sbagli. Sono i capelli.»

Rin si alza, gli volta la schiena e infila le mani in tasca. Makoto prova subito a imitarlo, ma sente la stanza vacillare e ricade miserevolmente seduto con uno sbuffo sorpreso.

«See ya.»

Guarda la sua mano svettare nell'offrirgli un cenno di saluto e inorridisce al suo successivo allontanarsi con passo rilassato.

«R-Rin?!»

Finalmente riesce a mettersi in piedi, ma non arriva a colmare la distanza creata per recuperarlo. Basterebbe toccarlo, posargli una mano sulla spalla, qualsiasi cosa che lo faccia fermare fisicamente. Tuttavia, forse per il richiamo, Rin si arresta comunque, anche se rimane ostinatamente voltato dall'altra parte. Si addossa con la spalla alla cornice della porta scorrevole.

«Dovevo farlo, Makoto, anche solo una volta. Puoi dimenticarlo, non fa niente.»

Rin muove la mano nella tasca e sembra cercare qualcosa. Quando la tira fuori ha il palmo chiuso e lancia all'indietro un oggetto che riflette la luce artificiale per pochi istanti, prima di essere preso al volo da un Makoto con la bocca spalancata.

Apre i palmi e osserva la sagoma piatta e lucida di un gatto bianchissimo, gli occhi verdi e furbi, i baffi dritti oltre i limiti del muso.

«Questo...», mormora, sorridendo al ricordo, anche se rappresenta un momento triste.

È una cosa che ha comprato per lui, l'ultimo oggetto che gli ha consegnato poche ore prima che partisse. Niente di speciale, solo un portachiavi con un disegno carino che gli piaceva, un gattino per ricordarsi sempre di Makoto, nonostante si fossero promessi di sentirsi ancora.

«Non mi serve più.»

È a quel punto che Makoto sente di nuovo di non poter essere così passivo, lasciato lì a subire i suoi umori, con protagonista una rabbia inspiegabile che vorrebbe capire e poi scacciare.

Se Rin non vuole raccontare nulla dell'Australia e degli anni in cui sono cresciuti separati a lui va bene, ma non può sostenere oltre quell'atteggiamento.

Dopo averlo baciato, tra l'altro.

Resiste allo sfarfallio violento allo stomaco e si avvicina. Lo afferra per la spalla e lo costringe a voltarsi con fermezza.

Non è preparato a quello che si trova davanti. Non quando la sua postura era tanto noncurante, non quando la sua voce non tradiva emozioni se non una lieve noia appena tremante.

Gli occhi di Rin sono completamente invasi dalle lacrime e si mette a digrignare i denti, una volta scoperto, scacciando la sua mano nel fare un passo indietro. Makoto lo vede sforzarsi di parlare, ma intuendo che dirà ancora qualcosa di crudele e ingiusto decide che non glielo permetterà.

Lo stringe così forte che rischia di spezzargli qualcosa dentro, ma almeno la bocca di Rin finisce premuta contro la sua spalla, perché Makoto gli spinge la testa in basso di proposito, per tapparla, e non gli lascia altro da fare a parte respirare.

Potrebbe, teoricamente, anche tirargli un calcio nella tibia, ma spera non arrivi a tanto.

Makoto chiude gli occhi e si accorge di essere più leggero. È bastato rivederlo la prima volta, soltanto la sera prima, per capire quanto gli fosse davvero mancato quell'egocentrico dal sorriso sempre pronto e idee romantiche che forse non ha più, ma è decisamente ora che sente il vuoto nel petto colmarsi a poco a poco, riempiendosi della forma di quel corpo, del leggero profumo di colonia e persino dei capelli che gli solleticano le narici.

Rin è un liquido caldo e denso; lui un contenitore della misura esatta per accoglierlo. È un pensiero semplice, ma sente che in quell'abbraccio sono così complementari da finire per commuoversi.

«Rin», lo chiama, sapendo che potrebbe mugugnare contro la spalla e provare a spingerlo via da un istante all'altro. «Non scappare da me.»

Ci sono molte più cose che vorrebbe dirgli. Tenendolo stretto tra le braccia, però, parlare passa in secondo piano, perché è una sensazione talmente bella e appagante da derubarlo di tutto il resto.

Vorrebbe, davvero, dire qualcosa che lo rassicuri e lo convinca ad aprirsi, a smettere di fare così, a non piangere, ma riesce solo a stritolarlo.

Anche se Makoto soffre in prima persona per il suo comportamento, è nella sua natura mettere davanti l'altro e preoccuparsi di quello che prova. È sempre stato così e non cambierà mai, in particolar modo verso qualcuno per cui prova...

Le braccia lo stringono ulteriormente mentre formula quel pensiero e ci si incaglia.

China la testa accanto alla sua e serra gli occhi, perso tra la confusione di un gesto dolce come il bacio di prima e l'apparente indifferenza nel restituirgli un regalo. Ma deve continuare a stringerlo così, scaldarlo, consolarlo prima che faccia scendere quelle lacrime che lo hanno colpito come un pugno allo stomaco. Non ha tempo per essere ferito, Makoto.

Lentamente, le braccia di Rin si sollevano e sente finalmente le sue mani aggrapparsi alla schiena. Il sollievo di non essere respinto per poco non lo fa svenire e capisce che ha invocato silenziosamente quelle mani per ogni secondo di ogni giorno lontani.

Il viso di Rin si sfrega sulla sua maglietta e gli permette di spostarsi per liberare la bocca dal muro che la censurava.

«Haru non sarebbe contento di vederci così.»

Makoto riesce a scoprire che può soffocarlo ancora di più se solo aumenta la forza nelle braccia ed è una scoperta molto utile, perché era convinto di averlo completamente inglobato e invece esiste la possibilità di renderlo più vicino.

«Haru?»

Non capisce perché nomini improvvisamente Haruka o che ruolo abbia il suo migliore amico in quella faccenda. È come un insostituibile membro della sua famiglia, ma anche se si butterebbe sotto un treno per difendere la sua vita questo non significa che smetterebbe di abbracciare Rin se Haruka gli chiedesse di farlo.

Non che avrebbe ragioni per dirlo, tra l'altro.

Ci mette tantissimo tempo per sentirsi abbastanza sicuro da allentare un po' la stretta, ma Rin non smette di aggrapparsi a lui e Makoto non muove nemmeno un dito finché non ritiene che stia diventando imbarazzante, anche per via di tutti i gatti che sembrano inspiegabilmente più interessati a loro due piuttosto che a sonnecchiare.

Per qualche secondo osserva il petto di Rin, lo scollo della maglietta troppo larga e il dente di squalo che scende tra le clavicole, appeso a una cordicina scura. Lo sfiora col pollice, impacciato, prima di alzare lo sguardo al suo viso.

Le lacrime sono sparite del tutto e di questo è davvero sollevato. Ora sembra calmo e indifeso, ma non può fingere di non vedere quanto sia ancora triste. Non sopporta che stia male, non quando tutto quello che vorrebbe è rivederlo sorridere come prima, quando l'estate era calda e c'erano sogni grandi come galassie.

«Rin.»

Si lascia sfuggire il suo nome senza nemmeno pensarci. Schiude le labbra e quello è ciò che ne esce, perché ne ha la mente piena, di nuovo. Sempre.

Le mani di Makoto si stringono alla sua maglietta ed è lui, ora, che avrebbe voglia di piangere, come se si fosse tenuto dentro fino a quel momento tutta la solitudine e la mancanza, ma quella vera, quella profonda e crudele, quella che non basta esprimere con l'ovvio “Mi sei mancato” che è riuscito a dirgli.

«È più facile per tutti e due se smetti di fare così», sibila Rin tra i denti.

Non è arrabbiato, non come prima. Non è nemmeno tornato scostante. Nell'osservarlo di sottecchi, così da vicino, a Makoto sembra soltanto frustrato.

Vorrebbe provare di nuovo quel contatto con le sue labbra, farlo durare più che una manciata di secondi; capire meglio, ora che è adolescente, se è davvero questo il sentimento che li unisce.

«Fare... così?», mormora, fissando le mani che impugnano la maglietta grigia.

Rin sembra spazientirsi, ma non fa niente per allontanarlo. Alza soltanto le mani, a sua volta, e le posa su quelle di Makoto. La differenza è considerevole, ma riesce a coprire i dorsi e sembra doversi trattenere per non accarezzarli.

«Farmi credere di essere più importante di lui.»

Makoto osserva le mani lasciar andare la maglietta di Rin solamente per catturare qualcosa di meglio, qualcosa che ha cercato a lungo, in quegli anni, senza più trovare.

Le sue mani sono fredde, ma le nasconde completamente nelle proprie e le porta giù, lungo i fianchi, vivendo un batticuore feroce che -ancora non se n'era accorto, com'è possibile?- dura ormai da parecchio tempo.

«Non sei più importante di Haru», risponde, stranito che serva spiegarglielo, che sia necessario mettere nero su bianco un concetto tanto semplice.

Poi comprende che non hanno mai parlato davvero di sentimenti, non chiaramente, e che forse, a quel punto, è diventato proprio inevitabile: la lontananza non ha contribuito a rendere più facili e immediate le cose.

Si fa coraggio essenzialmente perché Rin gli ha dimostrato di tenerci ancora.

È andato lì, lo ha baciato, stava per scoppiare a piangere, si lascia stringere.

Quel nuovo Rin è una facciata di protezione, questo crede di averlo capito. Il vero Rin c'è ancora, orgoglioso ma non cattivo, non è cambiato così tanto come vuole far credere. Restituirgli il portachiavi non è menefreghismo o disprezzo: è lui che prova a spezzare ogni legame.

Qualcosa che Makoto non gli concederà.

«Sei diverso da Haru», spiega, continuando, mentre si avvicina fino a sentirlo respirare, la punta del naso contro la sua. «Devo veramente dirlo? Non hai mai capito che per me sei diverso?»

Rin sfugge al suo sguardo per un po', poi stringe le labbra e alza la testa quasi di scatto, una luce determinata negli occhi, ma anche offuscata da un certo timore.

E Makoto, che non ha mai letto il pensiero di nessun altro all'infuori di Haruka, crede di intuire cosa lo spaventi tanto, portandolo a cercare un taglio netto con lui.

Può essere che voglia certezze dove non ci sono mai state, ma adesso gli sembra di vedere Rin, in Australia, che pensa a lui e fissa il telefono con il desiderio di chiamarlo.

Non lo fa, ovviamente. Non l'ha mai chiamato.

Non lo fa perché crede che Makoto viva solamente in funzione di Haruka e preferisce non interferire ulteriormente, provando a scordarsi tutto quanto.

Ha frainteso e non c'è nessuno pronto a spiegarglielo, a dirgli di avere pazienza, di aspettare quando tornerà finalmente in Giappone e gli anni avranno reso possibile una comprensione più profonda di quello che entrambi sentono.

Rin non chiama Makoto e ha proibito a tutti gli altri di chiamare lui. I mesi passano e niente cambia, ci sono esclusivamente solitudine, struggimento e apatia.

Tornare a casa non migliora le cose, quando è chiaro che niente è finito, ma si è intensificato, perciò staccarsi completamente da Makoto sembra la soluzione migliore, perché anche se Rin è egoista e vorrebbe solo ricominciare da dove hanno lasciato, è amico e rivale di Haruka e lo rispetta ancora. Tiene a tutti loro, ancora.

«Provamelo.»

Makoto sussulta, riportato bruscamente al presente, lontano da quello scorcio di pensieri e sentimenti che forse ha solamente immaginato.

Diventa serio. È un momento importante, probabilmente decisivo. Non c'è spazio per la vergogna o l'imbarazzo, non c'è tempo per porsi altre domande alle quali ha già ampiamente risposto durante lunghe ore di riflessioni, spese a contemplare vecchie fotografie.

Sorride a labbra chiuse e il suo sguardo si addolcisce, facendo nuovamente irrigidire Rin, fermo a contemplare quel viso buono, gentile, decisamente troppo bello da quella distanza ravvicinata.

Makoto muove il collo in avanti, dà una stretta alle sue mani e lo bacia, dimostrando apertamente le sue intenzioni.

Non c'è rabbia, non c'è disperazione, non c'è fretta.

Per un po' Makoto riesce a tenere quel ritmo, limitandosi a baciare le labbra nel loro insieme, poi singolarmente e poi di nuovo entrambe; si sposta di lato, si assicura di non trascurare neppure un millimetro ed è tutto così dolce e soffocante che non ha neanche paura di fare figuracce.

Rin, dal canto suo, sembra spazientirsi. Si tira indietro, lo fissa con insoddisfazione evidente e sfrutta le mani avvinghiate per spintonarlo fino al divano, dove i gatti ancora presenti, capendo di essere in pericolo, schizzano via in un lampo.

Nel fuggi-fuggi generale, Rin lo stende sulla coperta con improvvisa delicatezza, gli prende il viso tra le mani e riprende a baciarlo a modo suo cadendogli addosso.

Nonostante la foga dei primi gesti, Rin non si dimostra più impetuoso dell'altro e Makoto si ritrova a sorridere perché capisce che il ragazzo di cui è sempre stato innamorato sta morendo almeno quanto lui e che forse tutte quelle manovre erano solo uno stratagemma per sdraiarsi e non finire con il posteriore per terra. Lo spera, almeno, perché per lui quel baciarsi non è un passatempo e nemmeno un mero sfogo ormonale.

Sente le lacrime scivolargli lungo le tempie, lente, deboli, strisce sottili e tiepide.

Va tutto meravigliosamente bene e c'è un calore così insopportabile e tenero, ora, diffuso in tutto il suo corpo, che sembra quasi poter curare la malinconia passata.

Quasi.

Lo avvicina incrociando le braccia dietro la sua schiena e cerca di approfondire il contatto, scoprendo, timidamente e con effetto sonoro di un vulcano in eruzione (almeno nella sua testa), che anche se quella sensazione è vasta, sconfinata e indescrivibile, non gli fa paura. La accoglie e ci si immerge completamente, infilando le dita di una mano tra i capelli di Rin e la lingua nella sua bocca.

Ha immaginato spesso di baciarlo, ma non sapeva davvero cosa aspettarsi.

Baciare Rin era più un desiderio di comunicare e trasmettergli quei sentimenti, indirizzarli direttamente a lui senza bisogno di trovare le parole giuste. Era voglia di vicinanza, non molto diversa da quella di tenergli la mano mentre commentavano i colori incredibili del tramonto passeggiando lungo il litorale.





*





«Mi fa male la mandibola.»

Rin, steso accanto a lui sul fianco, la testa appoggiata al suo braccio piegato all'indietro, ha gli occhi che guardano di lato e la faccia completamente rossa.

È così carino che non sa come trattenersi dallo spremerlo come un tubetto di dentifricio; lo ferma soltanto la certezza che emetterebbe ultrasuoni, Rin si stranirebbe e i gatti si spaventerebbero tantissimo, specialmente i tre che sono tornati per acciambellarsi negli spazi vuoti tra le loro gambe.

«Mi dispiace», mormora, soffocando come può il tono divertito.

In parte gli dispiace davvero, perché smette di rigirarsi tra le dita il ciondolo appeso al suo collo e si concentra sulla sua mandibola dolorante. Prova a massaggiare la pelle con i polpastrelli applicando una certa pressione, nella speranza di lenire il fastidio.

Alla fine è stato Makoto quello impetuoso, ma non si è più saputo fermare una volta scoperto quel nuovo mondo. L'incendio nel ventre era qualcosa di irresistibile e non poteva smettere di baciarlo, o rallentare, non quando Rin stesso sembrava intenzionato a morirgli addosso.

«Mpf.»

La mano di Rin si infila nella sua tasca e fruga brevemente per recuperare il portachiavi con il gatto metallico. Lo osserva un poco, poi se ne riappropria discretamente, con immenso piacere di Makoto.

«Perché hai smesso?»

Gli occhi verdi assumono un'espressione confusa, rubando un attimo la scena al benessere sublime che c'era fino a pochi istanti prima, ma Rin gli punzecchia la mano e gli fa capire che si riferiva alle carezze sulla mandibola.

«Mi dispiace», ripete, questa volta ridendo apertamente e riprendendo a muovere le dita con dedizione. Sta per aggiungere qualcosa, magari un RinRin per vederlo imbronciarsi in modo buffo, oppure fargli notare che è molto simile a un gatto nel suo modo di volere attenzioni, ma viene anticipato e zittito irrimediabilmente.

«Dispiace a me.»

Makoto scuote la testa e sposta il braccio dietro la sua testa, usandolo per stringerlo e farlo sparire nell'incavo del collo. Lo tiene lì al riparo, senza interrompere le carezze dell'altra mano. La gamba di Rin che si libera dall'intrico e gli scavalca il fianco (o almeno vorrebbe, se non fosse ostacolata dalla spalliera) lo fa sentire ancora meglio.

«Va tutto bene, Rin.»

Gli accarezza la schiena, incredibilmente felice per quelle scuse e per quella dolcezza che ha riscoperto.

Rin è cresciuto ed è indubbiamente cambiato, ma è ancora il ragazzo che gli faceva battere il cuore con una risata e lo trascinava ovunque volesse grazie al suo entusiasmo.

Finalmente quel ragazzo è tornato. Direttamente tra le sue braccia.

«Possiamo-?», comincia, interrotto da una mano sulla bocca.

Inarca le sopracciglia e sente la sua voce soffocata contro il collo, il fiato caldo che gli fa il solletico.

«Dobbiamo restare qui ancora un po'. I gatti si sentono soli, non vedi?»

Makoto tende le labbra sotto il palmo della sua mano, poi si rilassa e lo bacia chiudendo gli occhi. È strano aver subìto una lettura del pensiero (anche se rimaneggiata dalla sua timidezza), ma non spiacevole.

Sa di avere il potere di sciogliere la corazza di Rin, quel nuovo scudo protettivo che non sa per quale motivo sia stato innalzato, se per la distanza, la solitudine o qualcosa che gli è capitato e di cui non vuole parlare.

Sa di avere tutta la pazienza del mondo e per questo è fiducioso e tranquillo.

Dopotutto l'ha aspettato per anni senza mai dimenticare il profumo della sua pelle.

   
 
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