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Autore: Sylphs    15/06/2014    5 recensioni
[Maleficent]
(Maleficent).
Fosco è un corvo, anche se da tempo Malefica gli dona un aspetto umano. Può un corvo provare amore, se magari una principessa di nome Aurora lo aiuta a guardare dentro di sè? Se si confronta con la grande umanità della ragazza? Ho provato a rispondere a quest'interrogativo in una Fosco/Aurora.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Vero Amore non esiste per i corvi
 
 
 
 
 
Fosco aveva sempre sottovalutato le creature senz’ali, appesantite da corpi goffi e inutili e incapaci di librarsi nel vento, di sentirlo frustare la carne e scorrere tra le piume, di affidarsi alle sue correnti di gelida energia e di lasciare a terra ogni sensazione sgradevole o ricordo cupo. La familiare gioia del volo era tanto radicata al suo spirito, benché negli ultimi tempi la sua padrona si fosse dilettata spesso a tramutarlo in indegni esseri che erano un insulto alla sua natura di corvo – non le avrebbe mai, mai perdonato la storia del cane – che non riusciva ad immaginare come ci si sentisse a non poterla provare, ad averla preclusa, e non poteva fare a meno di avvertire un profondo dispiacere e una dolorosa compassione per la sua signora, privata della beatitudine più grande dalla crudeltà degli uomini. Sapeva, ed era convinto d’essere l’unico ad averlo intuito, che la sofferenza che aleggiava costantemente intorno a Malefica, la composta malinconia e la rabbia che la fata si portava dietro come uno strascico, erano state causate non tanto dal tradimento del Re – non che non avesse influito, questo no – ma soprattutto dalla perdita delle sue immense e gloriose ali, che lui non aveva mai potuto ammirare. Lei non amava parlarne, ma bastava nominarle perché un velo le calasse sui luminosi occhi verdi. Aver sperimentato i privilegi del volo e poi averli perduti era un qualcosa di così atroce che Fosco non riusciva neppure ad immaginarlo. E se in principio le aveva offerto i suoi servigi per ripagare il debito della vita che aveva con lei, nel tempo la sua volontà nel restarle accanto aveva tratto forza non dalla riconoscenza, ma dalla comprensione e dalla sollecitudine che lo riempivano ogni volta che la vedeva volgere al cielo lo sguardo freddo e nostalgico.
La sua padrona aveva perso le ali, le erano state rubate da un omuncolo avido e cieco come tutti quelli della sua specie. Lui le avrebbe prestato le proprie, per alleviare almeno in parte il dolore che ella aveva ricavato dal furto.
“Vuoi bene alla fata madrina, vero?”
La principessa Aurora aveva preso congedo da un piccolo gruppo di pixies con il suo solito “Ciao” squillante e puro e gli era venuta incontro correndo, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Fosco si riscosse dai suoi pensieri e si raddrizzò, staccandosi dal tronco umido di un salice al quale si era appoggiato a braccia conserte. Anche quand’era in forma umana, sentiva il bisogno di stare vicino agli alberi, erano stati ed erano il suo rifugio, il giaciglio sul quale posarsi dopo un lungo volo, e gli comunicavano una sensazione di calma, riposo e tranquillità. Non poté fare a meno di notare che il passo leggero e veloce della fanciulla, il modo in cui i suoi piedi delicati sfioravano appena il terreno fertile della Brughiera, assomigliava più al fluttuare di una creatura alata che alla camminata pesante e inguardabile degli umani. C’era qualcosa di fatato nella piccola principessa, qualcosa che la accomunava quasi più alla sua padrona, a lui e a tutti i piccoli esseri che abitavano quella valle verdeggiante che ai distruttori oltre la barriera di spine. Il suo sangue non puzzava di ferro e morte come il loro, profumava di vita, scorreva ed era in armonia con la natura, e se lui non ne rimaneva affatto indifferente, certo anche la sua signora doveva essersene accorta, non a caso aveva permesso alla ragazza di fare breccia nel suo cuore, deponendo la maschera di cattiveria e insensibilità.
Sì, Aurora non aveva mai volato e mai lo avrebbe fatto, ma lui non la considerava assolutamente alla stregua di uno di quei patetici omuncoli senz’ali. Ricordava ancora tutti i giochi che avevano inventato quand’era ancora una bambina e lui le si mostrava solo nel suo aspetto di corvo, il calore che lo colmava non appena la vedeva sorridere, e la speranza, adesso, che la sua padrona la liberasse dal maleficio. Non avrebbe tradito Malefica, non avrebbe rivelato ad Aurora la verità, le aveva giurato fedeltà e gli uccelli non sono come gli uomini, gli uccelli mantengono le loro promesse, ma non sopportava l’idea che la fanciulla morisse. Era pura, non era come loro, e non meritava un destino che sarebbe dovuto essere di suo padre.
Le sorrise e rispose alla sua domanda in tono cordiale: “Ci conosciamo da tanti anni ed è la mia signora. Morirei per lei. Anche se” soggiunse con un ghigno sardonico: “Dovrebbe smetterla di modificare il mio bellissimo aspetto a suo piacimento”.
Aurora scoppiò a ridere – si era accorto da tempo che aveva una risata davvero piacevole da ascoltare – e si sentì più leggero, come se stesse sorvolando le nuvole e le distese di terra e foglie in una limpida mattina estiva. Era notte, invece, e una tonda luna piena gettava la sua luce argentea sulla Brughiera, accendendola di colori brillanti. La piccola principessa non faceva quasi mai loro visita di giorno, per evitare di insospettire le tre fate che comunque, a suo parere, non si sarebbero accorte neppure di quello che avevano davanti al naso.
“A volte mi chiedo come farei senza di lei” esclamò la fanciulla: “È da quando sono piccola che avverto la sua presenza vicino, e ogni volta che mi sentivo sola mi bastava pensare che era qui, accanto a me. E che se l’avessi chiamata, sarebbe venuta e mi avrebbe tolto tutti i dispiaceri”.
Fosco si domandò se la padrona fosse nascosta da qualche parte, intenta ad ascoltare ogni singola parola. L’aveva vista spiare spesso Aurora, soprattutto negli ultimi tempi. In ogni caso la piccola principessa era tanto spontanea e sincera che gli sarebbe stato impossibile non lasciarsi contagiare dal suo temperamento, e decise che avrebbe parlato così come gli suggeriva il cuore. Del resto non c’era nulla che avrebbe potuto dire contro Malefica.
“Penso che anche lei abbia bisogno di te, Aurora” disse, senza abbandonare il sorriso, una smorfia umana che, chissà perché, soltanto la fanciulla riusciva a tirargli fuori: “Non lo ammetterebbe mai, però è così”.
“Lo spero” la ragazza sedette su una pietra e si abbracciò le ginocchia, mordicchiandosi il labbro inferiore con insicurezza: “Forse è solo una sciocca sensazione, ma…a volte penso che…una parte di lei voglia allontanarmi. Che si è pentita di avermi mostrato il cammino per la Brughiera”.
“E come sarebbe possibile? Tu ci hai reso… l’hai resa viva e felice come non era mai stata per tanto tempo. La Brughiera era un luogo molto più cupo prima che arrivassi”.
Rimase sorpreso da quella replica, sfuggitagli d’istinto. Dosare le parole era un’altra abitudine tipicamente umana alla quale ancora non aveva fatto il callo. La sua signora la risolveva a modo suo, e ogni volta che lui parlava troppo lo trasformava di nuovo in corvo per metterlo a tacere, cosa che lo esasperava, ma alla quale in fondo si era arreso. Con Aurora era diverso. Con Aurora toccava a lui e soltanto a lui soppesare le frasi, ma era estremamente difficile, davanti a quei grandi occhi azzurri luminosi e ingenui. E provava sempre una punta di disagio a parlarle da solo, senza la presenza della sua padrona. Perché se tra lui e Malefica correva, nonostante il rapporto servo-padrone, una comprensione intrinseca – erano simili e complementari, e uniti dalla loro natura di creature alate – Aurora era quanto di più diverso potesse esistere da lui, era luce, freschezza, innocenza, e da una parte queste caratteristiche lo attraevano, dall’altra lo respingevano. Il fascino della fanciulla era irresistibile persino per la sua signora, figurarsi per un umile corvo. Il suo sguardo, la sua risata, promettevano calore, conforto, affetto.
Il viso delicato e ancora un po’ infantile si illuminò, mentre lo sollevava verso di lui: “Lo pensi davvero?”
Fosco agì come gli consigliava l’istinto e le s’inginocchiò accanto, prendendole una mano serica e affusolata e portandosela alle labbra per deporvi un bacio, così come aveva fatto quando la sua padrona li aveva presentati: “Gli uccelli non mentono mai, Aurora”.
Le guance della fanciulla s’imporporarono leggermente, ma piegò il capo di lato e chiese, incuriosita: “Gli umani invece lo fanno? Non so niente del mondo. Io…sono sempre vissuta con le mie zie, nella casetta, e non ho mai preso contatti con altri della mia specie”.
“Un’antica leggenda racconta” le spiegò Fosco dolcemente, senza lasciarle la mano tiepida e fremente di vita: “Che le creature fatate e gli animali non sono capaci di mentire. Oh, sono capricciosi, molto capricciosi, e volubili, e terribilmente infantili se vogliono” risero insieme al ricordo della battaglia a palle di fango svoltasi la notte precedente: “Ma non bugiardi. La menzogna è un’arte tipicamente umana. Ma gli umani hanno il libero arbitrio, e possono scegliere se essere sinceri o seguire il cammino della mendacità”.
La fanciulla, che s’era sempre interessata di ciò che aveva intorno, lo aveva seguito con attenzione: “E cosa scelgono, di solito?”
Fosco corrugò le sopracciglia nere e arcuate: “La cosa sbagliata”.
Fremeva di rabbia se pensava a come il Re avesse ingannato la sua signora, attirandola in trappola e prendendole le ali nella maniera più vigliacca e umiliante possibile, o al vecchio mugnaio che lo avrebbe ucciso a bastonate solo perché aveva beccato di tanto in tanto il suo grano. I distruttori senza ali erano avari, violenti e bugiardi, dal primo all’ultimo.
“Oh” un’espressione addolorata si dipinse sul volto di Aurora: “È per questo che la fata madrina è così diffidente? Teme che potrei…tradirla?”
Restò colpito dalla sua intuitività. Malefica era un mistero addirittura per lui, che la conosceva da anni, eppure quella fanciulla era riuscita a decifrarne l’animo più profondamente di quanto si sarebbe aspettato, malgrado la giovane età e la razza a cui apparteneva. A volte si scopriva a domandarsi se in fondo qualcosa della sua padrona fosse passato alla piccola principessa, se non fosse più figlia sua che della Regina.
“Questo non posso dirlo con certezza” ribatté, senza perdere l’accento cortese: “Ma lei ha provato sulla sua pelle gli orrori di cui gli uomini sono capaci”.
La fanciulla si oscurò: “Per questo ha eretto la barriera di spine? Per proteggere la Brughiera dagli uomini?”
“Esatto”.
“Vorrei non essere ciò che sono” mormorò Aurora, abbassando le ciglia chiare sulle guance: “Vorrei appartenere anch’io a questo posto, come te e lei. Qui io…mi sento a casa. E non sono mai riuscita ad andare molto d’accordo con quei pochi viandanti che incontravo, mi sentivo sempre impacciata e fuori luogo, invece gli abitanti della Brughiera mi hanno subito accolta come una di loro. Odio non essere come voi fino in fondo”.
Appariva tanto sconsolata e sconfortata che Fosco provò un moto di tenerezza e, d’impulso, le sollevò il mento con due dita, cosicché i suoi occhi celesti potessero incontrare i neri: “Ciò che sei va benissimo, Aurora” gli piaceva sentire il nome della ragazza sulle labbra, le sillabe che si scioglievano sulla lingua e ammorbidivano la voce: “Non pensare di non andare bene per noi. La mia padrona non avrebbe schiuso la barriera per qualcuno che non riteneva meritevole di oltrepassarla”.
Lei parve un po’ rassicurata e accennò un sorriso che Fosco ricambiò, senza lasciare i suoi occhi nemmeno per un istante. Avrebbe mentito – e non era in grado di mentire – affermando che lo faceva solo per confortare la principessa. Gli piaceva, guardarla, sfiorare la sua pelle vellutata e ancora vergine, perdersi nell’azzurro profondo delle sue iridi che lo spingeva a ricordare il cielo sconfinato e il vento che gli accarezzava le ali. Si sentiva come quando volava, la stessa leggerezza nella testa e negli arti, lo stesso sfarfallio nello stomaco e la sensazione di affidarsi al vuoto, d’essere una piuma in balia di forze contrastanti. Riusciva a dimenticare la sua vera natura e ad andare d’accordo con le sue sembianze di patetico senz’ali. Chissà se era stato questo a conquistare la sua padrona, il fatto che la piccola principessa restituisse, con un solo sguardo, le sensazioni del volo.
“Tu sei diversa dagli altri” le sussurrò, confidenziale, e stavolta il viso di lei si accese di un sorriso vero e proprio. C’era anche un rossore improvviso sulle sue gote.
“Grazie” rispose, allungando una mano esitante e passandogli le dita tra i folti capelli corvini: “Bell’uccellino”.
Fosco ridacchiò nel sentire l’antico nomignolo che gli aveva dato quand’era piccola e chiuse impulsivamente gli occhi, spingendo la testa contro il palmo soffice della fanciulla e ricercando altre carezze come avrebbe fatto il corvo che era in lui. Lei lo accontentò, con il suo tocco delicato e discreto, e dovette trattenersi per non gemere di piacere. Adorava e venerava la sua padrona dal profondo del cuore, ma Malefica non era mai stata incline al contatto fisico e aveva sempre mantenuto una certa distanza tra di loro, ostinandosi a conservare quell’atteggiamento freddo che solo Aurora aveva saputo abbattere, Aurora che invece lo faceva sentire alto nel cielo con un singolo, innocente sfioramento, con quei modi spontanei e scevri di doppiezza. Le osservò le labbra rosee e piegate in un sorriso imbarazzato e felice e si chiese se erano davvero morbide e accoglienti come sembravano, fatte apposta per ricevere il bacio di Vero Amore che l’avrebbe salvata dal sonno eterno.
Il corvo avrebbe voluto baciarle. L’uomo in cui Malefica lo aveva tramutato capiva di non voler atterrire la ragazza, o perdere la fiducia che riponeva in lui, in loro, e la prese invece per mano, intrecciando le lunghe dita pallide a quelle di lei.
“Vieni” le disse: “Voglio mostrarti una cosa”.
Aurora lo seguì prontamente, incuriosita, con il suo passo leggero simile ad un volo sul pelo del terreno. La guidò tra i colori e la vegetazione aliena della Brughiera, aiutandola quando il suolo era dissestato o c’era un ostacolo da superare, senza lasciarle mai andare la mano, e i folletti e le fate intenti nelle loro faccende li guardarono passare e fecero cenni di saluto alla fanciulla, che rispondeva ogni volta di buon grado. Stravedevano per lei, si rese conto Fosco, subivano il suo fascino tanto quanto lui. Se la sua padrona avesse abbandonato i piani di vendetta, avrebbe potuto nominarla regina della Brughiera e sarebbe stata accettata con gioia.
Si fermò, invitandola con un sorriso a fare lo stesso: “Guarda”.
Lei ubbidì e un istante più tardi i suoi occhi azzurri si spalancarono, riflettendo la meraviglia di ciò che aveva davanti.
Il gazebo, illuminato dalla luce della luna, risplendeva di un bagliore fatato, con le sue colonne di pallido marmo avvolte da tralicci di rose bianche, nere e scarlatte e la superficie luccicante come uno specchio, ed era circondato da immensi fiori notturni che durante il giorno se ne stavano chiusi e incapsulati in se stessi, adesso aperti e fluorescenti nel buio ammantato di blu. C’era silenzio, tutt’intorno, ma la suggestione era tale che sembrava comunque che una musica aleggiasse nell’atmosfera.
“Oh, ma è bellissimo!” sussurrò Aurora con reverenza, sfiorando una delle colonne e chinandosi ad annusare una rosa: “La fata madrina ci è mai stata?”
“Fu lei a portarmi qui” rispose Fosco, compiaciuto della meraviglia della principessa: “Un tempo ci andava spesso”.
La sua signora non aveva voluto approfondire, ma s’era convinto che vi avesse condotto Re Stefano svariate volte, e che avessero ballato insieme all’ombra del gazebo. Per questo adesso non amava ritornarci e non lo aveva mai mostrato ad Aurora. Ma lui aveva sentito di doverlo fare. Di doverlo fare per la ragazza.
“Come si può abbandonare un simile paradiso?” esclamò lei, accennando una piroetta nel suo semplice abito azzurro: “Fosco, ci crederesti che questo gazebo è identico a quello che sogno spesso?”
“Davvero?” le chiese, intento, avvicinandosi e salendo i brevi gradini che lo separavano dallo spazio marmoreo.
“Sì!” un sorriso pieno ed estatico splendeva sul volto della fanciulla: “È come se l’avessi già visto…e in questi sogni io…” arrossì repentinamente e s’interruppe, imbarazzata. Un imbarazzo che intenerì profondamente l’uomo-corvo.
“Tu?” la sollecitò, incoraggiante.
Lei si mordicchiò di nuovo il labbro: “Io…ballavo. So che è stupido”.
“Perché?” rise Fosco: “Ballare è una cosa tipica degli umani, ma sinceramente non ci trovo niente di stupido”.
Aurora si rilassò leggermente e gli scoccò un’occhiata indagatrice: “Hai mai ballato?”
Fosco ebbe un brivido; non aveva voluto mettere la sua piccola principessa in imbarazzo, ma danzare gli era sempre parsa una delle tante bizzarrie dei senza ali, un goffo assembramento di movimenti assurdi con cui imitavano, senza riuscirci, il volo. Un modo, quindi, di sentirsi uccelli. Anche se non lo erano e non lo sarebbero mai stati.
“No” fu la sua cauta risposta.
“Oh, ma allora devi provare!” con il suo solito entusiasmo, la ragazza gli afferrò entrambe le mani e lo trascinò al centro del gazebo: “Io l’ho fatto, di tanto in tanto…da sola…ma…sarebbe splendido ballare con qualcuno!”
Fosco scoppiò a ridere, con scetticismo ma anche una punta di ansia: “Aurora, io non sono qualcuno. Sono solo il tuo bell’uccellino”.
Perché aveva aggiunto quel tuo? Era un corvo ed era libero, non rispondeva a nessuno salvo la sua signora, certo non ad un essere umano. Però…
Io sono suo. Lo sono da quando le portai il latte e la cullai.
Scrollò la testa con uno scatto da uccello per scacciare i pensieri umani. Doveva ricordare a se stesso chi era, e chi non era. Anche se al momento aveva sembianze umane ed appariva come un giovane bruno e, a sentire Aurora, affascinante – in confronto a quand’era corvo si sentiva orrendo – restava comunque, nel profondo dell’anima, una bestia. E Malefica non mancava di rammentarglielo, negandogli l’uso della parola ogni volta che diceva qualcosa che non le andava a genio.
La ragazza si accigliò: “Certo che sei qualcuno! I corvi forse non sono individui? Tu sei Fosco, sei l’amico più fedele della fata madrina, e mi hai fatto compagnia da quando ero piccola…non devi dire così!”
Quelle parole, sincere nella maniera più assoluta, si infilarono tra le penne nere come la notte e andarono a toccare un punto remoto di lui, mai sfiorato prima, inviandogli una sorta di corrente di energia in tutto il corpo, d’esaltazione e terrore cento volte più forti di quelli che lo coglievano quando si buttava in picchiata da un dirupo. L’adrenalina gli pulsava nelle vene e si scoprì a pendere dalle sue labbra mentre lei si posizionava, risoluta, un suo braccio intorno ai fianchi e intrecciava la mano libera alla sua, per poi alzare il capo biondo e sorridergli con tenerezza.
“Puoi ballare anche tu, bell’uccellino” mormorò: “Basta provarci”.
Credeva che non si sarebbe mai abbassato a tanto, invece si ritrovò a tentare davvero, per lei, per la sua piccola principessa ingenua e spontanea, per la compagna di giochi di un tempo che ora era divenuta molto di più, e scoprì che proprio per la sua somiglianza con il volo la danza non gli riusciva nient’affatto male, i movimenti venivano a lui naturalmente e conduceva la fanciulla con eleganza, guidandola e tenendole dolcemente la mano. La sollevò tra le braccia, facendole compiere una mezza giravolta, e lei scoppiò in una risata fresca e meravigliosa, con gli occhi luminosi nel buio della notte.
“Vedi?” esclamò: “Sai ballare!”
“Solo perché ci sei tu, Aurora” replicò, e nella turbinosa foga della danza, con il profumo della fanciulla che lo inebriava e il suo corpo caldo a contatto con il proprio, si sentì frastornato come dopo un volo lungo e movimentato. I capelli dorati di Aurora gli sfioravano il mento e si sorprese a desiderare di immergerci il naso e annusarli, di lasciar scorrere le mani sulla stoffa dell’abito sentendo attraverso di essa le forme in boccio. Non avrebbe dovuto provare quello che stava provando, perché lei apparteneva alla razza dei distruttori senz’ali, era la figlia dell’acerrimo nemico della sua signora e tra poco tempo avrebbe potuto cadere vittima del più atroce dei malefici, ma gli era impossibile sottrarsi a quei sentimenti così come non riusciva a sopravvivere senza volare. Quando lo aveva trasformato in uomo, quel giorno, Malefica aveva previsto le conseguenze del suo gesto?
La principessa sarà risvegliata solo dal bacio del Vero Amore.
Ma cosa ne penserebbe la mia padrona?
E Aurora?
Non voglio rimanere imprigionato per sempre in questo lurido corpo.
Ma per lei…
I pensieri si susseguivano ad una velocità sconcertante, tuttavia fu la principessa a metterli a tacere, posandogli la testa sul petto ed esalando un sospiro di beatitudine: “È proprio come nei miei sogni…”
La sua pelle profumava di miele e di petali di rosa. Fosco alzò una mano ad accarezzarle i capelli, goffamente, e la sentì stringersi di più a lui. Povera, piccola bimba ignara della condanna che le pendeva sul capo, dell’inganno che perfino un luogo come la Brughiera celava sotto le sue meraviglie.
Devo dirglielo. Metterla in guardia.
La mia signora non me lo perdonerebbe mai.
Ma se anche lei la ama, forse…
È troppo orgogliosa. Non glielo rivelerebbe.
Chi sono io per farlo? Solo un bell’uccellino.
Sono Fosco. Aurora si fida di me.
Ma se…
“Aurora!”
Il richiamo, pronunciato dalla voce alta e chiara della sua signora, giunse a spezzare l’incanto come un colpo di frusta, eliminando la leggerezza, la lieve confusione e il profumo della fanciulla e dandogli la sensazione che un enorme masso gli fosse piombato sulla schiena, facendolo sentire pesante e ancorato al terreno come mai in vita sua. Lasciò la principessa come scottato, ritraendosi in un’istintiva posa di deferenza, e nello stesso istante lei si volse in direzione di colei che l’aveva invocata, disorientata e lieta insieme: “Fata madrina!”
Malefica sostava elegantemente accanto ad un cespuglio di more, nella sua veste nera e voluminosa, e li scrutava con i suoi fluorescenti e alieni occhi verdi, occhi che Fosco sapeva nascondere un’infinità di emozioni e pensieri illeggibili per chiunque. L’espressione della fata era imperturbabile, ma avvertì ugualmente un brivido percorrergli la schiena, anche se si limitò ad un ossequioso cenno del capo, cenno a cui la sua padrona rispose serrando impercettibilmente la mascella appuntita.
Lei sa.
Fosco non la temeva, si capivano troppo perché lei potesse spaventarlo o tenersi la sua obbedienza con la paura – le rimaneva accanto per fedeltà e affetto, non per terrore – tuttavia distolse gli occhi dai suoi, perché era consapevole di cosa Malefica stesse pensando, e non voleva ascoltare.
Il Vero Amore non esiste.
Allora cos’è, quello che ho appena provato?
Non ne aveva idea. Era soltanto un corvo.
“Aurora, vieni, devo parlarti” disse la sua signora, in tono gentile ma fermo. La richiamava a sé per portarla via a lui? O non c’era alcun collegamento tra le due cose?
La principessa non contestò, depose un rapido ed affettuoso bacio sulla guancia di Fosco – bacio che lo fece fremere da capo a piedi – e dopo avergli sussurrato un soave: “Ciao” raggiunse di buon grado la sua “fata madrina”, che l’avvolse nel mantello scuro, tirandosela vicino, e girò il capo a scoccare al suo servitore uno sguardo che sapeva di avvertimento. Fosco lo recepì come una pugnalata alle viscere e aprì la bocca, non indovinava per dire cosa, un turbine di parole gli si agitavano nella bocca e il casto bacio di Aurora bruciava come fuoco sulla sua pelle, ma nello stesso istante Malefica mosse le dita in un gesto di potere ed egli sentì la voce venirgli meno, tramutarsi in un gracchiare incomprensibile, e la pesantezza del suo corpo umano annegare nella grazia e nell’agilità del corvo.
Mi ha dato le ali, ma mi ha tolto Aurora.
Le ali erano sempre state il suo tesoro più prezioso. Allora perché, perché avvertiva quella stretta allo stomaco? Quel dolore? Perché batterle faceva all’improvviso tanto male?
Mentre si allontanava al fianco di Malefica, Aurora si voltò un attimo verso di lui, guardandolo in un modo che Fosco non seppe definire – nostalgia? Partecipazione? O qualcosa di più…profondo? – e pur di sfuggire alla limpidezza de suoi occhi azzurri, pur di non essere nient’altro che un bell’uccellino con cui giocare, schizzò in alto con foga e scomparve tra i rami degli alberi, avvinto dal desiderio feroce di allontanarsi dalle due donne.
Il Vero Amore non esiste. Non per la mia signora. Certo non per i corvi.  
 
Angolo autrice: Bene, bene…lancio dei pomodori in arrivo? Ho visto Maleficent circa una settimana fa e mi è decisamente piaciuto, alcune cose magari le avrei volute un tantino diverse (tipo Filippo) ma le ambientazioni, Malefica, un personaggio fantastico, e Fosco mi hanno soddisfatta sotto tutti i punti di vista. Così ho scritto questa…cosa. Ora, io shippo Fosco/Malefica, ma ricordo che quando andai al cinema per la prima volta, con la mia migliore amica, sentimmo una chimica tra il nostro corvo e Aurora (che pure mi sta un po’ sulle balle) fin da quando giocavano insieme durante l’infanzia di lei. E poi, quando le bacia la mano, e si presenta… ci ho sperato, che alla fine sarebbe stato lui a svegliarla. E dato che non mi sentivo ancora pronta per sviscerare un personaggio del calibro di Malefica, ho optato per quest’altro pairing.  Che ne dite, un pastrocchio inenarrabile? Fosco nel film non mostra tantissimo la sua psicologia, si intuisce che è fortemente fedele a Malefica e che corre molta comprensione tra di loro, che considera la forma del corvo nettamente superiore alle altre, che odia i cani (ma vabbè XD) e che per Aurora prova una specie di tenerezza…ho cercato di darne una mia interpretazione. Visto che amo i personaggi tormentati e pieni di dilemmi alla Amleto, ho voluto donargli qualche tratto sul genere, perché insomma, pur sempre corvo è, anche se sembra umano in tutto e per tutto. Mi fareste piacerissimo se mi lasciaste un parere, o magari una critica per migliorare! Intanto, un bacione a tutti quanti!
Sylphs  

 
  
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