Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: lunadelpassato    17/06/2014    0 recensioni
"Le urla disperate provenivano da sotto di loro, così abbassarono la testa nello stesso momento verso la dura terra che si estendeva oltre il cancello. Davanti, un piccolo fagotto informe si muoveva energicamente, mentre urlava a più non posso.
Elsa era paralizzata dal terrore. Anna, invece, si chinò lentamente a terra, inginocchiata proprio accanto al fagotto, e scostò un lembo di quello che sembrava un vecchio straccio scuro.
Intanto il cielo brillava più che mai."
"- Oggi fa più freddo dell’ultima volta delle luci- notò sussurrando tristemente al cielo.
- È quello che penso anch’io- le rispose una voce ignota.
Aprì gli occhi di scatto e si girò indietro, sorpresa. Dietro di lei, solo la stanza ghiacciata illuminata dalle luci mistiche.
-Anna?- chiese tremante frugando con lo sguardo ogni angolo della stanza in penombra.
-Mi senti?- riprese la voce meravigliata.
Elsa fece qualche passo indietro e si rigirò di scatto verso la finestra, le mani pronte a sferrare un’ attacco.
- E mi vedi?- sussurrò il ragazzo."
Jelsa con un bambino abbandonato e il suo fratellastro. presenza di Kristanna e accenni di altre opere.
Nata da una frase di Let it Go: I'm one with the wind and sky
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elsa, Kristoff, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo dai capelli d'argento volò letteralmente giù dalle scale. Ormai erano a pochi minuti dal castello, doveva sbrigarsi se voleva accoglierli come si deve.
Felice come non mai, corse per i lunghi corridoi scarlatti e spinse la porta del giardino interno del castello. La giornata era soleggiata e calda, e gli uccelli dei dintorni intonavano magnifici canti tra i rami fiorenti degli alberi.
La primavera, pensò distrattamente Jack mentre volava dritto, trasportato dal vento gentile e gradevole.
Poco dopo vide un gruppo di cavalli dirigersi a passo lento verso il piccolo regno; sembravano stanchi e malandati, vestiti di mantelli scuri. A guardare bene, tra loro c'era anche una renna.
-Sono tornati!- disse Jack entusiasta.
Subito scese di quota e andò loro incontro.
Una figura rotolò rovinosamente nella polvere della strada, facendo imbizzarrire i cavalli.
-Che cos'è stato?
Anna scese cautamente dal suo cavallo e si avvicinò, impavida davanti a quella circostanza.
-Ehi! È Jack! Che ci fai qui?
Elsa ebbe un tuffo al cuore. Non aveva ancora detto nulla sulla notizia che le aveva comunicato Granpapà, e al solo pensiero che doveva dirlo a Jack, le mani le diventavano fredde.
Jack si rialzò con l'aiuto della principessa.
-Sto bene, grazie. Sono venuto per darvi il bentornato e per farmi raccontare cosa è successo, ovviamente.
Elsa nascose il viso tra i capelli di Damio, che tranquillo le sedeva davanti.
Sperava così che il cappuccio la nascondesse per un po', anche se avrebbe voluto volentieri scomparire dalla faccia del pianeta.
Fortunatamente, Anna ed Olaf intrattennero Jack con i loro racconti per tutta la durata del viaggio, e lei poté rimuginare su quali parole usare per dirlo al ragazzo.
Arrivarono finalmente al castello, ed Anna e Kristoff si ritirarono nella loro camera per dormire; anche Damio, esausto, era nella via per i sogni, coricato nel suo lettino.
Solo Elsa restava sveglia, evidentemente preoccupata.
Jack la osservò mentre metteva a dormire Damio con due cerchi neri intorno agli occhi, per poi dedicarsi alle solite cose burocratiche.
-Perché non vai a dormire?
Elsa sussultò. Alzò lo sguardo dal solito accordo di scambio e si ritrovò a fissare Jack.
Cercò di tenere un'espressione neutra e tornò alle sue carte.
-Una regina deve adempiere ai suoi doveri.
Il ragazzo si scambiò il bastone da una mano all'altra. C'era qualcosa che non andava. Qualcosa di grosso.
-Lo sai che a me puoi dire tutto, vero?
Elsa strinse inavvertitamente la lunga piuma d'oca che stava usando, e questa si ghiacciò in un istante. Singhiozzò.
Subito Jack le andò vicino, offrendogli la spalla per piangere. Ci volle un po' per calmarla.
-è qualcosa che riguarda me?
La regina annuì con gli occhi chiusi. Non aveva il coraggio di guardarlo mentre glielo diceva.
-Dimmelo, Elsa. Qualunque cosa sia, non sarà mai così grave.
La ragazza aprì gli occhi chiari e lo guardò profondamente. Jack chiedeva la verità, non gli importava quale fosse. Inspirò e espirò profondamente.
-S-sono incinta.
Lo sussurrò appena, ma Jack aveva un udito fino. Le sussurrò anche lui, visibilmente turbato.
-Non è possibile.
-Granpapà ha detto che lo è, se due anime simili si incontrano. Non sono la prima a cui succede.
Jack sbiancò. Anche lui aveva conosciuto due persone a cui era successo, quando era ancora vivo. Si era trattato di due giovani contadini che avevano avuto due gemelli. Purtroppo la loro storia non era a lieto fine: dopo la morte della madre, il padre aveva dovuto abbandonare i figli nel bosco per fame, augurandogli la sopravvivenza.
Per fortuna questo bambino non avrebbe patito la fame, figlio della regina qual'era, ma a cosa era destinato?
-I bambini che nascono da...questo sono destinati a grandi cose, siano brutte o belle. Ho conosciuto una famiglia a cui era successo, e la loro storia non è a lieto fine; dei gemelli nati non è stata trovata traccia, dopo che sono stati abbandonati.
-Abbandonati?
-è una lunga storia.
Elsa sbatté le palpebre ripetutamente; Jack non aveva avuto la reazione che si era spettata.
-Quindi non sei sorpreso che sia capitato questo?
Il ragazzo guardò dolcemente la regina, che aveva messo su un'espressione sorpresa adorabile. Si sentiva semplicemente felice, come se tutta la felicità del mondo avesse deciso di trasferirsi nel suo cuore.
-Certo che lo sono. Ma sono anche contento. Io ti amo, Elsa, e amerò questo bambino.
 
-Mamma! Manchi solo tu a tavola, sbrigati!
Damio trascinava la mano di Elsa per i lunghi corridoi, e la regina sorrideva cercando di stare al passo col bambino.
-Non posso correre veloce, Josè tira certi calci!
Damio si fermò con la faccio imbronciata e si avvicinò al pancione della mamma.
-Cattivo, non si danno i calci! Adesso corri, mamma, c'è una sorpresa per te!
Elsa ridacchiò divertita e si lasciò trascinare da Damio fino alla sala da pranzo. Indossava un elegante vestito blu, e una cinta sottile le sottolineava la gravidanza. I capelli in una crocchia voluminosa le davano un aspetto più sereno, rilassato.
Appena arrivò nella stanza, tutti i presenti scattarono in esclamazioni e applausi che fecero arrossire alla regina, che si sedette composta come a suo solito a capotavola. Anna stava alla sua sinistra, troppo impegnata a tormentare il povero Kristoff, e alla sua destra sedeva l'immancabile Gerda, che l'aveva (e l' avrebbe) aiutata tanto e che voleva mangiasse alla tavola reale insieme a Kai, il suo migliore amico.
Tutti parlavano allegramente del più e del meno, e perfino Damio quel giorno era molto allegro e divertito.
Ad un tratto qualcuno le chiuse gli occhi con le mani; non era difficile da indovinare il nome del colpevole.
-Jack!
Il ragazzo ritirò le mani e le sussurrò all'orecchio:
-Si, sono proprio io.- lasciò cadere le mani sul pancione. Elsa sorrise.
-Come sta oggi Josè?
-Benone, anche troppo. Pensa che tra qualche giorno potrai prenderlo in braccio e tenerlo tutto per te.
Questa volta fu Jack a sorridere. Aveva lasciato il piatto a metà per venire a stuzzicare la sua “anima simile” e lei glielo fece notare.
-Lo sai che io non ho bisogno di mangiare, perché insisti tanto?
Elsa inghiottì il boccone che stava masticando.
-Non sopporto che il cibo venga sprecato.
Il ragazzo sorrise tra i capelli della regina. Aveva fatto tanto per lui senza volere nulla in cambio, e a volte senza nemmeno immaginarlo.
Come quando aveva istituito un discorso pubblico in cui annunciava che lo Spirito dell'Inverno esisteva davvero, rendendolo visibile a tutto il regno, oppure ancora quando gli aveva raccontato la sua storia, così triste ma fortunatamente a lieto fine, in quella notte tranquilla in cui si erano conosciuti.
Si staccò da Elsa e fece qualche passo indietro, in modo da avere la visuale di tutti i componenti di quella tavola. Ne avevano passate tante, eppure erano ancora uniti dalla fiducia.
Osservò Gerda passare il sale ad Anna e Kristoff scompigliare i capelli di Damio.
Sarebbe impossibile sgretolare questo ambiente così sereno, pensò col sorriso sulle labbra.
Perché lui era parte di quella famiglia, parte di quella pace che aveva davanti agli occhi in quel momento.
In modo da non farsi sentire uscì dalla stanza, diretto alla finestra del corridoio più vicina; aveva voglia di volare un po' e di schiarirsi le idee. Salì e saltò dal cornicione gettandosi nel vuoto, per poi riprendere quota e lasciarsi trasportare dal flebile vento che soffiava dal mare.
 
La strega si incamminava veloce tra le numerose ortiche presenti in quel campo.
-Dannazione, il proprietario dev'essere un vero fannullone per lasciare tutte queste ortiche!
Aveva scelto la via dei campi per far perdere le proprie traccie in caso l'avessero inseguita. Era più determinata che mai.
Aveva sentito bene le parole del troll: la ragazza bionda avrebbe avuto un bambino con un futuro molto importante, e se era molto importante per i troll, doveva avere sicuramente qualche orribile fine che li avrebbe portati a fare qualcosa di malvagio.
Ricordava bene le storie che si dicevano in giro su quelle creature, tra cui quella della loro passione per la carne umana, soprattutto quella dei bambini, la più tenera.
Doveva fare in modo che questo non accadesse. Il suo villaggio era il più vicino all'arena dei troll, e se il bambino avesse dato inizio al suo futuro, avrebbero iniziato ad attaccare proprio lì.
-Devo uccidere quel bambino, e per farlo, dovrò ammazzare la donna che lo porta in grembo.
Ci erano voluti nove mesi per trovare la città che gli avrebbe dato i natali (la strega non era molto abile nell'arte dell'orientamento con le stelle).
Finalmente uscì da quel campo malmesso. Davanti a lei si estendeva la notte, e oltre, piccole luci si affacciavano nel fiordo.
-Sto arrivando, Arendelle.
Zoppicando per le vesciche causate dalle ortiche, incominciò ad incamminarsi verso le luci della città.
 
Damio si girò di scatto. Gli era parso di aver sentito un rumore sinistro.
-Tranquillo, era solo la teiera che sta usando zia Anna.
Jack giocava col bambino, nella speranza di apparire per lui come un padre di sangue.
Damio, dal canto suo, cercava ogni pretesto per far fare al ragazzo una delle sue magie con la neve. La mamma a quella richiesta spesso rabbrividiva, ma Jack invece era ben felice di creare qualche coniglietto o fiore di neve.
-Jack, lo fai un pupazzo di neve?
Il ragazzo scoppiò a ridere e mollò di colpo il burattino di legno con cui stavano giocando.
-Questo dovresti chiederlo ad Elsa. Lei è molto più brava di me a costruirli.
Damio ribatté pensoso.
-Io non voglio che lo costruisci, ma che lo crei dall'aria. Mamma non vuole mai farlo perché non accetta ancora l'idea che io sappia del suo potere.
Jack smise di ridere. Accarezzò teneramente la testa del bambino con fare paterno, poi cambiò argomento.
-Questo burattino ha un nome? Perché in caso contrario potremo sceglierlo insieme.
Gli occhi del bambino brillarono, e Jack capì che aveva fatto la cosa giusta.
-No, ma avevo pensato a qualcosa come Pino, l'albero da cui proviene.
Il ragazzo rifletté un attimo, preso dal gioco. Appena l'ombra di un'idea gli invase la testa schioccò le dita ed esclamò:
-Che ne pensi di Pinuccio? Pinetto?
Damio scoppiò a ridere divertito. Jack ne fu felice; forse qualcosa stava entrando nel cuore di quel bambino.
-Io avevo pensato a Pinocchio.- disse Damio timidamente. Jack sorrise di cuore.
-E che Pinocchio sia.
Prese il burattino da terra e lo sollevò in aria come prima di un battesimo. Damio lo guardava attento e incuriosito.
-Io ti battezzo... Pinocchio! - Bofonchiò Jack imitando la voce di un prete, ed al bambino sfuggì un gridolino divertito.
Il ragazzo dai capelli d'argento sorrise per l'ennesima volta. Stare con quel bambino lo faceva sentire bene, quasi stare bene come quando era con Elsa.
È proprio vero; questo bambino è speciale.
Qualcuno molto agitato aprì la porta sbattendola contro il muro. I due “uomini” presenti nella stanza sussultarono insieme a quella vista, per poi rilassarsi sensibilmente quando i lineamenti della donna entrata all'improvviso diventarono quelli di Gerda. Portava degli stracci candidi ben piegati tra le braccia e sembrava sconvolta.
-Il bambino...Josè...sta nascendo!
Elsa era alle prese con uno dei soliti contratti di alleanza da parte di regni terrorizzati dal suo potere quando aveva sentito la prima fitta di dolore partirle dal ventre.
Era arrivata inaspettata, ma non le aveva fatto molto male, ed era quindi riuscita a strapparle solamente un leggero gemito di sorpresa.
Mezz'ora dopo ne arrivò un'altra, più dolorosa della precedente, e fu questa a preoccupare la regina. Si alzò lentamente dalla sedia da cui stava esaminando il trattato e si mise a girare per la stanza inquieta, tenendo sotto controllo l'orologio. Dopo un quarto d'ora, un'altra fitta. Ognuna era più forte e durevole della precedente.
-Mi sa che ha deciso di nascere – bisbigliò all'aria. La voce le tremava.
Si fermò in mezzo alla stanza, una mano sotto la pancia, senza poter andare né avanti né indietro. Aveva paura che se si fosse mossa, il dolore alla prossima fitta sarebbe aumentato più del dovuto.
-Sapevo che ti avr...
Le parole morirono nella bocca di Anna. Sua sorella guardava fisso l'orologio appeso alla parete della stanza. Aveva una mano appoggiata alla scrivania di legno, e con l'altra si teneva il ventre. Sembrava sorpresa e spaventata, e come per dimostrarlo la stanza era fredda e lievi fiocchi di neve scendevano dalle pareti.
-Elsa.
La regina non staccò gli occhi dall'orologio.
-Anna, ti prego, vattene.
La principessa avanzò incerta di un passo. Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato. Qualcosa che non andava.
-Che cosa è successo? Stai bene?
La regina impallidì: erano passati nove minuti, e se i suoi calcoli erano esatti, tra un solo minuto sarebbe arrivata un'altra fitta.
-Si Anna, sto bene. Vai via adesso!
La principessa resistette. Non voleva lasciare da sola sua sorella. Era sempre stata lei la più forte, e sentiva che doveva aiutarla.
 -Elsa, che cosa sta succedendo?
-Ti prego, vai via. Sto bene, non è successo nien...
Proprio in quel momento sentì l'ennesima fitta arrivare, prepotente, inarrestabile, che la fece piegare e digrignare i denti.
Durò un minuto. Quando il dolore si fece meno intenso, Elsa scoprì che si trovava tra le braccia della sorella, che la guardava stranamente. La sua espressione era un misto di preoccupazione ed eccitazione.
-Sta nascendo. Elsa, sta nascendo! Stai tranquilla, fai un bel respiro profondo, ok? Wow, non ci credo, proprio adesso! Ascolta, io vado a chiamare un dottore, tu stai qui e non muoverti. Rimani coricata nel pavimento e non alzarti. Torno subito!
Anna si alzò e iniziò a correre verso la porta, ma Elsa la fermò.
-Aspetta!
Anna bloccò il passo e si girò verso la sorella, aspettando (anche se si vedeva da un miglio che era impaziente) che incominciasse a parlare.
Non sapeva perché l'aveva chiamata e fermata. Probabilmente l'aveva fatto perché non voleva restare sola. Aveva paura dell'intensità delle fitte,e la sorella l'aveva sempre aiutata. Le era stata vicino in ogni occasione. Era stata lei a trovare e scoprire Damio e che aveva sacrificato la sua vita per lei, facendo in modo che scoprisse la chiave per controllare i suoi poteri.
Non poteva immaginare una vita senza Anna, e in quel momento la voleva accanto a sé più che mai.
-Niente, vai pure.
Le parole le uscirono dalle labbra leggere e finte, mentre con gli occhi fissava il pavimento.
Quando sarà la prossima? E quanto forte sarà?
Anna annuì e sparì dalla sua vista. Elsa si sdraiò a pancia in su aspettando la prossima fitta, che non tardò ad arrivare, e la regina non riuscì a contenerla come le precedenti. L'urlo di dolore arrivò fino ad Anna.
-Resisti Elsa, sto arrivando.
Erano ormai da più di due ore che la stanza era chiusa al pubblico. Davanti ad esse si affollavano le donne del castello (alla maggioranza servitrici) intente a ritirare i panni intrisi di sangue e a portarne di puliti e bolliti. Nonostante la porta chiusa, si potevano sentire le urla disperate della regina che stringeva con vigore la mano di Jack, bianco come un cencio, mentre Anna era intenta ad aiutare la levatrice che aveva costretto a venire. Damio e Kristoff erano seduti per terra a fianco alla porta chiusa, e ad ogni nuovo urlo di Elsa si guardavano sorpresi che un essere umano potesse urlare così tanto.
Intanto le ore passarono e un maestoso tramonto si profilò dalla finestra. Dentro il castello lo scenario non era cambiato: tutti erano in allerta, e la processioni di panni sporchi e puliti sembrava interminabile, come gli urli che provenivano dalla stanza. Ma ci fu un momento in cui tutti rabbrividirono: un' ultimo urlo sorprendentemente alto squarciò la serafica aria del crepuscolo, e a questo seguì un verso molto diverso. Damio e Kristoff sorrisero, così come Anna all'interno della stanza. Jack era troppo intento a svenire per godersi la scena, ed Elsa così esausta da lasciar cadere la testa nel pavimento, incurante della dolorosa fitta che sentì (in confronto a quelle che aveva passato, sembrava un niente), ma ebbe abbastanza forza per prendere in braccio il nuovo arrivato. Anna la aiutò a sollevare il busto per vederlo meglio.
-è bellissimo. -sussurrò la regina guardando il fagotto che aveva in braccio.
Era ancora sporco di sangue, ma si potevano vedere bene i lineamenti del piccolo intento a strillare con i piccoli pugni chiusi.
Damio aveva pochi giorno in più quando l'abbiamo trovato. Elsa cacciò via quel pensiero fuori posto e liberò la mente. Quel piccolo le trasmetteva una sensazione calda che la pervadeva da capo a piedi.
Anche Jack si risvegliò e si avvicinò ad Elsa per ammirare il piccolo.
-Ti assomiglia tanto.- disse teneramente.
-Dici così solo per farmi contenta- sussurrò Elsa. Non aveva mai vissuto un momento più magico. Jack fece spallucce.
-Può darsi.
Anche a Damio fu permesso di entrare, e Jack si scostò per fargli vedere il bambino.
Lui lo osservò attentamente, poi disse due semplici parole:
 -Benvenuto, Josè.
 
Sentì un boato assordante diffondersi nell'aria, seguito da applausi e un gran vocio.
Era nella strada principale, nascosta da un mantello marrone che aveva comprato in un' emporio lì vicino. Sembrava che tutta la città -che dico, tutto il regno- fosse sceso per le strade. Fermò una giovane ragazza per la strada, chiedendole il motivo di tanta confusione.
-Non dev'essere di queste parti per non sapere cosa sta succedendo. È nato il figlio della regina Elsa!
La strega si insospettì. Erano passati nove mesi da quando aveva sentito quella conversazione nell'arena. Rivolse un blando sorriso alla ragazza.
-Brava ragazza, hai avuto occhio, io non sono di qui. Desidero tanto vedere la regina, ma purtroppo i miei occhi non possiedono questa virtù. Potreste descriverla ad una povera vecchia cieca?
La ragazza abboccò all'amo della strega, e genuinamente la descrisse così:
-Certo che posso: i suoi occhi sono celesti come il cielo d'estate, i suoi capelli del colore della neve e la sua pelle chiara. Ama vestirsi di azzurro,e spesso porta i capelli raccolti in una lunga treccia o in una crocchia. Ma deve stare attenta con lei: possiede infatti il potere di governare i ghiacci e la neve.
Questa ultima rivelazione la lasciò spiazzata. Ringraziò la ragazza, che svanì inghiottita dalla folla.
Il bambino è un principe.
Ricordò una profezia che le aveva raccontato il fratello più vicino a lei di età: un giorno, la Creazione e la Distruzione si scontreranno, ma non ci sarà la vittoria della distruzione finché il figlio della neve siederà nel trono di ghiaccio e la Creazione non avrà il Nero nella sua anima.
Quella profezia in parte era vera: amava considerarsi la Distruzione, e a quanto pare il principino appena nato avrebbe ereditato il trono di Arendelle.
Ma questo solo se è il primogenito.
La strega sputò per terra infastidita. Questo dettaglio l'aveva dimenticato.
Chiamò un' uomo alto e robusto, che rese fondati i suoi sospetti.
Il principe era secondogenito, ma suo fratello maggiore non era il figlio naturale della regina.
Bestemmiò aspramente e si infilò dentro una locanda. L'unica persona che era all'interno era un' uomo barbuto e nero, intento a pulire con lo sputo i suoi boccali di birra.
Quest'uomo ha il Nero nel cuore, ma non ha niente della Creazione.
-Vorrei una stanza, prego.
L'uomo alzò gli occhi dal boccale che era intento a sfregare con un lurido straccio moccioso. Davanti a lui c'era una donna dal volto nascosto da un pesante mantello scuro. Aveva buttato dieci monete d'oro nel bancone davanti a lei. L'uomo le mostrò i denti marci nell'imitazione di un sorriso.
-Tutti quelli che hanno monete sono i benvenuti, madame. Ma lo sono ancora di più se dicono il loro nome. Qui non giudichiamo nessuno, tranquilla.
La strega esitò. Non ricordava nulla del suo passato, e il nome apparteneva a questo.
Prese l'uomo per il bavero della giacca malridotta e deforme che indossava.
-Chiamami strega.- gli soffiò in faccia, prima di trasformarlo in un topo di fogna, prenderlo e affogarlo miseramente nel lavandino pieno di acqua lurida.
-Questa è la fine che fanno i curiosi davanti a me.- soffiò all'aria, prima di esplodere in una risata.
Riprese le dieci monete d'oro dal bancone (e ne prese venti d'argento dalla cassa), prese un mazzo di chiavi e salì diretta alla stanza.
-Quel bambino non vivrà abbastanza da vedersi adulto.
  
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