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Autore: Kim_Pil_Suk    17/06/2014    2 recensioni
L'ultima cosa che Annabeth voleva fare era inseguire un maledetto coniglio bianco per tutto il prato. Ma a quanto pare la sua sorellina non era dello stesso parere.
[ ... ]
- Piper! - gridò Annabeth vedendola sporgersi troppo. Le corse incontro ma non calcolò bene dove mettere i piedi.
Prima che se ne potesse rendere conto Annabeth cadde nella buca.
L'ultima cosa che ricordava era la sua sorellina che la salutava allegra.
Quando Annabeth si svegliò avrebbe tanto voluto sgridare chi le stava battendo un martello sulla testa.
Poi si accorse che il martello era nella sua testa.
L'unica cosa ragionevole di cui si accorse era che si trovava su qualcosa di morbido e aveva la strana sensazione di non essere in un posto a lei familiare.
[ Percabeth ; piccolo accenno alla Thaluke ; probabile OC ]
[ Mi scuso in anticipo per la lunghezza del capitolo ]
[ Buona Lettura. ^ u ^ ]
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Take me to Wonderland, little bunny.

 

 

L'ultima cosa che Annabeth voleva fare era inseguire un maledetto coniglio bianco per tutto il prato. Ma a quanto pare la sua sorellina non era dello stesso parere.

Piper, la sua piccola sorella del tutto diversa da lei, aveva 8 anni, un innata passione per il rosa e le soap opera e delle bellissime guance rosa. Correva ovunque tutto il giorno e arrivava sempre la sera stanca. Ad Annabeth toccava sempre farle da balia quando invece avrebbe preferito leggersi un buon libro.

  - Non correre! - le gridava mentre le correva dietro. Si teneva il delizioso ma scomodo vestito in azzurro polvere per i lati cercando di non inciampare.

  - Coniglio! - gridò la sorellina quando si lanciò l'ennesima volta ad inseguire quel piccolo batuffolo bianco.

  - Non lo inseguire! Piper! - gridò per l'ennesima volta.

Annabeth sapeva solo che si erano infilati nel bosco vicino casa e che dovevano stare attente. La sorellina correva veloce perdendo scarpe e calzini ma lei non se ne premurava. Le lasciava là e tornava a inseguire il coniglio ridacchiando.

Annabeth si appoggiò ad un albero chiedendosi che razza di polmoni poteva avere quella bambina. Riprese fiato e ripartì cercando di non perdere la sorellina di vista.

Ma quando alzò lo sguardo la sorellina non era più là. Piper era scomparsa.

Annabeth si fece prendere dal panico. Si guardò attorno alla ricerca della piccola figura rosa della sorellina ma non la vide da nessuna parte.

  - Coniglio coniglio coniglio di pezza. Zucchero filato di nuvola immensa. - canticchiò una vocina.

Annabeth subito riconobbe la insensata canzoncina che la sua sorellina cantava sempre. Corse nella sua direzione cercando di non inciampare sulle radici degli alberi che spuntavano dal terreno.

La vide lì, inginocchiata sul bordo di una buca grande quanto una persona. Ridacchiava divertita mentre cercava di afferrare qualcosa nel buco. Alzò la testa e guardò la sorella.

  - Là! Il coniglietto è caduto là! - disse indicando il buco con le lacrime agli occhi.

  - Piper! - gridò Annabeth vedendola sporgersi troppo. Le corse incontro ma non calcolò bene dove mettere i piedi.

Prima che se ne potesse rendere conto Annabeth cadde nella buca.

L'ultima cosa che ricordava era la sua sorellina che la salutava allegra.

 

 

 

Quando Annabeth si svegliò avrebbe tanto voluto sgridare chi le stava battendo un martello sulla testa.

Poi si accorse che il martello era nella sua testa.

L'unica cosa ragionevole di cui si accorse era che si trovava su qualcosa di morbido e aveva la strana sensazione di non essere in un posto a lei familiare.

Si alzò a sedere e guardò davanti a se.

Tutto intorno a lei c'erano fili di erba alti quando carrozze e fiori di tutti i colori alti poco più di un palazzo. Questa distesa di colori si allungava per chilometri fino a finire improvvisamente in prossimità di un bosco tinteggiato dei colori dell'autunno. Un posto veramente bello che Annabeth avrebbe voluto fotografare.

Poi si ricordò dove era e come c'era arrivata.

- Piper! - ricordò saltando giù da dove si trovava, senza curarsi minimamente del fatto che era seduta su un fungo gigante. - Spero stia bene. Riuscirà a trovare la strada di casa? - chiese preoccupata. Poi si ricordò il motivo di tutti i suoi misfatti. - Stupido coniglio bianco! - disse calciando un sasso decisamente troppo grande per i suoi piccoli piedi.

E come se fosse stato chiamato in causa Annabeth, mentre si teneva il piede dolorante, scorse delle candide orecchie bianche da coniglio. Si allontanavano velocemente zigzagando. Annabeth poteva solo vedere le orecchie sparire e scomparire fra i lunghi fili di erba.

- Non scappare! - disse iniziando a inseguirle.

Corse velocemente cercando di non far scivolare le ballerine dai suoi piedi. Più volte perse di vista le orecchie ma poi ricomparivano sempre un po' più avanti. E lei accelerava la corsa e quando era quasi convinta di riuscire a vedere il resto del coniglio poi lui scompariva.

- Dannato coniglio! Non correre così veloce! - Annabeth non aveva la minima intenzione di fermarsi. Era caduta nel buco a causa di quel coniglio e adesso aveva voglia di fargli proprio una bella ramanzina. Non che fare una ramanzina ad un piccolo animaletto bianco e morbido fosse nei suoi piani ma era davvero infuriata con quel animale. - Fermati! - gridò di nuovo, esausta.

Pian piano si stavano avvicinando al bosco e Annabeth già riusciva a sentire gli uccellini cinguettare e il rumore delle foglie che venivano scosse dal vento. Percorse il sentiero da cui passava il coniglio evitando qualche piccola radice cercando di non inciampare e si guardò attorno alla ricerca delle lunghe orecchie del coniglio.

- Sono in ritardo. Sono in ritardo! - sentì borbottare da qualcuno, ma non capiva da dove venisse.

Salì su una grossa radice di un albero per guardarsi attorno. Solo in quel momento si accorse che gli alberi erano alti una trentina di metri e le radici più o meno 2.

Salì sopra la radice a fatica e iniziò a trascinarsi verso l'alto. Era una posizione scomoda e il vestito che indossava non aiutava. Ma comunque dal punto in cui si trovava non riusciva a trovare il coniglio.

- Che femminilità. - commentò una voce fastidiosamente sarcastica dietro di lei.

Annabeth cercò di sistemarsi sulla radice. Si sedette e si voltò a guardare colui che aveva parlato.

All'iniziò pensò che colui davanti a lei fosse un semplice ragazzo troppo bello da poter essere vero. Poi si accorse che qualcosa nel suo aspetto non andava.

Appena notò lo sguardo confuso della ragazza il ragazzo alzò un angolo della bocca in un sorriso divertito.

Annabeth saltò giù dal ramo con grazia e si spolverò la scomoda gonna con le mani. Si voltò a guardare il ragazzo.

Lui era alto, poco più di lei, con un fisico atletico e una zazzera di capelli corvini tutti sparati per aria ma che non lo rendevano brutto ne sgradevole. Poi Annabeth incontrò i suoi occhi verde mare e ci rimase incantata per qualche secondo sempre con quella strana sensazione che qualcosa in lui non quadrasse. Lui se ne stava in piedi con le braccia incrociate al petto indossando un completo nero composto da dei pantaloni a sigaretta neri, una camicia bianca e un gilet nero con una cravatta legata al colletto. Aveva le guance arrossate e il respiro un po' affannato, per una probabile corsa.

Poi Annabeth all'improvviso capì cos'era che non andava: il ragazzo, proprio sopra la zazzera di capelli neri, aveva due lunghe orecchie da coniglio. Le muoveva a scatti come se percepisse diversi suoni contemporaneamente.

Subito ci si fiondò sopra, convinta che non fossero vere. Era umanamente impossibile avere delle orecchie da coniglio. E immediatamente pensò che lui doveva essere amico dei fratelli Stoll, i due ragazzi che avevano il più grande arsenale di scherzi e travestimenti di tutta l'America. Chiappò una delle orecchie e la tirò, convinta che si sarebbe staccata. Ma quella rimase lì, mentre il ragazzo le gridava dietro.

- Smettila! Cosa stai facendo? - le gridò cercando di staccarla. La prese per la vita e la spinse appena indietro con un movimento deciso ma gentile.

Annabeth lasciò l'orecchio e lo guardò perplessa e arrabbiata. Non riusciva a concepire come potessero rimanere attaccate e questo la mandava fuori dai gangheri.

- Com'è possibile? - chiese più a se stessa che a lui battendo un piede a terra, distrattamente. - Come possono rimanere attaccate? - chiese pensando a tutte le possibili opzioni. Si chiese anche come fosse possibile che fossero così morbide e pelose.

Il coniglio mosse le orecchie doloranti con una smorfia infastidita. Le lisciò e guardò male la ragazza.

- Non sono finte! Queste sono mie! - disse con le sopracciglia corrugate. Borbottò qualcosa fra se e se.

Annabeth non voleva credergli, non ci riusciva. Ma lasciò perdere, non era la sua priorità scoprire come mai quelle orecchie si muovessero.

- Devo tornare a casa, non ho tempo da perdere a seguirti. Sai da che parte devo andare per casa mia? - gli chiese guardandosi attorno, distogliendo l'attenzione da lui.

E lui non rispose. Annabeth allora non si curò di guardarlo ne di prestargli attenzione.

Attorno a lei c'erano solo fili di erba alti quanto case e alberi di cui non vedevi nemmeno la fine. Si trovava in un posto di cui non conosceva niente. Un posto strano con funghi enormi, ragazzi coniglio e fiori giganteschi. Voleva tornare a casa. Voleva la sua sorellina e mai prima di così le era mancato il suo papà. Voleva assolutamente tornare alla sua vita. E per quanto bello fosse il ragazzo davanti a lei, e il posto in cui si trovava, voleva tornare a leggere nella propria stanza.

Ma forse era proprio questo che era successo. Si era sicuramente addormentata leggendo un libro seduta sotto un albero di casa sua e doveva star sognando. Ma quando si tirò un pizzicotto si accorse che non era così.

Fu solo lo strano spostamento della sua gonna a riportarla alla realtà – per quanto bizzarra era.

- Ti sei accorta che ti si vedono le mutande? - chiese il ragazzo-coniglio. Le stava controllando la gonna a due strati.

Annabeth combatté contro il proprio istinto per non tirargli un ceffone. Lui gli serviva per tornare a casa, così si limitò a scansare la sua mano.

- Si chiamano mutandoni. Ed evita di guardarmi sotto la gonna, pervertito. - gli disse con le sopracciglia corrucciate e le guance appena arrossate.

Lui sorrise divertito. - Mutandoni. - disse trattenendo a stento una risata.

Annabeth lo guardò, irritata. - Comunque sia, potresti indicarmi la via per casa? - chiese cercando di non arrabbiarsi. Ne aveva abbastanza di quella storia.

  - Casa? - la osservò dalla testa ai piedi. - Dai tuoi vestiti direi che sei una delle serve del Palazzo di Cuori. - ghignò divertito.

  - Sempre così strafottente? - chiese lei.

  - Sempre così acida? - chiese lui di rimando.

  - Ma non ti togli mai quel sorriso divertito dalla tua bella faccia? - chiese lei retoricamente mentre si sedeva su un ramo caduto.

Il ragazzo scoppiò a ridere. Annabeth lo fulminò con lo sguardo.

- Perché ridi? - chiese irritata.

Lui si fermò e le rifece quel sorriso che ormai Annabeth aveva attribuito al suo volto.

  - Hai detto che ho una bella faccia. - sentenziò lui con voce divertita.

  - Cosa? - Annabeth scattò in piedi. - Non è vero! - disse indignata.

  - Invece sì che lo hai detto. - disse lui incrociando le braccia al petto.

Annabeth lo imitò mettendo il broncio e girandosi di lato.

  - Non mi interessa cosa pensi te. Potrei sapere chi sei? - chiese poi cercando di non arrabbiarsi.

Il ragazzo sorrise divertito. - Vi trovate nel Paese delle Meraviglie. Bianconiglio al vostro servizio, maidmoselle. - disse con un inchino di scherno. Quando si rialzò le sorrise. - Con chi ho il piacere di parlare? - disse sarcasticamente.

Annabeth lo guardò. Le avevano sempre detto di non parlare con gli sconosciuti e da sola aveva imparato a non fidarsi della gente con nomi strani, ma volle comunque presentarsi, per cortesia. - Alice, piacere. - disse guardandolo negli occhi.

Ma naturalmente non sarebbe andata a dirgli il suo nome completo – che tra l'altro la imbarazzava da morire, per quanto male suonasse.

Bianconiglio rise per la sua aria di superiorità. Ostentò quel sorriso divertito sul suo volto.

- Bene, adesso vuoi dirmi come tornare a casa? - chiese lei.

Lui si mise a ridere. - Casa? Non puoi tornare a casa. Se vieni da lassù – disse indicando il cielo – allora non puoi tornare a casa.

Annabeth lo guardò sconvolta. Boccheggiò un attimo poi lo guardò adirata.

  - Non mi piacciono i tuoi scherzi! Se non vuoi accompagnarmi bastava dirlo. Troverò la strada di casa da sola! - disse incrociando le braccia al petto.

  - Provaci. Tanto non ci riuscirai. - disse lui, irritato.

Annabeth lo osservò, arrabbiata. - Bene! - gridò indignata.

  - Bene! - disse lui alzando le mani al cielo, esasperato.

Annabeth si voltò e la stessa cosa fece lui. Lei si voltò per tirargli un calcio negli stinchi prima di affrettarsi ad addentrarsi nel bosco.

Lui gridò arrabbiato.

 

‡‡‡‡‡

 

Annabeth nemmeno aveva saputo perché fosse entrata nel bosco, ne tanto meno perché avesse litigato con la sua unica possibilità di ritorno a casa.

Camminava da più di mezz'ora nel bosco, arrancando esausta fra i rami enormi spezzati e le foglie secche che minacciavano di caderle addosso schiacciandola.

Era stanca, affamata e assetata. Si sedette su un grande fungo. Allargò le gambe dimenticando la femminilità che sempre avevano cercato di inculcarle in testa e sospirò esausta.

Ci aveva messo poco a capire che era rimpicciolita e si chiese come la vedevano quelli di statura normale. Probabilmente non la vedevano nemmeno. Non potevano notare i suoi lunghi capelli biondi o il vestito azzurro con i merletti o le fastidiose ballerine nere.

In quel momento avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa essere a casa. Le mancava sua sorella, le mancavano i suoi genitori. Si chiedeva come stava Piper. Era riuscita a tornare a casa? Aveva ritrovato la strada? Si era preoccupata? Cosa stava facendo? Annabeth si fece mille domande e mille risposte e pensieri cattivi le invasero la mente.

Solo dopo due minuti ad aver provato a pensare a tutte le strade possibili si accorse che stava piangendo. Non singhiozzava ma qualche lacrima le scivolava lungo le guance e lei non se ne era nemmeno resa conto.

Se le asciugò in fretta. Non voleva che nessuno la vedesse e non voleva fare la debole. Ma nonostante ogni volta le asciugasse si ritrovava a piangere sempre di più, finché non si mise a singhiozzare.

Perdersi vicino a casa era un conto. Lì potevi chiedere a qualcuno, chiamare aiuto. Ma lì – ovunque fosse – non poteva chiedere a nessuno.

Si portò le ginocchia al petto e ci appoggiò sopra la fronte. Osservò le lacrime cadere piano sul vestito finché si addormentò in quella scomoda posizione.

 

‡‡‡‡‡

 

Per sentirsi su una nuvola bisognava effettivamente essere su una nuvola.

Annabeth era convinta di questo prima di risvegliarsi sul letto più comodo che avesse mai provato.

Attraverso le palpebre vedeva gli spettri delle luci che fluttuavano nella stanza. In lontananza sentiva una musica e il suono di qualcuno che camminava, indaffarato. Percepiva il profumo del tè che le solleticava le narici.

Annabeth aprì gli occhi lentamente. Si trovava in una deliziosa casa simile a quella per le bambole solo un po' più surrealistica. Le lampade fluttuavano in aria in ordine sparso illuminando tutta la casa, le mura erano di uno strano colore con sfumature verdi e sembravano vive.

  - Sbavi mentre dormi. - disse una voce fastidiosamente familiare.

  - Cosa? - chiese lei alzandosi improvvisamente, sconvolta.

La voce rise di nuovo, divertita. - Stavo scherzando, sta' tranquilla.

Annabeth si guardò attorno. Era la voce di Bianconiglio. Stava lì, in piedi, indaffarato con la teiera e sorrideva ancora divertito.

  - Dormito bene? - chiese lui retoricamente.

  - Cosa ci faccio qui? - chiese Annabeth.

Bianconiglio ridacchiò sarcasticamente. - Beh, ti trovavi nel bosco, addormentata in una strana posizione, con tutti i piedi scorticati e anche disidrata, non potevo lasciarti là. Ma se proprio insisti dovevo lasciarti là. - disse mentre prendeva la teiera a mani nude. Subito questa gli cadde di mano.

Annabeth non rispose. Non voleva morire in un posto che non conosceva, no. Poi si guardò i piedi. Per la stanchezza non si era nemmeno accorta che le facevano male i piedi. Ma ora erano curati e fasciati. E si vergognò di essersi fatta rimettere le calze, ormai rovinate, che le arrivavano fino a metà coscia.

Bianconiglio intanto non la degnava di uno sguardo. Camminava – o saltellava? si chiese Annabeth – in cerca di qualcosa per curarsi la scottatura.

Annabeth ridacchiò divertita e si alzò dal letto. Lo raggiunse e lo bloccò prima di farsi venire un torcicollo a furia di vederlo correre avanti e indietro.

- Stai un po' fermo. - gli disse bloccandolo per un braccio. Lo trascinò fino al lavandino e gli strinse il polso fra la mani. Aprì il rubinetto e prima che lui potesse anche solo dire Stregatto gli mise la mano sotto l'acqua fresca.

Annabeth lo sentì sospirare piacevolmente e le venne da sorridere.

Gli tenne il polso per un po' impedendogli di togliere la mano e lui sentì la pelle bruciare più della ferita, nel punto in cui le dita delicate di Annabeth lo toccavano.

  - Percy. - disse lui improvvisamente, portando lo sguardo su di lei.

  - Come? - chiese lei, perplessa.

  - Il mio vero nome. Mi chiamo Percy Jackson. - puntualizzò lui.

Annabeth si limitò ad annuire, non sapendo cosa dirgli.

  - Il mio è Annabeth Alice Chase, per la cronaca. - disse lei continuando ad osservare l'acqua che scorreva. Lui la guardò, intensamente.

  - Allora piacere, Annabeth Chase. - disse lui con un sorriso.

Annabeth alzò lo sguardo su di lui e si accorse che quello non era il solito sorriso strafottente e divertito che aveva di solito. Era più un sorriso gentile e amichevole, niente di forte o cattivo.

Gli sorrise a sua volta, chiuse l'acqua del rubinetto e gli asciugò la mano con uno straccio trovato sul ripiano.

- Allora, mi spieghi come posso tornare a casa? - chiese lei distrattamente. Gli asciugò la mano e poi lui si sedette su una sedia.

Annabeth prese lo straccio e finì di preparare il tè. Lo versò in due tazzine e lo portò sul tavolo di fronte a Percy assieme allo zucchero e a tutto il resto.

- Vuoi davvero tornare così tanto a casa? - chiese lui mentre si metteva due cucchiaini si zucchero nel tè.

  - Certo. C'è la mia famiglia, lì. - disse lei iniziando a bere il tè.

  - Ma non mi sembra che fossero così gentili con te. - disse lui distrattamente.

Annabeth si fermò con la tazzina a mezz'aria. Come faceva lui a sapere della sua vita? Come poteva parlarne con così tanta sicurezza?

  - Non sono affari tuoi quello che succede nella mia famiglia. - disse lei, gelida.

Percy rise amaramente. - I tuoi affari di famiglia non sono tanto segreti, se è questo che ti preoccupa. E comunque sono affari miei. La vostra casa si trova nel mio territorio e nel territorio della regina. La regina mi ha detto di amministrarlo e io eseguo gli ordini. - le disse senza nemmeno guardarla.

  - La vostra casa si trova nella mia proprietà. E smettila di eseguire gli ordini. Non voglio che ti intrometti più nei miei affari, capito? - chiese lei alzandosi di scatto.

Percy tenne lo sguardo fermo sulla sua mano.

  - E ora vorrei tornare a casa. - disse lei tornando a sedersi sul letto.

Percy rise sprezzatamente. - Che ragazzina capricciosa. - disse alzandosi dalla sedia. - Se tornare a casa è quello che davvero vuoi... - disse con nonchalance – allora basta solo che tu aspetti. - disse mentre scompariva nella stanza adiacente.

Annabeth lo seguì a ruota, confusa.

  - Come devo solo aspettare? - chiese lei mentre lo osservava prendere un paio di guanti bianchi da un tavolino in vetro al centro della stanza.

  - Devi solo aspettare. Ti siedi e aspetti. - le disse senza degnarla di uno sguardo.

Annabeth si bloccò a metà fra le due stanze e lo guardò mentre si infilava il gilet.

Lui prese la cravatta e se la fece passare attorno al collo. Si bloccò a guardarla e sospirò.

Rimasero lì, immobili, ad osservarsi. Percy smise di lavorare con la cravatta e Annabeth rimase a guardarla, non convinta che lui le dicesse la verità.

  - Vuoi davvero andartene? - le chiese di nuovo abbassando la voce.

Annabeth non lo guardò in faccia. Tornò sul letto sul quale si era svegliata e si sedette. Si spianò più volte delle pieghe inesistenti sul suo vestito senza mai alzare lo sguardo sul ragazzo. Quando lo fece lo trovò ancora immobile a guardarla. Annuì piano, ostentando un aria decisa quando in realtà nemmeno lei sapeva cosa voleva veramente. Ma doveva tornare a casa da sua sorella. Era lei che si occupava della sua sorellina.

Per un attimo Annabeth vide un'ombra di tristezza passare sul volto del ragazzo. Poi non pensò di esserselo immaginato quando il ragazzo tornò a sistemarsi la cravatta, inutilmente.

  - Dove diavolo è Mary quando serve? - chiese lui a nessuno in particolare.

Annabeth si alzò ridacchiando e si avvicinò a lui.

  - Lascia perdere, faccio io. - gli disse prendendogli i due lati della cravatta.

Mentre gli sistemava la cravatta le venne da ridacchiare. Non aveva conosciuto molti ragazzi della sua età, e con ancora meno ragazzi era uscita, ma ognuno di loro sapeva annodarsi la cravatta senza strangolarsi.

  - Perché ridi? - chiese lui, leggermente irritato.

Annabeth rise di nuovo.

  - Davvero non sai annodare la cravatta? - glie chiese divertita. Quando gli rivolse una piccola occhiata notò il leggero rossore sulle guance di lui.

  - Di solito ci pensa la mia cameriera. - borbottò lui mentre Annabeth gli stringeva la cravatta attorno al collo e ridacchiava.

Ad un certo punto, quando incontrò gli occhi di Percy, non era più tanto sicura di volersene andare. Gli occhi di Percy erano molto convincenti. Erano verdi come il mare e Annabeth aveva l'impressione che ci potesse nuotare senza mai affogare. La convincevano che poteva vivere lì. Che tanto a casa non sarebbe cambiato niente. I suoi genitori avrebbero continuato inutilmente a litigare, lei avrebbe dovuto prendersi cura di sua sorella, avrebbe sempre dovuto rispettare le aspettative di sua madre nel campo scolastico.

Percy si perse a sua volta negli occhi indagatori di Annabeth. Erano grigi come una tempesta calma. Lo scrutavano dal basso e lo accusavano della sua bellezza. Gli scavavano dentro come se percepissero il sentimento che lentamente e senza ragione stava crescendo dentro di lui.

I due nemmeno se ne accorsero e successe tutto così velocemente. Pian piano si ritrovarono a pochi millimetri l'uno dall'altro. I loro nasi si sfioravano e gli occhi si guardavano più intensamente. Percy avvolse la vita di Annabeth con un braccio e la strinse a se. Annabeth portò le proprie mani sulle spalle di lui. Subito dopo, senza che Annabeth nemmeno si accorgesse del movimento involontario che si ritrovarono a fare i suoi piedi. Fatto sta che appena le loro bocche di sfiorarono Annabeth sentì un brivido percorrerle tutta la schiena e bruciare nel punto in cui il braccio di Percy le toccava la vita. Le labbra di Percy si mossero sulle sue.

Annabeth aveva tutto il corpo che andava a fuoco mentre sentiva le labbra gelare. Aveva le guance rosse e calde per l'imbarazzo.

Quando si staccarono Annabeth fu sicura che sarebbe voluta sprofondare nella terra per l'imbarazzo. Aveva dato il suo primo bacio ad un ragazzo-coniglio che a malapena conosceva. Ma di questo non si pentiva. Non lo conosceva bene ma avrebbe imparato a conoscerlo e sentiva qualcosa crescerle nel petto, proprio che cercava di sfondargli la cassa toracica. Le pulsava la testa come se una frase le volesse uscire dalla testa direttamente dalla fronte.

Percy le sorrise rassicurante e poggiò la sua fronte su quella di lei, osservandola negli occhi. Annabeth sentì le lunghe orecchie del ragazzo solleticarle i capelli.

  - Annabeth... - sussurrò Percy. Il proprio nome detto da li solleticò il cuore di Annabeth che sorrise istintivamente.

Annabeth sorrise un po' perché lo faceva da una vita, un po' perché era contenta. Lui le prese una mano e gliela strinse attorno al proprio guanto. Annabeth se lo portò al petto e gli sorrise. Quello era un gesto per farle capire che lui c'era stavo veramente e che non era solo frutto delle giornate passate sopra ai libri.

Rimasero un minuto in silenzio a guardarsi negli occhi. Perché anche restare in silenzio era un momento prezioso per conoscersi.

  - Annabeth. - stavolta il tono di Percy era allarmato.

Annabeth lo guardò interrogativo. Poi se ne accorse pure lei: pian piano la sua pelle stava diventando invisibile; stava scomparendo.

Quando rivolse di nuovo lo sguardo verso di lui si accorse dell'espressione di tristezza dilaniante che gli dipingeva il volto. Seguì la curva delle sue sopracciglia e tutto il resto del volto. Gli sorrise.

  - Addio. - le sussurrò lui. Lei scosse la testa.

  - Questo è un “arrivederci”, Percy. - disse lei sorridendo appena. - Arrivederci. - disse mentre vedeva la sua mano diventare invisibile sopra al gilet del ragazzo.

L'ultima cosa che Annabeth vide furono le labbra di Percy. Si mossero sillabando la parola “arrivederci” assieme ad un altra parola che Annabeth non riconobbe.

Lo salutò con un ultimo sorriso. Poi tutto si fece più scuro e lei non percepì più la presenza di Percy che la circondava.

 

‡‡‡‡‡

 

A svegliarla non fu ne il piccolo raggio di sole che le solleticava gli occhi, ne la voce della sorellina che la chiamava. Bensì fu la strana sensazione che qualcosa di straordinario stesse per accadere.

  - Beth! Beth! - gridava la sorellina tirandole la manica del vestito.

Annabeth subito si svegliò. Si stropicciò gli occhi e guardò perplessa la sorella. Si trovava nella stessa posizione di quel pomeriggio. Seduta sotto una vecchia quercia secolare con le gambe distese sul prato e la schiena appoggiata all'albero leggeva un romanzo rosa consigliatole dalla cugina Thalia, un maschiaccio autoritario e con uno strano gusto gotico nel vestire ma uno strano e insensato odio per il genere maschile che non fosse il suo fidanzato Luke.

Piper la guardava seduta accanto a lei. Annabeth le accarezzò la testa e le sorrise.

  - Papà ti cerca. - disse lei prendendole il libro e iniziando a sfogliarlo mostrando un'espressione di disgusto ad ogni parola romantica o altro.

  - Mi cerca? Cosa vuole? - chiese Annabeth alzandosi da terra.

Si spolverò e guardò l'albero dietro di se. Era grande e alto. Ad Annabeth ricordavano tanto quelli in cui si era imbattuta nella sua piccola avventura nel Paese delle Meraviglie. E per poco non le venne da piangere al pensiero di Percy. Si disse che molto probabilmente era frutto della sua fervida immaginazione da teenager piena di ormoni.

Credeva questo finché accanto al libro posato per terra non notò un pezzo di stoffa bianco. Quando lo raccolse notò che era un guanto di seta bianchissima. La prova che Percy non era stato un sogno.

  - Papà. Papà! - le ricordò Piper.

Fu una strana sensazione che spinse Annabeth verso la porta che dava dentro casa. La fece correre schivando cameriere e vasi messi lì per sbaglio. Arrivò davanti alla porta dello studio del padre, si fermò, si sistemò meglio che poteva specchiandosi nello specchio del corridoio e bussò alla porta.

  - Avanti! - rispose una voce all'interno.

Annabeth prese un respiro nonostante non sapesse cosa la aspettasse ed abbassò la maniglia.

  - Come dicevo le imprese stanno calando ma noi insegnanti andiamo alla grande... Oh, Annabeth! Figlia mia! - disse l'uomo allargando le braccia per invitarla ad entrare.

Annabeth in un primo momento rimase interdetta. La scena che gli si presentava davanti era surreale. Probabilmente stava sognando.

Si diresse dal padre e lo salutò con un bacio sulla guancia.

  - Annabeth, cara. Lui è il figlio di un mio caro amico. Ha la tua stessa età. - disse indicando il ragazzo davanti a lui.

Annabeth si voltò imbarazzata.

  - Percy Jackson al vostro servizio, maidmoselle. - disse lui con un inchino. Il padre non lo poteva vedere ma Annabeth vide il ragazzo sorridere divertito per lo strano deja-vù creatosi.

  - Annabeth Alice Chase, signore. - disse lei con una riverenza. Questa volta anche lei aveva un sorriso divertito sul volto.

I due si guardarono per qualche secondo negli occhi, per poi essere interrotti dal padre di lei.

  - Su! Andate a farvi una passeggiata nel giardino. - disse spingendoli delicatamente verso la porta che dava sul giardino. - Annabeth, mostra al nostro ospite la serra. - disse lui facendole l'occhiolino.

Annabeth ridacchiò e uscì in giardino con Percy al suo fianco.

 

‡‡‡‡‡

 

  - Allora? Cosa ti ha portato qui? - gli aveva chiesto Annabeth appena furono lontani da orecchie indiscrete.

  - Perché? Non mi vuoi? - chiese lui facendo una finta faccia da cucciolo ferito.

Annabeth sorrise imbarazzata guardandosi le scarpe. Si addentrarono un po' per il sentiero del bosco.

  - Non hai nemmeno le orecchie. - fece notare lei.

  - Posso sempre farle ricomparire, se vuoi. - disse lui con un sorriso scaltro. Teneva le mani unite dietro la schiena.

Annabeth rise di gusto. - In effetti eri carino da coniglietto. - disse lei scherzosamente scompigliandogli i capelli.

Lui si risistemò i capelli con una faccia fintamente ferita. Poi le sorrise.

Si guardò attorno e constatò di essere soli. La prese velocemente per la vita e la strinse a se. Ad Annabeth scappò un gridolino di sorpresa, ma si strinse a lui e gli sorrise.

  - Te ne andrai presto? - chiese lei mentre accostava l'orecchio al suo petto. Sentì il suo cuore battere veloce, emozionato.

  - Solo se tu vuoi. E verrò a trovarti domani. - disse lui appoggiando il mento sulla sua testa.

  - E il giorno dopo domani. - continuò lei.

  - E quello dopo ancora. Tutti i giorni. - finì lui prendendole il mento fra due dita.

Le avvicinò il viso al proprio e sfiorò le sue labbra con le proprie.

 

 

Inutile dire che poi vissero per sempre felici e contenti.









Benvenuti nel mio manicomio:

Inanzitutto mi scuso per la lunghezza. E' davvero lungooooo, il capitolo.
Volevo rendere questa fanfiction una One Shot perché mi scocciava dividerla in più capitolo. Yeah, so Lazy!
I'm a lazy girl...!
Volevo dedicare questo capitolo a Kokorochuu che mi ha fatto ridere un sacco con i suoi messaggi. L'idea mi è venuta mentre sbavavamo  fantasticavamo su un possibile Percy-coniglio.
Non so voi ma io Percy lo vedo sempre come il Percy di Viria, quasi mai come il nostro adorato Logan Lerman.
E parlando di Logan, non pensate che nonostante il film faccia schifo ( perchè, ammettiamolo, nonostante i fantastici effetti speciali il film, come trama e fedeltà al libro, fa davvero cagare. u.u ) sia davvero bravo?

E vorrei tornare a ringraziare Kokorochuu ( correggimi se scrivo male il tuo nome ) per avermi permesso di fare l'ultimo OC disponibile nella sua fanfiction.

E mi dileguo dicendo solo una cosa: W LA LOGANDRA, LA PERCABETH E LA THALUKE. UUUUUUUUH!
Vi ammazzo di botte(?),
Kim_
 

  
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