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Autore: _mandragola_    17/06/2014    2 recensioni
Questa OS nasce dalla mia malinconia dopo aver riletto per sbaglio qualche capitolo della mia ultima storia su Star Wars, Shared Fate, perciò è strettamente collegata ad essa, essendo una specie di "epilogo" della suddetta.
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Quasi potevo contarti le rughe che apparivano sul tuo viso e mi divertivo a parlare a vuoto, facendoti notare i tuoi capelli bianchi e aspettando speranzosa una risposta, anche solo un insulto.
Non smisi mai, mai di amarti!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Obi-Wan Kenobi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni giorno andavo lì, invisibile, a guardarti.

Era una sorta di rito silenzioso, impossibile da trascurare.

Non potevo smettere di amarti.
 

Adempivo solo alla mia ultima promessa, quella promessa che ti feci prima di chiudere gli occhi, di entrare nel buio, prima ancora di vedere e sentire la Forza pervadere il mio corpo.
Beh, forse non era e non è tuttora esattamente il mio corpo, ma è ciò che mi permette di sfiorare le cose del mio mondo, quindi lo considero tale.

Il primo giorno è stato straziante: io non ero del tutto abituata alla mia nuova forma, era passata una sola notte. Deve sempre passare una sola notte prima di poter ritornare dove hai vissuto.

Non potei far altro che guardarti buttare via il mantello e gironzolare per la tua nuova casa. Ti sedesti sul letto e togliesti dalla cintura una spada laser, rigirandotela tra le mani. La mia vista era appannata, ma io conoscevo quella spada.

La mia spada.

Quanti ricordi, vaghi e confusi, che si affacciavano alla mia ancora debole mente. Avevo sognato? Stavo anche in quel momento solo sognando? Era tutto così strano in quel momento.

Provai a chiamare il tuo nome, ma sentii un sussurro appena percettibile uscire dalle mie labbra. Provai ancora, ancora e ancora. Ma nulla, tu non mi vedevi, io non potevo muovere un passo verso di te.

E non riuscivo a raccogliere più il fiato.

E non riuscivo più a modulare la mia voce nella gola per dire, per chiamare, per dimostrarti che ero lì, per attirare la tua attenzione, per farti vedere che sto bene e la mia promessa l'ho mantenuta.
Per dire e sentirmi dire il tuo nome ancora una volta, una maledetta volta. E ripetevo finché una mano sul braccio mi trascinava lontano da lì e finché non avevo la gola in fiamme, senza ottenere mai niente:

«Obi-Wan!»
 

Ti vidi, di notte, sdraiarti sul giaciglio e chiudere gli occhi. Avevo imparato che, per quanti sforzi facessi, i vivi non possono vedere i morti. A meno che non avessi seguito la lezione di mio padre a proposito di come racimolare la Forza che ci tiene prigionieri in quel mondo di anime, splendido eppur così... oppressivo.

Non potevo mostrarmi a te, ti avrei distrutto. Anche se era immensamente doloroso, preferivo rimanere in disparte a guardarti dormire in silenzio, seduta sul davanzale della tua unica finestra, finché non sentivo sul braccio la mano di Qui-Gon che mi allontanava da te.

Ti vidi di notte, sdraiarti sul giaciglio e chiudere gli occhi. Sì, ti vidi, ma non potei far altro che continuare a guardarti mentre scoppiavi in lacrime. Non ho mai visto un Jedi piangere, dubitavo perfino che potessero farlo prima che mio padre mi disse che, trent'anni fa, l'aveva fatto anche lui.
Sentii il mio nome sussurrato dalle tue labbra tremanti, una, due, dieci, cento volte, finché non ti addormentasti, stremato.

E non potei far altro che soffrire con te.

Gli anni passavano e io ero sempre lì, a vederti prendere il mantello e andare via, a vederti tornare con un sorriso o con una maschera di pietra posata sul viso: completamente senza espressione.
Ogni notte provavo a farti guardare le stelle, quelle stelle che vedevo io prima di scendere da te. Pulsavano di una luce pura, eterea. Te le descrivevo, cercavo di rendertele più luminose, ma non ero sicura tu le vedessi.

Quasi potevo contarti le rughe che apparivano sul tuo viso e mi divertivo a parlare a vuoto, facendoti notare i tuoi capelli bianchi e aspettando speranzosa una risposta, anche solo un insulto.

Non smisi mai, mai di amarti!

Ero sicura sorridessi perché avevi visto il bambino, il figlioletto di Anakin. Chissà se sapevi che Darth Vader era ancora vivo, che su Mustafar non avevi completato la tua missione, che ti eri tormentato per nulla.

Ogni tanto andavo a casa sua a veder crescere colui che consideravo alla stregua di un nipote. Si chiamava Luke ed era un bel bambino che aiutava lo zio e la zia nel loro lavoro. Come somigliava ad Anie!
Una volta credo mi abbia percepito con la sua potente Forza. Mi ha vista e mi ha sorriso. Io ricambiai.

E ancora passarono gli anni, persi il conto. Erano tanti, troppi. Il saltellare da una dimensione all'altra mi aveva sfiancata, ma era l'unica cosa che mi manteneva vigile e ancora in vita, in qualche modo.

Obi, Obi, Obi... eri così vecchio che quasi non ti riconoscevo più. Eri diventato un uomo più saggio, il tempo aspro che passasti su Tatooine a vegliare silenziosamente su Luke ti aveva rinvigorito e reso più calmo, riflessivo e fedele alla Forza.

Non passò tanto tempo prima che, finalmente, incontrassi il giovanotto.
Da quel momento in poi decisi di non entrare più nelle vostre vite, guardandovi da lontano.

Vidi la sorella di Luke, Leia. Bella e forte come la mia adorata Padmé.
Il capitano Solo e il suo compagno di avventure Chewbecca, amico anche di Yoda, secondo quanto mi raccontò poi il Gran Maestro.
E Darth Vader, nel nuovo corpo che gli garantiva la vita dopo le tremende ustioni che la rovente lava di Mustafar gli lasciò, come se fossero moniti e rimproveri indelebili per la vita che aveva scelto di condurre, al fianco del Cancelliere, del mio vecchio Lord, dello stesso Lord che ha mandato lo Zabrak ad uccidere mio padre e suo salvatore. Eppure gli volevo bene, al mio piccolo Anie. Immaginava mai di essere padre di due meravigliosi gemelli?

Continuai a volergli bene anche quando prese la sua rivincita su di te, uccidendoti.
Quando lo fece un brivido mi percorse la schiena. Ora eri con me, in quella dimensione. Ti avrei rivisto e ti avrei parlato, ma di te nessuna traccia.

Scoprii poi che avevi deciso di rimanere nell'altra dimensione, accanto al giovane Skywalker. Per guidarlo, continuare ad istruirlo. Mio padre mi consigliò di non interferire con il tuo operato e io gli diedi ascolto.

Quando Luke divenne Jedi, assistetti anche alla morte del piccolo Anie. Morto tra le braccia di suo figlio, del frutto del ventre della donna che aveva amato così tanto da cedere nel Lato Oscuro.

Luke l'aveva cremato, come Qui-Gon prima di lui, come me.

E fu solo dopo quella notte che, finalmente, ti sentii.

Eri quasi imbarazzato, ti ricordi? Tu, un vecchietto appena morto di fronte a me, una “ragazzina” di ancora trent'anni. Io ti sorrisi, avessi avuto delle lacrime le avrei piante. Quanti anni erano passati! Quanto tempo a vegliare su di te, a sperare che mi vedessi! 

Ti sfiorai la guancia e tu, come per magia, tornasti giovane. Avevo davanti a me il Maestro Kenobi ancora trentenne. Proprio come ti vidi prima di chiudere definitivamente gli occhi.

E mi baciasti, finalmente. Mi baciasti.

Non so quanto possa durare tutto ciò. Se le anime abbiano una fine anch'esse. Non ho più certezze, a parte una, l'unica che mi scalda il cuore:

Non smetterò mai di amarti.

Nemmeno qui, con i soli astri pulsanti a farci compagnia, con davanti l'eternità che non può più farci paura.

Nemmeno qui, tra le stelle.

   
 
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