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Autore: crimsontriforce    17/08/2008    1 recensioni
La biblioteca dell'isola di Myst attendeva ancora di essere riempita.
Per chi avesse saputo leggerli, Atrus e il Libro erano uno l'immagine dell'altro.
Genere: Generale, Introspettivo, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Atrus, Catherine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '2. In cerchio attorno a una voragine di stelle'
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Fangirlaggio di Everdunes, parte prima. Perché... perché sì. Mi piacciono i deserti, ok? XD In fondo, se un caposaldo del fandom fangirla Narayan da sette anni, e non è che se ne sappia tanto di più... io fangirlo Riven come chiunque e il suo cane, e Everdunes.
Scritta per il concorso “Il momento del piacere” indetto da Lisachan. Con un tema del genere (sotto, la frase precisa prompt della sfida), i miei neuroni hanno intonato tutti in coro “Myyyyyyyyyyst, Myyyyyyyyyst!” come dei LocoRoco (ehm) fin dal primo istante e così è stato. Né è venuta fuori una 'PWP', Myst-style.
...nel senso di Placid, Waaay Placid. *annuisce convinta*

Per qualunque cosa, chino il capo di fronte alla mia ignoranza. Tre lustri di canone gestito da gente di talento, ispirata e competente (e a buona ragione iperanalizzato da fan altrettanto talentuosi, ispirati e competenti) sono più di quanto un'umile niubbetta possa memorizzare – o anche solo comprendere – in sette mesi di pur ardente passione.

Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.












Ricoperta di fiori blu


Uno di quei momenti privi d’eventi che lì per lì sembrano soltanto un anello fra il piacere passato e il piacere futuro, ma più tardi si rivelano come il piacere stesso (Fitzgerald)




Atrus non era, per carattere o formazione, incline all'euforia.
Lasciò riposare la penna nel calamaio, dopo tanto uso: non sarebbe stato lo slancio a guidare le sue ultime mosse, ma la buona ragione che l'aveva condotto fin lì, a poche pagine dalla fine. Si lasciò cadere sulla sedia, prese in mano il libro e iniziò a sfogliarlo, traendo una soddisfazione piccola e un po' sciocca dal saperlo ricolmo della sua scrittura ordinata.

Everdunes, così avrebbe chiamato l'Era che descriveva e che l'immagine porta mostrava già con chiarezza: una distesa sconfinata battuta dai venti. Sabbia. Rocce. Oasi. Un vulcano. Non era l'opera di un mastro Scrittore, come era evidente dalla sua semplicità strutturale, ma la consapevolezza che non sarebbe mai arrivato a rivaleggiare con i suoi illustri antenati non guastava nel minimo la contentezza semplice che Atrus sentiva nel leggere e analizzare per l'ennesima volta le frasi che aveva scelto per tracciare la sua idea e nel trovarle armoniche, logiche e dunque stabili.
Non solo l'immagine, ma ogni pagina racchiudeva in sé il cuore – un cuore – dell'Era. “Non si chiamano Libri Descrittivi per nulla”, gli aveva detto una volta suo padre, ed era forse l'unico insegnamento di Gehn con cui si trovasse obiettivamente d'accordo. Lunghi periodi ariosi per le correnti, righe fitte fitte di frasi brevi e secche per il sottosuolo, tutto legato dalle ripetizioni costanti dei cicli, con variazioni minime di volta in volta.
Nel rileggere quello che conosceva già a memoria e pur tuttavia sembrava ogni volta costellarsi di inezie da correggere, piccole contraddizioni insidiose se lasciate a se stesse, Atrus si lasciava guidare dalla bellezza austera degli antichi termini D'ni e non era lontano dal sentire sulla pelle quei venti e quella sabbia. La voglia di trasformare quelle sensazioni in realtà si infiltrava allora anche nel più meticoloso rigore scientifico, ma qualcuno, le cui vedute gli erano ben più affini, gli aveva mostrato che nel Tutto c'è un tempo per l'opera e uno per la creazione. E il primo, semplicemente, non era ancora arrivato. C'era gioia nell'uno e nell'altro, e bellezza, e armonia, e non coglierlo sarebbe stato segno di miopia imperdonabile. Era poi sicuro che, se anche uno scherzo del destino (in cui, c'è da dire, non credeva – ma non credeva nemmeno nell'essere troppo certo della complessità che lo circondava, così lo metteva in conto come una variabile fastidiosa e remota) l'avesse allontanato dalla meta, o se l'avesse resa del tutto irraggiungibile, ugualmente avrebbe scritto. Ugualmente avrebbe continuato a comprendere e ammirare il Creato a quel modo, racchiudendolo in parole di una lingua morta allineate secondo criterio ed estro e fissate su carta.

Trovò infine il passo che cercava, tre lunghi e ornati paragrafi descrittivi sugli strati del mantello indispensabili per l'appendice sull'attività tellurica, l'ultima che lo separava dal completamento dell'opera. Segnò qualche frase su un taccuino a parte, a mo' di promemoria, asciugò la penna dall'inchiostro in eccesso e si mise al lavoro.

***


Alzò il naso dall'ultima revisione – ultima per davvero, come si era detto le tre o quattro volte precedenti – per trovarsi squadrato da vicino dallo sguardo acuto di Anna.
“Bentornato fra noi”, lo salutò amabilmente. “Cominciavamo a darti per disperso, io e quella santa donna che ti ha sposato.”
Fissò il vuoto, sperso. Riuscì a metterla a fuoco solo dopo qualche secondo.
“Anna? Non ho...?”
“Saltato il pranzo? Sono le sei del pomeriggio, Atrus. E lavorare sottoterra non è mai stata una buona scusa per mancare i pasti, o vi sareste estinti qualche millennio fa”, concluse divertita.
“Scusatemi.” Si stropicciò gli occhi da dietro le lenti e si mise dritto a sedere. “Cercherò di farmi perdonare.”
Anna gli si avvicinò e lo abbracciò piano, il suo bambino cresciuto troppo in fretta e troppo lontano da lei. Le difficoltà sembravano essersi tutte assestate alle loro spalle, lasciandole pregustare una vecchiaia serena in cui l'avrebbe visto diventare la bella persona che aveva sempre promesso di essere. Eppure, anche così, ogni momento insieme le sembrava prezioso, strappato con forza alle grinfie della Storia.
Lo sentì distendersi al suo tocco.

“Potresti cominciare”, disse, “col farmi infine leggere quest'opera magna che ti ha tenuto rinchiuso qui sotto come un lombrico.”
Atrus inarcò un sopracciglio. “Come...?”
“Dal sorriso soddisfatto che non riesci a scrollarti di dosso nemmeno chiedendo scusa. L'hai finito, vero?”
Annuì, cercando di rabbuiarsi – con scarso successo. “Si chiama Everdunes”, le disse porgendole il volume.
“È un bel nome.”

La osservò sedersi di fronte a sé con tutta la cura e la fragilità dei suoi anni e iniziare a leggere con una saggezza che li trascendeva.
Atrus si appoggiò a quella saggezza e si appoggiò anche alla scrivania in un modo goffo che ugualmente tradiva la sua ben più verde età. Pochi minuti dopo stava combattendo contro il sonno rubato ad altre sere, che l'importanza dell'opera aveva fino ad allora tenuto a freno.

Stava vivendo un sogno ad occhi aperti venuto da lontano. La sua strada era iniziata prima del Libro, prima ancora di aver posato un piede sulla terra dura di Myst e aver sentito le onde infrangersi sulle rocce mentre i gabbiani lanciavano i loro richiami nella foschia. Nel torpore in cui si trovava, gli sembrò che tutti i fili della sua vita convergessero lì, a partire certo dal giorno in cui Gehn fece violenza alla sua Inception, cancellando con crudeltà tutto ciò che quel mondo aveva di vivo e, agli occhi di Atrus, la creazione stessa. Forse prima ancora.
Tutte le azioni, si corresse, mentre ricacciava l'idea di destino nell'angolo spaventoso di ignoto da cui proveniva.

Il sogno, come ogni suo pari, si era presentato in molte fogge nel corso degli anni, spesso sfarzose per il suo metro semplice e modellate su conoscenze distorte del Korfah V'ja. Ricordava con vergogna la fantasia giovanile di una cerimonia sotto l'arco di Kerath, nel cuore stesso di D'ni, officiata poi da chissà chi in quella città fantasma. In ogni versione, comunque, i festeggiamenti lo vedevano parte attiva e sorretta dall'emozione, non pietosamente accasciato sul piano di lavoro.
Anna seduta nel suo studio, con la pelle sempre bruciata resa bronzea dalla luce calda e ferma della lampada. Il candore ormai immacolato dei suoi capelli raccolti e quello della veste, in cui fitti ricami argentei si inseguivano senza fine. Il tintinnare dei bracciali a ogni voltar di pagina. Tutto questo non aveva mai fatto parte del sogno. Lo superava.

“Ti'ana, cosa vedi?”, le chiese in D'ni con voce impastata. Si riferì a lei come 'narratrice di storie', un titolo pieno di rispetto e affetto che aveva ereditato – titolo, rispetto e affetto, a ben vedere, oltre al suo stesso nome – da suo nonno. La scelta di quel nome e quella lingua, però, aveva qualcosa di più: stava affidando la sua Era a uno sguardo esperto, che non sarebbe mai più potuto essere quello della Gilda dei Manutentori, ma restava un ponte fra il suo modo istintivo di concepire l'Arte e una tradizione di cui Anna era rimasta ultima e improbabile custode. Lo rasserenava.
“Vedo il tuo cuore”, rispose lei. Continuò a leggere, lasciandolo a meravigliarsi della sua cerimonia di nulla.

“Vedo la tua prima Era completa, la prima nata e forgiata unicamente dal tuo volere come uomo libero sotto un cielo aperto. E quello che vedo è un'Era inutile”, disse infine chiudendo il libro e materializzando un pennellino e dell'inchiostro da una tasca della gonna. Iniziò a tracciare un fregio su un angolo della copertina. “Non ci darà da mangiare, questo è certo. Né ci vorrei crescere un figlio o mi augurerei che tu ci crescessi i tuoi, quando ne avrete. Non è proprio un'Era che Gehn avrebbe approvato, non trovi?”, gli chiese, e Atrus, svegliato di colpo dall'inaspettata risposta, seppe di poter dare a quelle parole la valenza in cui aveva sperato.
“Vedo il tuo cuore e non è quello di un imperatore di mille mondi... vieppiù se continui a riscrivere lo stesso. Dico bene?”
Annuì. Se già Catherine sapeva leggerlo come un libro aperto, Anna l'aveva scritto. Everdunes era veramente casa, o meglio il ricordo, l'idea di casa, il deserto e la Fenditura, cercati e ritrovati all'altro estremo dello spazio-tempo.
“E posso dirti che sono onorata che sia questo il tuo primo pensiero di libero Scrittore? Commossa, perfino”, aggiunse allungando una mano per accarezzargli la guancia, mentre la sua voce si faceva più sottile. “Vedo un uomo buono cui è stato imposto un potere immenso prima che fosse pronto ad accettarlo, eppure non se ne è lasciato sopraffare. Vedo che hai descritto ogni duna con la cura che una duna richiede e ogni nuvola come una nuvola, amandole tutte e donando loro parole che solo un occhio inesperto riterrebbe inutili. Ti ricompenseranno in grazia e stabilità. Vedo promesse infinite e la forza di adempiervi. È bellissima.”
I commenti si fecero poi più tecnici e così l'attenzione di Atrus, allievo fin troppo promettente al cospetto di un'insegnante che aveva ancora poco da dire e tuttavia lo trasmetteva con passione.

“Quel quarto di sangue D'ni che ti scorre nelle vene potrebbe veramente essere tutto quello che rimane di loro, sai. Se così fosse si disperderà del tutto, con i tuoi figli e i figli dei tuoi figli.” Si fermò, posando il pennello e incrociando le mani. “Sei un buon finale, Atrus. Forse il migliore.”
“Non credo nei finali. Ma... grazie.”
“E ora va'”, lo congedò, “o ti premerò io stessa a forza la mano sul pannello. Ti si legge ancora in volto la gioia di aver finito di scriverla, completala col giusto frutto delle tue fatiche e non perdere altro tempo qui senza combinar niente.”

***


“Vedo fiori blu”, annunciò Catherine sulla porta, dopo aver poggiato a terra la cesta del bucato.
Anna la salutò con un cenno della testa.
“Arrivo tardi?”, chiese, notando il Libro chiuso sulla scrivania e l'anziana donna sola nella stanza.
“Di poco e per poco.”
“È andato da solo...?”
“Unicamente per portare il minimo di equipaggiamento necessario, ha detto, ma gli brillavano gli occhi”, disse Anna. “E penso sia giusto che il primo viaggio sia solo suo. Non trovi anche tu?”
“Sì, sì”, rispose frettolosa, la testa chiaramente occupata da altri pensieri. Si portò una mano alla fronte. “Solo, credevo... Ho avuto un sogno, prima. Parlava di una crepa nella roccia rossa e dello scrosciare dell'acqua sulla terra assetata. Pensavo quindi che vi foste collegati entrambi, o ancora nessuno, ma vedo che sei con lui solo nel pensiero. Posso?”, chiese, indicando il libro. Vide un deserto nel nome dell'Era, già tracciato in caratteri elaborati da una mano di artista, e non se ne sorprese: quei fiori effimeri non potevano crescere altrove.
Si concentrò e aprì il libro con sicurezza, scorrendo col dito un paragrafo sull'acidità del suolo nella regione sud-orientale che aveva incuriosito Anna durante la sua lettura.
“Eccoli”, sorrise indicando quelle righe.

Anna era una donna cui la vita aveva fatto dono di molte esperienze, tristi e liete, e si piccava di essere una discreta botanica, ma, in tutta onestà, non riusciva a cogliere il nesso fra il monossido di rame e i cespugli di eliotropio di cui la cognata sembrava così certa. Le indirizzò un'occhiata perplessa.
È che, vedi”, spiegò Catherine sedendosi frettolosamente alla scrivania, senza levare gli occhi dal libro, “il nostro comune affetto sa essere piuttosto sbadato, quando vuole.”
Con un semplice allungo sulla lettera D'ni “o”, che la trasformò in “oy”, il rame lasciò spazio all'argilla e a una Catherine evidentemente soddisfatta. Aprì però altre due pagine, con la stessa sicurezza e lo stesso fare acceso con cui si era accostata alla prima, e alternò lo sguardo fra l'una e l'altra con stupore crescente.

“È incredibile!”, esclamò. “Non li stava cercando! Guarda qui e qui... e la sintassi qui. Non l'ha fatto apposta!” Sollevò il tomo, soppesandolo. “Eppure c'erano... così radicati, in lui prima e nella scrittura poi, da essere pronti a fiorire con un solo tocco di penna.”
“Sarà un regalo gradito”, annuì Anna, complice. “E meritato.”

***


Atrus non era ancora uscito dalla gola riparata che aveva eletto a luogo di Collegamento, approfittando dell'ombra per regolare filtri e schermatura dei suoi occhiali protettivi. Con i sensi all'erta e pregustando il mondo che, infine, lo attendeva oltre le pareti rocciose, coglieva ovunque nel paesaggio echi di frasi, parole, stralci di idee. Non si sorprese di vedere una creatura della sabbia guizzare in lontananza fra le dune: non l'aveva scritta né pensata, ma era lì, testimone di un potere più grande. Si voltò invece di scatto nel sentire un profumo primaverile in quel luogo di calore perpetuo e tiranno e, sotto il suo sguardo attonito, migliaia di fiorellini sbocciarono dal nulla all'ombra del crepaccio, ricoprendo la fenditura di un sottile manto blu.

“Catherine”, sussurrò Atrus, dimenticando occhiali e apparecchiature e tutte le cose cui avrebbe potuto dedicare poi una vita intera. Camminò a lungo fra i fiori, semplicemente felice.

***


Poi vennero le esplorazioni, i rilevamenti, Pran e ancora la memoria del giorno dei fiori venuti da niente; Emmit, una foresta che nasceva dal mare, la barca scritta a cavallo di una roccia; scoperte fuori e dentro l'Arte e infiniti viaggi verso mondi sempre 'diversi da ogni precedente avventura'. Quella piccola conversazione, una fra tante in una vita di affetto, scivolò in fondo alla memoria, confondendosi con altri discorsi al limitare di un altro deserto, diventando silenziosamente parte di lui.

Solo anni dopo, stringendo al petto un libro bruciato, seppe che quell'Era non gli aveva mai dato gioia maggiore.










Nerdaggine & credits:

@ titolo: soggetto sottinteso “La conversazione”.

@ quarto di sangue D'ni: ...o tre quarti? *dramatic chipmunk* Keta, attendiamo ragguagli.

@ scetticismo verso i finali: ooooo che vi devo dire, avrà cambiato idea in seguito. Avrà diritto anche lui a una versione minore e placida di un po' di sbruffonaggine giovanile... XD

@ fiori: ...Sempre che sia eliotropio. Sono andata molto a spanne (e mi colpisse uno spoiler se posso controllare su internet), se qualcuno sapesse dirmi che fiori sono (e su che terreno crescono, così edito anche la faccenda dell'argilla, eventualmente) mi farebbe un grosso piacere.
Botanica statunitense a parte, spero sia un racconto piacevole a leggersi almeno metà di quanto è stato placid...piacevole scriverlo. L'ho amato tanto. :)





   
 
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