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Autore: Luxor95    20/06/2014    3 recensioni
Che dire? Questo dovrebbe essere un "breve" monologo in cui Riven racconta la sua esperienza, che termina nell'incontro con il Vuoto... E' una cosa banale, probabilmente, però avevo voglia di scriverlo e l'ho fatto, anche se probabilmente questo non dovrei scriverlo qui.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Riven
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non potevo più sopportare quel dolore, quella sensazione di essere terribilmente nel torto, e di essere stata così cieca tutto il tempo... Il senso di colpa era troppo grande, il cuore mi si stringeva tutte le volte che ci pensavo... Le notti le passavo insonne, pensando alla mia colpa, pensando agli innocenti, ed al sangue che ha macchiato le mie mani... Tutto quel sangue...
Perfino nel sonno non riuscivo a trovare riposo, ogni notte rivedevo le stesse scene strazianti, gli stessi orrori e le stesse torture. L'ultima cosa che vedevo era quella nube verde che falciava tutti indiscriminatamente, Singed che non faceva distinzione tra alleati e nemici. Ho avuto paura, sono stata una codarda ed una vigliacca, ma è stato con le lacrime agli occhi che sono scappata.
Non ricordo neanche dove, l'importante era correre, allontanarmi più possibile. Da Ionia, da Noxus, dai nemici e dagli amici. L'unica cosa che volevo era piangere, da sola.
Corsi e corsi per un tempo indefinibile, fino a che non capii di essere troppo stanca, troppo coinvolta per continuare.
Gli occhi mi bruciavano, per tutto il tempo non avevo fatto altro che piangere, ricordare quelle atrocità, riviverle, e piangere ancora.
Mi lasciai cadere in ginocchio, neanche mi accorsi del clangore della spada che toccava il suolo.
Mi era stata donata dal comandante del consiglio di Noxus, l'avevo sempre ritenuta un onore, un privilegio che fra tanti, solo a me era stato concesso. Adesso? Cosa valeva adesso quella spada? La lama macchiata del sangue di non so quanti innocenti... Troppi. Avevo sempre pensato ad un complimento, quando mi definivano una macchina da guerra... Ma adesso provavo solo vergogna ed odio, per questa me che adesso mi era così estranea. Come quella spada. Non era fatta per me, non mi apparteneva. Non più.
Le lacrime tornarono a scorrere più copiose, ed in un'impeto di emotività mi accanii sulla lama distruggendola.
Mi accorsi solo dopo del sangue che macchiava le mie mani. Il mio, questa volta. Pensai di essermelo meritato, e quando finii, mi accorsi di aver fatto a pezzi la mia spada. Ne fui quasi orgogliosa: avevo distrutto l'emblema di ciò per cui avevo sempre combattuto. L'emblema di ciò che adesso per me era il male più assoluto.

Quando rimisi in ordine le idee, mi accorsi della mia situazione. Cosa potevo fare adesso? Tornare a casa non era proprio la scelta giusta. Cosa avrebbero fatto ad un disertore? Ero quasi certa che la pena sarebbe stata capitale.
Ionia? Andare dal nemico, così da poter essere uccisa da loro?
Non cercavo la morte, anche se indubbiamente la meritavo. Ma cos'era che cercavo? Era la redenzione.
Abbandonai i pezzi della spada che avevo rotto, e tenni con me solo la parte dell'impugnatura, della quale rimaneva comunque una parte di lama. Il mio orgoglio ed il mio spirito erano distrutti, era giusto che anche la mia arma lo fosse.
Cominciai a viaggiare, in cerca di non so bene cosa. Volevo solo vedere con i miei occhi il resto del mondo, magari fare del bene se possibile, ma soprattutto dimenticare. Le mie origini, il mio passato... Volevo cancellare ogni ricordo di Noxus dalla mia mente. Tutto, ogni cosa. Parenti, amici, conoscenti... Sarei rimasta da sola, in questo viaggio. Sola contro il mondo, sola contro me stessa, quella me stessa che minacciava ogni notte di farmi sprofondare nelle lacrime e nel dolore ancora non riuscivo a lavare via.

Mi venne offerta una possibilità. Viaggiai in lungo ed in largo, vedendo ed imparando sempre più cose sulla regione di Valoran. Ciò che non ero pronta ad affrontare, era il deserto. Dove mi avrebbe portata? Sapevo che lì si celavano i resti di Shurima, ma per il resto non avevo idea di nient'altro. Cosa avrei trovato lì? Decisi che qualunque cosa fosse, l'avrei scoperto. Che si trattasse di una città, della morte, o di qualsiasi altra cosa.
Stavo per intraprendere quello che pensavo sarebbe stato il mio viaggio definitivo, l'ultimo.
Per giorni vagai nel deserto, razionando acqua e cibo per sopravvivere il più possibile. Indubbiamente meritavo la morte, ma da codarda quale ero, non avevo il coraggio di soffrire la fame, prima di abbracciarla. Nè la sete. Nè nient'altro. Ripensandoci, avrei combattuto con le unghie e con i denti. Ero attaccata alla mia miserabile vita anche più di quanto avrei dovuto. In un certo modo mi stavo quasi affezionando a quel dolore. Era tutto ciò che mi rimaneva, dopo tutto. No, non l'avrei dimenticato. E come avrei potuto? Era impossibile. Tanto dolore e tanta morte non sono cose che possono essere cancellate da un giorno all'altro. Non sono cose che possono essere cancellate e basta, in effetti.
Fu nel deserto che mi venne offerta quella possibilità. Tra le rovine di un'antica città. Dapprima pensai si trattasse di Shurima... Ma le insegne -o ciò che ne rimaneva- erano diverse... Le costruzioni, erano diverse... Viaggiando ovunque avevo imparato a riconoscere, più o meno, le costruzioni di paese piuttosto che di un altro. Anche se avevo letto solo dei libri su questo, seppi per certo che non appartenevano a Shurima.
Era ad Ichantia che ero arrivata. Le rovine di una città che si credeva esistesse solo nelle antiche leggende. Eppure io ci stavo camminando, tra le leggende.
Qualcosa attirò la mia attenzione come lo avrebbe fatto una catasta di cadaveri. Forse anche di più.
Cosa ci faceva un oceano nel mezzo del deserto?

Un oceano nero, l'acqua era scura e non si vedeva il fondo. Non si vedeva niente di niente, a dire il vero. Per quanto il mio attaccamento alla vita fosse esagerato, la mia curiosità lo era di più. Decisi di immergermi.
Quando lo feci scoprii di non aver bisogno di trattenere il fiato, non c'era niente di liquido intorno. Ero solo io, nel nulla più assoluto. Intorno a me, in ogni direzione, tutto nero. I miei sensi non mi dicevano più niente: non toccavo più il suolo, non vedevo né sentivo niente. Nulla di nulla. Il mondo era sparito. Rimasi in questa condizione per quello che poteva essere un un giorno, un secolo o un minuto, non ne ho idea.
Provai ad aprire gli occhi, e quello che mi trovai davanti fu... No, non lo descriverò. Descrivere il Vuoto è un'impresa che nessuno è mai riuscito a compiere. Di certo non sono io la persona più adatta a spiegarlo.
Dirò solo che vidi strane creature, cose che nulla di terreno poteva aver concepito. Erano le incarnazioni di tutto ciò che di sbagliato può esistere nel mondo, o anche fuori, perchè -era chiaro- non ero più a Valoran.
Fu nel Vuoto che l'offerta si mostrò palese.
Ebbi la possibilità di dimenticare. Ricominciare da zero. Diventare una creatura senza senno, un mostro come quelli che popolavano il vuoto. Niente dolore, niente pesi sulla coscienza, niente di niente.
Era questo quello che avevo cercato? No. Avevo cercato redenzione.
Non affidai il mio cuore al Vuoto, ma lasciai che esso entrasse dentro di me, che scandagliasse ogni angolo della mia anima, fino a conoscermi forse anche meglio di me.

Mi svegliai distesa sulla sabbia in mezzo al deserto, Ichantia non c'era più, e non c'era traccia di nulla se non di sabbia, per miglia, in ogni direzione. Era come se non  fosse mai esistita.
Che fosse stato solo un sogno strano e realistico?
No.
Non avevo fame.
Non avevo sete.
Non avevo paura.
Ricordavo tutto il senso di colpa che avevo provato in quella sanguinosa battaglia, l'unica a cui avevo preso parte.
Cos'era cambiato?
Era cambiato il modo che avevo di vedere le cose. Era come se avessi una coscienza accanto alla mia, che mi sussurrava cose. Era come se un balsamo fresco avesse lenito delle ferite rimaste aperte per tanto, troppo tempo.
Però non ero più sola.
C'era qualcosa nel mio cuore, che si muoveva, cercava una posizione più comoda, qualcosa che non mi avrebbe mai abbandonata.
Avevo lasciato che il Vuoto entrasse dentro di me.
L'avrei conservato per sempre.
   
 
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