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Autore: D a k o t a    20/06/2014    4 recensioni
"Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti. "
[Le passanti, De André]
Un ipotetico addio nella 5x11, fra Katherine e Elijah.
Attimi di una storia mai veramente vissuta.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Katherine Pierce
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Nick (forum ed eventualmente sito):  Sul forum DakotaDeveraux, sul sito Dakota Deveraux
Titolo: Quando il rimpianto diventa abitudine.
Fandom: The vampire diaries x The Originals
Genere: Angst, malinconico, romantico.
Rating: Verde
Pairing/personaggi:  Katerina Petrova x Elijah MIkaelson
Pacchetto scelto: Free 2
Elementi utilizzati: Ospedale, foto,romantico.
Avvertimenti/Note: Romantico
Nda (facoltative): Crossover


 
Quando il rimpianto diventa abitudine.
“Sto cercando una donna: si chiama Katerina Petrova.”
Elijah si chiedeva cosa stesse realmente facendo in quell’ ospedale, mentre diceva quelle parole. Doveva essere di ghiaccio, Elijah, non permettere a nessuno di entrare dentro quella corazza che gli anni, il tempo, il dolore- quello che portava il nome di suo fratello, quel fratello che sapeva di dover odiare, ma che non aveva mai smesso di amare- avevano reso impenetrabile. 
Se l’era promesso tanti anni prima quando aveva capito che amore non poteva far che rima con dolore, quando c’erano le manie di grandezza di Klaus  di mezzo.
 Ed era stato in quel momento che candidamente una ragazza aveva scosso la testa,  troppo innamorata della vita, dell’idea di amare per crederci, vittima innocente di una tela studiata nei dettagli.
Ed  era stato sciocco, Elijah, così sciocco da crederci, ma gli era piaciuto. Gli era piaciuto, per un istante, poter credere di poterci credere. Ed era per ringraziare per quell’istante, che si trovava lì quel giorno, mentre quella ragazza, Katerina, la sua Katerina, si accingeva ad esalare il suo ultimo respiro, in quella bolgia di ospedale, dove quei volti, in quel corridoio sembravano essere diversi, ma allo stesso tempo uguali.
Paura era ciò che li accomunava e che vi leggeva, Elijah. Paura di morire, di perdere quella cosa chiamata vita, che tanto era stata disprezzata, e di cui solo in quello spicciolo momento, rimembravano il valore.
Una paura, un’eventualità quella della morte che Katerina non aveva neanche mai messo in conto o che forse era stata costretta a mettere in conto troppo presto.
“Non risulta nessuna Katerina ricoverata qui, signore”
“Katherine Pierce”
Strinse le labbra, Elijah, perché  quelle parole così scontate gli uscirono come la più orribile delle bestemmie, quasi a ricordargli che lì, della ragazza dai riccioli color cioccolato, di quell’ingenua innocenza, che aveva conosciuto secoli prima, non era rimasto niente, o forse era rimasta una briciola.
Al suo posto vi avrebbe trovato la sanguinaria vampira, quella che senza pietà aveva ucciso l’ultimo membro della famiglia Gilbert.
Ma non è questo a cui pensava, in quel momento, Elijah. Perché, se di Katerina era  una briciola ad essere rimasta, lui sarebbe stato lì per quella briciola, proprio come con suo fratello. Non suo fratello Klaus, suo fratello Nik.
L’infermiera cercava di sondare lo sguardo dell’uomo, con la ridicola presunzione di poter capire ciò che davvero passava  nell’intensità di quegli occhi neri, che sembravano studiare, calcolare, minacciare, ma abili a nascondere la benché minima traccia di emozione.
E mentre attraversava il corridoio, guidato dall’infermiera, Elijah si chiese se anche lui sembrava come tutti gli altri: un umano spaventato dalla morte che di quel posto, era sovrana indiscussa.
Ma si rispose di no.
Non c’era morte per lui, lui sarebbe rimasto sospeso per sempre in un equilibrio precario, in un punto indefinito, fra buio e luce, fra morte e vita.
***
 
La stanza era in ombra ed in silenzio, e l’infermiera, prima di lasciarlo solo lo intimò di non stancarla troppo. Elijah si era limitato ad annuire, atono. Lui, viveva a contatto con la morte e doveva esserci abituato, eppure quando vi si trovava davanti, la sua risposta era un rispettoso silenzio. Il vampiro dagli occhi color inchiostro lanciò uno sguardo alla sagoma che si ergeva sul letto, sulle cui labbra stava nascendo un sorriso lento e malizioso.
“Sei venuto per portare un resoconto della mia morte a Klaus o per estorcermi delle scuse sul letto di morte, Elijah? In ogni caso, hai sprecato il tuo tempo.”
Eccola, Katherine.
Katherine che gridava rabbiosa, piena di rancore, e che si manteneva coerente persino quando ogni cellula di Katerina, compresi i suoi boccoli color cioccolato striati di grigio,   chiedeva pietà, chiedeva solo una carezza.  Elijah si avvicinò al letto, con il portamento fiero e quel contegno che lo caratterizzava, appena sfiorato dall’insolenza della vampira.
“Non abbiamo mai concluso le cose fra noi, Katerina.”
“Sì, invece. Klaus sopra di tutto, non ricordi, Elijah? E così facendo, hai condannato entrambi.”
Elijah cercò di di capire se era Katherine o Katerina a parlare, ma non seppe darsi risposta. Una microscopica  parte di lui voleva credere che era amarezza, che era  rimpianto quello che leggeva nelle corde della sua anima, nei suoi occhi come l’inchiostro, proprio come i suoi, lontani miglia e miglia da quella terra, da quel letto di ospedale.
Quegli occhi troppo persi in ricordi come il loro primo bacio o il loro primo appuntamento.
Ricordi di un futuro mai vissuto, entrambi troppo codardi per rischiare, entrambi con ormai un pugno di mosche in mano.
“Ne è valsa la pena, Elijah? Tutto questo soffrire, ne è valsa la pena?”
La ragazza aveva intercettato i suoi pensieri. La sua tristezza. La sua speranza quasi in frantumi, come la sua famiglia, di cui cercava disperatamente di mettere a posto i pezzi, e con cui non avrebbe mai spesso di tentare.
 Non rispose, e il suo silenzio, interrotto dal respiro sempre più affannato della ormai non più vampira,  era peggiore e più inquietante di qualsiasi risposta.
Non ci sarebbe stato un lieto fine per loro.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati, Katerina?”
Le toccò la guancia e la sentì chiudere gli occhi, rilassarsi. La cosa più naturale che avesse fatto da quando Elijah era entrato là dentro. E si perse Katherine a ricordare Katerina, a ricordare l’umana che l’Originale  aveva incontrato. Quella che amava giocare a nascondino e inventare nuove trame, quella che si era divertita a promettere un futuro alla sua bambina.
“Al compleanno di Klaus, Elijah.”
Era un sospiro stanco quella frase, era stancante ripetere il nome di chi quell’ipotetico futuro lo aveva falciato senza pietà.
Era atroce ricordare le sue urla, ricordare il sangue, che  quando tornata in Bulgaria, era tutto ciò che rimaneva della famiglia Petrova. Della sua famiglia.
“Eri bellissima, Katerina. Avrei dovuto dirtelo prima.”
Katerina inarcò un sopracciglio. Era un’ammissione di colpa, quella di Elijah. L’ammissione di chi, pur avendo cercato di fare tanto, sentiva di non aver fatto abbastanza. Lo guardò, mentre giocherellava con un suo boccolo.
“L’hai fatto adesso. Va bene così, Elijah.”
E sorrise Elijah, trattenendo una lacrima, e annuendo, rigido come non mai, mentre quei ricordi di attimi rubati, sembravano scagliarsi, contro quelli di attimi mai vissuti, e insieme ripercorrevano mentalmente il film delle loro vite e la diapositiva di ciò che avrebbe potuto essere.
“Ti amo, Katerina.”
Katherine sorrise, tra l’intimidito e il grato. Una parte di lei era felice che Elijah non la stesse lasciando ad affrontare la Morte da sola. Si domandò che aspetto avesse, mentre un’altra fitta le lacerava il petto. Forse assomigliava a una vecchia bassa e rugosa , forse a un uomo con la falce. Sorrise, perché cinquecento anni prima, per lei, la morte aveva le sembianze di Klaus ed era stato Elijah ad impedire tutto ciò.
“Mi piace quando mi chiami così.”
Era ora. La forza la stava lentamente abbandonando, e il suo battito cardiaco rallentava come una canzone che narrava una vita piena, sulle note finali. Elijah poteva sentirlo. Appoggiò la fronte contro di lui, mentre la paura lentamente sembrava abbandonarla. Il vampiro sentiva solo di volerla rassicurare, ma aveva paura del tremolio che tradiva la sua voce. Katherine, invece, non aveva più paura di nulla.
“Anch’io.”
Lo aveva gracchiato piano e le era rimasto sulle labbra mentre il suo corpo si afflosciava su di lui, come neve al sole, e i suoi occhi si spalancavano.
Lei non c’era più, ed era il monitor che segnava il cessare del suo battito cardiaco suonando, in un modo tetro e orribile. Elijah lo colpì con una violenza che non gli apparteneva, per poi avvicinarsi e chiudere dolcemente gli occhi della vampira, e baciarle, delicato come non mai, la fronte.
Poi si voltò e se ne andò. Doveva comprare dei fiori.
***
Al suo funerale, non c’era nessuno, oltre a lui e Nadia. Gli altri dovevano essere troppo impegnati a celebrare la morte della sanguinaria Katherine, senza pensare a Katerina, senza pensare a cosa sarebbero stati loro, se solo fossero stati soli, contro Klaus.
Rimase solo, quando Nadia se ne andò. Osservò la lapide, dove di comune accordo avevano fatto scrivere “Katerina Petrova”, e poi passò alla foto, che invece stonava.
Doveva essere recente, ritraeva una Katherine dal sorriso malizioso, il giubbotto in pelle e il tubino viola. L’uomo la tolse delicatamente, deponendola in una tasca, all’altezza del cuore, dove, in tutti i sensi, sarebbe rimasta.
Poi, estrasse un ritratto, datato 1492, e lo posizionò dove vi era stata, precedentemente,  la fotografia.
C’era una giovane, l’abito sontuoso, i boccoli lunghi, il sorriso gioviale. C’era ritratta Katerina, ed era così che Elijah voleva il mondo la ricordasse. Tornò indietro nel tempo, mentre una lacrima rigava il suo volto.
“Il vero amore non è reale” aveva detto “A meno che non sia corrisposto, non siete d’accordo?”
Si alzò in piedi, a collocare dei fiori di pesco sulla sua tomba. Un fiore atipico per un funerale, forse, ma con un significato più forte: L’amore immortale, l’amore sopra ogni cosa.
“Staremo insieme, un giorno, Katerina. Lo prometto.”
Un Originale manteneva sempre le sue promesse, ma nel frattempo a cullarlo- o forse a perseguitarlo- non sarebbe stata l’immagine del tempo che aveva passato con Katherine, ma quella del tempo che non vi aveva passato.

   
 
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