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Autore: _eco    20/06/2014    5 recensioni
[Belle centric] [Accenni Rumbelle ♥] [Location: Dark Castle]
Avrebbe dovuto saperlo, Belle, quando lesse che ognuno è artefice del proprio destino, che non era un lusso concesso a una donna né tanto meno a una principessa.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The best teacup is chipped'
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No one teaches you how to smile
No one decides my fate but me.
Belle, Skin deep, 1x12
- Vostra figlia è una fanciulla docile e mansueta, Vostra Maestà. Dovreste esserne orgoglioso. – squittì con voce melensa l' educatrice.
Belle si sforzò di sorridere come Sabina, la sua educatrice, le aveva insegnato: non mostrare i denti, non emettere suoni che potrebbero risultare sguaiati ed esagerati, ma sollevare appena gli angoli della bocca. Come se voleste fare un inchino con le labbra, così le aveva suggerito.
Tuttavia, le sarebbe parecchio piaciuto contraddire quella donna tanto attenta al galateo ma così poco accorta nell’uso delle parole. Le sarebbe piaciuto, in particolar modo, spiegarle che non era una bestiolina, non un cagnolino docile, mansueto e obbediente da addestrare.
Re Maurice, gonfio d’orgoglio, poggiò le pesanti e curate mani sulle gracili spalle della figlia, mentre sul suo viso si allargava un sorriso genuino e fiero, di quei sorrisi che Belle non si sarebbe più potuta permettere nel rischio di risultare inadeguata.
- Non faticherà affatto a procurarle un buon marito. – si congratulò Sabina, che aveva tutte le intenzioni di questo mondo tranne quella di complimentarsi davvero con la sua allieva.
Belle scosse lievemente il capo e guardò con rassegnazione la donna che suo padre aveva assoldato per trasformarla in una principessa come si deve.
La parola “marito” le provocò un gelido brivido lungo la schiena e un subbuglio irrefrenabile nel ventre. Qualche istante più tardi, a mente lucida, Belle identificò quella sensazione con una parola che spesso aveva letto nei suoi libri d’avventura. Terrore. Nient’altro che puro terrore.
Procurarle. Belle si ripeté in mente diverse volte anche questo verbo, così scordante, così inusuale se accostato a un termine, marito, che presupponeva la genuinità e la spontaneità di un rapporto coltivato e non di certo prefabbricato.
Avrebbe dovuto saperlo, Belle, che il suo soffice letto a baldacchino, i meravigliosi vestiti che la facevano sentire una Venere in miniatura, i fermagli d’oro e i gioielli di perle avrebbero richiesto un prezzo da scontare, in futuro.
Il prezzo di essere nulla più che una bambolina, una graziosa, mansueta e docile creatura alla mercé di chi vedeva in lei lo strumento ideale per rafforzare il regno.
Belle amava suo padre incondizionatamente, sin da quando era bambina e sua madre era volata via troppo presto per ascoltarla leggere ad alta voce. E, mentre quell’omone che tante volte l’aveva stretta fra le braccia sorrideva compiaciuto nel vedere la propria bambina ormai donna, ormai pronta, Belle non poté far a meno di sentire il suo cuore incrinarsi.
Avrebbe dovuto saperlo, Belle, quando lesse che ognuno è artefice del proprio destino, che non era un lusso concesso a una donna né tanto meno a una principessa.
Avrebbe dovuto saperlo, Belle, che per lei ci sarebbe sempre stato solo un modo per essere qualcun altro: leggere.
 
Gaston era un brav’uomo, un po’ più grande di lei, ma ciò non comportava un problema. Nelle numerose storie d’amore che Belle aveva avuto modo di leggere, molte donne erano parecchio più giovani dei loro innamorati.
Innamorati, già. Erano innamorati, lei e Gaston? Era amore, quando Gaston la guidava in un monotono valzer, circondandole la vita con le sue braccia muscolose? Era amore, quando, di ritorno dai suoi lunghi viaggi, le portava indietro gioielli, scarpette e vestiti di squisita fattura? Era amore – si chiedeva Belle – quando Gaston la scherniva e la invitava a chiudere una buona volta quei dannati libri? Ed era amore, ancora, quando Belle gli sorrideva in quel modo poco naturale e visibilmente forzato, che però, accidenti!, era così gradevole a vedersi, così principesco? Era amore, quando Belle si limitava ad annuire e a fingere di ascoltare tutte le meravigliose, inimmaginabili avventure del suo valoroso cavaliere e promesso sposo, pur sapendo in cuor suo che la metà di queste non era che una montagna di frottole?
 
 
L’indefinibile creatura dagli occhi d’inchiostro liquido aveva chiesto lei in cambio della vittoria contro gli Orchi. Non oro, non un maestoso palazzo in cui vivere nel lusso, non un esercito che lo proteggesse a vita, non la testa di un valoroso cavaliere.
Lei, Belle, avvolta in un vestito troppo ingombrante per la sua esile figura, adornata di gioielli e fermagli ricoperti di diamanti, soffocata da un corpetto che metteva in mostra le sue curve appena accennate, la sua virginea bellezza da poco sbocciata e che al contempo la impediva nei movimenti più spontanei. Anche solo respirare dentro quelle trappole di seta e tulle era un’impresa titanica.
Belle avvertiva su di lei la pesante pressione di Gaston, con il suo atteggiamento da cavaliere temerario, pronto a qualsiasi cosa per salvare la sua donna, la sua bella.
Ecco, era lì il vero problema.
Gaston parlava di lei come se fosse stata un giocattolino, prezioso, sì, ma pur sempre un giocattolino, un oggetto, qualcosa che fosse sua e basta. Un suo possedimento, come un appezzamento di terra o un mucchio di monete d’oro.
La mia donna, la mia sposa, la mia Belle. Sua. Sua perché se l’era conquistata battendosi in duello con molto altri pretendenti. Sua perché, in fin dei conti, sembrava molto più importante raccontare il come se la fosse guadagnata e non il perché l’amasse realmente, se l’amava, poi.
Mai che la chiamasse con il suo vero nome, senza alcuna apposizione che non mettesse in evidenza la sua prestabilita appartenenza a Gaston.
Gaston bloccò ogni suo possibile movimento, mozzandole il fiato in gola, ponendo una barriera di carne, ossa e muscoli nel momento in cui la costrinse a indietreggiare sbarrandole in faccia il braccio corazzato.
Belle quasi non riusciva a respirare, mentre una cascata d’ira le tingeva di rosso il viso da bambolina.
Non lasciare mai, mai che siano gli altri a decidere per te, bambina mia.
Quante volte aveva letto e riletto quella frase, quella incomprensibile dedica scritta in bella grafia sulla prima pagina bianca dell’ultimo libro che sua madre le aveva donato?
Mai come adesso ne comprendeva ogni sfumatura, ogni significato più nascosto.
Forse, forse non era per forza destinata a vivere nelle vesti che le avevano cucito addosso, sbagliando anche la misura, peraltro. Vesti che la dipingevano come la principessa inerme che non era, vesti che accentuavano la sua bassa statura e la sua apparente impotenza. Forse, forse non avrebbe dovuto limitarsi a leggere le vite altrui dimenticandosi di assaporare ogni sfaccettatura della sua.
E se assaporarla significava diventare la domestica di una creatura temibile, sacrificarsi per il bene comune, dimostrare per una buona volta che qualcosa valeva, allora lo avrebbe fatto.
Avrebbe rinunciato al tepore delle coperte che ogni mattina accompagnavano il suo risveglio, avrebbe rinunciato alle gustose pietanze che aveva il lusso di assaggiare, quando nel reame la povera gente moriva di fame, avrebbe rinunciato – e non senza la mera consolazione di essere, in un certo qual modo, libera – a sposare il valoroso Gaston.
 
Belle scostò il possente braccio di Gaston con una forza che sorprese lei ma soprattutto il principe accanto a lei. A disagio nel sentire il ticchettio aggraziato delle sue scarpette, mosse alcuni passi verso la creatura oscura.
Si sacrificò, Belle, perché era stanca, davvero, davvero stanca di essere una bestiolina da ammaestrare, una figlia da appioppare al miglior partito. Si sacrificò, Belle, perché le andava bene essere lo strumento necessario a ristabilire la pace, ma non il passivo oggetto indispensabile ad arricchire il suo reame attraverso un matrimonio che mai avrebbe desiderato.
Si ribellò, Belle, si riscattò per tutte quelle volte che le era stato impedito di farsi valere. Si sacrificò, Belle, non senza il timore di vivere nella stessa dimora di una bestia come quella, ma nella viva speranza che non si trattasse di una creatura poi così mostruosa, che fosse soltanto uno degli ostacoli da cui suo padre voleva preservarla. Perché era troppo debole, Belle, troppo delicata, troppo candida, troppo donna. Lo era sempre stata.
 
Rumpelstiltskin – questo era il nome dell’oscura creatura – era a suo modo di buona compagnia, pensò Belle, mentre tentava di schiodare letteralmente le tende dal cornicione della finestra.
Belle non era certa di comprendere a fondo tutte le sue sarcastiche quanto acide battute, tuttavia le provocava un moto di divertimento l’atteggiamento con cui Rumpelstiltskin le si rivolgeva, quella vocetta perfettamente architettata che avrebbe voluto intimorirla.
Rideva, Belle, emettendo un suono che nulla aveva a che vedere con il lieve squittio al quale era stata educata.
- Perdonatemi. – si scusò una volta. – Devo esservi sembrata una fanciulla sgraziata. –
Rumpelstiltskin la guardò con aria perplessa e interrogativa: non gli capitava spesso di non capire, ma in quel momento davvero non afferrava il senso di ciò che la domestica aveva detto.
- Per come ho riso, intendo. – si spiegò meglio Belle.
- Oh, dearie, ti sembro forse uno che si preoccupa di ridere con grazia? – le fece notare, sottolineando con un tono di beffa le ultime parole.
Belle scosse la testa, mentre nella sua mente si riproduceva il ghigno diabolico che aveva sentito già diverse volte da quando viveva lì.
Rise ancora. Rumpelstiltskin pensò che il cigolio del filatoio e il riso di Belle fossero la sinfonia più soave che avesse mai sentito. Lo pensò, ovviamente, giusto per mezzo secondo. Poi tornò a essere la bestia, come gli si addiceva. 

 
Sto invadendo il fandom, lo so. Credo che tra poco ordirete una congiura, ma non posso farci niente.
Questi personaggi sono troppo belli, troppo misteriosi, troppo trascurati per non scriverci su.
Spero almeno di aver dato giustizia a Belle, che mi sembra sempre privata di esprimersi al meglio. 
L'accenno Rumbelle doveva esserci. ♥ 
Insomma, fatemi sapere, bellezze.
A presto. ^^
S.
  
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