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Autore: Cheonefer86    20/06/2014    1 recensioni
La Maturità io l'ho fatta da un bel pezzo, ma visto che in questi giorni si è nel pieno di essa, invece di dormire ho scritto una storia che fa di una notte al mare il pretesto per riflettere sul passato e sul futuro, con la Maturità a farne da spartiacque.
"E mentre la musica andava avanti e la birra scendeva nelle gole, i ricordi diventavano storie narrate al fuoco, episodi che si trasformavano nelle leggende di un intero gruppo di ragazzi che avevano condiviso emozioni e sentimenti, giorno dopo giorno in una routine che avevano odiato e che avrebbero amato soltanto quando le prime rughe sarebbero comparse e i capelli avrebbero iniziato a farsi grigi. O forse, chissà, non appena varcata la soglia dell’università."
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Profumo di sale sul mare notturno

 

C’era la musica ad infrangersi insieme alle onde sulla spiaggia, era alta, potente, e vibrava sulla sabbia e nell’acqua, e nei corpi di tutti quei ragazzi che avevano deciso di buttarsi nel mare di notte per festeggiare la fine dell’odiata Maturità.

Il fuoco scoppiettava e sembrava muoversi seguendo il ritmo delle canzoni che erano sparate dalle casse, mentre tutto intorno, le risa e la felicità riempivano la notte sopra al mare.

Erano tutti lì, tutti insieme, come una grande famiglia nata cinque anni prima che aveva vissuto momenti belli e brutti, indimenticabili o da cancellare completamente, ma i loro sorrisi e le loro voci erano solo lo slancio verso il futuro, uno slancio che si lasciava tutto quello alle spalle.

Lasciava le mura del liceo così fredde d’inverno e un terribile forno quando la temperatura iniziava a salire, lasciava le aule con la loro polvere e le gomme attaccate sotto i banchi, e i professori odiati e amati che come docce gelide avevano preso dei bambini gettandoli nella realtà della vita adulta.

E mentre la musica andava avanti e la birra scendeva nelle gole, i ricordi diventavano storie narrate al fuoco, episodi che si trasformavano nelle leggende di un intero gruppo di ragazzi che avevano condiviso emozioni e sentimenti, giorno dopo giorno in una routine che avevano odiato e che avrebbero amato soltanto quando le prime rughe sarebbero comparse e i capelli avrebbero iniziato a farsi grigi. O forse, chissà, non appena varcata la soglia dell’università.

Lei camminava in disparte, permettendo all’acqua di sfiorarle i piedi nudi, da sola, come spesso le capitava di perdersi nei suoi pensieri; lei che da quel mondo non era spesso stata capita e si era trovata ad essere un enigma e, peggio ancora, un reietto da allontanare, una ragazza con qualche chilo di troppo e passioni non troppo normali per dei giovani della loro età.

Lei, però, era andata avanti per la sua strada, seguendo lo specchio di ciò che realmente desiderava, e vedendo quell’immagine che spesso non le piaceva, ma che la natura le aveva dato, e avanzava, con orgoglio e con un sorriso sulle labbra, un sorriso ed un aiuto per tutti, persino per chi aveva sempre riso di lei.

L’acqua continuava a rinfrescarle la pelle e il corpo e la sensazione che presto si sarebbe lasciata alle spalle tutto quello, la fece sorridere anche in quel momento, con l’acqua che si ritirava sotto i suoi piedi per poi tornare ad accarezzarli.

Sì allontanò sempre di più, con la musica che si perdeva e il suo vestito sottile che si muoveva leggero, come le onde, lei che aveva sempre avuto paura di mostrare il suo corpo, lei che mai si sarebbe fatta vedere da nessuno di loro.

Eppure la Maturità si era portata via anche quello, e adesso non le importava più nulla perché la sua vita si sarebbe staccata dalla loro, come un masso franato dalla parete di una montagna, sarebbe venuto giù e nessuna rete o protezione avrebbe potuto riattaccarlo. E a lei andava bene così.

Però…

C’era lui, e lui non voleva lasciarselo alle spalle, ma doveva.

Era dannatamente ingiusto che dovesse abbandonare l’unica cosa bella che la vita le aveva concesso fino a quel momento, l’unica isola che le aveva dato del cibo quando era naufragata nell’immensità della vita.

Continuava a camminare sulla sabbia bagnata dalle tenui onde colorate appena dalla luna, un passo dietro l’altro mentre il ricordo di quanto si sentiva bella davanti ai suoi occhi le tornò prepotente tra i pensieri e di quanto si era vergognata la prima volta che l’aveva vista nuda.

E l’aveva guardata con amore, con quell’amore che non avrebbe mai potuto darle e che, forse, non le aveva mai dato, schiavo di una condizione sociale e di una fede che non gli permetteva di donarle quei sentimenti.

E lei ci aveva creduto, ci aveva creduto veramente e si era lasciata trasportare dopo aver cercato di remare con tutte le sue forze contro la marea che la trascinava verso di lui, ci aveva provato e aveva fallito miseramente.

Quello, la Maturità, non se l’era portato via.

Si gettò a terra, sulla sabbia, cercando di ascoltare i rumori del mare, pregando quelle onde affinché si facessero alte e forti e le portassero via il ricordo del suo sorriso, e di quelle labbra che l’avevano trasformata in una donna e di quelle braccia che l’avevano stretta nei silenzi che nascevano tra di loro, quando non voleva parlare e tutto ciò di cui aveva bisogno, era il calore di un abbraccio.

«Hai deciso cosa farai?» ma le onde le avevano portato solamente la sua voce, troppo vicina e nitida per essere un’impalpabile eco.

«Ho deciso che me ne vado da qui.»

«Da me.»

«Non dovresti stare qui, potrebbero vederci, potrebbero pensare che abbiamo una relazione.»

«Ma noi abbiamo una relazione.»

«Avevamo» precisò mentre le sue preghiere rimanevano aria portata via dal vento che le avrebbe condotte su quella distesa di mare, lontano, e chissà, magari qualcuno al di là dell’orizzonte le avrebbe ascoltate e avrebbe sentito i patetici lamenti di una ragazza che aveva appena chiuso i libri che l’avevano accompagnata per tutto il liceo, chiusi ad un tempo che non sarebbe tornato più.

E con quella Maturità aveva detto addio ad un mondo che l’aveva accompagnata per cinque anni.

«Non mi ricordo di aver troncato.»

«Ma lo farai» e affondò le dita sulla sabbia, fresca della notte e si beò del suo profumo, del profumo del mare e della vita. «E se non lo farai tu, lo farò io.»

«Io non lo farò.»

«Non è giusto se non lo fai.»

Lei si alzò, guardando quella piccola porzione di luna che le illuminava il viso, quel volto che adesso vedeva più bello, quel corpo che era riuscita ad accettare e che aveva modificato soltanto per se stessa e non per stupidi canoni di bellezza o stupide chiacchiere tra oche acide la cui massima preoccupazione era il colore di smalto da mettersi alle unghie.

Si avvicinò all’acqua, ancora e ancora, sentendo il vestito che si alzava per lasciarsi cullare dal soffio del mare e lo vide giocare con essa, muoversi come mani che agitavano la superficie in modo casuale, e vide i colori farsi scuri.

E l’acqua sciabordava intorno alle sue gambe, alle sue dita, a quel vestito che continuava ad innalzarsi scoprendo ogni centimetro della sua pelle.

«Vorrei fare l’amore con te. Qui. Adesso.» Altro sciabordio di passi nel mare e un respiro che lento le scivolava addosso, «ma non posso» per poi svanire nel buio della notte insieme al suo corpo e alla sua voce.

Insieme ai suoi passi che lentamente si perdevano nel mare e nello sguardo della luna.

 

***

 

L'acqua era calma, fresca, e sembrava portarsi via ogni cosa, giù fino al fondale che la notte rendeva oscuro, e prese a nuotare, bracciata dopo bracciata, verso il luogo dove si trovavano i suoi compagni, i suoi amici, e quell'unica persona dalla quale voleva allontanarsi, ma che desiderava rivedere, ancora e ancora.

Ricordava pochi giorni prima, quando aveva sostenuto la prova orale della Maturità e lo aveva guardato con freddezza, come se mai l'avesse sfiorata o le fosse entrato dentro, come se il suo respiro sulle labbra non fosse stato solo che un vago sogno.

Un sogno che presto si sarebbe spezzato, svanito in ogni suo frammento tra le acque buie del mare di notte.

E mentre l’eco delle voci tornava nella sua testa insieme alle canzoni che tutti insieme cercavano di intonare, lei continuava a farsi cullare dall’acqua, ricordando con quanta difficoltà aveva scelto la traccia per la prova d’italiano mentre tra le parole scritte si perdeva in quegli occhi che si avvicinavano e si allontanavano; e rise all’urlo che avrebbe voluto espellere dalla sua gola quando i suoi, di occhi, si erano posati sugli esercizi di matematica da svolgere, lei che non aveva avuto mai alcun problema con quella materia.

E rise anche a quelle ultime domande cui aveva dovuto rispondere per poi chiudere tutto prima di lasciarsi andare solamente alla voce e agli ultimi ripassi frenetici per preparare al meglio la tesina che aveva presentato.

E ricordava ancora lo scetticismo di molti quando aveva mostrato quanto tutte quelle materie s’incastrassero perfettamente con la parola “cinema”, uno dei suoi grandi amori, quello che le prendeva il cuore e le strappava l’anima.

Anche se era niente al confronto di quell’uomo.

E i ricordi si persero a quelle serate rubate alla vita mentre in silenzio riuscivano a guardare appena un film prima di tornare alla normalità della loro esistenza, aspettando una scusa nei giorni successivi per discutere di ciò che avevano visto; una scusa per vedersi e basta, e guardarsi come due persone innamorate che desideravano l’uno il corpo dell’altra, il desiderio di un cuore che batteva nel petto sfiorato.

La Maturità si era portata via anche tutto quello e non rimanevano che le memorie felici e amare di ciò che non sarebbe più esistito, di oggetti troppo pericolosi da dover essere messi in quarantena per sempre.

E lei si sentiva esattamente come se una parte della sua anima le fosse stata strappata a morsi e gettata in un abisso che non avrebbe mai potuto raggiungere. Mai più.

Sapeva, però, che era in quel modo che doveva andare.

I libri, lo studio, i compagni, le cazzate, la Maturità, tutto lasciato a quelle spalle ancora immerse nell’acqua, scivolato su quella pelle che iniziava a raggrinzirsi e il freddo ad insinuarsi dentro.

La ragazza uscì dall’acqua mentre i suoi amici intonavano Vado al massimo di Vasco Rossi e rise ripensando alle battutine che le faceva il suo amico su quella canzone e su quante volte gliela canticchiava sperando di prendersi gioco di lei, ma ignorando quanto in realtà il suo gioco era nient’altro che la realtà.

Le era dispiaciuto e le dispiaceva mentirgli, ma d’altronde come poteva dirgli una cosa simile? Come poteva confessargli che la sua relazione era sbagliata su tutti i fronti.

«Sì, sei innamorata, si vede a chilometri di distanza. Quando me lo presenti?» le aveva detto un giorno, trascinandola all’improvviso nella piccola saletta ricavata da un’intercapedine di un’ala della scuola, in quella dannata sala in cui sbatteva la testa ogni volta che ci metteva piede.

E lei non aveva fatto che ripetergli «presto», ma quell’ora sapeva che non poteva mai giungere e si sentiva sporca, sbagliata, e meschina per mentirgli ancora e ancora.

«Bene, ragazzi, io vado, devo ancora finire di sistemare le valigie prima di partire.»

«Ma no, ma di già? È ancora presto!» urlarono alcuni dei suoi amici, ma doveva davvero andare, le rimanevano realmente poche ore per preparare i bagagli e sistemare le ultime cose, sarebbe voluta rimanere ancora, ma quel viaggio lo aspettava da tutta una vita.

«Ecco, che mi daresti uno strappo giacché mi avete costretto a venire qui e a lasciare la macchina al parcheggio della scuola?»

“No. No. No. No. No.”

«E su, prof, si è divertito no, gli esami sono finiti, può anche rimanere un altro po’!»

“Sì, rimani. Per favore, rimani.”

«Per voi la scuola potrà anche essere finita, ma gli scrutini non si fanno da soli, quindi, se volete scusarmi.»

A lei non importava di sapere quale voto avesse preso, non voleva aspettare, voleva soltanto sfiorare la sabbia egiziana e respirare il suo dolce profumo. Voleva vivere quel sogno che l’abbracciava da quando era piccola e s’immaginava una specie di Indiana Jones al femminile alla scoperta dei tesori nascosti di quella terra meravigliosa e misteriosa.

«Eddai!» protestarono ancora tutti gli studenti che amavano il loro insegnante come se fosse un padre, e, in effetti, era stato davvero un padre per loro, non solo un professore – non per lei – ed era uno dei pochi con il quale andavano molto d’accordo, tanto che lo avevano prelevato a forza e lo avevano trascinato al mare con loro.

«Sono troppo vecchio per queste cose» replicò l’uomo ridendo, mentre i ragazzi, poco educatamente, iniziarono a tirargli dell’acqua o dei residui di birra rimasti nelle bottiglie.

«Mi raccomando, non lasciate un porcile sulla spiaggia, vi ho addestrato meglio di così» e si alzò, ridacchiando, per allontanarsi dalla spiaggia e seguirla.

“Perché non sei rimasto, dannato stupido!”

«Saresti dovuto rimanere» gli disse non appena si furono allontanati abbastanza dagli altri che avevano ripreso a cantare, questa volta si erano gettati sulle canzoni di Lucio Battisti, le classiche canzoni da spiaggia, davanti al fuoco suonate da una chitarra, anche se la loro chitarra se n’era appena andata.

«Sì, sarei potuto rimanere, ma ho del lavoro da fare, gli esami non si sistemano per magia. E poi…»

L’uomo salì in macchina e si pulì i piedi dalla sabbia prima di infilarsi le scarpe e chiudere la portiera, sul suo viso aleggiava un sorriso che gli aveva visto fare soltanto quando aveva in mente qualcosa, qualcosa di stupido il più delle volte.

«E poi cosa?»

«Devo anche correre all’agenzia di viaggi a prenotarne uno.»

La ragazza non rispose, si limitò ad inserire la chiave e a mettere in moto, accese la radio e i Rammstein avevano iniziato a cantare “senza te conto le ore senza te, con te si fermano i secondi, non hanno valore” e fu come se qualcuno le avesse dato uno schiaffo in pieno volto: perché doveva mettere canzoni così balorde che potevano colpirla così a fondo?

«Non mi chiedi dove vado?»

«Dovrebbe interessarmi dove andate lei e sua moglie in vacanza?»

«Sì, dovrebbe» replicò l’uomo, sbuffando sconsolato, era sempre stata una ragazza testarda, troppo testarda a volte, e spesso era difficile anche solo dirle una sillaba quando si trincerava dietro silenzi e sguardi di fuoco.

E in quei momenti aveva soltanto voglia di sbatterla sul primo ripiano che avesse trovato e strapparle i vestiti che indossava e baciarla, baciarla senza farla respirare, almeno avrebbe avuto una buona ragione per rimanere in silenzio.

«E dove va di bello, professore?» ma il suo tono aveva più il sapore dell’ironia e dell’asprezza che di un sincero interesse.

«Potrei anche non dirtelo più.»

«Affari tuoi» il suo cambiare così repentinamente dal dargli del “tu” al “lei” e viceversa, era sintomo di un enorme turbamento, lo sapeva, ormai la conosceva perfettamente, così come sapeva che lo faceva a posta, per farlo arrabbiare e farlo sentire ancora più idiota.

«Bene, come vuoi, ma te lo dico lo stesso che andrò in Egitto.»

Lei rimase ancora in silenzio, ma strinse con rabbia il volante, le sue mani si fecero d’improvviso più bianche e sentì un brivido salirle lungo la schiena, avrebbe voluto fermarsi lì, in mezzo alla strada, incurante di chi sarebbe passato, e urlargli contro ogni dannata imprecazione che le veniva in mente.

«No» si limitò a dirgli, senza neppure guardarlo anche solo un momento, ma continuando a fissare la strada davanti a lei.

«No?» chiese stupito. «Non puoi mica impedirmi di entrare in un altro paese.»

«No, non posso e non ne ho nessuna intenzione.»

«Potremmo vederci.»

«No. Questo è il mio viaggio, il mio sogno, quello che aspetto da tutta la vita e non lo sprecherò facendo la tua l’amante.»

Stavolta fu l’uomo a rimanere in silenzio, colpito da quel rifiuto così netto che la ragazza gli aveva appena tirato addosso come dell’acqua bollente.

«Che cosa dovrei fare, secondo te?» le chiese mentre guardava fuori dal finestrino, con la fronte poggiata al vetro e le dita a giocare coi riflessi, come spesso faceva lei quand’era bambina.

«Non lo so» fu una risposta che gli lasciò comunque una vana speranza nel cuore, non gli aveva detto di andare a farsi fottere lontano da lei, o che non le importava nulla di ciò che avrebbe fatto, o, peggio, di sparire dalla sua vita.

No, gli aveva detto che non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, e nemmeno lei sapeva cosa fare, percepiva il suo essere dibattuta dai propri sentimenti e dalla ragione.

Lei era giovane, aveva tutta la vita davanti a sé, e lui cosa mai poteva darle?

Amore, passione, sesso. E ancora amore.

Amore nascosto, sbagliato. Impossibile.

All’improvviso svoltò verso una stradina sulla destra, nascosta da una miriade di alberi che ne rendeva la vista piuttosto difficoltosa, avanzò alcuni minuti e, altrettanto bruscamente si fermò, spegnando la macchina.

Si sentivano i rumori della natura che nelle notti d’estate si facevano dolce musica nell’aria, ma lei non riuscì a sentire nient’altro che il proprio cuore accelerare ad ogni minuto che passava, e spingersi contro il petto ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli dell’uomo che conosceva a memoria e quel buio non le avrebbe proibito di scorgere le sue sfumature blu.

«Baciami un’ultima volta. Stringimi un’ultima volta. Fai l’amore con me un’ultima volta» soffiò fuori tutto d’un fiato, con rabbia e frustrazione, con le lacrime che fece fatica a ricacciare indietro. E con dolore, con il dolore profondo della perdita.

La Maturità, però, non si sarebbe portata via il sapore amaro di quell’amore.

 

 

 

 

   
 
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