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Autore: Nephilim13    21/06/2014    1 recensioni
Sofia è scappata per proteggere coloro che più ama, i suoi amici, da se stessa.
Nida le ha rivelato un terribile segreto sul suo conto, e la ragazza lascia la sua casa e i suoi amici per difenderli dal Male più assoluto. Per difenderli da se stessa e la sua maledizione.
Per difenderli da ciò che ha scelto di essere per proteggere lui, per proteggere l'amore della sua vita.
L'amore genera sacrificio.
Il sacrificio, dolore.
Il dolore, vendetta.
"Sofia si avvicinò alla flebo che una volta era attaccata al suo polso, staccò l'ago e tornò dalla sua preda. Si inginocchiò accanto a lui e fece scorrere con forza l'ago sul suo collo, facendo sgorgare sangue a fiotti. Con un sorriso di vittoria, la sua bocca raggiunse il punto dove il sangue zampillava."
Genere: Azione, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fabio, Georg Schlafen, Nidafjoll, Sofia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Tutto divenne confuso in pochi instanti.
Sentì un paio di mani che gli agguantavano le braccia e lo trascinavano, contro la sua volontà, verso la porta. Sofia si contorceva, aveva il fiato corto per le urla che stava emettendo.
«Mi dispiace, signore, ma deve uscire.» diceva qualcuno alle sue spalle, tirandolo. 
«No, cosa sta succedendo?» gridò Schlafen, fissando i piedi al suolo come un bambino. 
«Deve uscire.»
Provò a liberarsi dalla presa ferrea di colui che lo stava cacciando dalla stanza, ma si ritrovò fuori in pochi attimi a osservare, atterrito, la porta che gli veniva sbattuta fortemente in faccia.
«Prof, ma che sta succedendo?»
Schlafen ruotò lentamente su se stesso, ritrovandosi faccia a faccia con Lidja e Fabio, che lo fissavano con un aria da cani bastonati. 
Prima che potesse rispondere, Fabio si avvicinò alla porta e cominciò a tempestarla di pugni e a gridare di voler entrare, di avere il diritto di farlo. 
«Sto per sfondare la porta.» comunicò a un certo punto con tono perentorio, ma Lidja gli si parò davanti e lo spinse verso il muro dietro di lui. 
«Ma sei pazzo o cosa? Credi che potresti essere d'aiuto?»
«Non la senti come grida?! Non posso certo starmene qui a braccia conserte a sentire le sue urla!»
Schlafen si avvicinò ai due, posando una mano su una spalla di ognuno. 
«Possiamo solo aspettare, ragazzi. Non possiamo fare nient'altro che aspettare.»
Fabio contrasse la mascella, chinò la testa e strinse le mani a pugno. Superò Lidja e il professore e si parò davanti alla porta della stanza di Sofia, poggiandovi sopra il capo. Portò i pugni all'altezza del viso e poggiò anche quelli alla porta, come se ogni parte del suo corpo avesse bisogno di un sostegno solido per non disintegrarsi.

Erano sfocate le facce degli infermieri e dei medici che si affaccendavano intorno a lei; sentiva le sue stesse urla rimbombarle nel cervello in un'eco infinita.
Sapeva cos'era la causa di tutto ciò, e non doveva perdere il controllo, non poteva permetterselo.
Ma, secondo la maledizione, non spettava a lei decidere.
Sofia avvertì l'improvvisa perdita del controllo dei suoi arti, come se lei fosse improvvisamente diventata una semplice spettatrice di se stessa. 
Sentì il suo corpo che si metteva seduto, in completa autonomia, e i suoi occhi che registravano le facce sbalordite di tutti i presenti. Il dolore c'era, acuto e forte, proprio nello stomaco, tuttavia lei lo ignorò, pensando a ciò che stava per fare per farlo smettere. 
Con una velocità che non le apparteneva, raggiunse le spalle di uno degli infermieri e, con una ferma mossa dei polsi, gli spezzò il collo. L'uomo stramazzò al suolo, senza vita. 
Prima che tutti gli altri presenti potessero mettersi a gridare o a scappare o a fare Dio solo sa cosa, la mente di Sofia sprigionò un potere che la ragazza non immaginava nemmeno di possedere. 
Rimasero lì, tutti, immobili come statue, a fissare il vuoto. Sofia sapeva, senza sapere in che modo, che quegli uomini e quelle donne avevano dimenticato ciò a cui avevano appena assistito, e che avrebbero fatto lo stesso con ciò che stavano per vedere in quel momento.
Sofia si avvicinò alla flebo che una volta era attaccata al suo polso, staccò l'ago e tornò dalla sua preda. Si inginocchiò accanto a lui e fece scorrere con forza l'ago sul suo collo, facendo sgorgare sangue a fiotti. Con un sorriso di vittoria, la sua bocca raggiunse il punto dove il sangue zampillava.
Non appena le sue papille gustative registrarono il sapore del sangue, il dolore nello stomaco scomparve, sostituito da un piacevole senso di beatitudine.
Continuò a succhiare sangue finchè Sofia non riprese il controllo della propria mente e del proprio corpo. Si guardò intorno, il retrogusto del sangue ancora in bocca, una voglia matta e disperata di piangere. Lo aveva fatto di nuovo. Guardò l'uomo steso per terra: dei rivoli di sangue gli scendevano lungo la clavicola, gli occhi erano vitrei e vuoti. 
Oh mio Dio. L'ho ucciso io.
Si portò la mano alla bocca per non urlare, inorridita di se stessa. 
Senza pensarci due volte, zigzagando tra le decine di statue umane nella stanza, raggiuse la finestra e la spalancò. Evocò le sue ali, sentendo il potere di Thuban scorrerle nelle vene. 
Che cosa ho fatto, Thuban? Chiese con la mente al suo drago, le lacrime che le offuscavano la vista.
Hai avuto un grande coraggio, Sofia. Hai scelto di sacrificare te stessa al posto dell'uomo che ami, e questo ti rende onore.
Ma non mi fa onore un altro uomo ucciso, altro sangue innocente aggiunto nel mio stomaco.
Lo so. Troveremo una via d'uscita, vedrai.
Sofia non gli rispose; non credeva alle parole di Thuban, perchè un modo non c'era. 
Aveva avuto una scelta, e aveva preso la sua decisione al posto di colui che amava: ora le toccava subirne le relative conseguenze.
Sofia rammentò a se stessa che non poteva scappare da Schlafen e Fabio e Lidja: doveva restare. Richiuse le ali. Sollevò il corpo senza vita dell'uomo che aveva ucciso e, dopo essersi ripulita del suo sangue vicino al suo camice, lo gettò dalla finestra insieme all'ago.
Controllò bene di non essersi macchiata di scarlatto da qualche parte, quindi si rimise a letto, raggomitolandosi sotto il leggero lenzuolo di cotone. In quel momento, tutte le persone immobili in quella sala si riscossero dal loro torpore, guardandosi intorno con un'aria stralunata.
Sofia sentì dei bisbigli sommessi. «Sta bene, si è calmata. Andiamocene.»
Non appena furono usciti, Sofia si lasciò andare allo sconforto e alle lacrime.
Una cosa la rincuorava leggermente, però: almeno al suo posto non c'era Fabio.
   
 
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