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Autore: A r y a    23/06/2014    4 recensioni
"Non so come sia possibile, come fra due persone possa nascere qualcosa soltanto con uno sguardo, ma ora penso di avere capito perché la gente lo chiama “colpo di fulmine”. Perché quello che succede somiglia ad un lampo, una scintilla che passa attraverso due persone e che, per una sola frazione di secondo, le lascia inermi e senza fiato.
E forse, allora, l’amore a prima vista esiste."
...
Avvertimenti aggiuntivi: la storia presenta riferimenti a "Game of Thrones" (ed è basata su quelli) e a "Harry Potter".
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Stuck in Love.
 


"We keep this love in a photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Our hearts were never broken
And time's forever frozen, still"

 
Fa caldo, terribilmente caldo. L’estate è arrivata del tutto e a casa i condizionatori lavorano senza sosta per evitare che io e il mio computer ci fondiamo per il caldo.
Devo portare fuori il cane. Tre volte al giorno, ha detto mia madre. Questa sarebbe la seconda.
Sono le due e un quarto e dopo due puntate di "Game of Thrones" mi sono decisa ad alzarmi dalla sedia della scrivania e uscire di casa. Non ne ho assolutamente voglia, preferirei stare qua a vegetare fino a che gli occhi non mi brucino dalla vicinanza al computer, ma devo uscire o dovrò fare i conti con la pipì di cane sul tappeto.
Vado in camera e indosso un paio di shorts e la mia maglietta della Marvel. Infilo le Vans ai piedi gridando un saluto a nonna, metto il guinzaglio al cane ed esco.
L’afa mi investe appena metto un piede fuori dal portone. Amo l’estate in città, ma vorrei che una brezza fresca rinfrescasse l’aria. È per questo che passo quasi tutti i tre mesi di vacanza al mare, lì fa meno caldo.
Faccio solo il giro dell’isolato, lo streaming mi aspetta e il cane si è già “depurato”, i tappeti sono fuori pericolo. Mi avvio a passo spedito verso casa e, come sempre, passo davanti al kebab sotto casa. Il mio sguardo, di solito rivolto alle interessanti gomme da masticare attaccate al marciapiede, incontra quello di un cliente del fast food turco. È un attimo, una frazione di secondo. Il ragazzo a cui quello sguardo appartiene mi sorride. Cazzo, che sorriso. Bianco come la neve oltre la Barriera. Be’, quando non è sporca di sangue, s’intende.
Somiglia a Jon Snow.
No, sembra Robb Stark.
Entrambi, entrambi forse è l’espressione adatta. Riccioli scuri, occhi azzurro chiarissimo e sorriso disarmante. Si sta per sedere ad un tavolo. Probabilmente ha appena ordinato.
Continuo a camminare e non ricambio il sorriso. Perché diavolo non l’ho fatto?
Sono ormai a casa. Dopo essere salita, slaccio il guinzaglio del cane, mi rimetto il pigiama e torno allo streaming, ma quel sorriso rimane impresso nella mia mente per tutto il giorno.

-
 
Ho deciso che porterò fuori il cane alla stessa ora, i giorni a seguire. Chissà, forse rivedrò Jobb (Jon/Robb, il ragazzo del kebab, è più facile chiamarlo Jobb).
Ora che ci ripenso, probabilmente non ha sorriso a me. Non sono un esempio aitante della bellezza femminile. Alta, sì, ma comune, forse meno bella della media. Mora, capelli marroni con qualche riflesso ramato - sbiadito dopo un mese di hennè-, e occhiali dalla montatura spessa.
Lui è lui e io sono io, diciamoci la verità. È quasi sicuro che stesse sorridendo ad una dietro di me.
Seguo quello che mi ero prefissata, esco alla stessa ora i due giorni a seguire, ma di Jobb non c’è traccia.
Tutte le volte che il mio sguardo scruta l’interno del kebab e non vede quei riccioli mori, provo una cosa strana. Come se qualcosa nel mio petto si spezzi. Ah, già, il cuore. Forse anche io ne ho uno, dopotutto. Colpo di fulmine, lo chiamano. Stronzate, dico io.

-
 
 
Il terzo giorno è tornato. Questa volta è seduto ad un altro tavolo e sta addentando il suo rotolo kebab, una lattina di Cola affianco al piatto e l’iPhone a destra della bevanda. Questa volta rallento, non affretto il passo verso casa. I riccioli gli ricadono sulla fronte spettinati e per poco non finiscono nel kebab. Un sorriso increspa le mie labbra quando lo vedo staccarsi dal rotolo e spostare spazientito i capelli dalla fronte. Poi alza gli occhi e questi incontrano per la seconda volta i miei. Sembra stupito, inarca le sopracciglia confuso.
Osservandolo meglio, somiglia più a Jon Snow.
Vedo che il suo petto è scosso leggermente da una piccola risata, mentre abbassa lo sguardo. Arrossisco immediatamente, accorgendomi di essermi fermata a fissarlo. Ma dopotutto, bloccandomi come un’idiota in mezzo al marciapiede, sono riuscita ad intuire la sua età, diciotto anni circa. La prima volta che l’ho visto mi era sembrato che ne avesse di più, non so perché.
Alzo di nuovo lo sguardo e vedo che anche lui è rivolto verso di me e mi sorride. Di nuovo.
Forse sono stata troppo frettolosa, la neve oltre la Barriera è più bianca.
Ma chi sto prendendo in giro, non è vero. O almeno, quella neve non è così luminosa.
Questa volta devo ricambiare, mi convinco. Alzò leggermente gli angoli delle labbra e gli rivolgo un sorriso imbarazzato. Probabilmente sono ancora rossa quanto la salsa piccante che sta afferrando Jobb. Abbasso lo sguardo prima di poter implodere e torno a casa. Quando suono il campanello, mi volto verso il cane, che mi guarda inclinando la testa da un lato.
Ci si mette anche lei, adesso?
 
-
 
Non so perché, ma quarantotto ore dopo Jobb ha alzato la mano e mi ha rivolto un cenno di saluto. È tornato ogni giorno alla stessa ora, dopo il nostro secondo scambio di sguardi.
E quella che era ormai la quarta volta in cui vedevo quegli occhi del colore del ghiaccio, lui mi ha salutata.
Probabilmente starà pensando che io sia una specie di stalker, ma riflettendoci anche io potrei credere lo stesso di lui. So solo che non mi interessa, l’unica cosa che mi importa è riuscire a rivederlo. Tutte le volte che mi saluta il mio stomaco si diverte a fare le capriole. Penso seriamente che prima o poi vomiterò lì, se continuo così.
 
-
 
Anche oggi, decimo giorno dopo il primo scambio di sguardi con Jobb, il cane ha bisogno della sua terza uscita. È più tardi del solito, sono le dieci. In genere la porto verso le sette, ma oggi la maratona di "Game of Thrones" è durata più di quanto avessi programmato.
Esco di casa con un paio di shorts, una maglietta di Spider-Man e le Vans, senza nemmeno mettermi le calze. È martedì sera, non penso ci sia molta gente in giro.
Effettivamente ho ragione, la strada è quasi deserta. Probabilmente non c’è nessuno perché ha smesso da poco di piovere. O forse perché le discoteche non hanno ancora aperto; non lo so, non me ne intendo.
Il marciapiede è ancora umido, andrà a finire che il cane lascerà zampettate sui tappeti. Quei fottuti tappeti creano troppi problemi.
Decido di prolungare il solito giro: la città è stranamente tranquilla, in pace con se stessa. La pioggia ha lavato via un po’ dello smog che intacca l’aria e ha allo stesso tempo ridotto il caldo.
Sento una goccia sulla testa. Non me ne curo, è piccola e ho ancora tempo per far fare almeno pipì al lontano pronipote di un lupo che ho al mio fianco.
Mando un messaggio a papà per avvertirlo che avrei prolungato la mia permanenza fuori, per evitare che si preoccupi.
Cinque minuti dopo, le gocce sono aumentate. Anche se è solo una leggera pioggia, decido di dirigermi verso casa per non fare bagnare troppo il cane.
Quando sono a metà della strada del ritorno, il rovescio si trasforma in un diluvio estivo.
Cerco di far stare l'animale il più vicino possibile ai muri delle case e quasi corriamo per le stradine del centro. Volgo lo sguardo verso il quadrupede e sembra felice di zampettare sotto la pioggia. Mi scappa una risata e aumento il passo.
Sembriamo due cretine, un’adolescente e un Cavalier King che corrono sotto un temporale. Quelli di Google Earth si staranno facendo delle sonore risate.
Improvvisamente, sento dei passi dietro di me, veloci quanto i miei. Mi fermo per riprendere fiato, senza smettere di ridere.
Pensavo che i passi mi superassero, invece sento che rallentano e si fermano affianco a me. Ancora col sorriso sulle labbra, alzo lo sguardo e perdo un battito.
È Jobb.
- Mi stai forse pedinando? – gli chiedo col fiatone e mi maledico subito, realizzando che questa è la prima cosa che gli abbia mai detto.
Lui ride buttando la testa all’indietro. I riccioli bagnati seguono il movimento del capo, liberando piccole gocce d’acqua piovana, per poi tornare spettinati sulla fronte quando il ragazzo torna a guardarmi.
– Potrei dire lo stesso di te – e accenna con la testa al luogo in cui, cento metri più avanti, si trova il kebab.
Arrossisco immediatamente, poi mi ricordo della situazione in cui mi trovo: totalmente bagnata, con un cane altrettanto fradicio che aspetta di tornare a casa. Mi accorgo che Jobb ha un ombrello chiuso nella mano destra.
- Non lo usi? – gli chiedo alzando le sopracciglia.
- Sai, rincorrere una persona con l’ombrello aperto non è esattamente comodissimo - mi risponde, guardando altrove e sorridendo, ma scorgo comunque un rossore sulle sue guance.
- Quindi avevo ragione – affermo incrociando le braccia sul petto e appoggiando la schiena al muro dietro di me – Mi stai pedinando.
Jobb si volta improvvisamente e mi rivolge uno sguardo offeso. Scoppio a ridere e lui mi segue a ruota.
- Devo tornare a casa – dichiaro, accennando al guinzaglio del cane, che si è comodamente sdraiato vicino ai miei piedi. Almeno ora siamo sotto ad un balcone e non ci stiamo bagnando. Jobb, invece, continua ad essere sotto il diluvio.
- Non vorrai mica incamminarti sotto questo acquazzone? – mi chiede con un tono innocente, nonostante un mezzo sorriso stia sollevando un angolo delle sue labbra – Potresti prenderti un’influenza o peggio, potresti essere colpita da un fulmine!
Oh, Jobb, penso sia già successo.
- Si dà il caso che io abbia un ombrello – continua il ragazzo, roteando l’oggetto come se fosse una pistola e puntandomelo contro, per poi ruotare il gomito e aprirlo alla mia sinistra. Lo porta in alto coprendosi il capo e mi offre il braccio sinistro – Se vuole approfittarne, stalker.
Mi scosto dal muro e, al posto di lasciarmi prendere sottobraccio, sollevo il cane da terra, tenendolo stretto al mio petto per non farlo inzuppare più del necessario.
- Ti avverto, i cani bagnati non profumano – gli dico in tono di sfida.
Il ragazzo scrolla le spalle e include anche me in quel metro quadrato senza pioggia.
Approfitto della mancanza di gocce su di me per scrivere a papà e dirgli che porterò il cane a casa e che, se per lui va bene, forse dopo farò un giro.
- Grazie per il passaggio all’asciutto – dico a Jobb, dopo aver letto l’”Okay” di risposta di mio padre.
- Figurati – mi risponde, voltandosi verso di me e rivolgendomi uno sei suoi solito sorrisi.
- Sai, mi ricordi molto due personaggi di una serie tv – dico, senza pensarci troppo.
- Due?
- Jon Snow e Robb Stark di "Game of Thrones" – dichiaro, e vedo con la coda dell’occhio il ragazzo inarcare le sopracciglia confuso – Non mi aspetto che tu capisca di cosa stia parlando, lascia perdere – affermo con un sospiro deluso, alzando le spalle.
- No, no, mi hai frainteso – si affretta a dire - Nessuno mi aveva mai detto che somigliassi a Jon, solo a Robb – conclude divertito.
Il mio viso si illumina, realizzando che il ragazzo ha seriamente capito a chi mi riferissi. Mi volto verso di lui e gli sorrido, notando che lui sta facendo lo stesso.
- Secondo me somigli più a Snow, invece – dichiaro convinta – I capelli sono quelli di Kit, e anche la forma del viso. Be’, sei alto…quanto? Un metro e ottantacinque? Quindi leggermente più di Jon. L’unica cosa che rompe la somiglianza sono i tuoi occhi. Quelli sono di Robb – concludo.
- Tu mi ricordi Sansa – sbotta, improvvisamente serio.
Mi lascio sfuggire una risata di cuore – Oh, davvero? Per cosa, gli occhi azzurri? I capelli rossi? La pelle diafana? – domando ironicamente.
- Non so – risponde, continuando a mantenere il contatto visivo – Me la ricordi e basta – conclude a voce più bassa, spostando lo sguardo sulla strada.
Nessuno dei due parla per gli ultimi venti metri. Arrivati davanti al portone di casa, trovo papà che mi aspetta. Mi porto una mano alla fronte per l’imbarazzo.
- Ehi, pa’ – lo saluto, rossa in viso. Poso a terra il cane e do il guinzaglio a mio padre, che mi rivolge uno sguardo sorpreso. Non sono molte le volte in cui mi sono presentata davanti a lui con un ragazzo affianco. Anzi, pensandoci meglio, non è mai successo, se non tengo conto di situazioni simili in cui i ragazzi erano amici che lui conosceva bene. Babbo, con un ghigno, fa un cenno con le mani, come per dire “Ne riparliamo dopo”, poi entra in casa.
Lascio sfuggire un sospiro dalle mie labbra e mi volto, ancora rossa in viso, verso il ragazzo al mio fianco, che mi sta guardando confuso e divertito.
- Non dovevi andare a casa?
- Ecco, mi chiedevo se ti andasse di fare un giro – dico poco convinta, spostando lo sguardo sul marciapiede.
- Jon Snow non dovrebbe avere contatti con le donne, non lo sai? – mi domanda alzando un sopracciglio – Love is the death of duty – conclude, citando la serie tv.
- Infatti questo non è un appuntamento – dichiaro, scombussolata dal fatto che abbia utilizzato proprio quella frase – Non vorrei mai che Jon Snow venga ucciso, o peggio, espulso dai Guardiani Della Notte, – concludo imitando la voce di Emma Watson e avvalendomi a mia volta di una citazione, sperando che colga il riferimento ad Harry Potter.
- Forse entrambi dovremmo rivedere le nostre priorità – mi risponde.
Arrossisco per l'ennesima volta e vedo che Jobb sta facendo lo stesso. Il ragazzo mi offre di nuovo il braccio: questa volta accetto.
- Comunque, io sono Alessandro – dice, guardandomi.
- Elisa – mi presento, rivolgendogli un ampio sorriso che viene ricambiato immediatamente, per poi avvicinarmi leggermente a lui per coprirmi meglio dalla pioggia.
 
Non so come sia possibile, come fra due persone possa nascere qualcosa soltanto con uno sguardo, ma ora penso di avere capito perché la gente lo chiama “colpo di fulmine”. Perché quello che succede somiglia ad un lampo, una scintilla che passa attraverso due persone e che, per una sola frazione di secondo, le lascia inermi e senza fiato.
E forse, allora, l’amore a prima vista esiste.








ANGOLO AUTRICE
Hola! Sì, sono pessima. Non mi faccio sentire per mesi e, al posto di aggiornare, posto una one shot che non interessa a nessuno. Mi dispiace da morire c.c
Anyway, spero che la one shot vi sia piaciuta! E' stata una sorta di esperienza di flusso scriverla. Ci ho impiegato tre ore e pensavo di tenerla per me, poi buh, ho deciso di condividerla con voi, bei fanciulli.
Tutti i riferimenti a Game of Thrones sono dovuti al fatto che in questi giorni lo sto continuando (sono alla 2x05) e mi sono presa benissimo, yay! E questo "Jobb"...be', ieri ho visto un ragazzo davvero simile a Jon e Robb, quindi....tadaa! 
La canzone prima della storia vera e propria è "Photograph" di Ed Sheeran (meravigliosa, ve la consiglio): per quanto i
n questa one shot non ci siano fotografie, questa parte della canzone mi ricorda il modo in cui Elisa "fotografa" Jobb- I mean, Alessandro, la prima volta che lo vede.
E niente, fatemi sapere cosa ne pensate!
P.S: Ringrazio la mia parabatai, che, come sempre, mi aiuta in questo genere di cose. Ti voglio bene. Uh, la canzone è anche per te. Viva i feels.
A r y a
X.
  
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