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Autore: monsieur Bordeaux    23/06/2014    0 recensioni
Anno 2030. Il mondo è scosso dallo scontro di due fazioni che lottano per il predominio globale. Da una parte l'Esercito Regolare, formato da soldati di diversa nazionalità e ben organizzato, che cerca la supremazia sulla Ribellione, divisa in piccole cellule di lotta sparse un po' ovunque. La guerra tra le due fazioni prosegue da molti anni, ma nessuna delle due riesce a spuntarla e per questo motivo viene allestita una squadra d'elite, detta "Falchi Pellegrini", il cui compito sarà quello di risolvere una volta per tutte le sorti del conflitto.
Come avrete intuito dal titolo, è una mia personale rivisitazione di questa saga.
Genere: Avventura, Comico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13 - Final mission - L'attacco all'astronave madre


Quello che accadde nei minuti successivi, nella base missilistica, sconvolse completamente i piani del Boss, che in silenzio rimase a fissare il monitor che aveva davanti a sé. Prima scoprì che Morden in realtà era un alieno che aveva assunto i suoi lineamenti e poi, senza che i Falchi Pellegrini potessero intervenire, vennero rapite quattro persone e trasportate a forza dentro l'ufo che roteava sopra la base, usando dei particolari raggi a forma di anello. Il primo dei rapiti fu Tarma, poi a seguire Hyatt e Revy, con quest'ultima che provò in tutti i modi a liberarsi, e per finire fu prelevato anche Rock, che per tutto il tempo era rimasto nascosto nella barca di Dutch. Ma il giapponese, a differenza degli altri, fu rapito da Keroro e dal suo plotone, che subito dopo si unirono al resto degli alieni, che in un batter di ciglio scomparvero nel cielo.
«Ma perché deve sempre andare tutto storto?» disse il Boss, coprendosi la faccia con le mani. «Cosa ha fatto di male nella vita?»
«Forse in una vita precedente avevi combinato delle malefatte indicibili!» affermò Martha.
«Mi sta venendo il dubbio che tu abbia ragione!»
Demoralizzato, il Boss si lasciò cadere sulla sedia e appoggiò una mano sotto il mento, per sorreggere la testa. In quel momento notò che la ricercatrice italiana stava osservando con attenzione uno dei monitor, in cui erano visibili alcune sezioni di navicelle depositate in un angolo della base missilistica.
«Che hai visto di così interessante?» chiese il Boss, rivolgendosi alla ricercatrice.
«Bhe, direi qualcosa di molto familiare!»
«In che senso?»
«Senza scendere troppo in dettagli, ti posso dire che quei modelli di navicella spaziali li conosco molto bene. Non sai quante simulazioni ho fatto con quegli affari, credo di aver perso il conto!»
«E li sapresti far funzionare?» insistette l'uomo nell'ombra.
«Ovviamente!» ribatté la ricercatrice, quasi infastidita da quella domanda. «Per me è come usare il forno a microonde di casa mia.»
«Questa è una grande notizia!» esclamò il Boss, ritrovando la grinta che sembrava persa dopo il rapimento di Tarma. «Mi è venuta in mente una bella idea!»
«Incrociamo le dita!» commentò Martha. Appena sentì queste parole, il Boss fece degli scongiuri con le mani, non molto graditi alla spia che lo fissò storto per un bel pezzo.

Senza perdere altro tempo, il capitano Marco e ciò che rimaneva dei Falchi Pellegrini si precipitarono per salire a bordo di tre piccole navicelle, ognuna predisposta ad ospitare un passeggero. Essendo una base di ultima generazione, tutte le procedure per il lancio dei veicoli spaziali era automatizzate e per il Boss fu molto facile collegarsi al sistema informatico, ormai abbandonato a se stesso, e avviare i meccanismi presenti, lasciando poi il resto delle operazioni a De Angelis, che in breve tempo preparò le tre navicelle per la rampa di lancio. Nonostante tutto si svolse senza problemi, al capitano sorsero dei dubbi sull'affidabilità dei mezzi: l'idea di trovarsi in cima ad un razzo lo metteva a disagio, anche perché non poteva di certo scendere, se qualcosa andava storto!
Per rassicurarlo un po', la ricercatrice spiegò che la sicurezza e la robustezza dei mezzi era sopra la media, elencando una lista quasi infinita di dati, e poi aggiunse che si sentiva emozionata all'idea di lanciare in orbita contemporaneamente ben tre razzi, come se stesse leggendo un racconto yaoi inedito. A quel punto Marco, assai preoccupato, iniziò a sospettare che la ricercatrice fosse una specie di scienziata pazza, con la mania della missilistica...
Finiti gli ultimi controlli i tre razzi, con boato assordante, si staccarono da terra con una potente fiamma e si alzarono in aria, raggiungendo in pochi secondi una velocità impressionante. Un minuto dopo i tre mercenari dei Falchi Pellegrini si trovavano già nella parte più alta della stratosfera, mentre nella base missilistica si stavano preparando altri voli spaziali; i Ribelli superstiti, ipotizzando che il loro comandante fosse stato rapito dagli alieni, partirono in massa per raggiungere l'ufo visto in precedenza. Approfittando di quel caos, Dutch, Excel e il Palazzo si mimetizzarono tra le fila nemiche e salirono a bordo delle navicelle rimaste, allo scopo di liberare i loro rispettivi compagni.
Col passare dei minuti, i vettori che spingevano i tre razzi di testa si staccarono uno alla volta, sempre sotto gli occhi attenti di Manuela che sembrava ipnotizzata davanti a quella staffetta spaziale, e una volta fuori dall'atmosfera terrestre, Marco e il resto della squadra presero i comandi delle navicelle, con la ricercatrice che spiegò velocemente come usare le leve presenti a bordo. Dopo aver superato una fascia di detriti metallici, ciò che rimaneva delle missioni spaziali degli anni scorsi, il capitano intravide sopra di sé una sagoma rotonda: era identica a quella dell'ufo che pochi minuti prima aveva rapito Tarma.
Senza pensarci due volte, Marco ordinò di aprire il fuoco contro l'oggetto volante, che pochi attimi dopo liberò dallo sportello inferiore alcuni mini-ufo trasparenti, da cui si intravedeva le forme di vita tentacolari. Le armi a disposizione delle navicelle terrestri, una variante dell'Heavy Machine Gun leggermente più potente e con doppia canna da fuoco, non lasciarono scampo ai nemici e nel giro di qualche minuto furono distrutti sia i mini-ufo, sia la navicella da cui erano usciti. La potenza di fuoco era così incredibile che anche un secondo attacco alieno, sempre portato da un'astronave sferica simile alla precedente, fu stroncato sul nascere, costringendo un terzo mezzo spaziale ad una rapida ritirata verso l'alto.
Determinato più che mai a ritrovare il suo compagno rapito, il capitano iniziò a tallonare la navicella in fuga, seguito a ruota dalle altre due mercenarie, ma all'improvviso Marco si bloccò di colpo, lasciandolo a bocca aperta per diversi secondi. Davanti a sé intravide un'enorme struttura che oscurava gran parte del cielo, dall'aspetto metallico e di color grigio scuro. Era così perfettamente mimetizzata con l'oscurità dello spazio che solo avvicinandosi era possibile identificarla, persino i satelliti più moderni erano stati ingannati da quella copertura così sofisticata.
«Ma che...» esclamò il Boss, non meno sbalordito di Marco alla vista di quella struttura aliena.
«Suppongo che quella sia la base d'appoggio aliena» disse Manuela, paradossalmente rilassata. «O astronave madre, dipende.»
«Ma quanto è grosso quell'affare?» chiese la spia Martha.
«Ad occhio, almeno una decina di chilometri. O forse di più, è difficile per la mente umana concepire una struttura del genere. All'interno potrebbe esserci migliaia o decine di migliaia di forme di vita, è come se un'intera città fluttuasse sopra l'atmosfera terrestre.»
«Tutto ciò è semplicemente assurdo!» replicò il Boss. «La gente si impaurisce quando sente parlare di asteroidi che potrebbe sfiorare la Terra e adesso c'è un’astronave grande diversi chilometri sopra le nostre teste! Saremmo già nel caos più completo, se la notizia fosse trapelata.»
«Questo fa capire quanto siamo vulnerabili...» affermò Martha.
«Ma adesso basta con i commenti filosofici! Bisogna trovare un modo per entrare!»
Nel frattempo i Falchi Pellegrini aveva raggiunto la navicella aliena che gli era sfuggita, nei pressi di un’apertura circolare sul fondo dell'astronave madre. Quello del mezzo spaziale a forma di sfera sembrava una ritirata piuttosto frettolosa, ma in realtà era una contromossa per respingere gli inseguitori: agganciandosi al bordo dell'apertura, grazie ad un sistema ad incastro, la navicella nemica si trasformò in un cannone di grosso calibro, da cui usciva un potente raggio laser bluastro. Non fu facile evitare quell'arma, ma grazie ad attacco combinato delle loro mitragliatrici, i Falchi Pellegrini riuscirono a distruggere la navicella aliena, che andò in mille pezzi. Subito dopo i tre mercenari notarono che davanti ai loro occhi si era aperto un lungo tunnel, che saliva verso il cuore dell'astronave madre, e immediatamente Manuela invitò la squadra a percorrerlo a tutta velocità, nonostante la luce fosse molto scarsa.
La ricercatrice, per tranquillizzare il capitano, spiegò che l'unico modo per entrare era quello di sfondare la parete in fondo al tunnel, sfruttando il muso della navetta come ariete, essendo quest'ultimo più rinforzato rispetto al resto della struttura. Incitato anche dal Boss a proseguire, Marco mormorò a denti stretti qualcosa di incomprensibile, prima di gettarsi nel tunnel insieme alle altre due mercenarie.

Una volta trovato il passaggio per entrare, le comunicazioni con i Falchi Pellegrini rimasero chiuse per diversi minuti e questo fatto preoccupò non poco il Boss, che inutilmente provò a farsi vivo via radio. Secondo la ricercatrice, una delle possibili spiegazioni al problema era che il segnale era bloccato dal tunnel stesso, la cui lunghezza poteva essere anche di svariati chilometri. Questo momento di tensione per fortuna duro poco e di colpo un urlo spezzò il silenzio radio; era Marco, che con un terribile botto si era appena schiantato contro la parete superiore del tunnel, seguito a ruota da altri due colpi dal rimbombo molto simile.
«Voi siete dei pazzi...» lamentò il capitano, mentre stava tentando di uscire dalla navetta. «La prossima volta io mi nascondo nel bunker e il piano assurdo lo fate voi!»
«Smettila di lamentarti e cerca un punto per entrare!» ribatté il Boss.
«Anch'io sono felice di risentirti, Boss!» disse Fio, con un tono di voce molto sarcastico per sottolineare il fatto che nessuno aveva chiesto come stava dopo l'impatto.
Nel frattempo Eri aveva un calcio allo sportello ed era uscita dalla navicella, scendendo per prima sull'astronave aliena. «Spero che qui la temperatura sia decente! Quel guscio era un forno!»
Per fortuna della mercenaria bionda, e del resto del gruppo, il clima all'interno era pressurizzato e riproduceva quello presente sulla Terra, sia per temperatura, sia per umidità. La stanza in cui i Falchi Pellegrini si ritrovarono aveva un aspetto metallico, col soffitto molto alto ed era completamente vuota, a prima vista ricordava vagamente un capannone o un hangar. Le uniche cose sospette in quel luogo, come notò Fio, erano un lungo fascio di fili verdognoli che correva attaccato alla parete, la cui natura era sconosciuta, e alcuni oggetti rossi di forma rotonda che comparivano ad intervalli regolari su quell'ammasso di fili, come se fossero degli occhi artificiali. Marco si soffermò qualche secondo per analizzare da vicino quella curiosa struttura, ma all'improvviso un urlo di paura richiamò l'attenzione dei tre mercenari, che immediatamente si misero a correre per scoprire chi era in pericolo.
Usciti da quell'enorme stanza, i Falchi Pellegrini entrarono in un ambiente simile al precedente, ma col soffitto più basso, e in lontananza videro qualcuno trascinato a forza dai cinque alieni rana, che i mercenari avevano già incontrato nel quartiere giapponese. Il poveretto coinvolto contro il suo volere era Rock, ed era veramente disperato.
«Basta!!! Io non so niente!»
L'alieno rosso, di nome Giroro, si avvicinò al ragazzo steso a terra e puntò la pistola contro le parti basse. «Parla o ti incenerisco le palle!»
«E chi sei? La reincarnazione aliena di Rambo?» intervenne ad alta voce Marco, prendendo di sorpresa i cinque alieni.
«Ma-ma-ma come avete fatto ad arrivare fin qui?» balbettò il leader Keroro, il più spaventato del gruppo.
«Abbiamo preso un passaggio...» ironizzò Eri, con la pistola in mano. A quel punto si verificò una situazione di stallo: tutti erano pronti a sparare, ma nessuno osava attaccare per primo e negli attimi successivi ci fu una lunga serie di occhiate, che fecero alzare ancora di più la tensione.
«Non sparate! Non sparate fino a nuovo ordine!» intimò il capitano dei Falchi Pellegrini, cercando di mantenere calmi i suoi.
«Che facciamo, sergente?» chiese l'alieno nero di nome Tamama, ansioso di attaccare quanto Giroro.
«Sergente, vi ricordo che avete solo due opzioni da scegliere» mormorò Kururu all'orecchio dell'alieno verde, con tono ambiguo. «O date l'ordine di attaccare o ci arrendiamo!»
Keroro era completamente spiazzato e non sapeva cosa fare, ma ad un certo punto la situazione sembrò peggiorare per i Falchi Pellegrini. Nel giro di pochi secondi, nella stanza arrivarono un gran numero di alieni medusa, tutti armati e pronti a liberarsi degli intrusi appena possibile.
«Sergente, è il momento di decidere!» gridò Giroro, voltandosi verso il suo superiore. «Ora o mai più!»
«NO!!!» urlò l'alieno verde, in piena crisi di coscienza. «Non è giusto! Tutto sommato, i pekoponiani ci hanno trattati bene, a parte qualche eccezione... non me la sento di attaccarli senza un giusto motivo! Capite, vero?»
A quel punto Keroro si voltò verso i suoi alleati, ma quest'ultimi, contrari alla sua decisione, puntarono le loro armi contro di lui e il suo plotone.
«Bastardi! Siete solo dei bastardi!» urlò Giroro, mentre Keroro rimase in silenzio ed iniziò a sudare freddo. La punizione per il tradimento del plotone sarebbe stato esemplare, ma ci fu un colpo di scena: alle spalle di Fio ed Eri si sentirono prima delle esplosioni e poi delle grida di battaglia, che attirarono l'attenzione di tutti. Erano i Ribelli che, dopo un lungo viaggio spaziale, erano riusciti a sfondare le difese nemiche e ora stavano cercando di salvare il loro comandante rapito. Approfittando di quel momento di distrazione, Marco ordinò di sparare contro gli alieni medusa, che non fecero in tempo a rispondere al fuoco e vennero distrutti in pochi secondi. Così facendo, avevano anche di fatto salvato Keroro e il suo plotone, che a quel punto era in debito con i Falchi Pellegrini.
«Grazie! Grazie pekoponiano! Senza il vostro...» accennò l'alieno verde, che però fu bruscamente interrotto da Marco.
«Smettila! Dimmi subito dove si trova Tarma!»
«Va bene! Però non arrabbiarti!»
Nel frattempo Fio intravide tra le file dei Ribelli due facce note, che velocemente si staccarono dal gruppo principale per unirsi a quello di Marco: erano Dutch e Il Palazzo.
«Finalmente vi abbiamo ripreso!» commentò il mercenario di colore. «Credevate di esservi liberati di me, eh?»
«Felice di vederti, bestione!» ribatté Eri, contenta per l'arrivo dei rinforzi.

Scavalcata la prima linea nemica, nonostante l'assalto dei Ribelli fosse alquanto confusionario, la squadra guidata da Marco si fece largo tra i nemici e seguì le indicazioni di Keroro, che portarono ad un tunnel che portava nella zona più interna dell'astronave madre. Il passaggio era alto poco meno di un metro e per entrarci bisognava camminare carponi, quindi Marco chiese ai suoi alleati di tenere d'occhio la zona, sebbene la battaglia all'interno dell'astronave era divampata in maniera violenta. Trovato l'accordo, Marco e le due mercenarie dei Falchi Pellegrini si prepararono ad entrare, ma non prima di aver sentito le raccomandazioni degli alieni rana, che li misero in guardia sui possibili pericoli presenti aldilà del tunnel.
Una volta arrivati dall'altra parte, Marco si rese conto di essere fino in luogo completamente diverso rispetto a prima: le pareti non erano metalliche, bensì erano costituite da uno strano materiale poroso ed erano completamente circondate da filamenti di diverse dimensioni, che rendevano l'avanzata più difficile del previsto. A rendere ancora più inquietante quella situazione fu una successiva chiamata della ricercatrice Manuela, che aveva da poco elaborato i primi dati sull'astronave madre: sembrava quasi impossibile, ma al centro della immensa struttura aliena c'era un ammasso biologico che controllava l'intera costruzione e i Falchi Pellegrini vi erano finiti al suo interno. I tre mercenari erano giunti, senza giri di parole, nel cuore pulsante dell'astronave aliena, che poteva definirsi un essere vivente a tutti gli effetti.
Lasciandosi alle spalle le voci sconvolte della ricercatrice e della spia Martha, il capitano e i suoi sottoposti proseguirono il loro cammino in mezzo a quel intreccio di filamenti per qualche metro, finché non trovarono il punto d'origine di tutti quei cavi. In una posizione rialzata c'era una grossa massa color marrone, simile ad una testa aliena, sormontata da una cupola di vetro dalla quale era visibile una specie di mente artificiale, dalla quale partiva moltissimi cavi grigi. Tutto quell'enorme peso era sostenuto da una base metallica, a cui dei grossi filamenti, quasi dei grossi tentacoli, vi erano attaccati per dare più stabilità a ciò che rendeva funzionante l'intera astronave. Era una specie di computer centrale alieno e appena vide gli intrusi, i suoi occhi gialli iniziarono ad agitarsi, come infastidito da quelle presenze.
Delineato cosa aveva di fronte a sé, Marco diede un ordine secco e preciso: demolire quel posto con tutto quello che avevano, per indebolire in maniera irreparabile l'astronave madre. Ma proprio nel momento in cui il capitano e il resto del gruppo erano pronti a sganciare alcune granate, i tre notarono che sopra la cupola di vetro si stavano concentrando un numero sempre maggiore di particelle d'energia, che in pochi attimi crearono una grossa sfera luminosa. Temendo qualcosa di pericoloso, Marco e gli altri lanciarono le granate a terra e poi velocemente si gettarono a terra, proprio nel momento in cui la sfera d'energia venne scagliata contro di loro.
Il pavimento sotto i tre mercenari tremò per diversi secondi, poi sentirono distintamente le granate che esplodevano nei pressi del centro di controllo alieno, che fecero sobbalzare ulteriormente la zona in cui si trovavano. Gli effetti delle esplosioni furono devastanti: molti filamenti erano stati recisi e uno strano liquido verdastro usciva a getto continuo dai cavi danneggiati, esattamente come succederebbe con una ferita piuttosto profonda.
Una volta costatato che tutti e tre erano riusciti a mettersi in salvo, Marco si rialzò in piedi e con uno scatto raggiunse il tunnel da cui era passato, incitando Eri e Fio ad andarsene al più presto da quel posto. La loro missione non era ancora finita, doveva ancora ritrovare gli ostaggi, tra cui spiccava il nome di Tarma.


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