Serie TV > Xena
Ricorda la storia  |      
Autore: GirlWithChakram    23/06/2014    4 recensioni
Fanfiction ispirata all’immortale storia "Beauty and The Beast" che vede, però, come protagoniste Gabrielle e Xena. Molti spunti sono tratti dalla versione animata Disney, ma ci sono riferimenti anche alla fiaba originale e agli altri adattamenti. I personaggi rappresentati sono, per la maggior parte, proiezioni di quelli dell’universo di Xena. Bene, godetevi questa fiaba e magari fatevela leggere come storia della buona notte
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Gabrielle, Un po' tutti, Xena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
THE BARD AND THE BEAST
 
Image and video hosting by TinyPic


Fanfiction ispirata all’immortale storia Beauty and The Beast che vede, però, come protagoniste Gabrielle e Xena. Molti spunti sono tratti dalla versione animata Disney, ma ci sono riferimenti anche alla fiaba originale e agli altri adattamenti. I personaggi rappresentati sono, per la maggior parte, proiezioni di quelli dell’universo di Xena. Bene, godetevi questa fiaba e magari fatevela leggere come storia della buona notte.
 
“Tale as old as time
 

Song as old as rhyme
 
  Bard
Beauty and the Beast”

 
C’era una volta, al tempo degli dei, dei signori della guerra e dei re, nella bella e prospera Grecia, un regno. Tale dominio era, da alcuni lustri, governato da un anziano re, molto saggio. Egli era ben voluto e molto amato dal suo popolo, si prendeva cura della sua gente, proteggendola dai nemici e dall’ira delle divinità.
Purtroppo, venne anche per il monarca il tempo di attraversare lo Stige, così, al suo posto, salì al trono la figlia. Ella era una giovane molto bella, eppure viziata, vanitosa ed egoista, insofferente nei confronti dei suoi doveri reali e totalmente disinteressata al benessere dei sudditi.
La storia potrebbe finire così, sennonché qualcosa accadde in una fredda notte d’inverno. Un’anziana donna bussò alle porte del palazzo, offrendo una rosa in cambio di ospitalità. La principessa, disgustata dall’aspetto della mendicante e ritenendo il suo dono quasi offensivo per via della sua semplicità, le intimò di andarsene. La vecchia allora ammonì la sovrana di non farsi ingannare dalle apparenze, poiché la vera bellezza si cela sotto molteplici forme e solo con la gentilezza si è in grado di scorgerla. La giovane, però, ignorando l’avvertimento, scacciò la donna.
In quel momento la viandante si rivelò, tramutandosi nella dea Athena, discesa dall’Olimpo per controllare l’operato della principessa.
«Il tuo atteggiamento irrispettoso e superficiale ti rende indegna del potere che hai ereditato. La mia maledizione cadrà su di te: poiché non sai agire secondo il cuore e non sei in grado di lasciarti alle spalle la vanità e la superbia, io ti condanno a vivere il resto dei tuoi giorni come un’orribile bestia, privandoti del bene che ritieni più prezioso.» La bellissima ragazza venne investita da una luce ultraterrena e quando ne uscì aveva perduto le sue avvenenti sembianze.
Disperata, si rinchiuse nella fortezza, allontanando chiunque avesse fatto parte della prospera corte di un tempo.
Mossa a compassione, Aphrodite si allontanò dal regno degli dei per offrire alla principessa una possibilità di redenzione. Le consegnò la rosa che aveva rifiutato da Athena e le disse: «Non posso annullare l’incantesimo di mia sorella, ma ti rimane un’opportunità. Se, prima che tutti i petali di questa rosa siano caduti, riuscirai a farti amare per ciò che hai nel cuore ed imparerai ad anteporre il bene degli altri al tuo, mettendo da parte l’egoismo, allora tornerai ad essere la donna che eri. In più, lascerò con te alcuni miei paggi che ti facciano compagnia e che, magari, saranno in grado di fare emergere il tuo lato compassionevole.»
Lei non ringraziò nemmeno, si limitò a prendere il fiore e a far entrare i nuovi arrivati in malo modo, per poi tornare alla sua solitudine.
Chi mai avrebbe potuto amare una bestia?
Il regno cadde presto in rovina e, col passare degli anni, gli abitanti si dimenticarono del palazzo che sorgeva solitario nella foresta e del misterioso mostro che, si diceva, vi abitasse.
Il villaggio che si trovava al limitare del bosco divenne sempre più spesso vittima dei crudeli warlords che avevano iniziato a razziare e saccheggiare senza tregua. I paesani erano costretti a pagare tributi e dovevano sottostare al volere dei conquistatori, arrivando così a stipulare accordi di alleanza con i peggiori malfattori, pur di preservare un minimo di pace.
In questo borgo, noto a tutti con il nome di Potidaea, viveva la figlia di Meleager, guerriero caduto in disgrazia, che, quella mattina come tutte le altre, era uscita di casa per svolgere le sue quotidiane commissioni. Avanzava contenta, reggendo la sporta con un braccio e una pergamena con l’altro, mentre la sua lunga chioma bionda ondeggiava nell’aria del mattino.
La fanciulla si chiamava Gabrielle, era giovane, piena di belle speranze, innamorata dei poemi epici e delle storie romantiche. Sognava di poter lasciare il luogo natio in cerca di avventure, ma la cagionevole salute del genitore la incatenava a quel villaggio e la costringeva a vivere con i piedi per terra. L’unico svago che si concedeva era quello della lettura, trascorrendo buona parte delle sue giornate con in naso perso tra le righe d’inchiostro e assaporando storie e racconti da tutto il mondo.
Era stata sua madre ad insegnarle a leggere e a scrivere, disgraziatamente Sophie se n’era andata ormai da tempo, strappata alla sua famiglia da un incurabile morbo. Dopo la morte della moglie, Meleager aveva cercato di consolarsi con il vino, ignorando i doveri come soldato e distruggendo a poco a poco il proprio corpo. Ormai passava il suo tempo sdraiato nel letto in compagnia di un fiasco, parlando da solo e lamentandosi della condizione misera in cui la sua famiglia era costretta a vivere.
Gabrielle si occupava di portare a casa quel poco denaro necessario a sopravvivere, facendo i lavori più disparati. Ne aveva, però, da poco trovato uno che le piaceva davvero. Da non molto si era stabilito in città un mercante che trasportava prodotti da terre lontane e aveva bisogno di qualcuno che gli desse una mano a gestire gli affari. La ragazza, avendo imparato da bambina a far di conto, si era offerta volontaria, ricevendo in cambio da Salmoneus un minimo salario e, qualche volta, il permesso di portarsi a casa un libro o un rotolo.
Quel giorno, mentre avanzava tra la folla, si apprestava a riconsegnare una raccolta di leggende egizie che l’avevano intrattenuta per un’intera settimana.
«Piaciuto anche questo?» le domandò Salmoneus prendendole il rotolo dalle mani.
«Molto!» rispose lei entusiasta «Ma non ho riconosciuto il materiale su cui è scritto. Che cos’è?»
«Eh, mia cara, non mi sorprende che tu non abbia mai visto un papiro. Viene direttamente dalla Terra dei Faraoni.»
«Oh!» esclamò la ragazza con gli occhi pieni di meraviglia.
Il mercante le sorrise, gli piaceva quella giovane, così piena di voglia di vivere, così spontanea e volenterosa. Era un vero peccato che suo padre fosse un beone buono a nulla, lei avrebbe meritato molto di più.
«Oggi non ho bisogno del tuo aiuto, cara. Se vuoi prenderti la giornata per te, puoi farlo» le comunicò allargando il sorriso.
Gabrielle esultò e lo abbracciò con affetto. «Posso chiederti solo un piccolo favore?» gli domandò titubante.
«Ma certo, non farti problemi» le rispose il mercante.
«Potrei riavere quel libro di favole?»
«Quello sulla figlia del ricco bottegaio e del principe in incognito?»
«Proprio quello!»
«Ma lo hai già letto due volte!»
«È il mio preferito! Posti esotici, duelli, un cavaliere misterioso…»
«Beh, Gabrielle, se ti piace così tanto, tienilo» le disse porgendole il volume «Te lo regalo.»
«Ma… Ma signore…» balbettò lei commossa.
«Non voglio sentire ragioni! Bisogna appoggiare le giovani menti come la tua, considera questo come il mio piccolo contributo.»
«Grazie signor Salmoneus, grazie mille!»
«Ora va’ e goditi la tua giornata libera.»
Lei non se lo fece ripetere e, saltellando felice, proseguì nel giro di commissioni.
Ormai tutti gli abitanti di Potidaea erano abituati a vederla girovagare con la testa tra le nubi, si erano affezionati a lei e ai suoi modi spensierati. Tuttavia, osservandola, non potevano fare a meno di pensare a Meleager e a tutti i problemi che l’uomo aveva causato in passato durante le sue peggiori sbronze.
Quel giorno c’era, però, un nuovo paio di occhi a fissare la bella biondina: le scure iridi di Draco, signore della guerra in cerca di una nuova conquista. Da lontano scrutava l’ondeggiare dei fianchi della ragazza, ascoltava la sua risata cristallina e, soprattutto, prestava attenzione alle persone con cui interagiva. Da loro avrebbe potuto ricavare informazioni su di lei, così da poterla fare sua senza ricorrere alla violenza, o almeno non troppa.
«Hector» disse rivolgendosi al suo fidato braccio destro «Sei pronto per una nuova sfida?»
Lo scagnozzo sorrise e si preparò ad ascoltare il piano del suo superiore.
Nel frattempo Gabrielle aveva finito di far compere ed era tornata a casa per controllare suo padre e  preparargli il pranzo.
Aprì la porta e lo trovò in tenuta da battaglia, ultimamente capitava spesso perché si era convinto che il re lo avesse richiamato in servizio.
«Papà» cominciò lei «Un messo reale mi ha detto che Sua Maestà non ha bisogno di te per questa volta. Puoi rinfoderare la tua spada.»
Lui ascoltò con espressione vacua, come se non la stesse realmente a sentire.
«Forza» continuò lei prendendogli gentilmente la mano «Ti aiuto a tornare a letto.» Gli slacciò le piastre della corazza e ripose le armi, poi lo guidò fino in camera e lo fece allungare sul materasso. Dopo aver dato una rapida pulita alla stanza, gli rimboccò le coperte e gli strappò a viva forza il vino dalle mani.
«Non togliermi la bottiglia…» si lamentò il guerriero, ma la ragazza non gli diede ascolto. Aveva cercato in tutti i modi di farlo smettere e quello più efficace era togliergli la tentazione da sottomano.
Le proteste del genitore la raggiunsero in cucina, ma poco le importava, continuò imperterrita a tagliare le verdure e a farle bollire in un grosso pentolone. Una volta pronta, portò la zuppa all’uomo e lo imboccò con premura.
Finite anche le faccende domestiche, si potè finalmente godere la meritata libertà. Balzò in groppa al destriero di suo padre, una giumenta color miele di nome Argo, e si diresse verso il suo rifugio speciale: un prato su un altopiano, punteggiato di fiori di campo. Era il posto migliore per leggere e scrivere in tranquillità. Si sdraiò nell’erba e si lasciò trasportare dal racconto, null’altro aveva importanza.
Il mattino dopo tutto si ripetè uguale. Salmoneus la pagava come lavoratrice a tempo pieno, ma in realtà le faceva svolgere qualche lavoretto solo un paio di giorni a settimana. L’aveva presa con sé più per tenerezza che non per vera necessità. Così, la fanciulla trascorse un’altra mattinata a far compere, per poi affrontare ancora una volta le bizzarrie di suo padre.
«Bella signorina» la apostrofò la voce di uno sconosciuto «Posso portarle la borsa fino a casa?»
La bionda si voltò spaventata. Alle sue spalle c’era un tizio in armatura, il tirapiedi di qualche warlord, lei lo sapeva. Aveva sentito nominare Hector, più di una volta, ma non aveva idea di quale fosse lo scopo della conversazione.
«No, grazie» declinò «Non ho bisogno di aiuto.»
«Dai, lascia che un gentiluomo si prenda cura di te» insistette lui.
La ragazza, temendo l’ira dell’uomo, decise di assecondarlo, sbuffando e cedendogli malvolentieri la sporta.
«Che ne dici di passare da me, prima?» propose Hector afferrandole un braccio con ben poca delicatezza.
«No… Davvero, non posso.»
Gabrielle cominciò ad avere paura, quella situazione non le piaceva proprio.
«Su, non fare storie!»
«No!» gridò lei disperata. Ormai era chiaro che l’uomo non avesse buone intenzioni.
«Lasciala stare» intervenne una terza voce «O te ne farò pentire amaramente!»
Era stato Draco a parlare, comparendo come un coraggioso paladino in difesa della damigella in pericolo. Presa dall’emozione del momento, la biondina si divincolò dalla presa dello scagnozzo per buttarsi tra le braccia del signore della guerra.
«Lascia che ti accompagni a casa, ti sarai presa un bello spavento» le sussurrò dolcemente all’orecchio.
«Gr… Grazie» farfugliò, ancora confusa.
Il guerriero prese la giovane sottobraccio e la scortò fino alla dimora, assicurandosi che ci arrivasse sana e salva.
Gabrielle non aveva idea di come sdebitarsi, dopotutto il warlord l’aveva salvata e lui si era accontentato di una promessa di rivederla. Era una richiesta talmente innocente e semplice che lei non potè rifiutargliela.
Così, dopo un brutto inizio di giornata, si preparò all’idea di aver a che fare con un’altra delle crisi di suo padre. Quando entrò in casa, però, non lo trovò in piedi. Si augurò che fosse ancora a letto addormentato, possibilmente non stordito dall’alcool. Decise di lasciarlo riposare e preparare il solito pasto in pace.
«Papà» annunciò dopo aver finito di cucinare «Il pranzo è pronto» ma entrando in camera trovò il giaciglio vuoto.
Il primo istinto fu quello di controllare le altre camere, ma una vocina nella testa le consigliò di provare nella stalla. Argo non c’era e neppure l’equipaggiamento da battaglia.
«Oh no…» realizzò amaramente. C’era solo un luogo dove suo padre potesse essersi diretto: il palazzo nel bosco.
Raccattò in fretta e furia un mantello per coprirsi, poi si mise a correre, sperando di recuperare il genitore in tempo.
Nello stesso momento, Meleager, armato di tutto punto in sella al suo cavallo, avanzava coraggioso in direzione della fortezza del re. Era la volta buona per riabilitare il suo nome di cavaliere. Arrivò al tetro portone in legno scuro e bussò con forza, reggendo le briglie di Argo, in attesa che uno stalliere si facesse vivo per portarla insieme agli altri animali.
Nessuno venne ad accoglierlo.
Ritentò per diversi minuti, deciso ad entrare.
«Signore, le consiglio di andarsene» gli comunicò una voce dall’interno.
«Sono stato convocato da Sua Altezza in persona.»
«Non credo che ciò sia possibile… Dovreste tornare sui vostri passi» rispose la stessa voce.
«Per favore, lasciatemi parlare con il re.»
L’individuo all’interno tacque, confuso dalle parole del soldato.
«Va bene, la faccio entrare, ma solo perché mi pare abbia bisogno di aiuto.»
Meleager marciò dentro l’ampio salone su cui si affacciava la porta. Al fondo della stanza, tra broccati strappati e polverosi, si trovava il trono a cui tante volte in passato si era inginocchiato. Come per riportare alla mente quei tempi, si piegò su un ginocchio.
«Che cosa sta succedendo?» ringhiò la persona seduta sullo scranno.
«Maestà…» cominciò l’uomo che aveva accolto il cavaliere «Dovevo farlo entrare. Ha l’aria confusa, probabilmente non sa nemmeno dove si trova. Dovremmo tenerlo con noi qualche giorno per poi rimandarlo per la sua strada.»
«E sentiamo, chi ti avrebbe dato il permesso di agire di testa tua?» domandò ironica la misteriosa persona.
«Nessuno…»
«Allora sbattilo fuori e facciamola finita!»
«Mio re» intervenne allora Meleager «Sono qui perché voi mi avete chiamato.»
A quelle parole, dal trono si alzò la colossale figura ed iniziò ad avanzare.
Quando l’uomo se la trovò a pochi passi di distanza non riuscì a trattenere un grido di sorpresa. Un’enorme bestia dal pelo nero, vestita con una camicia bianca ed un paio di braghe scure, lo fissò con intensità. Aveva gli occhi azzurrissimi, puri come il ghiaccio. Dalla bocca spuntavano un paio di zanne affilate e l’ampio mantello scarlatto non riusciva a nascondere la lunga coda folta. L’aspetto ricordava quello di un lupo retto sulle zampe posteriori, il viso era allungato e le orecchie appuntite, proprio come quelli di un canide.
«Tu ti ricordi del re?» bofonchiò la bestia.
Il guerriero non trovava la forza di rispondere, la mente annebbiata dai fumi dell’alcool non lo faceva ragionare in modo lucido. «M…Mostro…» riuscì solo a mormorare.
Una poderosa zampata lo colpì in pieno petto.
«Altezza!» gridò disperato il portiere.
«Autolycus» gli disse la creatura «Tu l’hai fatto entrare, quindi è un problema tuo. Entro domani deve sparire.»
 
Gabrielle procedette nel folto del bosco, seguendo le tracce fresche lasciate da Argo. Avanzava con passi rapidi e decisi, nella speranza di raggiungere suo padre il prima possibile.
Il terrore l’assalì quando si trovò davanti alla reggia per anni creduta abbandonata. Le orme conducevano chiaramente alla porta d’ingresso, dove la giumenta pascolava tranquilla. La fanciulla le si avvicinò chiamandola dolcemente, le accarezzò la criniera e controllò che stesse bene. Suo padre però non si vedeva.
Si fece forza e bussò al portone di legno massiccio.
Le aprì un uomo con baffi e pizzetto neri, vestito con una livrea blu. Lei sorrise e si preparò a parlare, ma l’espressione sconvolta dell’altro la fece titubare.
«Cosa desiderate?» le domandò in un soffio.
«Sto cercando mio padre… Il suo cavallo è qui fuori, ma lui non c’è.»
«Oh» mormorò lui spalancando gli occhi «Siete qui per riportarlo a casa?»
«Sì, esatto.»
«Prego» le disse invitandola ad entrare «Vi accompagno da lui.»
Gabrielle venne condotta attraverso numerose stanze e corridoi, tutte dall’aria fatiscente e trascurata, e il suo senso di inquietudine aumentò.
«Vi prego di attendere qui un istante» le comunicò l’uomo entrando nell’ennesima camera.
Lei aspettò pazientemente per diversi minuti, quando il tizio con i baffi fece ritorno aveva l’aria molto preoccupata.
«Non riesco a trovare vostro padre! Era qui fino ad un momento fa! Oh Zeus! E se fosse arrivato all’ala Ovest? No, non può essere… Joxer! Tara! Amarice! Dove siete, stupidi pigroni!?»
A quelle parole accorsero due ragazze e un giovane uomo.
«Che fine ha fatto il nostro ospite?» domandò in preda al panico.
«Noi non lo abbiamo visto» gli rispose una delle fanciulle «Eravamo in cucina e non ci siamo mosse di lì.»
«E tu Joxer?»
«Ahm…» borbottò l’interpellato «Intendete il simpatico vecchietto che mi ha chiesto di vedere l’armeria?»
«Joxer!» lo rimproverò l’uomo baffuto «Non lo hai portato nell’ala Ovest, vero?»
Il silenzio fu una risposta più che sufficiente.
Il gruppetto si mise a correre, seguito dalla biondina, sempre più preoccupata per la salute del genitore.
Quando si trovarono in mezzo ad un corridoio, da poco distante rimbombò un ululato. Un brivido freddo corse lungo la schiena della fanciulla.
In pochi istanti comparve la bestia, tenendo sollevato Meleager per il colletto della camicia che indossava sotto la corazza.
«Questo… Questo intruso» ringhiò furiosa «Ha tentato di rubare il mio tesoro! Deve pagare! E anche tu, Autolycus» continuò rivolta all’individuo con i baffi «Subirai le conseguenze di tutto questo.»
«Vi supplico» intervenne allora Gabrielle «Lasciatelo andare! Lui è un povero vecchio, non sa quello che fa! Sono qui per portarlo via, le giuro che non la infastidirà mai più.»
Lo sguardo di ghiaccio si posò sulla ragazza e vi ci si soffermò a lungo.
«Che ci fa lei qui?» sibilò a denti stetti «Pensavo che avessimo già abbastanza intrusi!»
«Vostra Grazia» cercò di spiegare Autolycus «La signorina è venuta qui per riportare suo padre a casa. Se ne andrà immediatamente.» Gabrielle annuì, come a confermare le sue parole.
«Non posso permettergli di andarsene impunito!» disse però il mostro «Lui ha cercato di derubarmi. Deve essere punito!»
«Per favore» lo supplicò la biondina inginocchiandosi «Lasciatelo in pace, Vostra Magnificenza. Non sarebbe in grado di fare del male a nessuno!»
«Non mi importa! Deve pagare!»
«Allora se proprio volete punire qualcuno, punite me! Resterò qui al posto di mio padre, ma vi imploro, lasciatelo libero!»
La figura ammantata tacque, soppesando le parole della ragazza. «Tu… Tu rinunceresti alla tua libertà per prendere il suo posto?» chiese con estrema sorpresa.
«Certo! Lui è mio padre! Darei la mia vita per lui!»
«Così sia» stabilì con voce ferma «Rimettete l’uomo sul suo destriero e assicuratevi che se ne vada. Intanto voi» disse rivolta alle due giovani inservienti «Accompagnate la nostra nuova prigioniera in una delle stanze dell’ala Est.»
«Ai vostri ordini» rispose il quartetto in coro, trascinando Gabrielle da un parte, mentre suo padre veniva allontanato dall’altra.
Gabrielle venne scaricata senza troppe cerimonie in una stanza fredda e buia e vi rimase a lungo, piangendo disperata. Aveva sacrificato se stessa per la persona che più amava al mondo e non aveva neppure avuto la possibilità di salutarlo. Passavano le ore e lei si sentiva sempre più stanca, fino a che non crollò addormentata sul cigolante letto a baldacchino che occupava buona parte dello spazio disponibile.
«Signorina» la svegliò una voce delicata «Signorina?»
Era una delle due ragazze al servizio della bestia. «Io sono Tara» si presentò, tendendo la mano alla biondina «Ma non sono qui per fare conversazione… La padrona esige che vi presentiate per la cena.»
«Beh» rispose Gabrielle alzandosi «Puoi dire alla tua “padrona” che non è certo questo il modo di trattare gli ospiti e che io non mi muoverò di qui fino a che non sarò tratta come si conviene!» Quelle parole le uscirono di bocca con rabbia, tanto che lei stessa ne rimase sconvolta.
«Riferirò…» le rispose Tara inchinandosi e sgusciando nuovamente fuori.
Il rumore della chiave che bloccava la serratura pose fine ad ogni sua debole protesta. Si vide costretta a tornare sul letto, nella speranza che qualcuno le portasse comunque qualcosa da mangiare. Era digiuna da diverse ore e i crampi cominciavano a farsi intensi.
A notte fonda, come indicava chiaramente luna che poteva scorgere tra le cime degli alberi dalla sua finestra, la serratura scattò di nuovo.
«Signorina, posso entrare?» sussurrò una voce maschile.
«Avanti.»
«Salve» disse il giovanotto che aveva conosciuto poche ore prima «Spero si ricordi di me, sono Joxer.»
«Molto piacere Joxer. Io sono Gabrielle.»
«Ha davvero un bellissimo nome!»
«Oh, grazie» rispose lei arrossendo «Posso sapere per quale motivo ti trovi qui?»
«Pensavo potesse esserle venuta fame, così ho sgraffignato qualcosa dalla dispensa.»
Porse alla fanciulla un pacchetto improvvisato con un tovagliolo contenente del pane e del formaggio. «So che non è molto» disse tentando di scusarsi «Ma è tutto quello che sono riuscito ad arraffare.»
«Oh, ma è più che sufficiente!» lo rassicurò «Davvero. Grazie mille.»
«La padrona non è stata contenta del vostro comportamento. Io non voglio criticarvi, però! Lo dico per il vostro bene! Se la principessa si arrabbiasse neppure le catene di Hephaestus sarebbero in grado di trattenerla.»
«Prin… Principessa?» domandò perplessa la ragazza «Io non immaginavo che…»
«Ma allora voi non conoscete la storia!» esclamò Joxer «Oh, lasciate che ve la racconti…»
Gabrielle, sbocconcellando i viveri, si preparò ad ascoltare.
«Tutto ebbe inizio quando, una sera d’inverno, la dea Athena decise di bussare alla porta di questo stesso palazzo…»
Il narratore si dilungò sui vari passaggi della maledizione e raccontò di come lui e i suoi tre colleghi fossero stati allontanati dall’Olimpo, dove dipendevano da Aphrodite, per essere messi al servizio della sovrana.
«Quindi lei in realtà è una donna?»
«Una giovane donna di rara bellezza, o questo è quello che si deduce dagli oggetti nell’ala Ovest… Oh, di quelli non dovrei parlare!»
«Non importa, Joxer, credo tu mi abbia già detto anche troppo per stasera… Se non puoi dirmi cosa c’è nella misteriosa ala Ovest non fa niente.»
«Bene, bene. Facciamo finta che io non vi abbia narrato nulla, per sicurezza. I miei amici non credo che la prenderebbero bene…»
«A proposito!» lo interruppe lei «Fai le mie scuse a Tara per come mi sono rivolta a lei prima, non volevo essere scortese.»
«Non preoccupatevi, siamo abituati agli scatti d’ira della padrona. Voi a confronto sembrate un fringuello pigolante.»
Gabrielle si concesse una risata. «Che figura poetica! Leggi molto?»
«Oh, no! Io sono tutto meno che un artista. Autolycus mi ripete da sempre che sono uno stupido e io ho finito per credergli.»
«Ma non è vero Joxer! Io ti trovo molto intelligente e anche di ottima compagnia.»
«Siete molto gentile Gabrielle, però ora è meglio che vada. Se la padrona scoprisse che sono passato da voi senza il suo permesso mi torturerebbe.»
E così la bionda prigioniera rimase sola ancora una volta.
 
Draco si fece servire un altro fiasco di vino speziato. Dopo aver “soccorso” la fanciulla quella mattina aveva passato diverse ore ad allenarsi con i suoi uomini, voleva apparire nella sua forma migliore quando si sarebbe presentato a Gabrielle nel pomeriggio. Eppure, quando era andato a trovarla, nessuno gli aveva aperto e non c’era traccia di anima viva all’interno della dimora.
Sconfitto, si era rifugiato nella taverna dove aveva trovato conforto nell’alcool, sempre accompagnato dal fido Hector.
«Signore, non dovreste bere ancora. Non pensavo che un rifiuto vi abbattesse così!»
«Io non sono stato rifiutato!» ribadì il warlord per l’ennesima volta, sbattendo con forza un pugno sul tavolo.
«Continuare a ripeterlo non cambierà la realtà dei fatti» bisbigliò sarcastico il tirapiedi.
«Smetti di giocare con la mia pazienza o la prossima testa che esporrò dalla mia tenda sarà la tua!»
Le parole del guerriero furono però smorzate dallo sbattere della porta della locanda. I presenti si voltarono a fissare l’ultimo arrivato.
«Un mostro, lo giuro! Una bestia nera come i demoni del Tartaro!» sbraitava Meleager barcollando da un tavolo all’altro «Si è presa mia figlia! Dovete aiutarla!»
L’intera sala scoppiò in una fragorosa risata. Cominciarono a circolare battute e le risa si intensificarono.
«E dicci, vecchio, questa “bestia” aveva forse delle lunghe zanne affilate?» domandò qualcuno per schernirlo.
«Sì, sì! Zanne bianche, affilate come pugnali!»
«E sputava fuoco dalle fauci?»
«Sì, fiamme come quelle di un vulcano!»
«E saette dagli occhi?»
«Proprio come Zeus!»
Tutti presero a ridere più forte. L’oste si allontanò da dietro il bancone e trascinò Meleager fuori dalla porta. «E tu e le tue assurdità vedete di stare alla larga da questo posto!» lo minacciò brandendo un coltello.
Il pover’uomo, ancora vestito da battaglia, tornò verso Argo e, aggrappandosi alle briglie, si fece ricondurre a casa, nella speranza che si trattasse solo di un brutto sogno.
 
«Non ci siamo ancora presentate» esordì l’altra ragazza entrando nella stanza di Gabrielle il mattino seguente «Io sono Amarice, il musone alle mie spalle, invece» continuò indicando l’uomo baffuto «Si chiama Autolycus.»
La bionda non rivelò che era perfettamente a conoscenza dei loro nomi e anche della loro storia, doveva tenere per sé le informazioni che Joxer le aveva fornito.
«Speravamo che questa mattina ve la sentiste di fare colazione con la padrona. Lei ha specificato di chiedervi “per favore”.»
La giovane ospite sospirò. Aveva fame ed era stanca di stare rinchiusa come in prigione, ma l’idea di rivedere quel mostro la inquietava.
«Vi supplico» si intromise Autolycus «Dopo la scena di ieri i nervi di Sua Altezza sono molto tesi, non sarebbe consigliabile continuare ad irritarla.»
«Va bene, riferite a “Sua Altezza” che farò colazione con lei.»
I due colleghi sorrisero raggianti. Amarice le portò una tinozza per rinfrescarsi ed un abito pulito.
«Alla signora farebbe piacere vedervi al meglio» le aveva detto. Gabrielle si era lasciata convincere senza troppe storie. Se doveva passare il resto della vita chiusa tra quelle mura, voleva almeno non essere vittima delle proprie paure. Avrebbe affrontato la bestia a testa alta e, chissà, magari avrebbe persino imparato a tollerarne la presenza.
Dopo essersi cambiata fu condotta da Tara alla sala con una tavola imbandita. C’era ogni tipo di pietanza a lei nota e anche di più. Ad un capo, in un’ampia seggiola, stava seduta la principessa. Indossava gli stessi indumenti del giorno prima, aveva però rinunciato al mantello che ondeggiava mollemente dallo schienale della sedia. Non appena Gabrielle entrò nel suo campo visivo, gli occhi cerulei presero a fissarla con intensità.
Con un moto di coraggio, la biondina alzò lo sguardo per incontrare le iridi glaciali.
Si studiarono a lungo, verde nel blu e viceversa, mentre mangiavano in silenzio. Stavano stabilendo una sorta di contatto, poteva essere il primo passo per una convivenza civile.
«Allora…» bofonchiò la creatura, senza smettere di fissarla «Non conosco nemmeno il vostro nome… Sareste così gentile da…»
«Gabrielle» rispose l’altra senza darle il tempo di concludere la frase «E voi invece? Posso chiamarvi per nome o devo utilizzare i titoli imposti dal vostro rango?»
«Potete chiamarmi Xena, se la cosa vi fa piacere.»
La bestia sembrò accompagnare quelle parole con una smorfia simile ad un sorriso, ma l’ospite pensò si trattasse solo di una propria impressione.
«È un vero piacere potervi parlare in circostanze meno… burrascose di ieri…» attaccò Gabrielle per rompere il silenzio che era calato.
«Oh… Certo… Sono terribilmente spiacente per il mio comportamento, non avrei dovuto essere così severa.»
«Già» commentò amaramente l’altra «Non mi avete neppure permesso di dire addio a mio padre…»
«Meritava una punizione ben peggiore per quello che aveva commesso, sono stata magnanima» commentò Xena con una nota di biasimo.
«Intendete dire che ancora non siete contenta nonostante tutto il dolore che, ovviamente, avete provocato a me e a mio padre!?»
«Sono stata clemente con voi! Ho cercato di essere gentile!» ringhiò la bestia alzando la voce.
«Questo non è certo essere gentili!» urlò Gabrielle alzandosi di scatto «Voglio tornare nella mia stanza.»
«No! Voi finirete di mangiare insieme a me!» ordinò la principessa «Non voglio sentire obiezioni!»
La fanciulla, ignorando le furiose parole della creatura, scattò verso la porta e si lanciò a perdifiato lungo un corridoio buio. Non aveva idea di dove si stesse dirigendo, voleva solo allontanarsi da lei il più possibile.
Si trovò a salire una sconnessa rampa di scale che sembrava condurre ad una parte dove ancora non era mai stata. Arrivò davanti ad una porta segnata da profondi segni di artigli, ma, decisa a trovare un nascondiglio, ignorò quel macabro avvertimento. Abbassò la maniglia e spinse l’uscio. L’ambiente era, se possibile, ancora più scuro e polveroso del resto del palazzo. Ammucchiati senza ordine c’erano busti e dipinti che ritraevano, da quanto si vedeva, una bellissima donna, il tutto era però stato rovinato, come se qualcuno o qualcosa avesse cercato di distruggerlo.
Gabrielle avanzò tra il ciarpame, facendo attenzione a fare il meno rumore possibile. Era attratta da un fioco bagliore che proveniva da un angolo. C’era uno specchio che rifletteva la luce e la guidava come un faro.
Arrivò al misterioso oggetto. Era una teca, conteneva una bellissima rosa bianca, pura, che risplendeva debolmente. Tuttavia non aveva l’aria di essere un fiore molto sano, la maggior parte dei petali era caduta e si era seccata, lasciando un pallido letto di morte.
Sfiorò il vetro con le dita e si chiese se quella rosa fosse quella di cui le aveva parlato Joxer, la rosa della maledizione, quella che avrebbe segnato la condanna definitiva della superba principessa. Non poteva essere altrimenti.
«Non toccarla!» ululò Xena «Non devi toccare la rosa!»
«Io… Giuro, non avrei fatto nulla di male!»
«Esci! Esci! Esci! Questo luogo è proibito! Vattene! Vattene e non tornare mai più!»
Con gli occhi pieni di lacrime, Gabrielle riprese la sua fuga. Si scapicollò fino a trovare la porta che aveva varcato il giorno prima, che l’aveva portata dentro quel Tartaro in terra.
Uscì e continuò a correre nella foresta. Ad un tratto, però, giunse ad un bivio che la prima volta non aveva notato. Decise di continuare la fuga, nonostante la probabile scelta errata della strada. A poco a poco rallentò l’andatura, poi fu costretta a fermarsi. Le gambe le facevano male e le mancava il fiato. Si sedette su un macigno per riposarsi, ma un rumore sordo la fece scattare sull’attenti.
«Oh, finalmente un pasto interessante!» tuonò una voce profonda.
La ragazza si voltò in tempo per vedere le gigantesche mani di un ciclope calare una gabbia su di lei.
«No! Lasciami andare!» strillò disperata. Era fuggita da un incubo solo per finire in uno peggiore.
«Non se ne parla neanche! Sono anni che un umano succulentonon mette piede da queste parti. Ho aspettato troppo per lasciarti andare ora!»
La bionda si convinse che quella fosse la fine, non aveva possibilità di uscire viva da quella situazione.
Ad un tratto il ciclope emise un gemito di dolore e si accasciò a terra. La fanciulla non aveva fatto in tempo a capire cosa fosse successo, Xena era spuntata dal folto del bosco e aveva assalito il mostro monocolo. Dopo diversi minuti di lotta, il nemico si allontanò sconfitto e la bestia liberò la bella dalla gabbia.
«Per i numi dell’Olimpo, grazie! Grazie di avermi salvato la vita!»
«Di… Di niente…» le rispose la principessa in un rantolo. Solo allora Gabrielle notò lo squarcio nella camicia e la ferita al fianco che sanguinava copiosa.
«Deve avermi ferito con un’unghia o qualcosa di simile… Fa… Fa male…» si lamentò la bestia.
«Stai ferma» le disse la ragazza mentre osservava l’entità del danno. La pelliccia si stava facendo sempre più zuppa di sangue, assumendo un’inquietante sfumatura cremisi.
«Dobbiamo tornare al palazzo, subito. Hai bisogno di essere medicata.»
«Ci sarà da camminare un po’, non so se sono in grado di farcela con le mie sole forze.»
«Non preoccuparti» la rassicurò la bionda «Ci sono qui io» detto ciò, le fasciò la ferita con il mantello, poi le passò un braccio intorno al fianco, per poterla sostenere.
Si incamminarono lentamente verso il castello, rimanendo in silenzio.
Non appena arrivate vennero soccorse dal quartetto di domestici che portarono di peso Xena fino alla sua camera. «Lasciate che venga…» mugolò la bestia «Voglio che sia lei a curarmi.»
Gabrielle non se lo fece ripetere due volte. La mora le aveva salvato la vita, il minimo che potesse fare era aiutarla, dopotutto era rimasta ferita a causa sua.
Passò un’intera settimana al capezzale della bestia, parlandole, prendendosi cura di lei e persino raccontandole le favole. Attingeva alle sue conoscenze e abilità di bardo per intrattenere la principessa, costretta al riposo per rimettersi appieno dalla ferita.
Quando Xena si sentì meglio, cominciarono ad aprirsi l’una con l’altra. Mangiavano insieme e trascorrevano ore ed ore a chiacchierare. La bestia, ispirata dai racconti di Gabrielle, volle persino tentare di scrivere qualcosa di proprio pugno. Dopo diversi tentativi non andati a buon fine, decise che la cosa migliore sarebbe stata portare la bionda nella biblioteca della reggia. Quando la fanciulla si vide circondata dagli scaffali ricolmi di libri e pergamene non potè trattenere le lacrime di gioia.
Joxer e gli altri osservavano felici il rapporto che si andava rinsaldando ed ormai erano certi che la persona in grado di spezzare la maledizione fosse finalmente arrivata.
«Potremo tornare sull’Olimpo, a servire individui d’alto rango» si gongolava Autolycus.
«Potrò essere di nuovo una ballerina e non una semplice domestica!» gioiva Tara.
«Io…! Io… continuerò a fare quello che sempre fatto… la cameriera» bofonchiava Amarice.
Solo il giovanotto non era certo del suo futuro. Perché tornare ad essere il giullare degli dei quando, tra i mortali, poteva essere trattato con rispetto?
Comunque non avevano ancora motivo di cantar vittoria, visto che il tempo stava scadendo e la maledizione ancora non era stata spezzata. Se i petali fossero caduti tutti Aphrodite li avrebbe lasciati a servire Xena fino alla fine dei suoi giorni, poi non sapevano cosa ne sarebbe stato di loro.
Un pomeriggio Gabrielle si trovava nella sua stanza e osservava il paesaggio dalla finestra, assorta nei suoi pensieri, quando la bestia bussò gentilmente alla porta, chiedendo di entrare.
«Prego, entra pure.»
La principessa scorse subito la nota di tristezza negli occhi della bionda e le domandò: «Che cosa ti turba?»
«Oh, nulla, è solo che sento nostalgia di casa… Sono mesi ormai che non vedo mio padre e non so che cosa ne sia stato di lui… Mi manca molto, vorrei almeno accertarmi che stia bene.»
Sentendola così abbattuta, Xena la condusse nella stanza della rosa, dove le mostrò lo specchio che si trovava dietro la teca. Non era integro, i frammenti erano tenuti insieme dalla cornice. Con l’aiuto di un artiglio, la bestia staccò uno dei pezzi e lo mise in mano a Gabrielle.
«Questo» le disse «È ciò che resta di uno specchio magico, donato a mio padre da Zeus in persona molti anni fa. Può mostrare le persone a noi care, io l’ho usato molte volte per rivedere, anche solo per pochi istanti, il viso di mia madre tra le anime dei Campi Elisi. Devi solo domandare di vedere chi vuoi e lo specchio farà il resto.»
La ragazza ringraziò con le lacrime agli occhi e strinse l’oggetto tra le dita, chiedendo di vedere suo padre. Sulla superficie argentata apparve Meleager, aveva un colorito terreo e gli occhi arrossati, non sembrava per nulla in salute. Era disteso su un pavimento circondato da vetri rotti e chiazze di sudiciume.
Un lamentò sfuggì dalle labbra della bionda.
«Devi andare, non è vero?» le chiese Xena a malincuore, ben conoscendo la risposta.
«Io non posso lasciarlo in quello stato… Devo tornare, prendermi cura di lui, assicurarmi che torni in sé» rispose malinconica.
«Allora va’, sei libera.»
Quelle parole la sorpresero molto, ma la principessa le fece cenno di tacere. «Il mio comportamento è stato ingiusto nei confronti di entrambi, non ho alcun diritto a trattenerti qui.»
«Ma tu non mi stai trattenendo. Io ho deciso di restare con te!» mormorò Gabrielle accarezzandole la guancia «Ora devo andare, ma ti prometto di tornare. Tu sei troppo importante e non voglio perderti.»
Gli occhi di ghiaccio si velarono di calde lacrime e il silenzio calò per qualche minuto.
«Non c’è tempo da perdere» si riscosse la bestia «Purtroppo non ho un cavallo da darti, dovrai andare a piedi, ma Joxer ti scorterà fino al villaggio, per sicurezza.»
Così, con l’amico al seguito, la fanciulla fece ritorno a casa in fretta e furia. Quando arrivò in vista di Potidaea accelerò il passo, come se ogni secondo in più potesse segnare il confine tra la vita e la morte di suo padre.
Lo trovò abbandonato sul pavimento della sua camera e lo soccorse senza pensarci due volte. Passò due interi giorni a prendersi cura di lui, impedendogli di riempirsi ulteriormente di alcool. Joxer rimase al suo fianco per tutto il tempo, aiutandola e dandole il cambio per badare all’uomo.
La mattina del terzo giorno, però, si presentò un visitatore inaspettato.
Gabrielle aprì la porta e si trovò davanti Draco piacevolmente sorpreso.
«Signorina!» esclamò vedendola «Cominciavo a temere che non vi avrei mai più rivista! Dove siete stata? Pensavo ve ne foste andata per non dover tenere fede alla vostra parola.»
Lei ci mise qualche istante a realizzare cosa intendesse il warlord e fu costretta a rispondergli cordialmente: «Mi spiace dovervi congedare in questo modo, ma non ho tempo da dedicarvi, né ora né mai. Sono desolata, ma devo chiedervi di andare.»
Il guerriero fu costretto ad allontanarsi deluso. Mesi e mesi di buona condotta nella speranza di farsi notare da lei, per poi essere trattato alla stregua di un paio di calzari vecchi. Nessuno poteva permettersi di umiliare a quel modo il temibile Draco.
Tornò al suo accampamento, convinto di trovare Hector ad aspettarlo nella tenda, invece un’altra figura stava in piedi al centro dello spazio.
«Oh, salve» gli disse l’uomo misterioso «Stavo cercando il crudele Draco, signore della guerra, ma devo dedurre che voi siate la sua concubina» concluse con una risata di scherno.
«Come osi parlarmi così? Eppure sai con chi hai a che fare!» si infervorò il warlord.
«Tu, invece, non hai proprio la più pallida idea di chi io sia?» rispose l’altro mostrando il petto inorgoglito.
«Ehm, un pallone gonfiato che tra poco userò come puntaspilli?»
«No, stupida testa di legno! Io sono Ares, il dio della guerra!» si presentò accompagnando le parole con un paio di scintille sceniche.
Draco sbiancò. «Oh, signore, perdonate la mia stupidità, sono al vostro servizio!» biascicò con una serie di inchini.
«Per quale ragione hai messo radici in questo misero villaggio? Mi aspettavo grandi cose da te, volevo vederti mettere in ginocchio la Grecia intera! Invece ti ritrovo qui, dopo mesi senza una singola azione malvagia, intento a fare cosa? Conquistare una ragazzina!»
«Perdonatemi, io… Io volevo solo provare a far colpo su una donna senza ricorrere alla violenza…»
«Ma la violenza fa parte del tuo essere! Tu sei un signore della guerra! Non hai tempo per corteggiare le fanciulle! Tu devi prenderti ciò che è tuo di diritto!»
«Ma ora lei non è interessata a me…»
«E allora? Falla tua con la forza!»
«Ma… ma…»
«Ah, sto cominciando a perdere la pazienza!» sbottò Ares «Dimostrami che sei ancora l’uomo degno del mio favore!»
«Qualunque cosa per voi, mio Sire.»
«Dirigiti al castello nella foresta e portami la testa del mostro che lo abita.»
«Ogni vostro desiderio è un ordine.»
Il dio scomparve in una nube di fumo, sogghignando per aver finalmente trovato qualcuno tanto stolto e tanto audace da tentare di uccidere la bestia. Erano anni che aveva intenzione di prendere il controllo su quel regno, ma gli incantesimi lanciati dalle sue sorelle non gli permettevano di agire personalmente. Con l’aiuto di Draco, però, avrebbe finalmente potuto attuare il suo piano di conquista.
Il warlord, ispirato dalle parole della divinità, vide nel compito assegnatoli anche la possibilità di arraffare il più grande bottino della propria carriera. Radunò i suoi uomini, poi si diresse in città, chiamando a gran voce il popolo.
Seguito da una nutrita folla di curiosi, si diresse alla casa di Meleager.
«Vieni fuori vecchio!» chiamò a gran voce «Abbiamo bisogno di te!»
L’uomo uscì in fretta e furia, ignorando le proteste della figlia.
«Raccontaci ancora una volta della bestia, Meleager!» gli urlò il condottiero.
«Oh! Il mostro! Il mostro nel castello! È una creatura orribile! Arriverà di notte e mangerà i nostri bambini!»
«Lo avete sentito tutti? È chiaramente pazzo e sappiamo tutti cosa bisogna fare in questi casi!»
«Rinchiudiamolo!» sentenziò la folla.
«No!» protestò disperata Gabrielle «Vi prego, non portatelo via! Non è pazzo!»
«Se dice il vero, perché non ce lo dimostra?» domandò qualcuno dalla calca.
«Io posso provarvi che esiste! Se lo faccio, lo lascerete in pace?» chiese la fanciulla.
Un mormorio di assenso si levò dai presenti.
«Ecco, prendete questo» disse allungando il frammento di specchio «Chiedete di vedere la bestia e ve la mostrerà.»
«Mostraci la creatura!» ordinò Draco sollevando lo specchio sopra la testa e l’oggetto mostrò quanto richiesto.
Un “Oh” sorpreso riecheggiò, poi una voce indistinta esclamò: «Dobbiamo uccidere la bestia! Eliminiamola prima che lei pensi ad eliminare noi!»
Tutti si armarono con strumenti di fortuna, bramando il sangue del mostro.
«Aspettate, miei cari cittadini di Potidaea» li fermò il warlord.
Per un istante Gabrielle pensò ci potesse essere un’ultima speranza di salvare Xena.
«Non posso permettervi di rischiare la vita in questo modo! Ci penserò io, Draco, ad uccidere la bestia e dopo averla scuoiata vi porterò la sua pelle!»
«Coraggioso signore» intervenne Hector, al segnale convenuto «Cosa desiderate in cambio del vostro coraggio?»
«Se dovessi riuscire vi chiederei di divenire il vostro nuovo sovrano. Vi proteggerei e nessun mostro minaccerebbe la vostra incolumità!» rispose deciso «Inoltre» continuò posando lo sguardo sulla biondina «Una volta tornato vincitore, vorrei prendere in sposa questa deliziosa fanciulla.»
Meleager annuì, incantato dalle parole del signore della guerra. A nulla valsero le proteste di Gabrielle, Draco aveva annunciato la cosa con a testimone l’intera cittadinanza, poi si era diretto a tutta velocità verso la fortezza nel bosco, seguito dai suoi fedeli soldati.
«Dobbiamo avvertire Xena!» esclamò la ragazza rivolgendosi a Joxer «È tutta colpa mia! Devo salvarla!»
«Muoviamoci, se prendiamo il tuo cavallo potremmo farcela.»
Così il duo, in groppa ad Argo, si lanciò all’inseguimento del warlord.
 
La bestia passeggiava nervosamente su e giù per la biblioteca, dove lei e la fanciulla avevano condiviso così tante storie e bei ricordi. Ormai il tempo concessole da Aphrodite stava per scadere, sarebbe stata questione di poche ore, forse minuti, e poi sarebbe stata dannata per l’eternità.
Aveva deciso di aspettare Gabrielle, non le importava quanto avrebbe dovuto attendere. Lei aveva promesso che sarebbe tornata, eppure, dopo tre giorni, non era giunta ancora nessuna notizia della bionda.
«Signora, ci sono problemi» le comunicò Autolycus con aria preoccupata.
«Cosa c’è?»
«Un manipolo di soldati, Maestà! Si stanno dirigendo qui!»
«E che cosa vogliono?»
«Inneggiano… Inneggiano alla… Alla vostra morte» concluse lui con un soffio.
«Lascia che vengano…»
Draco arrivò baldanzoso nello spiazzo antistante la reggia, scese da cavallo e lanciò ufficialmente la sua sfida: «Mostro! Esci dalla tua tana e fronteggiami se ne hai il coraggio!»
In pochi minuti la bestia fece la sua comparsa dal portone.
«Vattene, prima che sia costretta a farti male sul serio» gli ringhiò con poca convinzione.
Lui scoppiò a ridere, seguito dai suoi scagnozzi. «Ti immaginavo più minacciosa! Cos’hai? Sei triste?» le domandò scimmiottando un tono amichevole.
«Non mi ripeterò. Vattene.»
«Me ne andrò, solo dopo averti strappato la pelle di dosso!»
Si lanciò con rabbia verso Xena, sguainando la spada per colpirla al petto. Lei lo lasciò avvicinare, per poi colpirlo in pieno viso con una zampata, facendolo cadere.
«Torna da dove sei venuto, non voglio farti del male.»
Il guerriero sbuffò rialzandosi e sputò un grumo scuro ai propri piedi. «Ti piace giocare duro, eh?»
Riprese ad attaccare senza sosta, mentre la bestia si limitava a difendersi.
«Hai paura mostro? Che cosa ti spaventa tanto? Non sei abituata a fronteggiare un vero uomo?»
Lei non rispose, lasciava che le provocazioni le scivolassero addosso, come la pioggia che aveva iniziato a cadere, trasformando l’improvvisata arena in una pozza di fango.
Il warlord era imbrattato di sangue e terra bagnata, gli artigli erano arrivati alla sua carne più di una volta, mentre lui non era stato in grado di infliggerle neppure un graffio. Stava a poco a poco realizzando di non avere speranze in quel duello.
«È la tua ultima occasione» sbuffò la principessa «Lasciami in pace e io dimenticherò tutto questo.»
Draco si sentì umiliato nel profondo, ma si convinse che un signore della guerra sconfitto fosse meglio di un signore della guerra morto. Lasciò cadere la lama e indietreggiò senza staccare lo sguardo dal mostro.
Dalla porta si affacciarono Amarice, Tara ed Autolycus, che avevano seguito in silenzio lo scontro. «È finita, Maestà?» bisbigliarono.
«Credo di sì…» rispose Xena voltandosi «Adesso lasciatemi entrare, devo andare a controllare la rosa.»
Il nemico notò quella distrazione e ne approfittò. Rapido, saettò verso la spada caduta nel fango e si scagliò contro la schiena ammantata della bestia.
Un ululato di dolore si unì al boato dei tuoni. Con le forze residue Xena si scrollò di dosso il soldato e lo colpì ancora una volta, questa volta lasciandolo inerme. I suoi tirapiedi, spaventati dalla furia negli occhi del mostro e dalle condizioni critiche del loro comandante, fuggirono senza posa. Solo Hector si preoccupò di Draco, recuperando il corpo privo di sensi e trascinandolo via, lontano dal luogo della battaglia.
In quel momento soggiunsero Gabrielle e Joxer.
La bestia si era lasciata cadere senza forze e subito i tre spettatori si erano avvicinati per soccorrerla.
«No!» gridò la bionda, realizzando quanto era accaduto. Balzò da cavallo e corse a perdifiato verso l’ammasso di pelo corvino che gemeva sotto la pioggia.
«Non puoi lasciarmi! Io sono tornata! Te lo avevo promesso!»
«Gab… Lo sapevo che non mi avresti abbandonata» sussurrò.
«Ma certo! Non potrei mai abbandonarti! Io… Io non lo credevo possibile, ma… Ora ne sono certa. Io» disse prendendole dolcemente il viso tra le mani «Io ti amo e non ti lascerò mai più.»
Poggiò un delicato bacio sulle labbra contratte della bestia e in un secondo quelle si schiusero in un sorriso.
«Ti prego» continuò fissandola negli occhi «Non abbandonarmi…»
«Mi dispiace… Io… Non credo di farcela… Sento tanto freddo…»
«Ma non è giusto!» gridò con rabbia la fanciulla «La maledizione dovrebbe spezzarsi! Tu hai imparato il valore dell’altruismo e del sacrificio, sei riuscita a farti amare! Perché Athena e Aphrodite non intervengono!?»
«Shh… Non c’è bisogno di urlare» la rimproverò Xena «Ormai la maledizione non ha più importanza. Ho tutto ciò di cui bisogno. Sono la persona che ami e per me questo vince qualsiasi punizione divina. Voglio solo vivere questi miei ultimi secondi guardandoti negli occhi.»
Il bardo e la bestia si fissarono per un lungo istante, sotto la pioggia battente.
Xena continuò a sorridere fino all’ultimo, poi, con un ultimo spasmo, si lasciò andare tra le braccia dell’amata.
La vita è così ingiusta… realizzò Gabrielle stringendo a sé il corpo senza vita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per riportare in vita la bestia, la sua bestia.
I quattro domestici non furono in grado di aprir bocca, osservarono la scena impotenti.
La bionda aveva esaurito le lacrime, la pioggia sostituiva le gocce che le sarebbero altrimenti scivolate copiose lungo il viso.
«Andate a prendere la rosa» disse senza lasciare la presa su Xena «Dovrebbe averla accanto a sé.»
Joxer si allontanò mesto e tornò con il delicato fiore tra le mani. Un unico petalo solitario aveva resistito attaccato al gambo.
Gabrielle lo prese tra le mani e lo avvicinò alla bestia, lasciando che il bianco baluardo cadesse sul suo cuore.
Quando il petalo le sfiorò il petto, la creatura si scosse.
La bionda, spaventata, si staccò dal corpo.
La pelle prese a muoversi e ad un tratto si squarciò. Ne uscì una ninfa, o almeno tale parve a Gabrielle. Un corpo d’alabastro ornato da una chioma d’ebano. La figura si chinò e si coprì con il mantello, per ripararsi dall’acqua.
Il bardo, con la bocca spalancata, cercò i suoi occhi.
Azzurri come solo gli occhi del suo amore potevano essere.
Le corse incontro e la abbracciò forte, mozzandole il fiato.
«Allora?» domandò Xena sciogliendosi dalla stretta «Come ti sembro?»
«Sei la creatura più meravigliosa del creato. Per me lo sei sempre stata.»
Si scambiarono un appassionato bacio, tra le urla festose degli altri quattro che presero a danzare e a cantare con gioia.
Le due donne rimasero attaccate a lungo, come se il dividersi significasse perdersi per sempre. Alla fine, con le mani intrecciate, avanzarono, al culmine della felicità, fin dentro il castello dove avrebbero festeggiato per quello e molti altri giorni a venire.
La gioia fu sempre loro di compagnia, così come Joxer e i suoi compagni che non vollero tornare a servire gli dei, ma decisero di restare al fianco delle due fanciulle che avevano imparato ad amare. Anche Meleager si aggiunse alla corte, proponendosi come guardia e difensore dei giusti.
Venne il giorno, però, che la vita di palazzo non fu più abbastanza per Gabrielle. Lei voleva vedere il mondo, conoscere persone, visitare luoghi, non era fatta per restare rinchiusa tra le mura di una fortezza. Così, insieme a Xena, lasciando le questioni di stato in mano al fidato consigliere Autolycus, decise di partire alla ventura.
La porta del palazzo era spalancata e un gruppetto di cinque persone salutava le due figure che si allontanavano a dorso di una giumenta color miele.
«Questo secondo te è un lieto fine?» domandò Athena alla sorella, osservando la scena dall’Olimpo.
«Non lo so» le rispose Aphrodite con un sorriso «Ma è il genere di fine che piace a me.»
 
Nota dell’autore: allora, spero che la storia vi sia piaciuta e vi invito, come sempre, a dirmi la vostra con una bella recensione. Non può mancare anche qui la parte dei ringraziamenti a wislava che continua pazientemente a correggere tutto quello che la mia mente malata partorisce. Mi scuso con tutti coloro che seguono “Second Chance” perché ultimamente ho dedicato le mie energie a questo racconto, tralasciando un po’ il capitolo 12 della mia ff principale, ma so che mi perdonerete. Causa studio e altri impegni non so quando finirò di scriverlo e dunque metterlo in rete, tra l’altro la mia beta se ne va in vacanza, quindi prendetevela con lei XP
Direi che per questa volta è tutto. Grazie di aver letto e spero che vi siate divertiti. Alla prossima.
Curiosità: l’autrice che ha trasposto per iscritto la prima versione della fiaba La Belle et la Bête si chiamava Gabrielle (Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, per essere precisi), quindi era destino che questa storia venisse trasposta nello Xenaverse.
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Xena / Vai alla pagina dell'autore: GirlWithChakram