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Autore: mirrorsoflife    24/06/2014    0 recensioni
George McCarthy, protagonista e giovane scrittore inglese di successo, ha appena pubblicato il suo ultimo libro: "L'ansia". Il suo successo viene reclamizzato su tutte le principali testate giornalistiche e nell'universo degli appassionati di thriller non si parla d'altro. George desidererebbe tanto godersi il tanto guadagnato successo e il meritato riposo ma una catastrofe sta incombento sulla sua vita. I personaggi, le ambientazioni e il patos, nate dalla sua immaginazione e impresse su carta, ora sono diventate realtà (o almeno sembra) e George inizia a vivere la sua immaginazione finendo in un vortice che lo porterà in posti ormai dimenticati. Un racconto che vi terrà incollati al monitor.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sono qui, al centro della pianura di Radnor park, accarezzato da una fresca brezza primaverile che mi smuove la camicia e mi fa arrossare il naso. Lo sguardo all'orizzonte, sopra l'ultimo albero, dove il sole tramonta. Come se mi stesse augurando la buona fortuna e mi desse l'addio. Sono circondato da un manto d'erba verde chiaro, di quel verde che solo le piogge inglesi, e i giardinieri inglesi, riescono a creare. Laggiù, tra Radnor park west e la avenue, si é pitturato un angolo di mondo, l'unico in grado di infondermi un senso di pace, benessere. L'unico posto in cui avrei passato, e passerei, l'eternità. Gli ultimi gabbiani si alzano in volo, trascinandosi controvento verso l'estremità del triangolo verde. Prima di poterli veder scomparire mi volto e osservo il laghetto alle mie spalle. Grandi nuvole rosee si rispecchiano nell'acqua trasparente, muovendosi piano, assaporando la loro passeggiata celeste. Mi appoggio di spalle alla ringhiera che contorna lo specchio d'acqua e, deciso ad assaporarmi il momento e quel lasso di perfezione che nel Regno Unito capita una volta ogni millennio, mi tolgo le scarpe. Adesso mi sento più libero mentre l'erba sfiora e solletica dolcemente i miei piedi nudi, più in pace. Frugo nella tasca della camicia alla ricerca del pacchetto di sigarette, sfilandone una e accostandola alle labbra. I miei occhi tornano a vagare sull'orizzonte, dove il sole è ormai calato tanto che l'accendino procura più luce di esso. Incendio la sigaretta e chiudo gli occhi. Con una boccata assaporo l'aroma di tabacco, che ho l'impressione che cambi a seconda del luogo e dello stato d'animo in cui mi trovo. Uno spazio di tempo tendente alla perfezione. Riapro gli occhi e osservo il fumo che risale la mia bocca e accarezza le labbra mentre fuoriesce libero, creando piccoli rivoli che il vento trascina via con sé. Sorrido. Il mio sguardo torna alla ricerca di ció che prima illuminava tutto, ancora lí, a fissare gli anfratti di cielo che riesco a scorgere tra gli alberi.

Incredulo sento le mani tremare e la sigaretta appena accesa mi cade a terra. Mi accorgo di come tutto sia mutato nell'attimo in cui ho chiuso gli occhi. Ora l'angolo di pace, che poco prima si stagliava di fronte a me, non esiste più. Tutto è buio. La pace di poco fa, ora è un urlo di minaccia, terrore, pulsante sul mio corpo e sui miei timpani. Si innesta dentro me una sensazione, la stessa che si ha quando si è persi dentro un labirinto. La mia testa oscilla nervosamente cercando una via di fuga, o almeno una spiegazione a quell'oscurità improvvisa, trovando rifugio nelle lontane luci fredde dei lampioni. Luci che non ispirano sicurezza, ma rendono il quadretto più freddo e cupo di quanto non fosse già di suo impedendomi di vedere il suolo su cui metto i piedi. La fresca brezza, ora è vento gelido e il buio amalgama gli alberi, il prato e il cielo confondendoli, senza lasciarmi la capacità di poterli differenziare. Il vento stranamente non genera alcun rumore, nessun fruscio.

Sono solo con la compagnia di un silenzio assordante che pulsa denso sui miei timpani e mi rende difficile anche pensare,figuriamoci fuggire. Incalzo le scarpe e raccolgo lo zaino, dirigendomi in fretta verso la prima uscita del parco. Cammino nervosamente tagliando in mezzo al parco dirigendomi verso la strada di fronte a me, saranno circa 800 metri, posso farcela. Dando la schiena alla radura ho la sensazione che degli sguardi minacciosi mi stiano puntando fissi sulla schiena. Accelero il passo ma la curiosità vince sulla paura, così mi volto per osservare se stia succedendo qualcosa alle mie spalle. Solo in quel momento lo noto. Un piccolo lampione ottocentesco, di quelli che il secolo scorso tappezzavano Londra, posizionato al centro del parco, disegna un cerchio giallognolo attorno a se. Non c'era. O probabilmente non mi sono accorto della sua presenza poiché assuefatto da quella visione celestiale. Chi lo ha installato li? Perché l'ha fatto? Che utilità ha? Rallento il passo fino a fermarmi, per poter osservare meglio quella fioca luce. Sistemo lo zaino sulle spalle e cerco di mettere a fuoco al meglio quella fonte di luce solitaria, come se quella luce avesse le risposte del perché di quel buio. Si spegne. Come se un eccesso di tensione l'avesse fulminata. Passa qualche secondo e si riaccende per poi spegnersi di nuovo. Alzo il sopracciglio perplesso, senza capire ne il perché della posizione ne perché ora la luce sia diventata intermittente. Un'intermittenza spaventosa, non seguiva un tempo preciso era come sballato, fastidioso ma ipnotizzante. Muovo qualche passo all'indietro senza distogliere lo sguardo dal lampione. Ho gli occhi sbarrati e respiro affannosamente inciampando su qualche sasso. Indietreggio impaurito con la consapevolezza che di li a breve qualcosa sarebbe successo. Il lampione si piega a causa del terreno smosso e contemporaneamente sento un forte rumore, un crack, come di ossa che si spezzano. Provo un forte dolore alle orecchie causato da quel suono e poco dopo un fischio che elimina tutti gli altri rumori. Stordito cado a terra inciampando su diversi massi. Cerco di rialzarmi ma stare in piedi mi genera dolore alla caviglia, quindi mi muovo sulle braccia usando come supporto la gamba rimasta incolume alla caduta. Osservo il lampione mentre viene inghiottito dalla terra e ammiro la luce fioca scomparire completamente. Sento il terreno muoversi e fremere sotto me. Grandi zolle di terra iniziano a distaccarsi le une dalle altre, come se stessero galleggiando. Vedo le fredde luci ai bordi delle strade che, assorbite dalla terra, spariscono in lontananza. Sento i rami e le radici degli alberi spezzarsi e finire anche loro in quei buchi oscuri del terreno. Mi rialzo, il dolore lancinante non mi permette di camminare ma comunque inizio una corsa barcollante e affannosa verso la strada, alla ricerca di una salvezza. Cerco di non caricare il peso sulla caviglia dolorante, ma non è un compito facile. Rimango in piedi e più velocemente possibile tento di allontanarmi dal centro del parco, luogo in cui ora si è formata un'enorme voragine affamata e disgustosa. Stava inghiottendo tutto, terra, lampioni, alberi, perfino la luce. Mi trovo poco distante dal bordo del parco, sento la terra cedere sotto i miei piedi. Accelero il passo finche non urlo dal dolore, la caviglia per un momento cede, facendomi scivolare a terra. Mi rialzo a fatica, striscio in avanti. Manca solo qualche metro. Un albero alla mia sinistra è stato ribaltato da quella forza della natura, se così possiamo chiamarla, e ora si trova sottosopra. Manca solo qualche metro. Faccio un ultimo balzo per superare le ultime zolle di terra sperando di atterrare sull'asfalto. Un dolore incredibile alla caviglia, ora è sicuramente slogata, urlo come mai ho fatto in vita mia. Solo qualche metro. Appena alzo i piedi da terra inciampo su alcune radici. Cado. Sto per finire in uno di quei buchi, cerco un appiglio, qualsiasi cosa possa sostenermi. Cerco di appendermi, conficco le unghie nel terreno, e trovo un punto su cui reggermi. Una radice, non troppo robusta, non so per quanto reggerà il mio peso. Sento la caviglia pulsare e il sangue caldo scorrere sul piede. La radice scricchiola a causa del mio peso. Non voglio morire. La voragine mi ha ormai raggiunto. La sento sotto di me, sta ingurgitando tutto. Respiro in preda al panico. Non voglio morire! La radice scricchiola e si spezza. Sto cadendo nel vuoto. Urlo ma quel buco riesce a soffocarmi. Mancavano solo pochi metri. Buio.

Mi sveglio urlando, madido di sudore. Muovo gli occhi terrorizzato e incredulo di essere ancora vivo. Respiro e richiudo le palpebre, era solo un incubo. Sono ancora vivo e al sicuro nel mio piccolo bilocale di Bedford Street. Fisso il soffitto, la luce proveniente da un lampione stradale si proietta su di esso attraversando le leggere tende della finestra. È divertente osservare come le pieghe del tessuto disegnino strane forme, assomigliano a uomini, cinque uomini in piedi che mi fissano. Che stronzate. Alzo la testa. Coperte e lenzuola sono sul pavimento. Qualche vestito per terra e della biancheria sporca che tiene compagnia al mio zaino sul divano alla mia destra. Mi alzo dolorante e mi trascino sedendomi al bordo del letto. Appoggio la testa tra le mani, spostando i capelli sporchi e appiccicosi. Che sarà mai stato? Vi è sempre un perché ai sogni, ma quello che significava? Troppe domande, troppo presto per rispondere. Osservo l'orologio appoggiato sul comodino, segna le cinque e quarantasei. I tentativi di riprendere sonno sarebbero inutili, mi conosco fin troppo bene. Mi dirigo in cucina per bere qualcosa. Ciotole e pentolame luridi giaciono lí, a putrefarsi nel lavello, apro il frigo. La luce mi acceca, obbligandomi a coprirmi gli occhi assonnati con l'avambraccio. Afferro un bicchiere che apparentemente sembra pulito, lo posiziono sotto il rubinetto e, dopo qualche gorgoglio metallico, mi restituisce dell'acqua calcarea e arrugginita. Dovrei far controllare le tubature. Mi appoggio al bancone della cucina ripensando all'esperienza appena vissuta. Deve avere un significato, il mio cervello non genererebbe queste immagini se non fosse minacciato da qualcosa...

Il mio cervello, già. Ora che ci ripenso sarebbe stato sicuramente meglio se fosse stato lui a generare quelle immagini, almeno avrei avuto la consapevolezza di essere pazzo, e mi sarei arreso. E invece non fu così. Nel giro di poco tempo avrei percorso una strada tortuosa che mi avrebbe portato alla morte.
   
 
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