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Autore: ParalyzedArtwork    24/06/2014    0 recensioni
Quanto può lacerare una verità? Quanto le emozioni possono portare alla morte?
Una storia ispirata alla saga di Saw-L'enigmista.
Per tutti gli amanti di qualcosa di delicato ma non troppo forte.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E la folla gridava, imprecava contro l’edificio, agitavano cartelloni  ed insegne con sopra le classiche frasi che parlano di giustizia. Si erano radunati quasi tutti gli abitanti delle cittadina, soprattutto madri, che chiedevano giustizia e di sapere la verità. Numero volanti della polizia locale costeggiavano l’edificio, ma erano completamente vuote, desolate, ormai i carabinieri affiggevano nastri intorno all’edificio, per segnalare il pericolo e di restarne lontani e sopratutto al di fuori. Avevano ormai tappezzato tutte le entrate e le finestre, usufruendo di una scala e con il grande aiuto dei pompieri. Non si trattava di un caso che pretendeva l’intervento del R.I.S. e l’ambulanza aveva già fatto il suo dovere, era un fatto comune, ma qualcosa sembrava non quadrare e la gente dopo quel fattaccio si era mossa in gran massa. Infatti l’iniziativa di bloccare tutto l’edifico, era nata per paura che la folla potesse danneggiarlo, contribuendo alla sua prossima decadenza. I carabinieri finito il bendaggio, cercavano di respingere la folla che premeva in modo sempre maggiore per entrare nell’edificio.


Passando da Vial Grande, la strada centrale da cui si diramavano milioni di viuzze che formavano la struttura dell’intricata città, che all’ora di pranzo si riempiva di ragazzi che si recavano in fermata per prendere l’autobus, da lì i ragazzi, come ogni persona, poteva vedere quel edificio che svettava lontano; un tempo possente e i movimenti di folla presenti in quel frangente.
Passeggiavano l’uno accanto all’altra, e furono rapiti da quei movimenti così incessanti. Arrestarono pian piano il masso, e rivolsero tutto il loro sguardo verso quell’infinito così vicino, arcuando le sopracciglia, cercavano di aguzzare lo sguardo per notare meglio cosa stesse succedendo. Improvvisamente un lieve brivido salì su per la schiena dei ragazzi.
 Markus rimase immobile, con lo sguardo fisso e digrignò i denti, quasi a far morire quella lieve rabbia, in quel gesto apparentemente così debole, che senza il minimo accenno di controllo avrebbe potuto spaccargli la sua dentatura perfetta.
Cassandra strinse la tracolla della sua borsa, si potesse dire assomigliasse alla figura mitologica di Caronte, aveva gli occhi di fiamma, per la fierezza che riusciva sempre a dimostrare. Mentre lei, Josephine, con gli occhi languidi pieni di risentimento e pietà di strinse a se, quasi per proteggersi  dalla venuta di un venticello invernale gelido sul suo corpo.

Era rimasti immobili alla fine della via, a fissare da lontano quell’edificio e la folla  che veniva piano piano allontanato dalla polizia, ma non erano gli unici. Perfino i ragazzi intorno a loro si erano accorti di quello strano movimento sulla collina della città; anche se cercavano di far finta di nulla. Da quando era successo quel fatto nessuno era riuscito più a guardare in faccia la realtà, si era solamente cercato di evitarla. Piano piano tutti erano scappati ed anche loro erano rimasti soli, in un mare di dubbi che ognuno cercava di ignorare nel proprio cuore.


“Non possiamo far seppellire anche la verità.”

detto questo scosse la testa, tenendo gli occhi fissi verso quella lontana struttura e si diresse verso l’autobus che ormai era arrivato.  Markus e Josephine, mostrando in volto una malinconia quasi soffocante la seguirono senza dire nulla. Cassandra era sempre stata, dopo Ambra, la ragazza più forte del gruppo, forse persino più forte di lei. Aveva sempre nascosto le sue vere emozioni dietro un carattere scontroso e molto serio, era difficile comunicare con lei, ma si era sempre rivelata una buona amica, in ogni situazione. Anche sta volta stava facendo lo stesso, nascondeva dolore dietro una finta rabbia che lentamente la stava consumando a differenza di Josephine, che aveva il carattere tra di loro più dolce e indifeso che lentamente si faceva logorare dal dolore che emergeva sempre più feroce in superficie mentre Markus, Markus era una persona razionale, nulla da aggiungere per le persone come lui.


Le loro vite erano cambiate senza saperlo, così improvvisamente che non si erano mai fermati neanche un secondo a pensare a come andare avanti, che cosa avrebbero dovuto fare per superare tutto ciò. Cassandra continuava a fissare, man mano che l’autobus si allontanava dalla fermata quell’edificio, quella folla. Aveva isolato ogni rumore, chiacchiericcio intorno a lei, cercando di immaginare solo il rumore del vento che al di fuori del finestrino muoveva gli alberi violentemente, facendo combaciare perfettamente quel rumore ai battiti del suo cuore.
Afferò lo zaino e si girò verso Markus che era seduto proprio dietro di lei.

”Scendiamo.”


Markus alla sua richiesta su parecchio perplesso, ma trovandosi ancora in uno stato di malinconia generale, mosse il corpo di Josephine pogiante sulla sua spalla addormentato per farle cenno di scendere. La ragazza come egli stesso era parecchio perplessa e stranita dall’improvviso risveglio. Mancavano si e no una decina di fermate ancora alla sua casa e ne erano passate circa tre da quando erano saliti su all’autobus. Fissò il volto di Cassandra che teneva d’occhio qualcosa, qualcosa non visibile a loro, qualcosa in lontananza. Aveva sempre quell’aria così fiera e decisa che mai nessuno osava contraddirla.


Cassandra teneva lo sguardo fisso verso qualcosa anche dopo essere scesa dall’autobus era come se qualcosa dentro di lei la turbasse come se avesse dovuto accertarsi di qualcosa, il più presto possibile. Iniziò ad incamminarsi lungo Vial Grande, rimanendo muta come un cadavere.
Markus l’afferrò per un braccio.

”Ehi, dove stai andando? Perché sei voluta scendere?”


Il vento le scompigliò i lunghi capelli rosso mogano, i quali avevano sempre una postura così perfetta da far invidia a chiunque, coprendole uno sguardo perso nel vuoto e nel dolore.


“Non voglio che tutto vada perso, non voglio che qualcuno possa infangare la verità. Non voglio che la sua morte venga dimenticata. “
”Che vuoi dire?”
”Per tutti questi giorni, abbiamo fatto finta che lei non fosse mai esistita, tirando avanti come fosse nulla, come la sua presenza fosse stata solo di passaggio nelle nostre vite, quando invece l’ha cambiata in ogni minimo dettaglio. Io so perfettamente che quello che è successo non è stato solo un incidente, come lo sapete anche voi e come lo sanno tutti.”
”Ci hanno dato la colpa, ognuno di loro, che cosa potremmo mai fare?”


A questo punto era intervenuta una vocina tenera e candida come la neve, la quale riparatasi dietro Markus lasciava intravedere solo i lunghi capelli biondi.

”Dovremmo smetterla di scappare e dimostrare che la verità è là fuori.”

Detto questo indicò l’ospedale sulla cima della collina.

”Sappiamo tutti chi è stato. Tutti voi avete ricevuto quell’avviso.”
”Non possiamo avvicinarci anche se fosse e poi sarebbe pericoloso.”
”Ne sei sicuro?”
”Hanno sbarrato ogni entrata, non è permesso nemmeno più avvicinarsi a momenti.”
”La folla non durerà per sempre.”


Erano arrivati ormai in cima alla collina, si erano appostati dietro una siepe nella vicinanza. La folla era quasi completamente scemata ed il passaggio sembrava essere libero. Perfino la polizia aveva deciso di andarsene via, rimaneva solo a terra qualche cartellone infangato qua e là.
Era ormai tardo pomeriggio ed il vento aumentava sempre di più. Avevano passato tutto il pomeriggio lì ad ascoltare le urla della gente a sentirsi chiamare anche, a volte, assassini. Assassini del nulla per loro. Ma tenendo i denti stretti erano riusciti a superare anche questo, chiudendosi in gruppo come avevano sempre fatto e cercando di tirar su principalmente Josephine, la quale aveva quasi sedici anni ma sembrava dimostrare tredici, sia d’aspetto sia caratterialmente. Era la classica ragazza dolce e gentile, dai lunghi capelli biondi e gli occhini azzurri, indifesa.
Alla fine avevano deciso di creare scompiglio, la folla aveva aumentato le guardie intorno all’ospedale e non avevano ancora un piano ben delineato, pertanto decisero di tornarsene ognuno a casa proprio.


Durante il viaggio di ritorno, nel momento in cui si sarebbero dovuti dividere, Markus fu distratto da qualcosa e fu il primo ad abbandonare le ragazze. Aveva sentito qualcosa intorno a lui. Una voce, un fruscio sospetto. Nei boschetti intono alla collina non c’erano molti animali o almeno animali tanto grandi da fare un tale rumore o produrre tali ombre. C‘era qualcosa che non quadrava e tutto era iniziato con quell’avviso o solamente molto prima.
Camminando immerso nei suoi pensieri si ritrovò davanti all’ospedale, ma da un’angolazione di versa da quella in cui era rimasto tutto il giorno. Il vento soffiava impetuoso e il sole sarebbe calato a momenti. Si era avvicinato al lato della struttura sulla quale era posta la scala antincendio che dava su una porta. Gli era sembrato di vedere un ombra muoversi in quella direzione ed aveva cercato di avvicinarsi il più possibile.
Cercava di aguzzare gli occhi il più possibile, anche se il vento gli scompigliava i capelli neri, cercando di tenerli a bada vide ancora qualcosa. Immerso nell’ombra dei cespugli cercò di avvicinarsi il più possibile a quell’ombra che aveva visto sparire dietro la porta.
Era alla base della scala antincendio ormai.
Le parole dio Cassandra e le loro risate, le risate di tutti e quattro insieme, le risuonarono in testa, quasi fossero trasportate dal vento, così pesanti e rumorose.
Scosse la testa e decise di tornare indietro, aveva immaginato tutto, stava diventando paranoico e forse avrebbe dovuto iniziare a prendere quelle pasticche che sua madre le aveva fatto prescrivere poco tempo fa.
Era solo un periodo strano. Sarebbe passato tutto, bastava solo un po’ di riposo.
Per un individuo razionale come lui questa gli parve l’opzione più saggia da seguire, quando alle sue spalle, nel silenzio più strano del vento, si sentì, un leggero clack ed cigolio.
Si girò lentamente. Il cuore fu portato via dal vento che impetuoso aveva ripreso a soffiare e creare dietro di lui uno strano rumore.
Come qualcosa che collide con qualcos’altro.
Paralizzato, sgranò gli occhi e lentamente, lasciando indelebili le sue impronte sulla terra, si girò.
Dalla porta proveniva una luce fioca.
Respirò cercando di sfruttare il vento che soffiava per sopravvivere.
Era un respiro pesante, contaminato da quel vento e quello strano cigolio continuava.

Le scale anti incendio erano fredde, respirando affannosamente, iniziò a salirle.
I rumori intorno a lui continuavano e quando fu quasi alla cima, vide la porticina quasi aperta che sbatteva sullo stipide della porta dalla quale filtrava una fioca luce gialla.
Improvvisamente il vento soffiò più gelido ed impetuoso del solito e vide per un istante l’ombra di un uomo in quella luce.
Il sangue nelle sue vene era ormai ghiacciato ed intorno a lui il sole stava lasciando spazio alla notte. Quando un ultimo soffio di vento fece urlare di dolore ogni albero intorno a lui e chiuse la porta con un clack secco.

Markus si precipitò in cima alla scala e provò ad aprirla.
Aggitò violentemente la maniglia della porta ma sembrava quasi bloccata.
Il vento soffiava nella sua direzione, scompigliandogli i capelli.
All’improvviso lasciò andare alla maniglia, con un lieve senso di rabbia.
Si sedette esausto accanto alla scala, lasciando pendolare i piedi verso il fondo in balia del vento.
Chiuse gli occhi cercando di farsi trasportare via dal vento sentirsi leggero, sentirsi come se non fosse mai esistito, come se tutta la sua esistenza fosse sparita   ma in quel momento una folata di vento, fece scattare la serratura che si spalancò violentemente, mostrando dietro di lui un’ombra ed una risata malefica, che si confondeva con il fruscio delle foglie.


Markus si girò di scatto, vide una luce sparire e un ombra sparire con lei. Era la sagoma di una persona. Lentamente la porta si stava richiudendo.
Afferrò appena in tempo la maniglia e respirando si richiuse la porta alle sue spalle.
   
 
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