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Autore: Elefseya    24/06/2014    2 recensioni
Olim - Sprezzante e sgarbato fu il gesto con cui liberò la mano dall’altrui presa, veloce come se avesse appena toccato qualcosa di ustionante; sdegnosa l’allontanò prima che venisse catturata di nuovo dalle mani di lui e che il suo volto stesso sentisse la pressione gentile e delicata di quelle dita, costringendola a fissare la notte degli occhi di Marcus, e a lasciare che lui stesso potesse guardare i suoi. Imperdonabile.
Hodieque - «Puoi perderti ancora, sai.»
Un dolce soffio che inebria le labbra di Elena; notte che incanta e cattura fatalmente il suo sguardo, che l’attrae con prepotenza, senza concederle la possibilità di ritrarsi.
«Potrei.»

[ Repubblica di Venezia!centric - San Marino ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Serie: Axis Power Hetalia
Titolo: Ὀρχέομαι - olim hodieque
Titolo capitolo: Olim - Ὠρχούμην
Personaggi: OC - Serenissima Repubblica di Venezia (Elena Lucrezia Caterina Cornaro), OC - Repubblica di San Marino (Marcus Alighieri)
Warning:
//
Wordcount: 1350
Challenge: Writing Stuff Series
Prompt: Day # 14 - « Rinuncia al tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti»
Note: 
- Il titolo significa "Io danzo - ieri e oggi". - Il titolo del capitolo significa "ieri - danzavo" , sottolineo che il verbo è all'imperfetto, che in greco descrive l'azione nella sua durata in un contesto passato
- Le frasi in latino sono tratte dall'oratorio di Vivaldi "Juditha triumphans devicta Holofernis barbarie" (più informazioni utili qui) , non ve le traduco perché non è funzionale alla trama, in realtà. Però, piccola noticina: se per caso vi capitasse di ascoltare questo piccolo gioiello, notate che l'ultimo coro è l'inno ufficiale della Serenissima, per questo l'ho usato più volte come riferimento e qui lo trovate citato pari pari.
- Le frasi che trovate allineate a destra sono tratte dalla canzone La Candela e la Falena di Branduardi (-piccolo inchino al cospetto del Maestro-), che ho trovato particolarmente adatta alla situazione
- Storia che dividerò in due capitoli, uno ambientato nel passato e uno nel presente, perché solo così riesco a dare un senso al prompt <3
- Piccolo prologo così capirete: 1797, Venezia viene conquistata dai Francesi blablablabla, Elena se ne va e trova rifugio a San Marino blablablabla

- UNA MEGA DEDICA A BARBARA, la mente geniale che sta dietro il bel tenebroso Marcus, ma soprattutto una dolcissima e meravigliosa persona che si merita questo e ben altro oltre a queste parole messe a caso e in malo modo <3

Disclaimer: la serie appartiene a Himaruya, Venezia a me e San Marino alla mia bella signorina Barbara <3



« Olim -  Ὠρχούμην »
“Arma, caedes, vindictae, furores”
(Militum pugnantium in acie cum timpano bellico)

 


«Io ti canto, bella falena,
che tu sei di mia luce amante.
Tu non conosci la verità,
il tuo volo è un 'illusione.»
- A. Branduardi, La Candela e la Falena -



 San Marino, 1797

 
Bambola di porcellana: così appariva Elena in quell’istante a chiunque la vedesse.
Lo sguardo -un tempo vibrante di vivace viziosità e malizia- osservava con spento interesse le fiamme danzanti nel caminetto; occhi vuoti sostituivano quell’immagine di accogliente calore con il fumo nero e denso che proveniva dagli edifici di Venezia e si rifletteva nell’acqua, tingendola di cupo grigio; la fiera bellezza era sfiorita da quelle gemme smeraldine che erano i suoi occhi, ora velati dalle palpebre calate pesantemente su di essi.
Non sospirò e non pianse: alla solitudine della notte della sua stanza in quel rifugio era riservato il privilegio di ascoltare le note amare della sua silenziosa lirica funebre composta dal pianto improvviso che la coglieva, senza pietà alcuna.
Ma in quel momento no. Non le era concesso versare lacrime o lasciare che il cuore dolesse stringendosi nel petto in una morsa fatale.
Bastava abbandonarsi alla morbidezza dei cuscini di quel divano rivestiti di broccato dalle intricate fantasie floreali, al calore del cupo velluto cremisi costellato di pietre e impreziosito dal merletto dorato e dalla seta nera, alla freschezza del duro mogano su cui giaceva una sua mano, allo scoppiettio del fuoco ipnotico che illuminava la sala a giorno assieme alle candele.
E aspettare.
Il silenzio era il pentagramma dove il suo apatico dolore si riversava nella sua immobilità accidiosa, la melodia si chiamava “oblio”.
A rompere la melanconica disarmonia furono dei passi lenti e decisi, che la destarono dal suo muto cantare e la costrinsero ad aprire nuovamente gli occhi oziosi.
San Marino, davanti a lei, la scrutava impietoso, con quegli occhi zaffiro -stregati senza dubbio- che potevano sondare con terrificante semplicità ogni recondito angolo dell’anima peccatrice e condannata della Serenissima.
Insopportabile.
Non era mai stato concesso a nessuno di poter vedere la Regina inerme, immobile, in silenziosa e involontaria supplica.
Mai.

Lì, in quegli smeraldi opachi offuscati da memorie di agonia, Marcus poté vedere la bestia ferita gemere, e vi poté leggere la rassegnazione dominante su quel cuore ormai pulsante solo per inerzia e non certo per desiderio di vivere.
Quello se ne era andato, bruciato dallo stesso fuoco appiccato dai francesi che aveva consumato il gonfalone marciano in piazza San Marco, rendendolo un mucchio di brandelli di stoffa annerita e cenere.

«Non ti ho vista stasera.»
«Lasciami in pace.»

Fu veloce il cambio di espressione sul volto di Elena: da stanchi i suoi occhi finsero, in un bagliore che poco aveva a che vedere con le fiamme, rabbia. Imbarazzante riflesso di quella furia che la Dominante poteva scatenare e che poteva smuovere le acque del Mediterraneo.
La sua voce aveva completamente perso l’abituale tono imperioso, ora divenuto solo malcelato, silenzioso e involontario implorare.
L’orgoglio trafitto a morte sanguinava copiosamente.
Aiutami.”
Non ricevette nessuna risposta, se non una mano che Marcus le porse, in un muto invito ad alzarsi da quella comoda prigione autoimposta.
Rintanarsi tra quei cuscini, nel buio, in quell’istante le parve la cosa migliore da fare, ma inconsciamente poggiò la mano su quella altrui; venir sbilanciata in avanti e ritrovarsi in piedi fu questione di pochi secondi.
Sospirò scocciata e di nuovo cercò di divincolarsi, ma il braccio di Marcus posato saldamente sul suo fianco le impedì anche solo di muovere un passo; a meno che non fosse lui a volerlo esplicitamente, costringendola a seguirlo.
Avanzare, retrocedere, avvicinarsi ed allontanarsi, una giravolta in brevi passi scanditi dai tacchi.

«Seriamente?! Vuoi ballare? Potevi chiederlo a chiunque.»
Sibilante, o come ringhio offeso, la sua voce interruppe il silenzio musicale, e scortese riecheggiò nella sala deserta e nella penombra del fuoco morente. Sprezzante e sgarbato fu il gesto con cui liberò la mano dall’altrui presa, veloce come se avesse appena toccato qualcosa di ustionante; sdegnosa l’allontanò prima che venisse catturata di nuovo dalle mani di lui e che il suo volto stesso sentisse la pressione gentile e delicata di quelle dita, costringendola a fissare la notte degli occhi di Marcus, e a lasciare che lui stesso potesse guardare i suoi.
Imperdonabile.
«Chiudi gli occhi.»
«Non ho tempo da perd-»
«Chiudili, per favore.»

E sbuffare irata sembrò la reazione più normale per Elena, mentre tacitamente acconsentì; e di nuovo furono le acque dell’oceano del buio ad accoglierla.
Sollievo.
Il solito sollievo che la coglieva nei suoi sogni dorati, prima che gli incubi di piombo fuso si impossessassero della sua mente, imprigionandola in invisibili catene roventi che la trattenevano dallo svegliarsi.
Li riviveva sempre, quegli incubi soffocanti da cui scappare era impossibile.
Ma ora no. Il buio la cullava assieme al lento danzare in cui l’aveva coinvolta Marcus.
Sicura si lasciava guidare nei movimenti, e sicura si lasciava trascinare nella beata illusione.
Nelle sue orecchie risuonavano distinti gli acuti archi, le squillanti trombe e l’aspro e secco clavicembalo intonanti con vivacità solenne la Juditha Triumphans, a cui si univano il vociare concitato delle persone, le cristalline risate, il ticchettio di passi veloci e lo strofinio leggero delle vesti e di ingombranti e sfarzose gonne sul pavimento lucido di marmo bianco: chiare e forti le voci del coro riecheggiavano cristalline in ogni angolo e rimbombavano nella testa di Elena.
“O bellicae sortes, mille plagas, mille mortes, adducite vos.”
L’oro riluceva nella sala, immergendosi in un caleidoscopio di colori vorticanti che sfumavano a tempo con la musica in quella che pareva eterna danza destinata a una non-fine.

Elena seppe, nel suo cuore affranto, di far parte di quel mondo di illusione splendente e abbagliante.
Vi desiderò ardentemente rimanere e appartenervi.
Aggrapparsi alle spalle di Marcus e continuare in quel rondeau fatto di volteggi e passi aggraziati in punta di piedi.
Lasciarsi attirare e perdersi in quel non-luogo, utopia di quello che la Leonessa desiderava e bramava.
Come la falena che danza attorno alla fiamma, attratta da perdizione e tentazione, oblio infernale e paradisiaco al tempo stesso.
Era il freddo che ustiona e intorpidisce i sensi e la vita stessa.
“Et cuncta iura sua gloria concedit.”
Mano destra contro mano destra, smeraldi e zaffiri fusi assieme negli sguardi della coppia impegnata in quel ballo del destino ormai trascorso e irrecuperabile: in sincrono muovevano gli stessi passi, giravano attorno alle loro mani unite, lei piroettava su se stessa in un fruscio di fulgido oro merlettato che luccicava, lui era pronto a impossessarsi di nuovo di quell’esile donna leggiadra come il fiero e regale felino che la rappresenta.
“O quam pulchra tua potentia illustrata tua clementia!”
Nella sua illusione Elena rideva ogni volta che si ritrovava tra le braccia di Marcus, sicura gabbia che l’allontanava dal riprendere coscienza della realtà oscura che stava oltre le palpebre calate sui suoi occhi.
Quegli occhi che Marcus poteva immaginar brillare nella mente di Elena, gioiosi anche loro nel mondo in cui erano stati abituati al bagliore della magnificente preziosità di casa.
Quiescat exanguis, et sanguis sic exeat superbus in me.”
Nella realtà in cui essi danzavano, era il silenzio l’unica melodia udibile, e lo spettatore musicante era il nulla.
Marcus si fermò.
Fermò anche Elena, posando entrambe le mani sui suoi fianchi.

“Et placata sic ira divina, Adria vivat, et regnet in pace.”

A riportarla in superficie dall’oblio fu la fine di quei delicati volteggi.
Riaprì gli occhi.
L’illusione scomparve assieme a quella leggerezza nel suo animo. Effimera calma ora fuggita assieme alla luminosa luce d’oro riflessa sul marmo bianco e alle ultime note di violino, distorte dalla realtà.
Di nuovo sentì il peso opprimente del gravoso macigno all'altezza dei polmoni, che minacciava di toglierle il respiro e farla cadere a terra priva di forze se non fosse per quelle stesse braccia che prima la guidavano e ora la sorreggevano stretta, attirandola contro il petto di Marcus. Un braccio le circondava saldamente la vita, l’altro premeva con debole e gentil forza la testa contro la sua spalla.
Lei altro non poté fare che abbandonarsi in quel nuovo torpore e perdervisi indifesa, le braccia strette al petto mentre la brace pigramente si spegneva, morendo sotto gli occhi offuscati di Elena.

Lo odiò.
Nel buio lo maledisse.
Per averle concesso quei minuti di pace.
Per concederle in quel momento vita.
Per minacciare di ucciderla facendola annegare in felicità insperata.

 

«In quel volo insensato brucerai le tue ali.»

   
 
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