Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: BlackSwan Whites    24/06/2014    3 recensioni
Prim. Poco più che una bambina, ma prima di tutto una guaritrice.
ATTENZIONE! CONTIENE SPOILER SUL FINALE DE "IL CANTO DELLA RIVOLTA"!
Dal testo:
"Ho come un leggero fischio nelle orecchie, ma non so dire a cosa sia dovuto. Per tutta risposta, qualcosa mi passa fluttuando davanti agli occhi.
Un cilindro di metallo.
Attaccato a un paracadute d’argento."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Martyrs'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pensieri  e Bombe


Un boato lontano mi fa sussultare. Siamo al campo base alla periferia della città, pronti ad intervenire per portare cure a chiunque ne avesse bisogno (tanto ai soldati quanto ai civili), eppure l’eco degli scontri arriva fin qui. Scuoto la testa: ormai la guerra è quasi finita, ma quelli di Capitol City non vogliono arrendersi; possibile che non vedano tutte le inutili sofferenze che stanno causando a tanti innocenti?
La voce di Jason, un uomo di mezza età dai corti capelli brizzolati, uno dei medici che lavora con me, mi riscuote dai miei pensieri. -Prim, c’è stato un bombardamento in piazza, davanti al palazzo di Snow. Pare che tra le vittime ci siano anche molti bambini.-
Un brivido mi percorre. Da quando sono in questa squadra di soccorritori in pratica sto passando da un campo di battaglia all’altro; i miei occhi ormai si sono abituati alla vista di ogni atrocità possibile, di persone ferite gravemente, di cadaveri mutilati, eppure il pensiero che stavolta non si tratterà solo di adulti, ma anche di bimbi mi gela il sangue nelle vene.
-Com’è possibile?- mormoro -Credevo che la zona fosse stata evacuata dalle autorità quando il fronte della battaglia si è spostato in centro-. -Sì, infatti così è stato- dice Jason con voce grave, -ma quelli della capitale hanno trattenuto i bambini perché non sferrassimo un attacco diretto al palazzo; evidentemente loro non erano dello stesso avviso, siccome non si sono fatti scrupolo a sganciare quei maledetti esplosivi.-
È disgustoso.
Usare dei bimbi per farsi scudo e poi ucciderli come se nulla fosse, senza provare il minimo rimorso.
Non posso credere che Snow sia ricorso a tanto. È un essere spregevole, certo, ma non fino a questo punto.
Non so cosa mi spinga a difenderlo, contando che per colpa sua ho rischiato di morire, la mia casa è stata distrutta e centinaia di altri giovani, meno fortunati di me, sono andati al macello per settantaquattro anni di fila; eppure c’è qualcosa che non mi torna.
Il presidente è un calcolatore, ha sicuramente capito che ormai non c’è più speranza di fuga per lui: allora perché avrebbe dovuto ricorrere a questo gesto estremo? Per lanciarci un messaggio? E quale? Gli Hunger Games servivano per spaventarci e indurci a non ribellarci, quindi il sacrificio di ventitré persone dei Distretti ogni anno aveva un senso (quantomeno nella sua mente); Snow però non arriverebbe mai a mettere a rischio gli abitanti della sua amata città, soprattutto sapendo di non avere scampo. Da quello che ho avuto modo di sentire dagli altri soccorritori, poi, mi sembra di aver capito che il presidente ha anche una nipote di qualche anno più giovane di me, quindi tutta la situazione mi suona ancora più strana. Ho una domanda che mi rimbomba fastidiosamente nella testa: perché?
Scrollo il capo per scacciarla. Sto perdendo tempo in riflessioni inutili e insensate, mentre c’è chi muore in questo preciso istante. -Andiamo, Jason- dico al mio collega. -C’è gente che ha bisogno di cure là fuori-.

Mentre sono sul furgone assieme al resto della squadra mi guardo in giro, osservando con i miei occhi tutta la devastazione causata da entrambe le parti nei recenti sviluppi della guerra. Mi riesce quasi difficile pensare a che posto splendido dovesse essere una volta la nostra capitale, confrontandolo con le immagini che mi scorrono davanti mentre avanziamo. Il pavimento è rivestito con quelle che dovevano essere lastre di marmo colorato; ora invece ne rimangono solo alcuni frammenti, ricoperti di crepe e, a tratti, macchiati da schizzi di sangue, mentre il resto è ridotto in polvere. I palazzi, dalle facciate di vetri iridescenti, cadono a pezzi; le finestre rotte sembrano tante bocche nere, socchiuse a scoprire i denti mostruosi che sono i cocci superstiti. Ma tutto questo è niente, in confronto a quello che ci aspetta non appena entriamo nell’area dove gli eserciti sono appena passati.
Il lastricato è ricoperto di cadaveri, alcuni con la divisa da soldati dei ribelli, altri con le tute bianche dei pacificatori, ma la maggior parte indossa vestiti bizzarri dalle tonalità sgargianti, il tutto accompagnato da improbabili tagli di capelli.
Capitolini. Gente evacuata dalle proprie case, rimasta vittima del fuoco incrociato. Trattengo un gemito nel vedere il corpo esanime di una bambina avvolta in un cappotto giallo acceso, macchiato di cremisi dove i proiettili l’hanno raggiunta; se solo questo mi fa rabbrividire, mi chiedo come farò a sopportare ciò che verrà dopo, quando arriveremo in piazza.
Man mano che ci avviciniamo, comincio a percepire chiaramente il caos portato dalle esplosioni. Le urla della folla si fanno sempre più forti; poco più avanti intravedo una spessa colonna di fumo nero che si alza, portando con sé un odore acre, che sa di fiamme e di morte. Mentre arrivavamo abbiamo sentito altri boati, per cui devono essere scoppiati da poco altri ordigni. Di colpo il furgone si arresta e Jason ci dice di scendere, perché proseguire con il mezzo sarebbe impossibile; ci sono troppe persone, rischieremmo solo di peggiorare la situazione.
Appena svoltato l’angolo, serro la mascella per non mettermi ad urlare.

Il marmo bianco che riveste tutto il pavimento è annerito dalle fiamme e, nei pochi punti risparmiati, è intriso di sangue. La piazza è gremita di gente; molti sono soldati e pacificatori che stanno ancora combattendo, calpestando i resti dei loro compagni che giacciono a terra. Dove non ci sono scontri in corso sono ammassati cumuli di cadaveri, a volte divorati dal fuoco.
Il nostro vero obiettivo però sta esattamente sul lato opposto rispetto a noi: vicino a ciò che è sopravvissuto di quello che pare essere una sorta di recinto di pietra, si intravedono centinaia di piccoli corpi esanimi, dilaniati dalle esplosioni; attorno, tanti paracadute argentati con attaccati barattoli di metallo.
Come i doni degli sponsor per i tributi degli Hunger Games, penso.
Di colpo capisco perché i bambini ci si siano avvicinati. Qui, ognuno impara ad amare i Giochi sin dalla tenera età: vedendo quei contenitori, i piccoli in preda al panico avranno pensato di trovarci all’interno qualcosa che li avrebbe aiutati a calmarli e a confortarli, invece aprendoli ne è uscita la morte in persona. Pazzesco.
Di nuovo, però, qualcosa non mi torna.
Se i soldati di Capitol City sono davvero così disperati da sacrificare i loro stessi figli, perché perdere tempo a mascherare gli esplosivi da regali anziché sganciarli direttamente sulla folla?
Io e gli altri soccorritori cominciamo a correre attraverso la piazza, schivando le membra strappate in cui ci imbattiamo di tanto in tanto. Man mano che avanziamo, si fanno di dimensioni sempre più piccole, il che non fa che aumentare la nostra fretta di raggiungere il fondo del campo. Non appena giungo accanto al primo bambino, mi inginocchio al suo fianco. L’ultima esplosione gli ha strappato un braccio, che giace a circa tre metri di distanza in una pozza di sangue. Noto che, sebbene impercettibilmente, respira ancora, quindi appoggio la valigetta che avevo con me a terra, la apro e comincio a tamponare il flusso di sangue che ne esce; fin che non riesco a diminuirlo almeno un poco non potrò medicargli la ferita.
Mentre comincio a bendarlo, il cielo si oscura di colpo, mentre un vento improvviso mi soffia la polvere negli occhi. Schermandomi con una mano alzo lo sguardo e osservo un hovercraft passarmi sopra la testa. La porta su un lato è aperta e una persona si sta sporgendo fuori per osservare il campo di battaglia. Aguzzando la vista noto che indossa l’uniforme del Distretto Tredici. Bene, hanno mandato degli altri aiuti penso, chinandomi di nuovo sul piccolo ferito.
Mentre compio questo movimento sento la mia maglia che, sotto il camice bianco (sporco di chiazze cremisi dove ha toccato terra), sguscia fuori dai pantaloni; d’istinto, penso a Katniss il giorno della Mietitura.
-Tieni dentro la coda, paperella- mi aveva detto, sorridendomi. Chissà dov’è ora… Per quanto ne so, potrebbe anche trovarsi in questa piazza.
Mi concedo un attimo per guardarmi intorno e, a un certo punto, mi pare quasi di scorgerla; è lì, appoggiata a un muro, che mi guarda con un’espressione sconvolta, la treccia nera pendente su una spalla. Sbatto le palpebre un paio di volte, ma l’immagine di mia sorella rimane lì. Non ci sono dubbi, è davvero lei. Vorrei correrle incontro e abbracciarla, felice che stia bene, ma invece torno a concentrarmi sul mio lavoro. Ci sarà tempo dopo per festeggiare, sempre che ci sia qualcosa da celebrare in questo giorno maledetto. Cerco di sbrigarmi per poter passare a un altro bambino; prima avrò finito, prima potrò tornare a “casa”.

Eppure…

Non so. Qualcosa mi rallenta, come una percezione di qualcosa di sbagliato, l’ennesima nella giornata di oggi. Ho come un leggero fischio nelle orecchie, ma non so dire a cosa sia dovuto. Per tutta risposta, qualcosa mi passa fluttuando davanti agli occhi.

Un cilindro di metallo.
Attaccato a un paracadute d’argento.

Alzo lo sguardo in preda al panico; un attimo dopo, preferirei non averlo mai fatto.
Decine di oggetti simili stanno cadendo su tutta la piazza, ma non provengono dai tetti dei palazzi. Provengono dall’hovercraft del Tredici.
È in quel momento che capisco tutto.
Non è stato Snow a bombardare la piazza, sono stati loro.

 

Loro, che ci hanno soccorsi.

Loro, che ci hanno aiutati.

Loro, che ci hanno salvati.

 

Con la coda dell'occhio, vedo il soldato che si era sporto dal velivolo estrarre un telecomando da una tasca dell'uniforme, sogghignando.

 

Loro, che adesso ci hanno anche traditi.

 

In lontananza, sento qualcuno che grida il mio nome, ma il suono mi arriva ovattato.

Katniss. È per forza lei. Ho il tempo di pensarla in questo ultimo istante.

L'uomo preme un pulsante, poi tutto esplode.

 

Loro, che ci hanno uccisi.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice

Salve a tutti, popolo di Efp! Qualche giorno fa mi è capitato di riprendere in mano "Il Canto della Rivolta" e, sfogliando le ultime pagine alla ricerca di qualche informazione sulla presidente Paylor, mi sono imbattuta in questa scena, la morte di Prim, forse il passaggio che mi ha messo più tristezza di tutta la trilogia. E' stato in quel momento che ho pensato a questa storia. Ho cercato, soprattutto nella parte finale (e spero di essere riuscita nel mio proposito), di far trasparire tutta la rabbia e l'amarezza che mi ha lasciato lo scoprire i veri artefici dell'attacco, cioé i Ribelli stessi. Ovviamente i pensieri che ho riportato, i sospetti che non ci fossero quelli di Capitol City dietro al bombardamento, ma quelli del Distretto Tredici, appartengono a me; dubito fortemente che Prim abbia avuto occasione di notare tutti i dettagli che ho inserito, ma ho voluto ugualmente utilizzare il suo punto di vista per esprimere il mio parere.

Vi sarei molto grata se mi lasciaste una recensione, anche piccola, perché tengo particolarmente a questa fanfiction, forse proprio perché parla di un momento che mi ha molto toccato. Ero indecisa se mettere il rating giallo o arancione, ma siccome è meglio abundare quod deficere, ho optato per l'arancione; se per voi può essere anche giallo, ditemelo e provvederò a cambiare. Grazie in anticipo a tutti coloro che leggeranno e recensiranno, oppure leggeranno e basta, mi renderanno molto felice (anche perché oggi è il mio compleanno, quindi ogni parere lo considererò un regalo da parte vostra). Ciao a tutti,

Swan

p.s. Ho deciso di creare una piccola serie dedicata a personaggi morti così, per colpa dell'odio, sia della capitale che dei Distretti. La serie, che chiamerò Martyrs, comprenderà anche due mie storie precedenti, una sull'anziano del Distretto Undici ucciso dai pacificatori durante il Tour della Vittoria e una su Rue. Se vi va, passate a dare un'occhiata

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: BlackSwan Whites