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Autore: LeGuignol    24/06/2014    1 recensioni
La stanza buia e spoglia, arredata unicamente dal pc e dalle periferiche collegate, è l’ideale per concentrarsi sul caso al quale sta lavorando. L non chiede di meglio che quell’arredamento minimalista studiato appositamente per evitare qualunque distrazione, in modo da focalizzare l’attenzione esclusivamente sull’obiettivo.
Osserva le immagini delle vittime sul monitor. Gli schizzi di sangue, il bianco dei tendini esposti e gli organi interni visibili dagli squarci slabbrati non lo urtano minimamente; non è quello il punto fondamentale. La sua mente razionale lo spinge a notare solo gli aspetti essenziali per ricavare un quadro completo del modus operandi dell’assassino.
Lavorare sui piccoli particolari è la chiave per giungere alla soluzione, e lui ci riuscirà, come ogni volta. Anche questa sfida sarà vinta.
(Per chiunque fosse interessato, questa storia è interrotta; ma riprenderà presto sull'account di MissChiara, che si è gentilmente offerta di proseguirla. Grazie a tutti per avermi seguito fin qui ^^)
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Linda, Nuovo personaggio, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'alfabeto della Wammy's House'
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CAPITOLO 3 – L’EREDE SCOMPARSO

 
«Ma cos’è, una specie di gioco di ruolo?!» esclamò Linda dopo aver ascoltato il resoconto di Kathy riguardo l’incontro appena concluso con il notaio.
«Per quanto possa sembrare strana, questa è la condizione per acquisire il diritto di eredità» spiegò l’altra stringendosi nelle spalle. «Io e David dovremo trascorrere una settimana qui al maniero in veste di guardiani senza poter uscire dai confini della proprietà. Il soggiorno dovrebbe partire da oggi ma, visto che David non è ancora arrivato, ci è stata concessa una proroga fino a domani mattina».
Non appena il notaio se ne era andato, la ragazza aveva aggiornato immediatamente gli altri sul contenuto della seconda parte del testamento, contenuto che Rossella ed L conoscevano già in parte.
«Hai idea del perché sir Arthur Cavendish abbia inserito una clausola del genere?» domandò la detective.
Kathy scosse la testa.
«Il testamento cita che dobbiamo entrare in sintonia con l’ambiente al fine di preservarlo, ma non so cosa voglia dire di preciso. Forse il nonno temeva che avremmo lasciato andare Green Haven in rovina».
Rossella guardò L in cerca d’aiuto ma non ottenne nessuna risposta, né riuscì ad indovinare cosa gli stesse passando per la testa. Il detective aveva ascoltato Kathy senza intervenire, restando appollaiato per tutto il tempo su una poltrona a mordicchiarsi meditabondo un’unghia.
«Tutto sommato non mi sembra una clausola difficile da rispettare» concluse, lasciando in sospeso gli approfondimenti.
«Più o meno… Non mi aspettavo di dovermi fermare così a lungo… non ho portato tutto il necessario per una settimana…» mormorò Kathy con  aria affranta.
«Io devo tornare a Winchester perché dopodomani ho una mostra. Se vuoi posso prenderti un cambio, tanto dovrò portare qualcosa anche per me e Rossella. Anche noi avevamo previsto di fermarci solo un paio di giorni» intervenne Linda.
«Davvero?» esclamò Kathy rianimandosi di gioia. «Evviva, grazie! Preparo subito la lista e telefono a mia mamma, così ti fa trovare le valigie pronte!»
«Valigie?! Che diamine ti devi portare per pochi giorni?!»
«Sono abituata a cambiarmi d’abito la mattina, il pomeriggio e la sera! E poi mi servono anche i miei prodotti per i capelli, specialmente il balsamo e la maschera. E naturalmente la gabbia di Polly!».
«Ehi, principessina, frena! Guarda che ho un maggiolone, mica un caravan!» protestò Linda.
«Ma come, una persona altruista come te dovrebbe come minimo attaccare un rimorchio senza pensarci due volte!» la prese in giro Rossella.
«Vai al diavolo!» le rispose spontaneamente Linda accompagnando le parole con un gestaccio, prima di rendersi conto che Kathy, L e Watari stavano assistendo alla scena con attenzione.
E due! pensò, mentre con una risatina impacciata cercava di giustificarsi spiegando che volgarità del genere non rientravano assolutamente nelle sue abitudini.
«Non scorgo in te nessuno dei segnali di un sincero imbarazzo» insistette Rossella, «tipo elusione dello sguardo altrui, inibizione del riso, inclinazione della testa verso il basso e…».
«Ma sta zitta, cretina!» le ringhiò l’altra, infrangendo ogni ulteriore tentativo di scusa.
Il battibecco fu sospeso dall’arrivo della paffuta governante accompagnata da quattro domestici. La donna, che nel frattempo aveva indossato la divisa di gala nera con tanto di grembiule bianco e crestina inamidata, si apprestò a fare le presentazioni.
«Benvenuti nella residenza dei cavalieri di Green Haven» proferì con tono formale, cercando di atteggiare il viso grassoccio a un’espressione consona. «Mi chiamo Irene Lane, e dirigo la dimora in assenza dei padroni. Perdonatemi se non vi ho accolto a dovere fin dal vostro arrivo, ma il notaio aveva una certa premura ed ha insistito affinché l’incontro con la signorina iniziasse al più presto. Permettetemi di presentarvi il resto della servitù».
«Irene, ma cosa sono tutte queste cerimonie?» rise Kathy. «Così li farai sentire a disagio! E poi “servitù” non è per niente democratico, si dice “personale”».
«Signorina, insomma! Non mi rovini l’entrata in scena! Capita così di rado di avere degli ospiti! Quindi, mi faccia svolgere il mio ruolo come si deve» protestò la governante facendo uno sforzo per reprimere la sua natura gioviale e mantenere un’aria seria. Si sistemò meglio la gonna a balze che i fianchi prosperosi facevano dondolare ad ogni movimento, si posizionò accanto agli altri quattro domestici, schierati in fila, e tossicchiò leggermente.
«Dunque, lei è Cheryl Belle, la nostra cameriera. Mi aiuta nei lavori domestici» disse indicando la persona più vicina a lei.
La ragazza in questione, una brunetta minuta dagli occhi vivaci e una spruzzata di lentiggini sul nasino all’insù, fece una riverenza sollevando con grazia i lembi del vestito.
«Questa invece è la signora Lauper, la cuoca».
La signora Lauper, una donna sulla cinquantina, alta e magra, salutò gli ospiti con un breve cenno del capo. Il suo sguardo severo incuteva rispetto, oltre che un lieve timore. Tutti pensarono che il ruolo di governante sarebbe stato molto più azzeccato per la cuoca piuttosto che per la signora Lane, e viceversa.
«Nathan Simpson è con noi da meno di un anno, ed è un po’ il nostro tuttofare» continuò Irene indicando un giovanottello dai capelli rossi e dall’aria sveglia che elargì loro un sorriso aperto e simpatico.
«E infine il signor Edmonds, il giardiniere».
«Onorato, signori» disse con un inchino quest’ultimo, un signore distinto, placido, che poteva avere press’a poco l’età di Watari.
Gli ospiti si presentarono a loro volta, poi Irene congedò la cuoca e il giardiniere. Prese due dei borsoni degli ospiti e si apprestò ad accompagnarli alle loro stanze, chiedendo a Cheryl e Nathan di occuparsi del resto dei bagagli.
«Lasci fare a me, signorina, non sia mai» disse Watari a Cheryl, quando questa si chinò per prendere la sua valigia. «Non si preoccupi. Pensi pure al bagaglio delle signore».
Quando Watari sollevò la valigia qualcosa di metallico tintinnò all’interno, ma l’uomo fece finta di niente.
«Irene, ma… dove sono tutti quanti?» domandò sorpresa Kathy mentre salivano lo scalone che portava al piano superiore.
La governante parve rabbuiarsi per un attimo, poi l’espressione pacifica tornò al suo posto.
«Ah, piccola Lady, se ne sono andati tutti nel giro di un paio di mesi» rispose sospirando, «prima il valletto, poi il guardiano, e infine le cameriere. Tutte insieme, tranne Cheryl. Ci hanno lasciato perfino il maggiordomo e lo stalliere».
«Cosa? E chi si occupa di Silver Hooves allora?» esclamò la ragazza, allarmata.
Irene sorrise rassicurante.
«Niente paura, al cavallo di sir Arthur ci pensiamo noi cinque a turno».
A Rossella non sfuggì che la governante aveva citato il padrone chiamandolo per nome. Dal comportamento sereno della servitù e da quello che aveva potuto intuire dalla lettera di sir Arthur Cavendish, si fece l’idea che l’anziano Lord dovesse essere stato benvoluto dai suoi domestici. Ciò rendeva particolarmente strana quella fuga di massa.
«Signora Lane, posso chiederle come mai se ne sono andati tutti nel giro di poco?» chiese infatti L.
Irene rimase per un momento in silenzio, prima di rispondere. Quando lo fece, parve stizzita.
«Era sicuramente gente non abituata a lavorare seriamente. Probabilmente si sono fatti suggestionare dalla solitudine di questo posto isolato, bah! Fantasie, nient’altro che fantasie».
«A cosa si riferisce?» insistette il detective.
«Certa gente ha troppa immaginazione, e altra è troppo influenzabile. Li metta insieme, e il risultato non sarà dei migliori. Evidentemente non erano abituati a vivere in vecchie strutture come questa, dove gli scricchiolii sono di casa e il vento che si infila tra i merli produce ululati lugubri. A volte sembra quasi che…»
Ma qui la governante si interruppe bruscamente e non parve propensa ad aggiungere altro. Lanciò un’occhiata preoccupata a Kathy, che la precedeva sulle scale, e abbassò lo sguardo. Rossella lesse i sintomi dell’agitazione e pensò che Irene si fosse fatta scappare qualcosa che non avrebbe voluto dire in presenza della neo-padrona.
«Però vivere in un posto come questo ha anche dei vantaggi. Il bosco qua fuori è un incanto, e la tranquillità non manca di sicuro» disse, pensando che cambiare discorso fosse la cosa migliore per venire in aiuto della donna.
«Oh, ha proprio ragione!» esclamò infatti quest’ultima cogliendo la palla al balzo, «vi consiglio di prendere il sentiero che parte dal retro e attraversa il bosco fino al laghetto. E’ davvero meraviglioso in questa stagione. Io proprio non capisco quella gente. Lasciare un posto d’oro come questo, con un padrone così generoso e che si faceva vedere al maniero solo di rado, dandoci davvero poco lavoro. Andandosene in quel modo senza preavviso mi hanno messo davvero in difficoltà. Non è facile trovare dei sostituti da un giorno all’altro. Ma non preoccupatevi, anche se siamo così pochi terremo alto il buon nome dell’accoglienza sopraffina della residenza di Green Haven!».
«Proprio così. Io e David faremo rinascere Green Haven, come avrebbe voluto il nonno» si intromise Kathy, voltandosi sorridente.
La governante parve visibilmente sollevata dall’espressione serena della ragazza e non tornò sull’argomento dei domestici per tutto il tragitto, prolungandosi invece nella descrizione del maniero e dei suoi dintorni a beneficio degli ospiti.
Però, quando Kathy, Rossella e Linda si furono sistemate nelle rispettive stanze e Cheryl e Nathan rimasero con loro per aiutarle a sistemare i bagagli e accertarsi che non avessero bisogno di altro, Irene prese in disparte L e Watari e li condusse in uno studiolo appartato.
«Perdonatemi signore» disse rivolgendosi ad L con un breve inchino del capo, «davanti alla giovane Lady non ho potuto risponderle adeguatamente ma… come dire… il motivo per cui i domestici se ne sono andati è un po’ più complicato di quello che vi ho accennato. Non pensiate che voglia gettare fango sul buon nome del mio padrone, ma…»
La governante incespicò sulle parole, e parve indecisa sul come proseguire.
«Coraggio, continui. Conoscevo Arthur piuttosto bene, e sono convinto che riponesse molta fiducia in lei. Di sicuro era giustificata» la esortò Watari.
Irene sorrise.
«Non ripeterei per nulla al mondo ad altri ciò che sto per dirvi, ma… ecco… visto che sir Arthur mi ha fatto recapitare personalmente la lettera destinata a voi, cosa mai successa in passato, ho pensato che il contenuto fosse di estrema importanza, e che quindi siate persone in cui confidava in modo particolare. Per questo sento di potervi rivelare alcune cose. Se siete… se eravate veramente amici di sir Arthur, allora credo che dobbiate saperlo. Qualunque cosa vi dovessero raccontare le persone che lavoravano qui, sir Arthur è sempre stato sano di mente, ve lo posso garantire. Non ne ho mai dubitato… nemmeno negli ultimi tempi».
«Ha notato qualcosa di strano nel suo comportamento?» chiese L.
Nel mentre si sfilò le scarpe e si sistemò su una poltrona, appoggiando i piedi sulla seduta e premendo le cosce contro il petto. Posò le mani sulle ginocchia e tenne lo sguardo fisso sulla governante, senza sbattere le palpebre nemmeno una volta. Rossella vi avrebbe senza dubbio letto i segni di un profondo interesse.
Irene non diede nessun segno evidente di stupore per quella strana posizione – non erano affari della servitù giudicare gli ospiti – e proseguì.
«Ecco, vedete… era diventato parecchio nervoso. E sì che era stato sempre un uomo così allegro! Sussultava per un nonnulla, era sempre inquieto. Di notte credo che dormisse pochissimo. A qualunque ora mi capitasse di passare davanti alla sua stanza, vedevo sempre la luce filtrare da sotto la porta chiusa. Nonostante ciò, non mi ha mai parlato del motivo della sua agitazione, né del perché avesse deciso di prolungare il suo soggiorno qui a Green Haven, residenza che utilizzava sempre per tempi brevi. Tutte le volte in cui provavo ad approcciare l’argomento eludeva le domande e… accennava a cose singolari».
«Mi potrebbe fare un esempio?» la incalzò il ragazzo, visto che la governante pareva reticente.
«Mah, si era fissato con i rumori. Vede, da dietro le pareti avevano cominciato a provenire dei suoni lievi, come un grattare leggero. Di notte aumentavano. A dire il vero non sono ancora cessati del tutto. Credo che si tratti di topi. Capita,  in abitazioni antiche come questa. Purtroppo non ho potuto provvedere, perché proprio in quel periodo i domestici hanno cominciato ad andarsene ed ho avuto altro a cui pensare. Del resto, il problema non sembrava tanto grave, visto che non avevo visto un solo sorcio in giro, né avevano provocato danni. Evidentemente, se c’erano preferivano rimanersene nascosti per conto loro. Ad ogni modo, sir Arthur ne aveva fatto una malattia. Sembrava che quei rumori lo mettessero esageratamente in agitazione, anzi, a volte pareva proprio che lo terrorizzassero. Ricordo che un giorno tanto fece che mi spaventai seriamente anch’io. L’avevo raggiunto nella biblioteca per servirgli il tè, e mentre glielo versavo sir Arthur cacciò un urlo che per poco non mi sfuggì la teiera. Si alzò di scatto dalla poltrona e rimase in piedi immobile, come in ascolto, muovendo lo sguardo per tutta la stanza. Ad un tratto sussurrò “Li senti, Irene? Non ci possono vedere, qui non ci sono porte… Non ci possono vedere… ma ci sentono… ”»
Le dita di L si strinsero di più sulle ginocchia, spiegazzando la stoffa dei jeans.
«E lei ha sentito qualcosa, signora Lane?» chiese.
«Non nego che in quel momento il raspare l’ho sentito sul serio. Ma, ripeto, udire rumori di quel genere non era una novità, e non vi ho dato peso. Piuttosto, è stata la reazione di sir Arthur a preoccuparmi. Ho pensato che Green Haven non avesse una buona influenza sui suoi nervi, e la mattina dopo gli ho suggerito nel modo più delicato possibile di rientrare alla residenza di Winchester. Ma lui mi ha risposto che fuggire non avrebbe cambiato le cose. Anzi, ha aggiunto una cosa strana, ovvero che l’onore gli impediva di abbandonare le cose come stavano. Ah, povero sir Arthur! Senza dubbio qualche grave preoccupazione doveva avergli causato un esaurimento. E quello che è successo dopo non l’ha certo aiutato» sospirò la governante, sul viso un’espressione afflitta del tutto inadeguata al suo faccione pieno.
Dopo una pausa, proseguì.
«Vedete, pochi giorni dopo questo episodio, udimmo un grido provenire dall’ala della servitù. Io e il maggiordomo ci precipitammo subito a vedere cosa fosse successo, e trovammo Evelyn, una delle cameriere, accantucciata in un angolo della sua stanza. Non appena ci vide corse a nascondersi dietro di noi. Indicò sconvolta i cocci dello specchio della cassettiera e le chiesi cosa fosse successo, temendo che si fosse tagliata. Ma lei fuggì via, e il giorno stesso si licenziò e se ne andò. Non volle più mettere piede in quella stanza, figuratevi! Un’altra cameriera dovette sgomberare la camera dalle sue cose e fargliele recapitare. Non venni mai a sapere cosa fosse successo esattamente, ma prima di andarsene Evelyn doveva aver detto qualcosa alle sue compagne, perché nel giro di tre giorni perdemmo tutte le cameriere, ahimè!»
«Signora Lane, sarebbe possibile parlare con qualcuna di loro?» le chiese L.
«Credo di sì, ho annotato i loro recapiti nel registro del personale. Può provarci, però lasci che le dica una cosa: tutti quelli che se ne sono andati non vogliono avere contatti con chi è stato qui al maniero, e non me ne chieda la ragione perché proprio non riesco a capirla. Ma la cosa peggiore di questo episodio fu l’effetto che ebbe su sir Arthur. Non la prese affatto bene. Da quel giorno, passò la maggior parte del tempo chiuso nel suo studio, uscendone raramente solo per andare a prendere qualche volume dalla biblioteca. Quasi non mangiava più. Ero in pensiero per la sua salute, ma quando gli chiesi spiegazioni mi disse solo una cosa: “Hanno trovato le porte. Non c’è più tempo”. Mi guardava, ma era come se non mi vedesse. Poi parve riscuotersi ed esclamò: “Tempo? Ma certo!”, e si richiuse nello studio».
L si portò il pollice alle labbra, e cominciò a mordicchiarselo con lo sguardo perso nel vuoto.
«Le porte… a cosa si riferiva?» mormorò fra sé e sé, ma così piano che Irene non lo sentì e proseguì nel suo racconto.
«Un giorno mi chiese di chiamare Evie Philliphs, una sua conoscente, e di domandarle di recarsi con urgenza al maniero. Ci credereste? Quella vecchia bisbetica, che nei mesi precedenti era venuta qui praticamente tutti i week-end, si rifiutò categoricamente di muoversi da casa. Anzi, sapete cosa mi disse prima di chiudermi il telefono in faccia? “La prego di non telefonarmi più. Statemi lontano, siete infetti. Rinchiudetevi a Green Haven e marcitevi”. Ditemi voi se quella donna non è matta da legare!» esclamò Irene con un gesto esasperato.
 
…rumori dalle pareti… uno specchio rotto… Evie Philliphs, la sensitiva del circolo di sir Arthur…le porte…
 
L si concentrò su quelli che aveva giudicato i punti focali del resoconto di Irene. Pensò incoerentemente ad un brano letto anni addietro.
 
Ora, se stai attento, Frufrù, e non parli tanto – disse Alice - ti dirò tutta la mia idea intorno alla Casa dello Specchio. Prima di tutto, v'è la stanza che si vede attraverso lo Specchio: è precisa come il salotto dove stiamo; però tutte le cose son messe alla rovescia.
 
«Le porte… si riferiva forse agli specchi?» disse, più che altro ragionando a voce alta piuttosto che rivolgendo una vera e propria domanda.
«Specchi, dice?» chiese Irene.
La voce le tremava.
«Ecco, vedete… vi devo confessare una cosa. Il giorno in cui sir Arthur è mancato, siamo stati io e Nathan i primi a vedere le sue spoglie. Dopo aver bussato più volte alla porta della sua stanza per portargli la colazione e non aver ottenuto risposta, ho avuto il presentimento che fosse successo qualcosa di grave ed ho chiamato il ragazzo prima di entrare, sebbene portassi sempre con me la chiave della camera del padrone. E ho fatto bene a non entrare sola, perché quando siamo entrati ci si è parato davanti uno spettacolo a dir poco orrendo. Sir Arthur giaceva riverso tra il letto e la finestra, e il suo corpo era… era…»
Irene ebbe un mancamento, ed L scattò in avanti per evitarle di cadere, ma la mole della governante lo sbilanciò rischiando di far rovinare entrambi a terra. Con l’intervento di Watari, riuscirono a far accomodare Irene sulla poltrona. La donna si riprese un po’ e continuò.
«Scusatemi, ma ancora oggi non mi sono abituata a quell’immagine tremenda. Non mi crederete, ma il corpo di sir Arthur era inspiegabilmente…»
«Decomposto» terminò L per lei.
Irene sgranò gli occhi per lo stupore.
«Sì, proprio così! Come fa a saperlo?»
«Il rapporto della scientifica era molto chiaro in proposito. Nonostante le condizioni in cui versava il corpo, ha escluso ogni dubbio sul fatto che potesse non appartenere a sir Arthur».
«Vede, signora Lane» continuò Watari, «Arthur aveva previsto che sarebbe potuto succedergli qualcosa in circostanze misteriose e mi ha pregato, tramite la sua lettera, di far luce sulla sua morte. In veste di amico, vorrei realizzare il suo ultimo desiderio. Le chiedo quindi di fidarsi di noi e di fornirci il suo aiuto».
Irene li guardò entrambi. La reticenza scomparve completamente dal suo viso, che parve rifiorire.
«Ma certo!» acconsentì con vigore, «farò tutto il possibile, se può essere d’aiuto a sir Arthur! Non esitate a chiedere!» esclamò con entusiasmo. «Vi confesso che avere qualcuno con cui condividere questo segreto mi fa sentire molto meglio… insieme all’altro fatto che successe quella notte» aggiunse tornando seria. «Signor Ryuzaki, non ho finito il mio racconto. Lei prima ha accennato agli specchi. Ebbene, non ne troverà uno in questo maniero. La notte in cui sir Arthur è mancato sono scomparsi tutti, dal primo all’ultimo».
 
 
Nel frattempo, Linda aveva raggiunto Rossella nella sua camera. Si buttò sul letto dell’amica e, incrociate le braccia dietro la testa, esalò un sospiro di soddisfazione.
«Aah, ma hai visto che roba? La cameriera prima di andarsene mi ha chiesto se avevo bisogno di qualcosa, e le ho chiesto un tè. Me l’ha servito in un servizio di porcellana di Limoges. Che meraviglia! Per non parlare del letto. Non mi era mai capitato di dormire sotto un baldacchino. Queste stanze sono un sogno!».
«Non siamo mica qui in vacanza! Dobbiamo scoprire chi sta minacciando la nostra cliente, e nel frattempo vigilare perché non le succeda nulla».
«Beh, nulla vieta di goderci gli annessi e connessi. E poi, se quel tizio è imbranato come hai detto, dubito che ci abbia seguito fin qui. Non credo che Kathy corra pericoli. Questo incarico é proprio una pacchia».
Rossella si rabbuiò. Non era della stessa idea di Linda, dopo aver appreso da L l’orrore che aleggiava intorno alla morte di sir Arthur Cavendish.
«Ancora con quel muso?» la stuzzicò Linda. «Davvero, dovresti prendere in seria considerazione l’idea di passare mezz’ora al giorno davanti allo specchio ed esercitarti ad assumere almeno una seconda espressione. Suggerirei uno sguardo ammaliante. Potrebbe farti comodo, all’occorrenza! Se non altro, anche solo per il fatto che per una settimana convivrai sotto lo stesso tetto con un certo ragazzo che un tempo ti faceva girare la testa e…»
«Ma la vuoi piantare?» la interruppe Rossella con una voce stridula assolutamente inusuale per lei.
Linda rise, soddisfatta di aver colto nel segno.
«E comunque qui di specchi non ce ne sono» proseguì la detective controllando nuovamente la voce.
Era vero. Non appena era rimasta sola, si era guardata intorno alla disperata ricerca di qualcosa con cui controllare il proprio viso. Da quando aveva rivisto L aveva avuto la sensazione di non riuscire più a dominare i muscoli facciali, di essere ridiventata per lui un libro aperto. Purtroppo, non aveva trovato nulla con cui poter verificare: non vi erano specchi, né alle pareti, né sul mobile da toeletta, né nel bagno attiguo alla stanza.
«Niente specchi? Impossibile. Hai guardato nell’armadio?».
Linda accompagnò la frase scendendo dal letto e andando ad aprire le ante, che però rivelarono solo il legno nudo.
«Però prima c’era, guarda qui» disse mostrando all’amica i fermi che avevano sorretto la lastra.
«Anche lì e lì» aggiunse, indicando lo spazio vuoto sulla parete opposta e al di sopra del mobile da toeletta.
Infatti, sia sull’uno che sull’altra la tappezzeria di broccato riportava una sagoma più chiara rispetto al resto.
«Va be’, poco male. Puoi usare quello nella mia camera. Anche se, a dire il vero… aspetta un po’!».
Senza aggiungere altro, Linda uscì in fretta dalla camera di Rossella. Quando vi fece ritorno aveva un’aria tra il perplesso e il divertito.
«Ci credi? Anche da me non c’è nemmeno l’ombra di uno specchietto. O meglio, l’ombra c’è: quella lasciata dagli specchi che sono stati tolti, come qui. Davvero buffo, vero? Che peccato, dovrai rinunciare agli esercizi».
Rossella evitò di fare dell’ironia sull’ultima frase ed esaminò l’impronta lasciata dalla specchiera del mobile da toeletta.
«E’ impossibile giudicare se è frutto di un lavoro recente. La governante ha detto che non vengono mai ospiti, quindi queste camere non sono usate di frequente. Magari gli specchi mancano da chissà quanto tempo. Chiediamo a Kathy dove possiamo trovarne uno, lei lo saprà».
«Che fretta! Allora il mio consiglio ti interessa sul serio!» la schernì Linda.
«O magari non mi piace lavarmi i denti alla cieca».
Però, quando chiesero a Kathy, la faccenda prese una piega ancora più strana.
«Sapete, quando sono entrata ho notato subito una cosa singolare. Avete fatto caso a come era buio il salone dello scalone principale?» chiese la ragazzina, dopo averci pensato un po’ su.
Le altre due annuirono, e lei proseguì.
«Voi non potete saperlo, perché non siete mai state qui prima, ma le semicolonne lungo le quattro pareti, da che ricordo, sono sempre state inframmezzate da enormi specchi d’argento alti fin quasi al soffitto. Visto che ci sono poche finestre, servivano per riflettere la luce dei lampadari e delle applique in modo da rischiarare tutto l’ambiente. E facevano così bene il loro dovere che, se al maniero si doveva tenere un ricevimento o un ballo, sicuramente era in quella sala. Ora è così cupa perché gli specchi non ci sono più».
«Gli specchi d’argento a volte hanno bisogno di manutenzione. Magari sono stati tolti per quello».
«Può essere. Però non mancano solo loro. Anche la mia stanza ne è priva. E pure il corridoio. Come faccio?»
«Be’, devi resistere solo per pochi giorni, non è una tragedia»
Kathy sbuffò imbronciata. Evidentemente non la pensava così. Rossella, dall’idea che si era fatta della cliente, ipotizzò che alla ragazza non andasse molto a genio non potersi acconciare adeguatamente i riccioli biondi, nemmeno se lì nella tenuta deserta non c’era nessuno per cui mettersi in mostra. In altre circostanze avrebbe giudicato fastidiosa tanta civetteria, ma nel caso di Kathy quell’atteggiamento le strappò un sorriso. Quella vanità le sembrava perfettamente in linea per una come lei, addirittura obbligatoria.
Già, ma perché? si chiese.
Per qualche ragione, le sembrava un particolare importante. Per deformazione professionale cercò di darsi una spiegazione, ma per il momento non giunse a nulla di concreto.
«Uff, vado a chiederne uno a Irene» disse la ragazza in questione, saltando giù dallo sgabello troppo alto per lei.
E’ davvero piccola e minuta, pensò Rossella, e le parve che questo particolare avesse una connessione con il suo ragionamento precedente. Tuttavia, il collegamento non ne volle sapere di scattare nella sua mente. Rimase lì, in un angolino, come un sassolino fastidioso.
 
Non appena Kathy se ne fu andata le due ragazze, finalmente sole, uscirono sul corridoio. Da quando era entrata nel maniero, Rossella moriva dalla voglia di far luce sul mistero della testa di bambola appesa all’abbaino in cima al tetto. Non aveva pensato nemmeno per un momento di dubitare delle parole di Linda. Lo spirito di osservazione della pittrice era davvero fuori dal comune, e se era convinta che prima la testa non ci fosse stata era quasi impossibile che si fosse sbagliata.
«Secondo te da che parte dobbiamo andare per raggiungere l’abbaino?» chiese all’amica.
«Dunque: dall’ingresso, per arrivare qui abbiamo risalito lo scalone di sinistra, poi abbiamo girato di nuovo a sinistra percorrendo un corridoio fino al fondo, e infine a destra. Quindi ora ci troviamo nell’ala secondaria, quella rinascimentale. L’abbaino invece dava verso la facciata principale. Dobbiamo tornare indietro e salire fino alla mansarda. E’ vero che le costruzioni medievali presentano di solito una pianta interna irregolare, ma dall’idea che mi sono fatta dell’edificio basandomi sulla posizione delle finestre credo di riuscire ad orientarmi» rispose Linda.
Sembrava piuttosto sicura di sé.
«Lo sapevo che i tuoi occhi mi sarebbero stati utili! Bene, fammi strada» esclamò la detective con uno scintillio negli occhi, pregustando l’indagine.
Notò lo sguardo sorpreso dell’amica e si rese conto che il proprio autocontrollo aveva fatto nuovamente cilecca. Che le stava succedendo? La presenza di L la stava turbando più di quanto credesse?
«Da quando in qua hai perso la tua calma glaciale? Sprizzi impazienza da tutti i pori!» le chiese Linda, a conferma del fatto che non era stata solo una sua impressione.
«E’ solo perché questo caso mi incuriosisce particolarmente. Andiamo» tagliò corto Rossella, appuntandosi però mentalmente di stare più attenta in futuro.
«Ok» disse Linda alzando gli occhi al cielo, «se non altro avere così pochi domestici intorno ci permetterà di muoverci liberamente. Ad ogni modo, teniamo gli occhi aperti».
 
Come aveva predetto Linda, raggiunsero l’ala principale indisturbate. Evitarono la sala d’ingresso, dove era piazzata una telecamera, e dal primo piano presero una scala secondaria che le condusse a quello superiore senza problemi. Da qui Linda, basandosi dalla porzione di paesaggio che vedeva dalla finestra, giudicò di essere, in linea d’aria, approssimativamente sotto l’abbaino desiderato. Purtroppo, non scorgeva nessuna scala per poter raggiungere il sottotetto. Si guardò un po’ intorno, poi si diresse a passo sicuro verso la direzione in cui, se la pianta dell’edificio che si era immaginata era corretta, avrebbe dovuto trovarsi la torre di destra. Ma ad un tratto parve insicura, si fermò, si guardò nuovamente intorno e cambiò strada.
«Dove stiamo andando?» le chiese Rossella.
Era da un po’ che aveva l’impressione che si stessero dirigendo nella direzione sbagliata.
«C’è un problema. Dobbiamo salire ancora, ma non vedo scale. Probabilmente l’interno del castello è stato modificato nei secoli, ma da questo piano in poi è rimasto intatto. Quindi, niente scaloni atti puramente a soddisfare la vista, che fanno parte di una concezione di un’epoca successiva a quella medievale. A quel tempo, le scale dovevano rallentare un’eventuale invasione da parte del nemico, ed essere anguste e facilmente difendibili. Credo che, se vogliamo una scala, dobbiamo cercarla nella torre. Il problema è che… non vedo nessun accesso! Eppure la torre dovrebbe trovarsi proprio qui, dietro a questo muro».
Linda saggiò con le nocche la parete di pietra nuda, come a cercare un’eco che confermasse la sua teoria. Continuò per un buon tratto senza risultato finchè, con sorpresa, non udì un leggero raspare provenire da dietro il muro. Anche Rossella l’udì, e si fece attenta.
«Ma che cos’è?»
«Non ne ho idea. Un topo, forse. Anche se mi sembra improbabile. Questi muri non dovrebbero essere cavi».
Linda non aveva ancora finito la frase, che da dietro il muro udirono provenire un breve colpo. Era come se qualcuno avesse appena battuto dall’interno contro la pietra. Le due ragazze si guardarono perplesse.
«Forse è un picchio che sta cercando insetti sul lato esterno» disse Linda.
L’ipotesi però non reggeva. Rossella studiò l’amica e non si sforzò molto per capire che lei stessa era poco convinta delle proprie parole, anche se non voleva darlo a vedere. Il motivo era ovvio: non c’era bisogno di aver studiato storia dell’arte come Linda per sapere che i muri dei castelli, specialmente quelli esterni, erano spessi più di un metro. Il rumore che avevano udito invece era parso molto vicino, quasi come se la fonte si fosse trovata all’interno del muro stesso.
La detective, incuriosita, tastò la parete in più punti, sperando di poter udire di nuovo lo strano fenomeno. Fece scorrere le mani sullo spazio libero tra due arazzi, fermandosi infine su una pietra che pareva più consunta delle altre e premendo con forza. In quel momento si udì uno scatto, e un’intera sezione della parete si aprì improvvisamente verso l’interno facendola cadere in avanti.
«Oops! Credo di essere stata io» disse Linda, sollevando un lembo del tappeto dove aveva appoggiato il piede un attimo prima, e rivelando un pulsante nascosto sotto, «Fantastico, un passaggio segreto! Ma allora esistono davvero»
«Abbiamo trovato la scala!» esclamò Rossella da terra, indicando i gradini di altezze irregolari che salivano lungo la torre.
Si rialzò spolverandosi la gonna alla meno peggio. La polvere regnava un po’ ovunque nel maniero – i poveri domestici evidentemente si erano prodigati per mantenere immacolate solo le aree che avrebbero dovuto frequentare gli ospiti – ma l’interno della torre sembrava abbandonato addirittura da anni. Nella lama di sole che filtrava dalle feritoie danzava un pulviscolo fitto e dorato, e la pietra in più punti era ricoperta da uno strato di ragnatele così compatto da sembrare un panno. Linda entrò nell’antro guardandosi intorno eccitata.
«Oddio, che fascino macabro! Aspetta, non possiamo passare così come se niente fosse!»
E, detto fatto, estrasse un blocchetto dalla tasca dei jeans e tracciò rapidamente uno schizzo in prospettiva della scala che si inerpicava lungo la torre.
Rossella non era altrettanto entusiasta. Linda sembrava essersi dimenticata completamente del rumore misterioso che avevano sentito poco prima, ma la detective osservò pensierosa il muro. Linda aveva ragione: la parete, vista in sezione, era spessa almeno un metro ed era impossibile che fosse cava. Se il grattare era stato prodotto da un topo, doveva essere stato bello grosso.
«Andiamo, non vedo l’ora di scoprire com’è il sottotetto!» esclamò Linda cominciando a salire con impazienza.
Rossella si apprestò a seguirla, quando un bisbiglio, più simile al fruscio di un vento leggero che ad una voce vera e propria, le gelò il sangue.
 
«…R…»
 
Si voltò di scatto con un lampo di paura negli occhi, ma non vide nulla se non polvere e ragnatele. Non appena il battito del suo cuore riprese una cadenza regolare uscì nel corridoio, ma lo trovò deserto. Non aveva sentito passi allontanarsi, ed escluse che prima potesse esserci qualcuno. Rimase per un po’ in ascolto aspettando – o temendo – di risentire il bisbiglio, ma il silenzio rimase intatto.
La ragazza restò per un po’ ferma sul posto, indecisa sul da farsi. Da una parte il suo spirito investigativo la spingeva a cercare una spiegazione, dall’altra un timore crescente – non era mai stata troppo coraggiosa – le diceva di togliersi al più presto da lì. Era davvero il suo nome, quello che credeva di aver sentito? Alla fine il secondo sentimento prevalse, e Rossella spiccò una corsa su per le scale, fino a che non raggiunse Linda sul pianerottolo del sottotetto.
Da dove si trovavano partiva un corridoio stretto, lungo quanto tutta la facciata del maniero e buio pesto. Rossella tirò fuori dalla tasca della gonna una piccola torcia elettrica preparata per l’evenienza. Subito il fascio di luce mostrò che su un lato del corridoio si affacciavano alcune porte.
«Credo che quelle porte appartengano alle stanze con gli abbaini» disse Linda. «Ne avevo contati cinque, ma qui vedo solo quattro porte».
«Non è detto che ad ogni stanza corrisponda un solo abbaino. Magari ce n’è una più grande delle altre».
Linda provò a girare la maniglia della porta più vicina, ma non si aprì.
«Chiusa… chiusa… chiusa anche questa».
L’ultima maniglia finalmente girò. Le due ragazze si affacciarono con circospezione nella stanza, che però si rivelò essere completamente vuota. Era un tipico sottotetto con il soffitto spiovente, che un tempo poteva essere stata la camera da letto di un membro della servitù. L’abbaino illuminava bene l’ambiente nel sole pomeridiano e rendeva del tutto inutile la torcia elettrica. Sul pavimento, uno spesso strato di polvere dimostrava che la stanza non era frequentata da tempo. Linda andò ad aprire la finestra e si affacciò.
«Il nostro abbaino è quello al centro: vedo la testa della bambola!» disse.
«Non mi spiego come ha fatto a finire là. Anche nel corridoio c’è lo stesso strato di polvere che c’è in questa stanza, ma prima che passassimo noi non c’era nemmeno un’impronta. Guarda invece noi quante ne abbiamo lasciate. Se fosse passato qualcuno, avremmo dovuto trovare delle tracce».
«Forse chi ha messo lì la testa è passato dal tetto».
«E’ improbabile. Il tetto è chiuso ai lati dalle due torri. Per salirci bisogna per forza uscire da uno degli abbaini…»
Rossella si affacciò alla finestrella insieme a Linda per cercare di capire se potesse esserci un’altra via di accesso, sgomitando per infilarsi nello spazio tra l’amica e l’intelaiatura.
«Fai vedere anche a me. Kathy mi ha detto che la testa della sua bambola è sparita. Se fosse quella, allora significherebbe che il molestatore è qui».
 
«…R…»
 
La voce improvvisa alle sue spalle la spaventò così tanto che Rossella cacciò un urlo che rimbombò per tutta la stanzetta e il corridoio, e contemporaneamente si alzò di scatto battendo la testa contro il bordo superiore dell’abbaino.
«Oh, scusa! Mi ero dimenticato che non dovevo chiamarti così! Non lo farò più. Però la tua reazione mi sembra eccessiva, detective Andreoli» le disse L.
Rossella portò entrambe le mani al punto in cui avvertiva un dolore lancinante per la botta presa, e lo guardò in cagnesco.
«Ma se l’hai appena rifatto, detective Ryuzaki! E poi ti sembra il caso di sbucare in questo modo alle spalle della gente?» gli sibilò.
«Di solito se ci si spaventa è perché si sta facendo qualcosa per cui si teme di essere scoperti. Non starai per caso gironzolando di nascosto in casa d’altri, Rossella? Ma non ti preoccupare, anch’io sto gironzolando di nascosto, quindi non dirò nulla».
L’aria innocente con cui lo disse la mandò in bestia. Stava usando la sua stessa tecnica di analisi per prenderla deliberatamente per i fondelli. Rossella, tra la rabbia e lo spavento, sentì che in quel momento avrebbe potuto tranquillamente afferrarlo per quel collo striminzito e stringere fino a porre fine a tutte le sue sofferenze… se solo non l’avesse trovato così dannatamente attraente. Finì che, invece di rispondergli per le rime, si ritrovò a fissargli imbambolata le labbra senza riuscire a distogliere lo sguardo, desiderando solo di cadergli tra le braccia come una pera cotta.
«Come hai fatto ad arrivare qui?» gli chiese Linda.
«Sono salito al piano superiore ed ho visto l’apertura nel muro. Ho sentito le vostre voci, e sono entrato. Rossella, posso parlarti un momento?»
La ragazza sentì che L non era del tutto sincero. Non si sarebbe stupita se le avesse messo addosso un localizzatore. Ripensò a quando aveva accennato al fatto che se le cose si fossero messe male avrebbe provveduto a metterla al sicuro, e si domandò se non la stesse sorvegliando per proteggerla. Scacciò l’idea; immaginare che L si stesse preoccupando davvero per lei era pura utopia. Sicuramente l’aveva detto solo come espediente per convincerla a rimanere, sapendo che era una paurosa. Era più probabile che le avesse seguite per evitare di perdersi qualche indizio.
Linda invece non appena udì le parole di L vide una splendida occasione per lasciare da soli i due ragazzi, e in men che non si dica imbastì una scusa e se ne andò.
Rossella non ne fu per niente felice. A parte il fatto che quella stanzetta spoglia e polverosa era ciò che di più lontano poteva esserci dall’idea che aveva di luogo adatto ad un appuntamento, non aveva ancora scacciato del tutto la paura per il bisbiglio che credeva di aver sentito, e avrebbe preferito di gran lunga avere intorno più gente possibile. Ma non fece in tempo a dire nulla che Linda era già sparita.
La detective pensò che se l’amica avesse avuto anche solo un minimo delle sue capacità di analisi avrebbe capito l’inutilità del suo gesto; L era tutto cervello e niente romanticismo, non c’era nulla da fare.
«Hai sicuramente svolto delle ricerche su David Warwick, non è così?» le chiese infatti il ragazzo senza preamboli.
La ragazza notò un curioso particolare nel modo in cui era stata costruita la frase: iniziava con un’affermazione, con quel “sicuramente” a sottolinearne la convinzione, ma terminava con un dubbio.
Non ammetterai mai apertamente di avere delle incertezze, vero? pensò divertita. Del resto però questo suo lato le piaceva. Nonostante la sua stravaganza, L era intraprendente e sicuro di sé e non ammetteva debolezze.
«Sì, è vero. Ho ricostruito i suoi spostamenti» ammise.
«Anch’io. Allora sarai giunta alla mia stessa conclusione».
«Le tracce di David Warwick conducono qui al maniero, e qui si fermano».
«Esatto. C’è una buona probabilità che lo troveremo qui. Lui… o ciò che ne resta».
Rossella avvertì un brivido scorrerle lungo la schiena.
«Pensi che gli sia successo qualcosa?»
«Non abbiamo prove che sia veramente lui quello che ha contattato il notaio. Direi che abbiamo il 95% di possibilità di trovarlo. E il 50% di possibilità di trovarlo vivo».
50%? In pratica, o la va o la spacca. Bel modo di non sbilanciarsi, pensò la ragazza.
«A proposito, come mai siete salite fin quassù?»
«Ecco… Linda ha notato la testa di una bambola appesa ad uno degli abbaini».
Rossella raccontò ad L di come la testa fosse comparsa misteriosamente dopo il loro arrivo, e di cosa era successo nei giorni precedenti a Kathy.
«Ma forse queste cose le sai già. Quando hai detto a Kathy di telefonarmi stavi già tenendo d’occhio la sua casa, vero?»
«Ho approfittato del fatto delle rose per avvicinarla e parlarle».
Anche in questo caso la risposta era stata evasiva, ma Rossella non riuscì a decifrare se fosse perché L voleva mantenere un vantaggio su di lei o se era una semplice ripicca perché si era accorto che lei, a sua volta, si era tenuta qualche dettaglio. Ad ogni modo, la cosa non le piaceva. Fra di loro non c’era empatia. Era come se si stessero sfidando. Provò a concentrarsi per ristabilire il contatto che si era creato quando si erano appena rivisti nello spiazzo davanti al maniero, ma non riuscì ad andare oltre il livello più superficiale di unione. Sospirò delusa. Quel legame era stato così bello… Per un attimo, l’aveva sentito completamente suo.
«Da ciò che mi hai raccontato l’individuo che importuna la tua cliente è piuttosto particolare. Che idea ti sei fatta?» le chiese lui.
«Uhm… mi sembra inesperto… e piuttosto infantile. Non si è curato di nascondere indizi che potessero condurre a lui. E’ come se non avesse nemmeno pensato che Kathy avrebbe potuto sottoporre la lettera alla polizia. Ad ogni modo, le impronte non corrispondono a nessuna di quelle già schedate. Evidentemente il nostro uomo è incensurato. Però ci serviranno, se avessimo bisogno di confrontarle con quelle di un ipotetico sospettato».
«E poi?» la incalzò il ragazzo.
«Beh… ho come la sensazione che i profili psicologici di Kathy e di questo tizio siano stranamente simili».
L la fissò a lungo, e lei cominciò a sentirsi a disagio sotto quegli occhi scuri e indecifrabili. Poi le si avvicinò ulteriormente.
«Rossella, da quando in qua mi nascondi le tue opinioni?»
«C… che vuoi dire?»
Si accorse che la voce le tremava, e maledisse la sua indole emotiva. Cinque anni di espressioni impenetrabili e voce controllata erano appena andati a farsi friggere.
«Tu non sei una che si ferma ai presupposti. Cerchi delle risposte. Quindi, quali sono le tue conclusioni?»
La ragazza ebbe la sensazione che quel discorso si fosse trasformato in un interrogatorio. Si chiese fino a che punto sarebbe stato capace di spingersi L se non avesse ottenuto ciò che voleva, e decise che non sarebbe stata lei la prima a scoprirlo. Del resto, era sciocco continuare con quell’inutile presa di posizione da parte di entrambi. Forse, se avesse messo da parte l’orgoglio e l’avesse accontentato sarebbe riuscita a muovere il primo passo per ristabilire il rapporto che esisteva un tempo fra loro due, quell’affinità che li faceva cooperare come se fossero stati una mente sola.
«Se è così, ti consiglio di tenere d’occhio la tua cliente. Anzi, è meglio se torniamo subito da lei. Penseremo dopo alla bambola» disse L quando Rossella terminò di dirgli tutto ciò che voleva sapere.
Si avviarono lungo il corridoio, buio pesto come una grotta.
«Linda si è portata via la torcia. Non si vede un tubo» protestò la ragazza.
«Ho dei fiammiferi».
L ne accese uno e si avviò spedito per il corridoio. L’ambiente angusto faceva sì che la piccola luce della fiammella che teneva davanti a sé rimanesse completamente nascosta dal suo corpo, così Rossella fu costretta a proseguire a tentoni.
«Aspetta, non vedo nulla!» gli gridò.
Lui tornò indietro e la prese per mano.
«Seguimi» le disse semplicemente.
Rossella per poco non inciampò per la sorpresa. Non poteva crederci: quello che aveva desiderato per anni era accaduto in un attimo, con una naturalezza disarmante. Si morse la lingua per non rispondergli un languido “Sì, ovunque vuoi”, e gli trotterellò dietro concentrandosi unicamente su quel contatto con il cuore che le batteva all'impazzata. Il corridoio, che prima le era sembrato interminabile, parve finito in un attimo quando si ritrovarono nuovamente nella torre illuminata dal sole.
«Hai paura?» le chiese lui.
«Per nulla, perché?» gli rispose lei sorpresa, ma quando seguì la direzione del suo sguardo si accorse che gli stava ancora stringendo la mano e capì il motivo della domanda.
«Ah, scusa!» strillò imbarazzata mollando la presa.
Ma cosa urli, scema! si disse, accorgendosi per l'ennesima volta di non poter controllare la propria voce. Cosa credevi, di scendere per tutta la torre abbracciati come Paolo e Francesca?
Lo precedette per le scale, evitando di studiarlo per capire cosa stesse pensando di lei dopo la gaffe che si era appena fatta, e scordandosi pure di accennargli degli strani rumori che aveva sentito.
 
Per tutto il pomeriggio Rossella e Linda rimasero in allerta e sorvegliarono Kathy senza darlo troppo a vedere, come aveva suggerito L. Non fu difficile, visto che la ragazzina passò il tempo a raccontare loro vari aneddoti sul maniero. Sembrava che ogni oggetto  e ritratto le ricordassero qualche storiella riguardante i giorni trascorsi al castello con il nonno e il fratello. L, da parte sua, chiese a Watari di tenersi pronto in caso di emergenza.
Il tempo trascorse tranquillo fino alle cinque, quando gli ospiti furono invitati a riunirsi nel salottino e Irene e Cheryl servirono il tè. I dolcetti e i biscotti che lo accompagnavano, bellissimi da vedere e deliziosi al palato, suscitarono un mare di complimenti per la signora Lauper.
E’ a tavola che si rivela la vera personalità di un individuo: Rossella spremette ben tre limoni nella sua tazza e non aggiunse zucchero, lamentandosi che, nonostante ciò, non riusciva a togliere quella punta di dolce tipica del tè alla rosa; L, al contrario, trasformò il suo tè in una sostanza sciropposa a forza di aggiungere zollette; Watari, da quel signore che era, sorbiva la bevanda lentamente, ad occhi socchiusi, calmo, metodico; tutta l’attenzione di Linda era invece rivolta alla finezza del servizio in porcellana e all’estetica del mobilio del salottino; Kathy sceglieva i biscotti più delicati, li immergeva nella tazza e li portava alla bocca masticando piano, sorridendo timida ma con quella punta di civetteria che aveva dato tanto da pensare a Rossella.
Le giornate si erano accorciate notevolmente, e nonostante fossero solo le cinque e mezza il sole era appena tramontato. Il lampadario di cristallo al centro del soffitto, grande abbastanza da sorreggere un tempo un centinaio di candele ma ora alimentato a corrente elettrica, illuminava la stanza.
Ad un tratto la luce si spense e il salotto piombò nel buio, troncando a metà l’arringa di Linda sui cristalli di Boemia e strappando un gridolino alle altre due ragazze.
«Che succede, è saltata la luce?» chiese qualcuno.
«No, è stata spenta. Ho sentito chiaramente scattare l’interruttore» rispose Watari.
Però, prima che qualcuno potesse avere il tempo di reagire, le pesanti tende di lino ricamato si chiusero, tagliando fuori anche la poca luce crepuscolare e rendendo totale il buio.
In quell’oscurità impenetrabile qualcuno camminò rapido fino al tavolino e avvicinò una mano alla tazza di Kathy per versarvi dentro il contenuto di una misteriosa bustina.
In quel momento uno sparo squarciò il silenzio, e pochi istanti dopo Rossella accese la luce. Inginocchiato a terra c’era ora un ragazzo biondo che si stringeva la mano ferita.
I quattro investigatori si tolsero i visori a infrarossi che stavano indossando e Watari posò il fucile munito di mirino di precisione con cui aveva appena fatto saltare la bustina dalla mano del giovane sconosciuto.
Il ragazzo rimase a terra, con un viso comicamente imbronciato. Rossella a guardarlo quasi scoppiò a ridere; sembrava un bambino che stesse per dire: «Brutti cattivi, mi avete scoperto! Con voi non gioco più!». L’indole infantile del giovane era così palese che combaciava perfettamente con il profilo psicologico che la ragazza aveva ipotizzato per il presunto stalker di Kathy.
«David Warwick, suppongo» disse rivolta al nuovo arrivato.
Il ragazzo sbuffò e guardò altrove. Non ricevendo risposta, Rossella si rivolse nella direzione di Kathy per avere conferma... e si bloccò come se avesse visto un fantasma: la ragazza bionda, spaventata dal buio improvviso e dallo sparo, si era accoccolata accanto alla persona a lei più vicina, ovvero L; quest’ultimo le aveva passato un braccio intorno alle spalle in un gesto protettivo e la stava stringendo a sé. Alla vista del romantico quadretto, quel qualcosa che era rimasto latente per tutto il pomeriggio nella mente della detective finalmente scattò e tutti i pezzi andarono al loro posto: piccoletta, minuta, carina, capelli biondi, occhi azzurri, visetto tondo, voce squillante e un pizzico di civetteria. Insomma, come aveva fatto a non pensarci prima? Kathy assomigliava moltissimo a Misa Amane!
Rossella sentì le gambe diventare molli come chewing-gum scivolò piano piano lungo lo stipite della porta fino a ritrovarsi seduta a terra. Si scordò temporaneamente di tutto, indagini, rumori, voci misteriose, perfino del nuovo arrivato. A quanto pareva, una pericolosa rivale le aveva appena messo i bastoni tra le ruote!

 
 
Commenti personali
Mentre cercavo informazioni sul fatto che un “Sir” possa essere anche un “Lord”, mi sono imbattuta in una curiosa regola che ignoravo: l’appellativo “Sir” non può mai essere seguito dal solo cognome! O si pospone il nome da solo, oppure nome + cognome. In pratica, ho dovuto correggere tutti i capitoli precedenti in cui avevo scritto sir Cavendish  >.<
Comunque sì, un Sir può essere anche Lord ^^ Almeno questa l’ho azzeccata. E, siccome Sir è il titolo onorifico dei cavalieri, da qui il benvenuto di Irene, che accoglie gli ospiti nella “residenza dei cavalieri di Green Haven”.
 
Veniamo al capitolo: è superficiale, me ne sono resa conto quando ho riletto. Però non ho potuto fare a meno di strutturarlo così; se avessi inserito anche la sequenza successiva sarebbe diventato troppo lungo, e con la mia lentezza da bradipo avrei pubblicato verso settembre o giù di lì, facendo credere a tutti di aver abbandonato definitivamente questa storia. Diciamo che è un capitolo di preparazione per ciò che succederà nel prossimo, quando la trama acquisterà finalmente un pizzico di horror.
 
Riguardo L, come avrete notato evito costantemente il POV. Non riesco proprio ad entrare nella sua testa, già scrivere quello straccio di dialoghi mi costa parecchia fatica. In alcuni punti ho cercato di approfittare dell’humor tutto particolare di questo personaggio, che nel manga emerge in più punti ma che nell’anime, purtroppo, è stato tagliato fuori quasi completamente. Non potendo usare il suo POV, però, L perde la scena rispetto ad R, e sembra relegato a ruolo di personaggio secondario. Devo sforzarmi di dargli più spessore.
A proposito, vi sembra esagerato il gesto di L verso Kathy? Probabilmente sì. Ma è solo un momento, suggerito dal fatto che L, nel libro “L change the world”, custodisce parecchio merchandising di Misa addirittura in uno scomparto segreto, ah ah! Dubito che premure del genere verso Kathy si ripeteranno nel resto del racconto.
In quanto ad R… ahimè, ma perché quando c’è di mezzo L non si fida del proprio dono? Capirebbe che con lui proprio non ce n'é!
   
 
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