Serie TV > Kyle XY
Segui la storia  |       
Autore: purepura    24/06/2014    0 recensioni
Sono passati anni. Kyle, come sappiamo, è in giro per il mondo, in compagnia temporanea di Declan*, ad aiutare. Josh e Andy sono lontani, al college per studiare, mentre Lori è tornata in città, a Seattle, per seguire le orme della madre, studiando psicologia. Kyle ha lasciato Amanda. Non volendola esporre a inutili pericoli, continuava a mentirle, finché si è reso conto che non avrebbe più potuto proseguire (la produzione aveva detto che sarebbe stato solo, sentimentalmente, e così è). Decide di lasciarla in un giorno di sole. Poco tempo dopo parte. Resta solo per un po’, venendo in seguito raggiunto da Declan.
Ma Jessi?
Prendetela come un esperimento. Un esperimento molto fantasioso…
*Alcune delle informazioni sono basate su un’intervista fatta ai produttori. Altre le ho aggiunte io (come quella per la quale Declan lo accompagna nei suoi viaggi).
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessi XX
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dopo la seconda morte

15 - Senza esito

Per le buone nuove.



    «Non posso decidere a priori di dimenticarmi di mia figlia e di mia moglie».
    Il bar era affollato, ma per certi versi era un bene: nessuno faceva caso a noi, seduti in uno dei piccoli tavoli al centro del locale e intenti a sorseggiare del caffè.
    «Infatti non ti ho mai chiesto questo».
    «Mi sembrava molto chiara, invece, la risposta di pochi minuti fa».
    «Nella quale non mi pareva di aver nominato la tua famiglia».
    Lasciò la tazza sul tavolo, appoggiandosi allo schienale della sedia. Mi fissò, soprappensiero, scuotendo la testa in quello che doveva essere un movimento involontario.
    «Non capisco cosa vuoi, allora».
    Mi passai una mano fra i capelli, nel tentativo di svegliarmi dal torpore che mi aveva colto appena avevo preso posto. La giornata era stupenda, ma non sentivo altro che il ronzio fastidioso delle nostri voci nella testa. Non volevo più parlare di questa storia.
    «Che tu la smetta di discuterne. Se non vuoi rivelarlo a Kyle, a questo punto mi posso anche dire d’accordo, ma non stressare me, non chiedermi di parlare di cose su cui non voglio riflettere».
    «Che cosa pensi ci sia di male?»
    «Nell’amarti? Un sacco di cose, ma non voglio che prendano il sopravvento».
    «Perché questo sminuirebbe il resto?» La sua voce si era fatta più dolce, mentre il mio sguardo rimaneva incollato al pavimento.
    Ad alta voce! Mi sembra ancor più sciocco di quel che è.
    «Me lo farebbe apparire più problematico, ecco tutto».
    «È problematico. Me lo hai detto, Jessi».
    «Scusa». Ed ero veramente convinta di dovermi scusare, perché quel che dopo ore mi era scappato non poteva più esser cancellato.
    Rise, a gran voce. Sorrisi anche io; non potei evitarlo, perché come al solito la sua risata era contagiosa. La sua mano raggiunse l’angolo della mia bocca e lo accarezzò. «Non è certo problematico per me. Guardati. Settemila pensieri e altrettante paranoie, dico bene?»
    Sbuffai, stropicciandomi gli occhi. La tazza era vuota e il mio stomaco anche, ma non ci badai. «Perché non è così tragico, per te?»
    «Non stai confessando un crimine orrendo».
    «È una complicazione. L’hai detto pochi secondi fa. Rende questa storia non più divertente, ma in procinto di diventare seria».
    «Non potrebbe essere sia seria sia divertente?»
    «Perché ti comporti come se lo volessi? Non sei mai stato con nessun’altra; quella mattina eri in crisi, è inutile che ora fingi che non sia mai esistita».
    Fece silenzio, continuando a studiarmi. «Lo vuoi finire?», chiese, accennando alla tazza. «Si è freddato».
    Annuii, mentre il suo sguardo vagava per la sala, per poi bloccarsi su un punto imprecisato fuori dalla finestra.
    «Ricordi? Sarà stato due o tre anni fa. Ti chiamai e rispose un uomo».
    Sorrisi. Certo che rammentavo, dal momento che era stato uno dei pochi che avevo visto per più di una sera, anche se gli appuntamenti terminarono dopo che ebbe risposto al mio telefono.
    «Disse che era caduta la linea», ribadii.
    Tornò a fissarmi, inarcando le sopracciglia.
    «E allora?», continuai. «Che cosa cerchi di dimostrare? Che ci stavamo sentendo al telefono e quindi eravamo ufficialmente pronti al matrimonio?»
    «Certo che no, ma perché continui a incontrarmi se davvero non vuoi riconoscere di…».
    «E per quale motivo chiamarmi ogni mese se sapevi perfettamente dei miei appuntamenti?»
    «Speravo sempre che vi avresti rinunciato».
    «Solo perché ti sentivo al telefono?»
    «No, perché un giorno casualmente mi avresti detto che eri felice insieme a qualcuno».
    «E quindi mi hai portato a letto poche settimane dopo avermi rivista, tanto eri speranzoso che fossi felice con un altro».
    «Siccome sapevo che non lo eri, ho deciso di approfittarmene spudoratamente».
    «E come l’hai capito?» Ero curiosa; non mi aveva mai posto una domanda del genere.
    «Da come lo guardavi».
    Aveva capito che ero senza un uomo da come ne guardavo un altro? E aveva trascorso la notte con me perché potevo apparire innamorata di un altro?
    «Ma cosa…?» Scossi la testa. «È una battaglia persa. Non sei in grado d’essere una persona sincera. Stai mentendo».
    «Assolutamente no. Perché dovrei?»
    «Per quale motivo sei rimasto con me, quella notte? Rispondi sinceramente, non inventare storie assurde. Hai paragonato quella sera alla mattina di tanti anni fa e, da quel che ricordo di quel giorno, se mi avessi proposto di passarlo insieme avrei accettato, anche solo per dimenticarmi d’essere…». Sospirai. «È stato così, come ho detto io? Ci siamo fatti compagnia a vicenda? Nulla di più, quindi».
    «Tu stessa sai che non è vero, ma se ti fa comodo pensarla così potrei rinunciare presto nel tentare di farti ammettere la verità».
    Perché mi faceva tremare le gambe…
    «Sei rimasto», insistetti.
    Annuì. Dopo un secondo di silenzio, disse: «Perché non lo guardassi più».
    «Inoltre, ti pare corretto reagire male una mattina e pretendere che io reagisca bene… cosa?!» Tacqui. Aveva parlato contemporaneamente a me, potevo anche aver capito male. Corrugai le sopracciglia, fissandolo. Schioccò la lingua, facendo vagare lo sguardo per il locale, a disagio.
    «Cosa?», ripetei.
    «Niente».
    Piegai la testa di lato. «Cosa?», domandai ancora, molto piano. Forse non mi sentì nemmeno.
    Scosse la testa, passandosi una mano fra i capelli. «Mi hai sentito», disse. «Non lo ripeterò».
    «E che cosa pensi ci sia di male?»
    Si fermò. Aveva colto l’allusione. Sorrise. «Nell’amarti?», ripeté. «Un sacco di cose». Poi si sporse in avanti, posando una mano sul mio polso. «Le so io, le sai tu, non c’è bisogno che le sappiano altri».
    «Non ce n’è bisogno», concordai.
    «No», rimarcò.
    Convinti entrambi, davanti a Kyle dimenticavamo automaticamente di condividere il letto e di essere più che due semplici conoscenti.

    I motivi di scontro non erano certamente esauriti, ma spostò l’argomento sulla cosa che avrebbe voluto farmi vedere, così non ebbi più occasione di lamentarmi delle sue proteste e, in maniera indiretta, del fatto che avesse un passato.
    Ci spostammo dal locale al marciapiede, camminando senza fretta. Sfiorava il mio braccio con il suo, ma tentava anche di non toccarmi, lo sguardo fisso davanti a sé.
    «Non avresti voluto rilassarti, venendo qui?», domandai. «Non mi pare ti stia impegnando molto».
    «Tu ti devi impegnare per riposare?»
    «Sì», ammisi. «In genere la testa è sempre attiva». Anche di sera, soprattutto di notte.
    «E quali pensieri affolleranno mai la tua testa? Ti rifiuti di parlare di ogni cosa sia un minimo conflittuale».
    «Di parlarne, non di riflettervi in solitudine».
    «Condividerli non li renderebbe più sopportabili?»
    «No».
    Svoltammo lungo una stretta viuzza affiancata da alti palazzi. Si fermò davanti a uno di questi, da quel che leggevo il numero civico venti, e tirò fuori un mazzo di chiavi.
    «Dove andiamo?»
    Non rispose alla domanda, invece chiese: «Tenere tutto per te, non ti fa implodere?»
    «No».
    Si voltò a fissarmi, mentre si faceva strada per il piccolo ingresso e voltava a destra, aprendo le doppie porte di un minuscolo ascensore.
    «No?» Premette il pulsante del secondo piano, e sfrecciamo a una discreta velocità verso l’alto.
    Scossi le spalle. «Se accade a te, non è certo sottinteso che succeda a tutti».
    «Ovvio, però tu stai mentendo».
    Non negai, ma spostai lo sguardo alla porta blindata che mi stava di fronte. Il pianerottolo ospitava due appartamenti, uno di fianco all’altro, e Foss puntò quello a sinistra; lo seguii. Non entrò, ma si fermò sulla soglia, con me che gli spuntavo da dietro le spalle. Il luogo era buio, intravidi solo un salotto di piccole dimensioni con un angolo cottura sulla destra. Guardai Foss con aria interrogativa.
    «È per te», disse. «Non avevi l’asfissiante desiderio di andartene da lì?»
    «Asfissiante per chi?», domandai, mentre lo sguardo vagava ancora per la sala. «Mi hai comprato un appartamento?»
    «No! Ti ho trovato un appartamento da affittare».
    «Davvero?» Sorpresa, seguitai a fissare l’interno della casa. «Avrei voluto scappare di nuovo in Canada, Foss. Non voglio rimanere», ammisi.
    «Credo tu sia obbligata, adesso, a restare», ribatté. «Non hai guardato l’e-mail di recente?»
    Aggrottai le sopracciglia. «Perché, tu sì?»
    Scrollò le spalle.
    «La mia roba?», continuai. «Credo sia un reato, infiltrarsi nei computer altrui».
    «Ho deciso di tenere d’occhio tutte le cose di cui posso occuparmi», disse. «Spero tu non abbia dimenticato l’ultima volta, e tutte le nostre sviste. Questa volta non accadrà».
    «Non con la mia privacy», dissi. «Non con la mia posta e il mio telefono».
    «In ogni caso, l’università ti ha contattata».
    Alzai le sopracciglia.
    «Oh, andiamo!» Impaziente, sospirò. «Non sto tutto il giorno a controllare la tua posta. Voglio solo tutelarvi, e siccome non ho tutti questi passatempi controllo che la famiglia non apra e-mail dannose, non legga contenuti forvianti o non ceda a ricatti informatici. Tutto qui. Tu ne sei una conseguenza, davvero. È capitato che leggessi quella mail e che pensassi di farti un favore».
    «Bé, non è così».
    «Non vuoi questo appartamento?»
    «Non voglio che tu mi faccia favori».
    «Oh». Spostò lo sguardo, chiudendo con forza la porta e girando a più mandate, per poi voltarsi e dirigersi all’ascensore. Premette il pulsante mentre lo affiancavo.
    «Senti, sono rimasta sorpresa, non credevo t’impicciassi così tranquillamente nei miei affari, né pensavo l’avresti osato mai fare; non hai mai nemmeno insistito che ti dicessi la verità, quando chiamavi. Questa invadenza mi ha urtato».
    «Proteggo te come proteggo la famiglia. Credimi, non l’ho fatto con un intento…». Si fermò, increspando le labbra. Capii subito che cosa volesse intendere.
    «Possessivo?», completai per lui.
    Annuì. «Davvero», rimarcò.
    «D’accordo», dissi. «In ogni caso, preferirei non lo facessi. So badare a me stessa. L’ho fatto per anni, splendidamente, senza la tua collaborazione…».
    Mi fermai, scossa da un’illuminazione.
    Si stava fissando le scarpe, adesso, e premette con impazienza il pulsante di chiamata, ma l’ascensore si era fermato al piano sottostante e non sembrava intenzionato a raggiungerci presto.
    «Non posso crederci», dissi. «Da anni
    «No», disse, tacendo per un istante. Sospirò, aggiungendo: «Più o meno».
    «Perché? Come ti è venuto in mente? Credevo che Kyle ti avesse relegato fuori dandoti il via libera».
    «Sentivo Declan e sentivo te. Questo era abbastanza per ritenermi ancora dentro».
    «Credevo che mi chiamassi perché volevi farlo», mormorai. Entrai nell’ascensore senza aspettarlo, premendo il pulsante per il piano terra, sperando non mi raggiungesse. Invece, occupò lo spazio angusto che rimaneva, vicinissimo.
    «Certo», disse con ovvietà.
    Non aveva capito l’obbiezione, e del resto non mi ero prodigata per renderla più chiara. Avevo sempre pensato d’essere al di fuori, per lui; che non significassi Kyle e tutto ciò che circondava quel nome. Quello che mi stava confessando, tuttavia, era che in quegli anni non ero valsa per lui più di quanto fossi per i Trager.
    Il pensiero mi lasciò stordita per qualche istante. L’ascensore era arrivato e Foss era uscito ma, nonostante mi stesse aspettando tenendo le porte aperte, non mi ero ancora mossa.
    «Allora?», domandò.
    Mi riscossi dopo qualche altro momento, fissandolo.
    Parlare non t’impedisce di implodere? Adesso, sì.
    «Non sono mai stata niente di diverso», mormorai.
    Il suo sguardo, sino a poco prima irritato per il mio atteggiamento, tramutò, divenendo confuso. «Cosa vorresti dire?»
    Non mise in dubbio che mi stessi riferendo a lui; come se si fosse aspettato quell’obiezione sin da quando ci eravamo ritrovati in Asia.
    «Negherai adesso che l’unico motivo per cui mi chiamavi era che speravi avessi sue notizie? Non eri tanto diverso da quella stupida famiglia che mi ritrovo a dover sorvegliare».
    «Questo non è vero. Per quale motivo lo pensi?»
    Sembrava sinceramente sorpreso dall’ultima mia protesta.
    «Le cose che mi stai dicendo sono inequivocabili».
    «Se lo fossero non ti starei contraddicendo».
    Sbuffai, alzando gli occhi al cielo; una mano sul fianco, tamburellai un piede per terra, avviandomi verso l’uscita. La gita era stata infruttuosa, avevamo semplicemente perso un pomeriggio senza nemmeno pranzare.
    «Chiamare Declan era come chiamare me. Sei stato molto chiaro».
    «Non sono rimbecillito all’improvviso. Ho detto esattamente che ‘sentivo Declan e te’. Non mi pare sia la stessa cosa che mi hai rinfacciato tu».
    «A me sembra di sì».
    «No, non vi ho paragonato, vi ho accostato. Non mi sarò laureato con il massimo dei voti, ma so la differenza fra una congiunzione e una preposizione».
    «Non prenderti gioco di me!»
    Mi ero voltata ad affrontarlo in mezzo a un marciapiede affollato. La gente ci scansava, mentre lui incrociò le braccia, portò il peso sulla gamba destra e coprì il sole col suo corpo.
    «Non credo sia possibile», disse. «E non pensare che non ci abbia provato. Ho avuto cinque anni di tempo per capirlo».
    Sospirai, passandomi una mano fra i capelli, legati lenti in una crocchia.
    «Quello che volevo dire», disse, parlando lentamente, «era che, per quanto Kyle provasse a tenermi fuori per farmi vivere la mia vita, non lo ero, perché venivo informato di quello che gli succedeva e inoltre sentivo te, che sei parte del suo mondo, per quanto, a questo punto, posso dire per certo che non ti piaccia. Ora è più chiaro?»
    «E non mi sentivi per lui?»
    Lo domandai in maniera tanto esplicita perché, se la risposta fosse stata positiva, volevo davvero saperlo, per poterlo mandare al diavolo prima che la cosa divenisse troppo irreparabile.
    «Ti ho già spiegato per quale motivo ti telefonavo, e non lo ripeterò. Se sei così ostinata da voler credere che fossi solo un centro informazioni, fa’ pure, ma non è ciò che ho detto». Si voltò, incamminandosi verso il centro, dal quale dovevamo passare per raggiungere il parcheggio. «Mi preoccupavi e mi divertivi. Tutto qui. Non sembra un buon motivo per inalberarsi».
    Certo che no, se solo fossi sicura che durerà.
    Non replicai, ma mi misi al suo fianco. Insieme camminammo per qualche minuto, poi domando: «Davvero non vorresti affittare quella casa?»
    «No».
    «No non vuoi affittarla, o no non è vero che non vuoi affittarla?»
    «No, non è vero che non voglio».
    «Bene», disse. «Questo posto mi piacerebbe di più che il cupo magazzino, di cui Declan, Kyle e l’intera famiglia conoscono l’ubicazione».
    «Continua pure a declamare con tanta tranquillità la tua vergogna, poi domani chiedimi di spogliarmi: vedrai come sarò accondiscendente!»
    Sbuffò. «Ancora con questa storia? Tu l’hai nominata. Io non volevo dire quello!»
    «Certo. Hai palesemente mentito quando ti ho chiesto se fossi io, quella di cui ti vergognavi».
    «Hai meno di venticinque anni!»
    «Ancora con questa storia?», gli feci il verso. «Sei tu, l’unico che si fa dei problemi in proposito».
   «Certo, perché sono l’unico che è a conoscenza della cosa. Pensa a quello che direbbero Nicole o tuo padre, se venissero a scoprirlo. Come reagirebbe Kyle?»
    «Quindi se lo scoprisse e se ne lamentasse, mi lasceresti?» Il mio tono era quieto. La risposta mi angustiava, ma riuscii a tenere fuori dalla voce la tensione. Non sarebbe stato ancora tutto irreparabile, o forse stavo solo cercando d’ingannare me stessa. Era diventato irrimediabile dopo che la prima spallina del vestito era stata scostata, era divenuto irrinunciabile, lui e la sua vergogna, dopo che mi aveva sospinto sul divano troppo piccolo e quando il calore del suo corpo aveva raggiunto il mio.

    Notai le sue labbra incresparsi, ma non commentò. Non insistetti, fra me e me non volevo saperlo davvero e, se mai fossimo giunti all’occasione annunciata, l’avrei scoperto allora.
    «Mi piace passare il mio tempo con te», disse, forse pensando che volessi a tutti i costi una risposta. Questa era una frase che aveva ripetuto parecchie volte, come se nella sua testa volesse dire qualcosa di specifico, che ancora non avevo intuito. Forse che la risposta, in fin dei conti, sarebbe stata negativa, ma come potevo crederlo o anche solo sperarlo? Più volte si era lamentato della preoccupazione che la cosa venisse a galla, della mia età, della sua, dei giudizi di persone così irreprensibili come il figlio di Baylin. Una volta che fosse stata palese l’opinione negativa che si era tirato addosso portandomi a letto, per recuperarla – ed ero certa volesse essere stimato da Kyle – avrebbe fatto di tutto, e sarei stata messa in un angolo.
    «Se siamo i soli a saperlo», lo stuzzicai.
    «Può darsi», ammise, un filo d’impazienza a macchiarne il tono conciliante. «È un reato? Tu mi lasceresti se fosse così?»
    «No», dissi. «Puoi tranquillamente ammettere di vergognarti di me, della mia età e continuare nonostante ciò a portarmi a letto, perché la cosa non mi scalfirebbe; però devi darmi atto che qualche dubbio in più io possa farmelo venire, invece: se al primo ostacolo pianteresti tutto per riconquistare la fiducia dell’Eroe Supremo, almeno preannuncialo e lascia che mi prepari».
    «Io non voglio piantare niente». Svoltò nella via dov’era parcheggiata l’auto. Non mi sentii in dovere di rispondere al suo commento, ma compresi quante cose volesse e quanto queste fossero agli antipodi. Speravo che fosse già a conoscenza del fatto che quasi mai la vita concede anche solo una cosa da te desiderata; forse avrebbe fatto meglio a ridimensionarsi.

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Kyle XY / Vai alla pagina dell'autore: purepura