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Autore: waterdrop    25/06/2014    1 recensioni
"Johanna era nata il 31 d’ottobre mentre fuori infuriava una tempesta autunnale, di quelle che spazzavano via le foglie e inondavano le strade. Era una bellissima bambina, con un ciuffetto di capelli biondo miele e gli occhi verdi come le foglie"
Ecco come ho immaginato la storia di Johanna, prima dei giochi e PostMockingjay.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Johanna era nata il 31 d’ottobre mentre fuori infuriava una tempesta autunnale, di quelle che spazzavano via le foglie e inondavano le strade. Era una bellissima bambina, con un ciuffetto di capelli biondo miele e gli occhi verdi come le foglie. I suoi genitori, Gabriel e Michael, vivevano in una casetta in collina, vicino ai boschi immensi del distretto 7. La mamma era una donna bellissima, con i capelli chiarissimi e gli occhi color del cielo, che insegnava in una delle scuole elementari del distretto. Michael era un omone dalla statura immensa, con i capelli neri e gli occhi verdi, la carne rigonfia di muscoli guadagnati tagliando e trasportando tronchi di quercia. Il distretto 7 era così grande che era diviso in 3 province: Nord, Sud e Media. La famiglia di Johanna viveva nella Nord, la più piccola, nelle vicinanze di una città chiamata Ek. La bambina aveva un fratello gemello, Nathaniel che aveva capelli corvini e gli occhi azzurri.
«JOHANNAA! LA MAMMA TE LO RIPETE UN’ULTIMA VOLTA! I FIORI NON SI MANGIANO!” Gabriel prese in braccio la bambina e la trascinò dentro casa, mentre Johanna la fissava con un sguardo smarrito. Una volta al sicuro fra le mura della sua casa, i suoi occhi continuavano a puntare verso i boschi, il giardino e gli uccellini che volavano liberi vicino al ruscello. Come poteva rimanere chiusa dentro se fuori il mondo era così bello? Provò a dimenarsi, a urlare e a mordere la mamma, ma la sua presa era troppo forte. Gabriel lasciò la bimba sul tappeto davanti al caminetto spento, vicino alle bambole di pezza. A Johanna non piacevano le bambole: a lei piacevano le asce del papà. Si stese sconfitta sul tappeto ignorando i giocattoli e fissando il soffitto: qualsiasi altra bambina avrebbe pianto, ma Johanna sapeva che se l’avesse fatto le sarebbe arrivato un ceffone. La mamma era seduta in sala da pranzo. Gabriel, che aveva bisogno di racimolare qualche altro soldino, faceva la sarta a ore quando non era a scuola o quando non doveva occuparsi dei figli. Da poco era nato Cristopher, un bellissimo bimbo che assomigliava per tutto alla mamma. In particolare la bambina le dava molto filo da torcere: era ribelle ed era impossibile da tenere a bada. L’unica cosa che sembrava tranquillizzarla erano i violini e i boschi. In quel momento, mentre Gabriel cuciva al tavolo da pranzo, da un giradischi trasandato comprato dal falegname della loro città usciva una melodia dolce e cantilenante di un quartetto d’archi. Johanna era sul tappeto del salotto, intenta a lanciare le bambole contro il muro e occasionalmente fuori dalla finestra. La bambina aveva una mira eccezionale per avere appena tre anni. Quando il padre la portava nei boschi, con la fionda abbatteva gli uccellini che poi il padre raccoglieva per poterli fare arrosto la sera a cena. Quel giorno, purtroppo, era il turno di Nathaniel di andare nei boschi e Jo era rimasta a casa. Aveva provato a uscire un po’ fuori, nel giardino, e ci era rimasta fino a quando non aveva pensato di mangiare le margherite del cespuglio vicino allo steccato: la loro capretta Ree sembrava gradirle. A quanto pare la sua mamma non voleva che lei divorasse i fiori e l’aveva riportata dentro. Ma Johanna non si arrendeva: stesa a pancia in giù sul tappeto, aspettava di creare un piano per correre fuori in giardino di nuovo. La musica classica che eccheggiava in casa si fece più veloce e drammatica, quando qualcuno suonò al campanello di casa; era quello il momento per scappare fuori. Mentre la madre si alzava per andare ad aprire, le corse nella direzione opposta, senza farsi vedere, e uscì dalla porta sul retro senza fare rumore. Si rotolò sul prato, finalmente libera. Sentì la madre aprire la porta e trasalire. La voce alla porta era familiare: era Camille, un’amica della madre. Disse qualcosa fra le lacrime, suscitando l’attenzione di Johanna, che si alzò in piedi per sbirciare dalla finestra. Vide la chioma rossa di Camille affondare fra le spalle della madre in un abbraccio: poi sua madre si voltò verso il camino, e chiamò Johanna. Non sembrava arrabbiata: solo … triste. «Jo, vieni per favore. La mamma se ne deve andare» Ma la bambina non si mosse. Gabriel la chiamò altre volte, fino ad avere la voce rotta dal pianto. La sentì salire sopra, nelle camere da letto, piuttosto di fretta. Uscì anche in giardino, ma la bambina era dietro un cespuglio di amelli1. Poi disse: «Jo, tesoro, ovunque tu sia, ti voglio bene. Devo andare, forse non torno» poi chiuse la porta. La bambina non seppe mai perché non si era mossa dal suo nascondiglio. Quando senti la porta chiudersi pesantemente, corse di nuovo dentro casa. Sul tavolo c’era un abito nero da bambina, l’ago ancora attaccato al filo. Johanna degnò il vestito di uno sguardo lungo appena un istante, poi corse fuori. Si precipitò lungo il fianco della collina correndo e rotolando, seguendo in lontananza la chioma fulva di Camille e quella bionda della mamma. Provò a chiamarla, ma non aveva più voce. Seguì il sentiero che portava in villaggio per qualche passo, poi si buttò a terra, stremata. Johanna non piangeva mai, ma ora che aveva le ginocchia sbucciate ed era sola per strada, le lacrime le punsero gli occhi e la inchiodarono a terra. Johanna pensò che se fosse rimasta lì avrebbe perso la mamma, forse davvero per sempre. Si asciugò le guance con le mani sporche di terra e polvere e si rialzò, decisa a ritrovare Gabriel. Andava sempre in paese quando andava a scuola, sapeva la strada che doveva fare. Se la madre, che era maestra, non stava andando di là, dove altro poteva andare? Arrivò in villaggio dopo una decina di minuti. C’erano più persone di quante ne avesse mai viste in tutta la sua vita messe insieme: da ogni casa vedeva ragazzi uscire, vestiti di tutto punto. I genitori li salutavano in lacrime, poi li guardavano avviarsi in piazza. Johanna seguì gli altri nel centro del paese, che si chiamava Hilltop ed era poco distante dalla città più grande, Ek, che poi era il capoluogo della loro provincia. Ma Jo, a tre anni, tutte queste cose non le sapeva; non sapeva cosa fosse la mietitura e perché tutti i ragazzi stessero salendo su autobus trasandati con scritto “EK” davanti. Si guardò intorno più e più volte, poi scorse qualcosa di familiare. Un lembo di camicia a quadri, dei capelli scuri: si, era suo papà! In spalla aveva Nathaniel che piangeva. Corse verso di lui e gli tirò un lembo del pantalone. Ma intorno tutti sembravano andare di fretta e avere il bisogno di urlarsi a vicenda, quindi il padre non la degnò di uno sguardo. Era vicino uno degli autobus e salutava: là sopra c’era la sua mamma, che dal vetro scuoteva la mano. Johanna vide appena Gabriel incrociare il suo sguardo, poi l’autobus partì e la bambina si accasciò a terra, urlando. Trovò un sassolino nella polvere: lo prese e lo scagliò con vigore nella ruota dell'autobus, poi scappò via.
1: gli amelli sono i fiori che significano “addio” - Angolino autrice: ehilàà spero che la storia vi piaccia <3 Johanna è uno dei miei personaggi preferiti. Ho intenzione di continuare la storia dell'infanzia della vincitrice del 7, parlando anche dei giochi, della tortura di Capitol City e del seguito alla rivolta. <3
  
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