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Autore: Deb    27/06/2014    3 recensioni
«Sei stata sempre qui, da quando siamo partiti». Accennò un sorriso, sedendole affianco per osservare il paesaggio.
Katniss si chiuse nelle spalle. «È l’unico modo che ho per uscire da qui dentro». Rispose, voltandosi verso di lui.
«Lo so che non vorresti essere qui, ma non credi che dovresti almeno cercare di essere un po’… felice? Sei viva, sei tornata da tua sorella, da tua madre e da Gale…»

{A wip che finalmente è tornata nel fandom per la mia felicità!}
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A wip che è tornata nel fandom ♥
e che ora ci delizierà con le sue bellissime storie
vero o falso? :3
Ti voglio bene, cara!



Schiavi



Osservava pigramente gli alberi sfrecciare fuori dal finestrino a velocità inaudita. Non faceva in tempo a mettere a fuoco qualcosa che già scompariva dalla sua portata visiva. Le piaceva stare lì, però. Seduta nell’unico vagone i cui finestrini si aprivano. Le davano la falsa sensazione di essere libera quando invece era prigioniera all’interno di un sistema corrotto e sbagliato; dove pochi vivevano felici a discapito di quelle persone che per dar loro tutto, erano costrette a sgobbare per spiccioli. Erano schiavi, persone dalle catene invisibili strette ai polsi ed alle caviglie; e lei non era differente. Aveva più soldi di quanti gliene servissero, ma era incatenata alla realtà che la vedeva come personaggio pubblico il cui compito era quello di intrattenere lo spettatore. Non aveva più alcuna libertà. Se prima aveva il lusso di scomparire nel bosco, ora era rinchiusa in un treno le quali fermate erano i Distretti perdenti. E lei doveva parlare con gli abitanti, gongolare per il fatto che lei fosse vincitrice, che era stata più furba degli altri tributi. E doveva esserne felice. Doveva sorridere, compiaciuta da se stessa.
La verità era che anche gli Hunger Games, come il Tour della Vittoria era un modo attraverso il quale Capitol City affermava la sua supremazia: «Abbiate paura di me perché questo è niente, potrei fare ben di peggio».
Ci si doveva domandare se la vera vittoria fosse la morte. Forse era l’unico modo attraverso il quale si potesse scappare da tutta quella schiavitù che vivevano giornalmente. Ma poi, quando cominciava ad avere certi pensieri, la famiglia riempiva la sua mente; ed allora no, la morte non era una soluzione valida.
Katniss aveva dovuto imparare sin da giovanissima cosa volesse dire combattere per la sopravvivenza ed anche se aveva paura, quando entrò negli Hunger Games sapeva quantomeno come muoversi. Non credeva avrebbe vinto, come non sapeva quanto avrebbe sofferto nel perdere persone che conosceva appena. Rue prima fra tutti. Avrebbe voluto salvarla, come avrebbe voluto conoscere maggiormente Tresh, o Clove. Perché erano tutti bambini ed era ingiusto farli combattere per ritrovarsi con una parte di se stessi in meno. Lei non era più Katniss Everdeen, era diventata la ragazza di fuoco, una donna che le persone stimavano senza nemmeno saperne il perché. Se lo domandava spesso, Katniss. Non aveva fatto nulla di così eclatante, la persone che avrebbero dovuto ammirare era Peeta perché lui ci sapeva fare, perché lui risultava simpatico, non come Katniss la cui migliore espressione era un broncio perpetuo. Ma non era solo quello, le sembrava di aver perso una parte della sua anima, quel poco di fanciullesco le fosse rimasto dalla morte del padre.
In quelle settimane, Peeta sarebbe diventato il suo compagno di viaggio. Non si parlavano praticamente più. Lui era troppo ferito da ciò che lei gli aveva raccontato, la verità che inizialmente gli aveva taciuto. Era però sorpresa nel rendersi conto che fosse più serena nel saperlo vicino a lei. Non era sola, non doveva affrontare tutto questo in solitudine. Vicino aveva una persona che comprendeva pienamente il suo stato d’animo ed anche se le sembrava che non fossero stati mai così lontani, la sua presenza era comunque fonte di più tranquillità.

«Sei stata sempre qui, da quando siamo partiti». Accennò un sorriso, sedendole affianco per osservare il paesaggio.
Katniss si chiuse nelle spalle. «È l’unico modo che ho per uscire da qui dentro». Rispose, voltandosi verso di lui.
«Lo so che non vorresti essere qui, ma non credi che dovresti almeno cercare di essere un po’… felice? Sei viva, sei tornata da tua sorella, da tua madre e da Gale…» Si alzò, dirigendosi con un sospiro verso la porta del vagone. Katniss sapeva cosa gli passasse per la testa con tutta probabilità, ma rimase in silenzio. Non voleva rivivere tutto il dolore che i suoi occhi esprimevano, esattamente come al loro ritorno al Distretto. Lei non comprendeva appieno ciò che le fosse accaduto, ma era rimasta male del fatto che – pur salvandolo dall’arena – l’aveva comunque perso. Era da egoisti, da approfittatori, ma una parte di sé voleva che il ragazzo del pane le stesse vicino, che la confortasse, senza chiederle nulla in cambio. Ma non sarebbe stato giusto, l’aveva già ferito una volta ed ancora non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che avrebbe dovuto ringraziarlo maggiormente per averle salvato la vita. Non sapendo però come comportarsi, decise di ignorare, di ergere un muro davanti a sé e di non farlo entrare, proprio come era già accaduto in passato. Non aveva bisogno di nessuno, poteva farcela da sola. Ce l’avrebbe fatta da sola.
Anche in quel momento, osservando la schiena di Peeta, non sapeva cosa dire o cosa fare, quindi decise di rimanere in silenzio, attendendo la sua uscita. Non aveva senso cercare di recuperare un rapporto nati soltanto dal male. Se non fossero stati scelti loro come tributi, probabilmente non si sarebbero mai parlati, non avrebbero instaurato alcun rapporto. Peeta poteva dire di amarla, di volere solo il suo bene, ma se non fosse andato con lei agli Hunger Games – o viceversa – la loro storia sarebbe finita con due forme di pane bruciato lanciate dalle sue mani. Era inutile cercare di mentire e pensare che, al di là di tutto, ci sarebbe potuto essere qualcosa perché Katniss non aveva occhi che per Primrose, ed era giusto così. Non aveva alcun rimpianto a tal proposito. Lei avrebbe sempre fatto qualsiasi cosa soltanto per lei. Anche se soffriva nel vedere morire le persone, o nell’uccidere altri tributi nell’arena, l’avrebbe rifatto per la sua sopravvivenza e perché l’aveva promesso a Prim. Tutto il resto del mondo era un effetto collaterale della bontà della sorellina. Katniss non sapeva spiegare l’idea che aveva avuto, perché avesse trovato ripugnante l’idea di uccidere Peeta o di vederlo steso al suolo, esanime e visto che non riusciva a venirne a capo aveva compreso che, con tutta probabilità, l’aveva fatto perché si sentiva in colpa che lui fosse stato così buono nei suoi confronti e lei non l’aveva ripagato. Si era soltanto rovinata con le sue stesse mani perché ora doveva convincere tutti del suo amore per il ragazzo del pane quando per lei era così difficile amare, quando tutto ciò a cui pensava quando la parola amore le bussava alla porta della mente era Prim ed al dolore che provò quando il padre morì. Lei non voleva soffrire come era successo alla madre, non voleva perdere. Il suo istinto di sopravvivenza era così instaurato all’interno del suo essere, che tutto ciò che non aveva a che fare con lei o con Prim diventava superfluo. Per questo si chiedeva se mai un giorno sarebbe riuscita a fingere così bene da convincere il presidente Snow. E non poteva farlo se non avesse cominciato ad avvicinarsi a lui. A cercare di conoscerlo davvero, con i suoi pregi ed i suoi difetti. Ciò significava però mettersi a nudo davanti a lui e la cosa la terrorizzava. Con Gale era stato diverso, era il suo confidente, il suo amico di caccia, la persone della quale si fidava di più al mondo. Poteva dire lo stesso di Peeta? Sarebbe mai riuscita ad aprirsi con lui?
Come ogni volta che le capitava di pensare troppo ad argomenti non gioviali per lei, Katniss decise nuovamente di chiudersi a riccio. Di rimanere in silenzio, di cercare di nascondere se stessa persino a lei. Cercò di nascondere tutto, almeno per pochi istanti, dentro una scatola, nascosta alla vista ed al cuore. Qualcuno l’avrebbe sicuramente riaperta, facendola riaffiorare in superficie, ma, per il momento, non voleva saperne.
Voleva continuare a sedere davanti al finestrino, osservando pigramente gli alberi che grazie alla velocità del treno, sembravano soltanto un quadro astratto fatto di verde e marrone, di linee intersecate tra loro che rendevano i colori tenui e sfocati, come se un paesaggio del genere fosse difficile da toccare, come se qualcuno volesse dirle che era viva, ma che aveva smesso di vivere.

Non sapeva cosa l’avesse spinto a cercare di riappacificarsi con lei, ma ne era grata. Preferiva averlo al suo fianco, da amico, che rimanere da sola e cercare di scacciare i suoi pensieri, i suoi dubbi e le sue paure. Non aveva raccontato nulla a Peeta, era come se fosse ancora sola, ma la sua vicinanza le riusciva a donare un po’ di conforto. Bastava che fosse lì con lei ad ascoltare il suo respiro calmo e regolare che le infondeva tranquillità.
Quello che aveva fatto al Distretto 11 era stato dettato dalla sua bontà d’animo, dal volere aiutare le persone, proprio come un tempo aveva aiutato lei. Non era cambiato. Aveva vissuto gli Hunger Games proprio come lei, ma il suo cuore era ancora saldo ai principi di un tempo. Le azioni di Peeta non erano mai stati dettate da un tornaconto personale, erano genuine e spontanee. Forse non avrebbe dovuto fare nulla di tutto ciò che aveva fatto, ma Katniss aveva provato qualcosa simile alla gratitudine quando udì il gesto che aveva compiuto a nome di tutti i due, quando aveva preso la decisione di aiutare le famiglie dei Tributi morti e le aveva trasmesso coraggio, la forza necessaria per credere che anche lei sarebbe potuta rimanere la stessa, poter essere libera di dire ciò che pensava. Ma come ogni volta, quando lei commetteva un’azione, sbagliava ed a pagarne le conseguenze erano gli altri.
Quello stesso giorno, Katniss aveva avuto modo di vedere una parte di Peeta ancora celata dentro di sé, la parte violenta, arrabbiata come mai aveva visto, nemmeno quando scoprì che la loro storia d’amore fosse soltanto una recita. E si chiese, Katniss, cosa avesse pensato del suo racconto, del bacio con Gale. Le lacrime rigavano il suo viso mentre parlava, ma gli occhi di Peeta andarono via via a spegnersi. Non pianse, Peeta, ma ciò che Katniss aveva visto era peggio. Era tristezza. Quella pura e vera, non il dolore che rende la gola chiusa da un groppo, quella che blocca i pensieri, quel sentimento di tristezza che più si avvicina alla delusione e Katniss si ritrovò a pensare che avrebbe preferito la rabbia o le lacrime che vedere quegli occhi azzurri spegnersi di quella luce che li aveva sempre caratterizzati. Era riuscita ad uccidere la sua bontà, anche solo per un attimo, era come se avesse ucciso Peeta e Katniss si sentì terribilmente in colpa.
«Ti ho portato un po’ di cioccolata calda».
Katniss la prese tra le mani e le scaldò tenendole a contatto con la ceramica della tazza. «Grazie, Peeta».
E per un attimo sembrava come se racchiuso in quel grazie ci fossero diversi tipi di ringraziamenti, ma nessuno dei due cercò un modo per scoprirne la verità celata. Rimasero in silenzio per un po’, nel vagone preferito di Katniss a guardare l’orizzonte come se qualsiasi parola fosse superflua, come se niente avrebbe potuto lavare quel senso di oppressione che bloccava il torace, l’idea di essere soli a combattere contro i propri demoni personali. Peeta avrebbe voluto sicuramente combatterli per lei, come se anche quelli fossero ibridi, come se il suo compito fosse stato sempre quello di aiutarla e proteggerla. In silenzio, da lontano, ma con l’unico obiettivo di poterla far stare bene. Al suo fianco, Katniss aveva una persona che avrebbe vissuto soltanto per lei, pronto a farle da scudo con il suo corpo se mai fosse stato necessario, ma in gioco, ora, c’era molto di più. Non c’erano ibridi che volevano sbranare la carne, c’erano pensieri che riuscivano comunque ad essere persino più letali dei mostri che avevano popolato i loro Hunger Games. C’era il futuro incerto, dal quale loro non sarebbero mai scappati. C’erano cene, discorsi davanti a persone innocenti che soffrivano esattamente come loro, sperando in un futuro migliore che probabilmente non sarebbe mai arrivato. Persone che vedevano in Katniss qualcosa che non era, un faro di speranza quando in lei viveva soltanto la desolazione di ciò che era stato. Katniss aveva sulle spalle un fardello troppo pesante, da un peso immenso che lentamente la stava facendo piombare verso le profondità del suolo e Peeta voleva soltanto poterla aiutare, dividendosi tra loro il peso affinché lei non venisse divorata dal male che la circondava.


Questa storia era nata come raccolta Slice of Life nella quale volevo toccare i punti in cui Peeta e Katniss si avvicinavano sempre di più. Purtroppo la Collins non ha descritto il loro rapporto durante il Tour della Vittoria se non quando i nostri Everlark si riappacificano, decidendo di essere amici, o quando li vediamo insieme, a sostenersi a vicenda durante la notte. Ma avendo trascorso parecchie settimane insieme, sicuramente non si sono scambiati soltanto quelle poche frasi, ma hanno parlato, magari anche del più e del meno. Peeta avrà sicuramente cercato di farla ridere di tanto in tanto e volevo portarlo per iscritto, ma non ci sono riuscita.
Perché il senso di oppressione di Katniss è entrato prepotentemente rendendo questa storia introspettiva al massimo. XD
Quella che avete letto erano due capitoli diversi, di due momenti diversi che ho deciso di unire insieme per crearne una shot. Ho mantenuto il titolo “Schiavi” che era quello del primo capitolo. Invece, la raccolta l'avrei voluta intitolare “Per chi rischieresti la vita?” che avrebbe dovuto racchiudere il fatto che Katniss, durante i settantacinquesimi Hunger Games vuole morire per Peeta e questo sentimento sicuramente è andato creandosi (anzi sviluppandosi) dal Tour della Vittoria per poi continuare a crescere una volta tornati nel Distretto 12.
Spero vi sia piaciuta! :)
Baci
Deb

   
 
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